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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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L’altro confine orientale. L’economia goriziana nel secondo dopoguerra 405<br />

L’altro confine orientale. L’economia goriziana nel secondo dopoguerra<br />

di Paolo Iancis<br />

Non c’è dubbio che nel secondo dopoguerra il confine orientale è Trieste, un’equazione<br />

sancita prima dalla storia e poi dalla storiografia. La vicenda goriziana postbellica è quindi il<br />

racconto di un’alterità (forse di una subalternità) che, se misurata in termini di produzione di<br />

ricerca storica, appare pagata piuttosto a caro prezzo.<br />

Diversi elementi concorrono a giustificare il persistente orientamento storiografico. Nel<br />

1947, con la firma del Trattato di Pace, Gorizia ritorna all’amministrazione civile italiana e<br />

comincia, pur affannosamente, a ricostruirsi un ruolo nel quadro della nuova Italia repubblicana,<br />

mentre Trieste appena si appresta a diventare una questione (non c’è dubbio, complessa e<br />

quindi interessante), che come è noto richiederà, nella ricerca di una soluzione, la costituzione<br />

di un Territorio libero, sette ulteriori anni di Governo Militare Alleato e addirittura un capitolo<br />

autonomo del piano Marshall.<br />

Non è sufficiente. Pesa anche lo sguardo della storia politica, schiacciante in senso assoluto<br />

e selettiva nelle sue demarcazioni territoriali, oltre che dotata, qui sul confine orientale, di una<br />

straordinaria capacità di avocare a sé e ai propri metodi ogni altro approccio di studio. Ne ha<br />

quindi risentito quello economico, che ha stentato a proporre quel piglio svincolato a cui in<br />

queste pagine si cercherà per quanto possibile di fare appello. L’economia, irriverente per<br />

natura, meno rispettosa dei confini politici (pur pesanti), anzi sempre alla ricerca di sconfinamenti<br />

propri, può forse divenire chiave di lettura preziosa per un accostamento più sciolto al<br />

confine altoadriatico e in cui far ricomparire, accanto a quello triestino, il nesso goriziano. Si<br />

parta pure dal nodo territoriale. La pesante decurtazione geografica stabilita dal Trattato di<br />

Parigi ridefinisce in senso insospettabilmente unitario il destino dell’area confinaria. Trieste,<br />

che storicamente nasce, cresce e si dimensiona (e lo è fino a quarant’anni prima) come porto<br />

dell’impero asburgico, per evitare l’esistenza di un unico fronte di crescita, quello verso il mare,<br />

dopo il 1945 si pone il problema di guardare alla costruzione di un entroterra economico che<br />

non può non comprendere l’area isontina. Provincialismo storiografico a parte, Gorizia e<br />

Monfalcone, casi di studio già in sé significativi, diventano in questi termini anche completamento<br />

importante per la comprensione dell’area nella sua interezza, al di là forse del tradizionale<br />

dualismo della «periferia industriale» 1 .<br />

Una puntualizzazione sulle fonti. A Gorizia nel periodo del GMA il nodo della limitatezza<br />

delle carte si mostra in tutta la sua crudezza. Nel settembre del 1947 al ritiro delle truppe alleate<br />

dal quartier generale di piazza Vittoria corrisponde una sistematica dipartita degli ingenti corpi<br />

documentari prodotti dagli anglo-americani nei precedenti due anni in direzione prima di<br />

Trieste e poi di Washington, dove ancora oggi giacciono non studiati (assieme a quelli triestini)<br />

nel fondo Governo Militare Alleato della Venezia Giulia del National Archives and Records<br />

Administration. L’assenza di fonti dirette per il biennio 1945-47 lega quindi ancora la ricostruzione<br />

storica alla documentazione istituzionale italiana e a quella delle rappresentanze economiche<br />

territoriali, quindi in ultima analisi ad avventurosi incroci tra fonti indirette e necessariamente<br />

minori, alla ricerca di un quadro degli avvenimenti purtroppo persistentemente sommario.

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