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374 Giulio Mellinato La scelta che privilegiò la navalmeccanica conteneva in sé una notevole componente politica, essendo i Cantieri navali di Monfalcone, Trieste e Muggia una «Bastiglia» dei sindacati e delle organizzazioni comuniste 12 , massicciamente mobilitate a favore di una soluzione pro-jugoslava (e quindi anti-GMA ed anti-occidentale) del contenzioso territoriale che aveva Trieste come suo epicentro. In un’analisi di metà percorso, il Governo Militare Alleato esponeva non solo i risultati, ma anche la filosofia seguita fino a quel momento nell’uso delle risorse derivate dall’ERP, assieme ad una sconsolante ma realistica valutazione a proposito del valore da assegnare ai risultati raggiunti. Poiché il 90% del fondo lire in contropartita è stato investito nella costruzione di navi, il Governo Militare Alleato ha tentato per lungo tempo di attirare investimenti di danaro verso la Zona. Ma in ciò esso non ha avuto molto successo e parecchi piani in progetto si sono infranti contro la riluttanza degli investitori a rischiare capitali nelle presenti condizioni politiche. […] In quanto al futuro di Trieste, che rimane tanto incerto, ed i pericoli di guerra essendo accentuati dagli eventi bellici in Corea si deve concludere che il promuovere sani investimenti a Trieste è quasi impossibile per il momento [corsivo mio] 13 . In sostanza, gli obiettivi che il GMA esplicitava per il proprio uso dei fondi ERP potevano essere raggruppati in cinque categorie: innanzitutto la riduzione del cronico deficit di bilancio, passato da tre miliardi e 700 milioni di lire nel secondo semestre 1948 ad un miliardo nel primo semestre 1950. Poi la lotta alla disoccupazione, ritenuta la principale fonte di instabilità politica e sociale, e l’incremento del traffico commerciale attraverso il porto di Trieste. Venivano poi le costruzioni navali, per quasi 100.000 tonnellate di stazza lorda complessive, ed i progetti per aumentare l’autosufficienza alimentare, il tutto all’interno di un quadro che vedeva la popolazione locale lievitare dai 275.000 abitanti dell’anteguerra ai circa 310.000 del dopoguerra. Come risulta abbastanza chiaro, si trattava di obiettivi più politici che economici, se vengono considerate le particolari condizioni nelle quali operava il GMA. Riconducibile ad un’ottica vicina a quella dell’ERP risulta invece un altro progetto dell’Amministrazione alleata, il Centro per lo sviluppo economico di Trieste, finanziato in parte dai fondi di contropartita ed in parte dal GMA stesso. Il Centro si sarebbe dovuto articolare in tre sezioni: la prima pubblicitaria, la seconda dedicata agli aspetti della produzione e l’ultima alle vendite. La sezione produzione sarebbe stata posta sotto la direzione di un ingegnere industriale straniero «possibilmente americano», ed avrebbe avuto il compito di elaborare «programmi di modernizzazione, organizzando piani di riordinamento ed in genere migliorando la qualità e riducendo i costi». Anche la sezione vendite sarebbe stata diretta da uno straniero (ma stavolta non ne veniva indicata la nazionalità). «Dovrebbe anche avere personale competente nelle ricerche e nella cernita dei mercati allo scopo di assistere il commercio locale nel trovare mercati dove smaltire prodotti o nello sviluppo di prodotti per mercati accessibili» 14 . In altre parole, l’americanizzazione dell’economia locale passava attraverso l’adozione di pratiche di marketing ediproduction engineering. Una rieducazione che richiamando modelli produttivi fordisti e pratiche amministrative da «rivoluzione manageriale» sembra mirare non solo ad un sensibile aumento della produttività, ma anche al trinomio benessere-sicurezza-democrazia e quindi ad una penetrazione del modello americano all’interno della società locale ben più profonda rispetto a quanto veniva fatto in Italia. Almeno nelle intenzioni, perché l’evoluzione successiva (soprattutto in seguito alla parziale italianizzazione della struttura amministrativa del GMA nel 1952) modificò radicalmente le prospettive sulle quali si basava

