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436 Jo‘e Prin~i~ ne jugoslava perché avrebbe violato le norme internazionali e avrebbe provocato le proteste della popolazione contro l’annessione alla Jugoslavia. Il procedimento più problematico fu la statalizzazione del patrimonio privato. Secondo le norme della convenzione dell’Aia l’autorità di occupazione poteva utilizzare e sfruttare temporaneamente soltanto il patrimonio dello stato italiano e delle unità di gestione amministrativa. L’esproprio del patrimonio privato non era consentito. Gli interventi nel patrimonio privato dovevano essere argomentati e ben studiati anche perché la maggior parte dei proprietari era di cittadinanza italiana. Nel territorio della zona B la statalizzazione era limitata all’amministrazione del patrimonio che era rimasto senza proprietario, alla confisca del patrimonio dei traditori e alla decolonizzazione nel distretto di Capodistria. Il sequestro del patrimonio ebbe inizio nel maggio del 1945 e raggiunse una vasta espansione. Innanzitutto venne confiscato il patrimonio del Reich tedesco e dei suoi cittadini, delle persone di nazionalità tedesca, dei criminali di guerra indipendentemente dalla loro nazionalità e di coloro che erano condannati a perdere tutte le loro proprietà. Successivamente venne confiscato anche il patrimonio degli assenti e i beni che divennero proprietà di terzi sotto la pressione delle autorità fasciste e naziste 17 . Questo patrimonio, gestito da commissioni speciali, venne confiscato negli anni seguenti, per la maggior parte nella prima metà del 1947. I patrimoni di confisca dei fascisti e dei loro collaboratori era parte integrante dei conti da fare con il fascismo e con i suoi seguaci. Fino all’estate del 1946 i tribunali si esprimevano con molta cautela nell’infliggere la punizione della confisca del patrimonio. La risoluzione di confisca dei beni dei fascisti, delle associazioni e degli enti fascisti, emanata dalla Commissione PNOO per il Litorale sloveno nel settembre del 1946, semplificò e accelerò il procedimento di confisca, infatti oltre alle confische giuridiche introdusse anche quelle amministrative, predisposte dalle commissioni appositamente istituite. Ciononostante il numero di confische aumentò appena dopo la sottoscrizione del Trattato di Pace. Le autorità nella zona B vollero infatti rafforzare al massimo il settore economico statale ancora prima dell’annessione della zona alla Jugoslavia. Oltre alle condanne individuali le autorità si servirono anche di numerosi processi «di massa». Quelli più noti furono i tre grandi processi contro il «fascismo costiero» che si susseguirono da gennaio ad aprile del 1947 presso il tribunale distrettuale di Postumia 18 . Il motivo per la confisca del patrimonio era rappresentato anche dalla speculazione economica e dal sabotaggio commerciale. A seguito dell’ordinanza emessa nel giugno del 1945 queste furono azioni che nuocevano al funzionamento e allo sviluppo dell’economia nazionale e favorivano il conseguimento del «profitto di proprietà non proporzionato», soprattutto con l’aumento dei prezzi. Alla fine del 1946 furono ampliati e resi più severi i criteri per l’individuazione dei due crimini menzionati. Le prime vittime della campagna contro la speculazione furono i commercianti e gli artigiani. Nella prima metà del 1947 la campagna fu indirizzata contro alcuni industriali, nella seconda metà invece contro la Chiesa cattolica romana. I beni confiscati finivano in un Fondo speciale. Una parte veniva «apparentemente» venduta ai singoli cittadini e alle aziende, parte dei macchinari e delle attrezzature venivano trasportati in Jugoslavia, per ordine della VUJA. Per eliminare le autorità «di sfruttamento» e per eliminare gli «elementi» italiani, non inclini al nuovo governo, quest’ultimo si servì di altre misure limitative. Spesso semplicemente non rinnovava i permessi di produzione e vendita. Nel febbraio del 1947 nel distretto di Capodistria fu introdotta una forma particolare di riforma agraria. Venne abolita la forma coloniale e i terreni di 5 grandi proprietari vennero distribuiti, insieme a 626 proprietà, a 1.058 coloni e piccoli agricoltori. In media vennero distribuiti 2 ettari di terra a ogni interessato. Con questa risoluzione si restituirono ai proprietari un terzo delle proprietà che durante l’amministrazione italiana furono vendute all’asta 19 .La

