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458 Aleksander Panjek nell’industria triestina e istriana settentrionale, oltre al capitale locale, era presente per lo più il solo capitale privato o statale italiano. Le imprese industriali erano concentrate soprattutto a Trieste, Muggia e Monfalcone, mentre nell’Istria settentrionale esistevano solo alcune imprese di maggiore rilevanza (industria della conservazione, cantieri minori, una miniera di carbone) e un numero più consistente di officine artigianali (700), costituite soprattutto da imprese metalmeccaniche che corrispondevano alle richieste del mercato triestino e venivano a completare la produzione delle aziende industriali cittadine 14 . La produzione delle imprese industriali maggiori era destinata al più ampio mercato italiano e all’esportazione, quella delle officine artigianali invece al mercato locale, anche come fornitori o subappaltatori delle imprese industriali triestine. Seguire le trasformazioni avvenute nella proprietà del capitale industriale e nella gestione delle aziende in virtù dei provvedimenti delle autorità jugoslave nella zona B, significa quindi seguire le trasformazioni nei legami tra le zone A e B del TLT e della zona B con l’Italia. Anche il capitale industriale fu soggetto ai provvedimenti che riguardarono il patrimonio statale italiano e i terreni agricoli (con l’eccezione, naturalmente, delle espropriazioni della riforma agraria). Le imprese industriali di chi era sospettato di attività fascista o di aver collaborato con gli occupatori vennero confiscate per essere gestite dall’amministrazione jugoslava, prima nella zona B della Venezia Giulia, poi nella zona B del TLT. Tra le aziende maggiori la confisca colpì, ad esempio, i cantieri navali Depangher e Istria e il conservificio Ampelea. Anche le aziende delle persone assenti furono gestite dall’amministrazione pubblica, ma i proprietari conservarono le loro quote di proprietà. Una parte delle aziende industriali e artigianali continuò a rimanere comunque ai privati. Poiché al nuovo stato TLT, dopo il Trattato di Pace, spettavano i beni statali e parastatali di questa regione, all’amministrazione jugoslava della zona B spettarono i beni pubblici italiani, quindi per ciò che concerne le imprese industriali soprattutto le saline di Pirano e la centrale del gas di Isola. Nel periodo del TLT, dal 1947 al 1954, nella zona B non ci furono nazionalizzazioni e non furono adottati ulteriori provvedimenti riguardanti la proprietà delle imprese industriali 15 . Furono invece adottati alcuni provvedimenti, conformi al modello jugoslavo e volti all’introduzione del sistema di produzione socialista. La VUJA e l’amministrazione popolare locale della zona B del TLT intervenivano sia nella struttura di proprietà delle imprese, ad esempio con investimenti nelle aziende esistenti, sia nella loro gestione per ciò che concerne gli approvvigionamenti, la produzione e la vendita, ad esempio con l’introduzione della legge jugoslava concernente la gestione operaia dell’economia nel 1951 e con l’applicazione del provvedimento jugoslavo sulla gestione delle aziende nel 1952. Inoltre vennero costituite delle nuove imprese, specie nel 1947 dopo la firma del Trattato di Pace e dopo la creazione del TLT, di cui l’Istrska banka (Banca dell’Istria) s.p.a., che può essere considerata la banca nazionale della zona B del TLT e che era stata istituita con capitale statale jugoslavo, era l’azionista maggiore. In questo modo, nonostante la struttura delle proprietà fosse assai varia, visto che erano presenti società per azioni di proprietà della Istrska banka, aziende private di proprietari assenti, aziende confiscate e aziende statali, in realtà tutte le imprese industriali erano controllate e amministrate dal Comitato circondariale popolare per l’Istria (con modalità diverse, ad esempio attraverso fondi, comitati e sezioni della Istrska banka). La complicata situazione riguardante la proprietà creava difficoltà a diverse imprese specie nei rapporti con l’estero, situazione che si protrasse anche dopo l’annessione della zona B alla Jugoslavia ovvero alla Slovenia e alla Croazia 16 . I legami del capitale delle imprese industriali nella zona B del TLT con la zona A e con l’Italia venivano recisi anche in altro modo. I proprietari avevano in gran numero abbandonato la zona B e bloccato l’afflusso del capitale di esercizio, mentre le autorità jugoslave avevano evacuato,

