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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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L’altro confine orientale. L’economia goriziana nel secondo dopoguerra 409<br />

tradizionale funzione commerciale di Gorizia, «centro di attrazione dei consumatori della zona<br />

friulana», del Cervignanese e del Monfalconese, non saprà riproporsi, schiacciata dalla concorrenza<br />

udinese. I rimedi ancora non si delineano, ma l’obiettivo è definito: prevalga la logica<br />

della compensazione. Si reintegri ciò che è venuto meno a causa della guerra. Alla fine il gioco<br />

algebrico dovrà essere a somma zero e riconsegnare a Gorizia esattamente lo «stato di<br />

benessere economico» precedente. In pochi passaggi ancora acerbi la storia economica goriziana<br />

del successivo mezzo secolo.<br />

Si delineano fin d’ora le direttrici di intervento: la ricostituzione della provincia con la<br />

restituzione dei mandamenti di Cervignano e Monfalcone e dei comuni di Grado e Chiopris<br />

Viscone 23 ; l’applicazione al territorio di provvedimenti che vadano a disegnare una zona franca<br />

sul modello anni Trenta del Carnaro oppure di Zara. Va da sé che, pur con questi innesti, quella<br />

che si sta costruendo è la più piccola provincia d’Italia, popolata da nemmeno 180 mila abitanti<br />

e con «l’aggravante […] di contare tra la sua popolazione circa 12 mila slavi, nonché nuclei<br />

abbastanza forti di popolazione avvelenata dalla propaganda jugoslava comunistoide». È<br />

pesante la dipendenza dell’analisi economica, anche quella più istituzionale, dal clima politico:<br />

«non può non preoccupare i reggitori della cosa pubblica [l’]attuale animosità della Jugoslavia<br />

nei riguardi dell’Italia, per cui nella nostra provincia è sorto quel particolare stato d’animo a<br />

tutti noto che è quanto mai deleterio per un quieto vivere e per la ripresa di una qualsiasi attività<br />

economica» 24 . Più degli slavi e dei comunisti è tuttavia l’incertezza la principale nemica<br />

dell’economia e massima responsabile dell’«esodo di capitali e trasferimento di impianti<br />

industriali». L’argomentazione nazionale tuttavia può dare il giusto sale e giocarne la carta<br />

serve senza dubbio a battere sul tavolo i pugni delle profilate «agevolazioni di carattere<br />

amministrativo e tributario». Ancora il presidente Penso allora: «dal punto di vista economico<br />

[…] nessun industriale avrà la convenienza a mantenere o trasferire qui i propri stabilimenti [e]<br />

l’elemento italiano trovandosi qui a disagio […] a causa della situazione economica e più ancora<br />

della situazione politica, tenderebbe ad emigrare». Anzi, a voler calcare la mano (fino al rischio<br />

dell’inflessione razzista): «ne conseguirebbe un generale impoverimento ed una svalutazione<br />

dei beni immobiliari che verrebbero acquistati a vile prezzo da elementi stranieri i quali, in tal<br />

modo, potrebbero facilmente infiltrarsi. Data poi la maggiore prolificità della popolazione<br />

slovena qui già insediata e di quella che vi immigrerebbe, il carattere innanzitutto della città di<br />

Gorizia e di Monfalcone e poi di tutto il territorio della provincia verrebbe snaturato in un<br />

periodo non troppo lungo» 25 . Un pantano a cui il governo nazionale non potrà certo girare le<br />

spalle.<br />

Il dibattito attorno alla via da seguire si infervora. Di fronte al balletto delle ipotesi, alcune<br />

direttrici di fondo: puntare su una rete di piccole industrie che andrebbero ad affiancare i grandi<br />

stabilimenti già esistenti, coinvolgere inevitabilmente l’IRI, potenziare l’agroindustriale, reintegrare<br />

con l’immigrazione degli esuli istriani (un’opportunità, non un problema) la perdita del<br />

tradizionale grande serbatoio di manodopera slovena della parte orientale della provincia che<br />

sta per diventare jugoslava.<br />

Ma mantiene il suo carattere condiviso di nodo strutturale l’intervento di sistemazione del<br />

territorio, vero punto di partenza. Nell’ottobre del 1946 riprende la disamina del grande<br />

progetto di irrigazione dell’agro gradiscano-cormonese. C’è la percezione di poter approdare a<br />

un risultato, dopo che i primi studi risalgono ancora al 1873. La grande opera interverrebbe<br />

definitivamente sull’«aridità del suolo e del clima proprie della zona». Il comprensorio di 8.500<br />

ettari, di cui 6.000 irrigabili, si estende dall’Isonzo allo Judrio. Il terreno agrario è costituito da<br />

un sottile strato coltivabile e poggiante su un sottosuolo totalmente drenante. Sono un’eccezione<br />

i terreni alluvionali di medio impasto (lungo il Torre e lo Judrio) e i terreni argillosi forti (ai

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