Economia della zona B (1945-1954) 437 riforma agraria non ebbe l’effetto politico ed economico atteso. I nuovi proprietari abbandonarono la propria terra o la vollero vendere 20 . L’11 febbraio del 1947, il giorno dopo la firma del Trattato di Pace di Parigi, i distretti che avrebbero fatto parte della Jugoslavia iniziarono il processo di inclusione diretta delle loro economie nel sistema economico della Repubblica di Slovenia. Si trattò di un’operazione difficile in quanto era necessario trasformare le operazioni finanziarie e di altro genere e adattare l’organizzazione economica 21 . Nell’ambito degli sforzi per l’integrazione rientrava anche la stesura del piano di investimenti. I fondi di investimento non erano molto ingenti, erano per di più destinati ad alcune aziende di lavorazione del legno 22 , ai due laboratori meccanici a Aidussina e a Tolmino e all’impresa edile Primorje di Vipava. Zona B del TLT Nel settembre del 1947 l’economia del distretto di Capodistria divenne parte della struttura economica della zona B del TLT. Nei successivi sette anni operò in circostanze particolari. La Jugoslavia mutò il suo rapporto verso questa zona di confine. Cominciò a sostenere il rifiorire della vita economica, volendo così dimostrare alla comunità internazionale di essere capace di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo del Litorale, nonostante questo territorio fosse rimasto isolato dai suoi centri di commercio tradizionali. Contemporaneamente decise di accelerare il processo di transizione economica. L’Italia era in ritardo con le forniture regolari alla zona B del TLT mediante mezzi di pagamento stranieri e propri. Quindi questa zona veniva tenuta in vita dai crediti provenienti dalla Jugoslavia. La Jugoslavia assicurava più della metà degli approvvigionamenti annuali di mais, grano, olio e zucchero. Nella zona B del TLT spediva ingenti quantità di carne, tessili, calzature, combustibili e altri prodotti che scarseggiavano nella zona. In questo modo non copriva ancora tutte le necessità presenti ma poteva evitare i maggiori problemi e blocchi 23 . Distretto istriano: importazioni dalla Jugoslavia (in milioni di dinari secondo i prezzi del 1950) 24 Produzioni Anno 1950 Anno 1951 Beni di largo consumo 523 557 Materiale di riproduzione 188 51 Materiale di investimento 115 109 Prodotti agricoli 89 84 Totale 915 801 Oltre al notevole aiuto, il governo della Repubblica e quello federale stanziavano regolarmente da vari fondi sovvenzioni e rimborsi con cui veniva coperta la differenza negativa fra i guadagni pianificati e le spese che aumentavano di anno in anno 25 . Cominciò ad aumentare anche la differenza fra il valore delle importazioni e delle esportazioni in Jugoslavia. Nel 1950 il valore delle esportazioni dal distretto istriano alla Jugoslavia si attestò sui 558 milioni di dinari, nell’anno seguente sui 640 milioni di dinari. Il disavanzo estero venne parzialmente coperto vendendo i beni importati dalla Jugoslavia a prezzi più alti, la differenza veniva poi stanziata nel fondo delle sovvenzioni. Nonostante gli sforzi del Comitato popolare del distretto istriano, a cui fu affidata parte delle

Economia della zona B (1945-1954) 437<br />

riforma agraria non ebbe l’effetto politico ed economico atteso. I nuovi proprietari abbandonarono<br />

la propria terra o la vollero vendere 20 .<br />

L’11 febbraio del 1947, il giorno dopo la firma del Trattato di Pace di Parigi, i distretti che<br />

avrebbero fatto parte della Jugoslavia iniziarono il processo di inclusione diretta delle loro<br />

economie nel sistema economico della Repubblica di Slovenia. Si trattò di un’operazione<br />

difficile in quanto era necessario trasformare le operazioni finanziarie e di altro genere e<br />

adattare l’organizzazione economica 21 . Nell’ambito degli sforzi per l’integrazione rientrava<br />

anche la stesura del piano di investimenti. I fondi di investimento non erano molto ingenti,<br />

erano per di più destinati ad alcune aziende di lavorazione del legno 22 , ai due laboratori<br />

meccanici a Aidussina e a Tolmino e all’impresa edile Primorje di Vipava.<br />

Zona B del TLT<br />

Nel settembre del 1947 l’economia del distretto di Capodistria divenne parte della struttura<br />

economica della zona B del TLT. Nei successivi sette anni operò in circostanze particolari. La<br />

Jugoslavia mutò il suo rapporto verso questa zona di confine. Cominciò a sostenere il rifiorire<br />

della vita economica, volendo così dimostrare alla comunità internazionale di essere capace di<br />

garantire la sopravvivenza e lo sviluppo del Litorale, nonostante questo territorio fosse rimasto<br />

isolato dai suoi centri di commercio tradizionali. Contemporaneamente decise di accelerare il<br />

processo di transizione economica.<br />

L’Italia era in ritardo con le forniture regolari alla zona B del TLT mediante mezzi di<br />

pagamento stranieri e propri. Quindi questa zona veniva tenuta in vita dai crediti provenienti<br />

dalla Jugoslavia. La Jugoslavia assicurava più della metà degli approvvigionamenti annuali di<br />

mais, grano, olio e zucchero. Nella zona B del TLT spediva ingenti quantità di carne, tessili,<br />

calzature, combustibili e altri prodotti che scarseggiavano nella zona. In questo modo non<br />

copriva ancora tutte le necessità presenti ma poteva evitare i maggiori problemi e blocchi 23 .<br />

Distretto istriano: importazioni dalla Jugoslavia<br />

(in milioni di dinari secondo i prezzi del 1950) 24<br />

Produzioni Anno 1950 Anno 1951<br />

Beni di largo consumo 523 557<br />

Materiale di riproduzione 188 51<br />

Materiale di investimento 115 109<br />

Prodotti agricoli 89 84<br />

Totale 915 801<br />

Oltre al notevole aiuto, il governo della Repubblica e quello federale stanziavano regolarmente<br />

da vari fondi sovvenzioni e rimborsi con cui veniva coperta la differenza negativa fra i<br />

guadagni pianificati e le spese che aumentavano di anno in anno 25 . Cominciò ad aumentare<br />

anche la differenza fra il valore delle importazioni e delle esportazioni in Jugoslavia. Nel 1950<br />

il valore delle esportazioni dal distretto istriano alla Jugoslavia si attestò sui 558 milioni di<br />

dinari, nell’anno seguente sui 640 milioni di dinari. Il disavanzo estero venne parzialmente<br />

coperto vendendo i beni importati dalla Jugoslavia a prezzi più alti, la differenza veniva poi<br />

stanziata nel fondo delle sovvenzioni.<br />

Nonostante gli sforzi del Comitato popolare del distretto istriano, a cui fu affidata parte delle

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