La disintegrazione fra Trieste e Capodistria 459 immediatamente dopo la guerra, molti macchinari e notevoli scorte dalle fabbriche dell’Istria settentrionale. Dall’altra parte il GMA proibì ai cittadini jugoslavi di aprire aziende nella zona A del TLT 17 . I circoli economici triestini invece si lamentavano, ad esempio nel 1950-1951, a proposito della penetrazione di imprese jugoslave apparentemente private che sarebbero state finanziate da capitale statale jugoslavo e denunciavano la tolleranza del GMA nei loro confronti 18 . I provvedimenti volti alla dis-integrazione economica e alla riduzione della dipendenza dall’industria triestina furono incrementati da parte jugoslava dopo l’abolizione del TLT nel 1954. Proprio a tale scopo venne trasferita a Capodistria la Tomos (Fabbrica motori Sesana, Tovarna motorjev Se‘ana) 19 che cominciò ad operare nella nuova area nel 1959, anche se era stata trasferita a Capodistria già in precedenza. Presto cominciò anche a cooperare con la Citroen (da cui la Cimos) 20 . Per la soluzione della questione delle proprietà e dei risarcimenti si dovette aspettare ancora qualche decennio, a seguito di provvedimenti interni e accordi bilaterali con l’Italia. Lo sviluppo andò in direzione della nazionalizzazione delle imprese fino al 1966 e della liquidazione degli ex proprietari, che in qualche caso si protrasse ancora più a lungo 21 . Le banche e i capitali Dopo la fine della guerra e la costituzione di due zone di occupazione nella Venezia Giulia le transazioni venivano effettuate con le «metrolire», emesse dalla Banca d’Italia. La maggioranza delle aziende italiane della zona B della Venezia Giulia trasferì i propri capitali nella zona A, le centrali delle banche italiane interruppero le operazioni con le loro succursali nella zona B della Venezia Giulia e bloccarono i loro conti. Anche per questo motivo le autorità jugoslave istituirono una propria banca che cominciò ad emettere una propria valuta, le cosiddette «lire B» o «jugolire» 22 . Nella zona B del TLT fu quindi istituita l’Istrska banka, che formalmente era una società per azioni, ma in realtà operava grazie a capitale statale jugoslavo. Attraverso la proprietà o la comproprietà dell’Istrska banka nelle imprese, si realizzava la penetrazione occulta del settore economico statale nella zona B del TLT 23 . Dall’altra parte, nella zona A del TLT, veniva impedita con successo la creazione di una banca slovena 24 . Nella zona B del TLT il dinaro jugoslavo sostituì nel luglio 1949 le jugolire, anche se la circolazione delle lire come valuta di pagamento fu abolita definitivamente solo nel febbraio 1952 25 . Le fonti energetiche Il TLT non era autosufficiente dal punto di vista delle fonti d’energia. Vale la pena di citare la scoperta di un bacino carbonifero a Sicciole e l’inizio del suo sfruttamento che risale agli anni Venti del XX secolo, e più precisamente nell’ambito della Società Carbonifera ARSA – che venne istituita per le miniere di carbone dell’Arsa, presso Albona – con sede a Trieste e di cui, all’epoca, era già divenuto azionista di maggioranza lo Stato italiano. Verso la fine della guerra, nel 1944, a causa dell’irregolare affluenza di energia elettrica la miniera fu inondata e le pompe elettriche si bloccarono. Dopo la guerra l’amministrazione militare jugoslava smontò la torre di ferro della miniera, poi durante il periodo della zona B del TLT cercò di far riprendere la produzione. La fornitura irregolare di elettricità impedì la normale produzione, mentre l’opera di prosciugamento si protrasse fino al 1953. Così, alla fine del periodo del TLT, la miniera di Sicciole impiegava solo un quarto degli operai rispetto all’anteguerra. Nella zona B del TLT si trovava inoltre la sede della centrale del gas Alfredo Brunoro (Isola), di proprietà di un

La disintegrazione fra Trieste e Capodistria 459<br />

immediatamente dopo la guerra, molti macchinari e notevoli scorte dalle fabbriche dell’Istria<br />

settentrionale. Dall’altra parte il GMA proibì ai cittadini jugoslavi di aprire aziende nella zona<br />