La lunga ricostruzione. Opulenza e debolezza del Piano Marshall nel TLT 375 l’attività di rieducazione del Centro, che comunque rimane (assieme al porto industriale di Zaule ed a poche altre) un’interessante iniziativa a lungo termine intrapresa dal GMA in quegli anni. La prassi operativa seguita nell’uso dei fondi di contropartita era invece molto legata (si direbbe quasi subordinata) al ristretto ventaglio delle opzioni disponibili nella Zona. Per quanto riguarda la maggior parte dei prestiti accordati è stata seguita la solita politica del GMA che tende alla ricostruzione, modernizzazione ed ingrandimento di ditte esistenti ed affermatesi, comprendenti un vasto raggio d’azione nell’industria di Trieste. È stato fatto ogni sforzo per promuovere nuove industrie nella Zona atte a procurare nuove possibilità di occupazione ed una maggiore espansione di attività commerciale ed industriale 15 anche se quest’ultimo sforzo non fu coronato da completo successo. Certo la scelta di privilegiare l’esistente non può che fare riferimento alla provvisorietà dell’Amministrazione militare alleata che, lo ricordiamo, svolgeva la propria attività fiduciaria in attesa della nomina del Governatore del Territorio Libero di Trieste e quindi della costituzione del nuovo Stato. Ma va anche considerato il complesso gioco di intrecci all’interno dei quali il GMA doveva operare trovando la propria strada 16 , tra interessi geostrategici che abbracciavano l’intero continente e le stringenti necessità pratiche connesse con la giustificazione della propria presenza rispetto ai cittadini amministrati ed alle forze locali che necessariamente rappresentavano la costante controparte per ogni decisione assunta dagli ufficiali alleati. La relazione finale, pur non individuando esplicitamente responsabilità precise, metteva comunque a nudo il deficit di programmazione che stava dietro l’ottica da breve termine sottesa alla catena di interventi patrocinati dal GMA. Nel 1948 era stato progettato che contemporaneamente all’immediato inizio delle costruzioni navali sarebbe stato perseguito un programma di espansione industriale a lunga scadenza. L’esecuzione del progetto è stata più lenta del previsto. […] A meno che i cantieri non trovino da soli lavoro supplementare, dovrà venir svolto da parte del Governo Militare Alleato almeno un minimo programma di finanziamenti 17 . In altre parole, neanche il Piano Marshall era riuscito a costruire un’alternativa rispetto alla eccessiva dipendenza dalla navalmeccanica e dall’assistenzialismo. L’uso dei fondi di contropartita risulta rivelatore: degli oltre 19 miliardi e mezzo di lire concessi sotto forma di prestiti agevolati all’industria triestina fino al 30 giugno 1951 18 , ben 17 miliardi e mezzo furono destinati al piano di costruzioni navali, un miliardo e mezzo per la ricostruzione degli impianti danneggiati dalla guerra e soltanto poco più di 600 milioni furono destinati a finanziare lo sviluppo di nuove aziende o l’ampliamento delle esistenti. Inoltre, più della metà dei finanziamenti per la ricostruzione finirono comunque ai cantieri navali, che li utilizzarono anche per l’acquisto negli Stati Uniti di attrezzature tecnologicamente avanzate 19 . Più che di un rilancio dell’economia triestina, l’iniezione di risorse veicolate dall’ERP consentì una sorta di galleggiamento in acque tempestose, rimandando a tempi più tranquilli (e ad un’amministrazione meno provvisoria del GMA) il compito di adottare le scelte fondamentali per un riassetto definitivo.