A del TLT 17 . I circoli economici triestini invece si lamentavano, ad esempio nel 1950-1951, a<br />

proposito della penetrazione di imprese jugoslave apparentemente private che sarebbero state<br />

finanziate da capitale statale jugoslavo e denunciavano la tolleranza del GMA nei loro confronti 18 .<br />

I provvedimenti volti alla dis-integrazione economica e alla riduzione della dipendenza dall’industria<br />

triestina furono incrementati da parte jugoslava dopo l’abolizione del TLT nel 1954. Proprio a<br />

tale scopo venne trasferita a Capodistria la Tomos (Fabbrica motori Sesana, Tovarna motorjev<br />

Se‘ana) 19 che cominciò ad operare nella nuova area nel 1959, anche se era stata trasferita a<br />

Capodistria già in precedenza. Presto cominciò anche a cooperare con la Citroen (da cui la<br />

Cimos) 20 . Per la soluzione della questione delle proprietà e dei risarcimenti si dovette aspettare<br />

ancora qualche decennio, a seguito di provvedimenti interni e accordi bilaterali con l’Italia. Lo<br />

sviluppo andò in direzione della nazionalizzazione delle imprese fino al 1966 e della liquidazione<br />

degli ex proprietari, che in qualche caso si protrasse ancora più a lungo 21 .<br />

Le banche e i capitali<br />

Dopo la fine della guerra e la costituzione di due zone di occupazione nella Venezia Giulia<br />

le transazioni venivano effettuate con le «metrolire», emesse dalla Banca d’Italia. La maggioranza<br />

delle aziende italiane della zona B della Venezia Giulia trasferì i propri capitali nella zona<br />

A, le centrali delle banche italiane interruppero le operazioni con le loro succursali nella zona<br />

B della Venezia Giulia e bloccarono i loro conti. Anche per questo motivo le autorità jugoslave<br />

istituirono una propria banca che cominciò ad emettere una propria valuta, le cosiddette «lire<br />

B» o «jugolire» 22 . Nella zona B del TLT fu quindi istituita l’Istrska banka, che formalmente era<br />

una società per azioni, ma in realtà operava grazie a capitale statale jugoslavo. Attraverso la<br />

proprietà o la comproprietà dell’Istrska banka nelle imprese, si realizzava la penetrazione<br />

occulta del settore economico statale nella zona B del TLT 23 . Dall’altra parte, nella zona A del<br />

TLT, veniva impedita con successo la creazione di una banca slovena 24 . Nella zona B del TLT<br />

il dinaro jugoslavo sostituì nel luglio 1949 le jugolire, anche se la circolazione delle lire come<br />

valuta di pagamento fu abolita definitivamente solo nel febbraio 1952 25 .<br />

Le fonti energetiche<br />

Il TLT non era autosufficiente dal punto di vista delle fonti d’energia. Vale la pena di citare<br />

la scoperta di un bacino carbonifero a Sicciole e l’inizio del suo sfruttamento che risale agli anni<br />

Venti del XX secolo, e più precisamente nell’ambito della Società Carbonifera ARSA – che<br />

venne istituita per le miniere di carbone dell’Arsa, presso Albona – con sede a Trieste e di cui,<br />

all’epoca, era già divenuto azionista di maggioranza lo Stato italiano. Verso la fine della guerra,<br />

nel 1944, a causa dell’irregolare affluenza di energia elettrica la miniera fu inondata e le pompe<br />

elettriche si bloccarono. Dopo la guerra l’amministrazione militare jugoslava smontò la torre di<br />

ferro della miniera, poi durante il periodo della zona B del TLT cercò di far riprendere la<br />

produzione. La fornitura irregolare di elettricità impedì la normale produzione, mentre l’opera<br />

di prosciugamento si protrasse fino al 1953. Così, alla fine del periodo del TLT, la miniera di<br />

Sicciole impiegava solo un quarto degli operai rispetto all’anteguerra. Nella zona B del TLT si<br />

trovava inoltre la sede della centrale del gas Alfredo Brunoro (Isola), di proprietà di un

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