374 Giulio Mellinato<br />

La scelta che privilegiò la navalmeccanica conteneva in sé una notevole componente politica,<br />

essendo i Cantieri navali di Monfalcone, Trieste e Muggia una «Bastiglia» dei sindacati e delle<br />

organizzazioni comuniste 12 , massicciamente mobilitate a favore di una soluzione pro-jugoslava<br />

(e quindi anti-GMA ed anti-occidentale) del contenzioso territoriale che aveva Trieste come<br />

suo epicentro.<br />

In un’analisi di metà percorso, il Governo Militare Alleato esponeva non solo i risultati, ma<br />

anche la filosofia seguita fino a quel momento nell’uso delle risorse derivate dall’ERP, assieme<br />

ad una sconsolante ma realistica valutazione a proposito del valore da assegnare ai risultati<br />

raggiunti.<br />

Poiché il 90% del fondo lire in contropartita è stato investito nella costruzione di navi, il Governo<br />

Militare Alleato ha tentato per lungo tempo di attirare investimenti di danaro verso la Zona. Ma<br />

in ciò esso non ha avuto molto successo e parecchi piani in progetto si sono infranti contro la<br />

riluttanza degli investitori a rischiare capitali nelle presenti condizioni politiche. […] In quanto al<br />

futuro di Trieste, che rimane tanto incerto, ed i pericoli di guerra essendo accentuati dagli eventi<br />

bellici in Corea si deve concludere che il promuovere sani investimenti a Trieste è quasi impossibile<br />

per il momento [corsivo mio] 13 .<br />

In sostanza, gli obiettivi che il GMA esplicitava per il proprio uso dei fondi ERP potevano<br />

essere raggruppati in cinque categorie: innanzitutto la riduzione del cronico deficit di bilancio,<br />

passato da tre miliardi e 700 milioni di lire nel secondo semestre 1948 ad un miliardo nel primo<br />

semestre 1950. Poi la lotta alla disoccupazione, ritenuta la principale fonte di instabilità politica<br />

e sociale, e l’incremento del traffico commerciale attraverso il porto di Trieste. Venivano poi le<br />

costruzioni navali, per quasi 100.000 tonnellate di stazza lorda complessive, ed i progetti per<br />

aumentare l’autosufficienza alimentare, il tutto all’interno di un quadro che vedeva la popolazione<br />

locale lievitare dai 275.000 abitanti dell’anteguerra ai circa 310.000 del dopoguerra. Come<br />

risulta abbastanza chiaro, si trattava di obiettivi più politici che economici, se vengono considerate<br />

le particolari condizioni nelle quali operava il GMA.<br />

Riconducibile ad un’ottica vicina a quella dell’ERP risulta invece un altro progetto dell’Amministrazione<br />

alleata, il Centro per lo sviluppo economico di Trieste, finanziato in parte dai<br />

fondi di contropartita ed in parte dal GMA stesso. Il Centro si sarebbe dovuto articolare in tre<br />

sezioni: la prima pubblicitaria, la seconda dedicata agli aspetti della produzione e l’ultima alle<br />

vendite. La sezione produzione sarebbe stata posta sotto la direzione di un ingegnere industriale<br />

straniero «possibilmente americano», ed avrebbe avuto il compito di elaborare «programmi<br />

di modernizzazione, organizzando piani di riordinamento ed in genere migliorando la qualità<br />

e riducendo i costi». Anche la sezione vendite sarebbe stata diretta da uno straniero (ma<br />

stavolta non ne veniva indicata la nazionalità). «Dovrebbe anche avere personale competente<br />

nelle ricerche e nella cernita dei mercati allo scopo di assistere il commercio locale nel trovare<br />

mercati dove smaltire prodotti o nello sviluppo di prodotti per mercati accessibili» 14 .<br />

In altre parole, l’americanizzazione dell’economia locale passava attraverso l’adozione di<br />

pratiche di marketing ediproduction engineering. Una rieducazione che richiamando modelli<br />

produttivi fordisti e pratiche amministrative da «rivoluzione manageriale» sembra mirare non<br />

solo ad un sensibile aumento della produttività, ma anche al trinomio benessere-sicurezza-democrazia<br />

e quindi ad una penetrazione del modello americano all’interno della società locale<br />

ben più profonda rispetto a quanto veniva fatto in Italia. Almeno nelle intenzioni, perché<br />

l’evoluzione successiva (soprattutto in seguito alla parziale italianizzazione della struttura<br />

amministrativa del GMA nel 1952) modificò radicalmente le prospettive sulle quali si basava

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