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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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358 Daniele Andreozzi<br />

Proprio tali considerazioni, e la volontà di partecipare al dibattito appena auspicato, stanno<br />

alla base del tentativo di riconsiderare alcuni dei paradigmi storiografici utilizzati nello studio<br />

dell’economia della città e di ripensare gli snodi cronologici fondamentali.<br />

Innanzitutto è necessario precisare che per «capitale triestino» si vuole qui indicare quel<br />

capitale la cui direzione era nelle mani di uomini che si riconoscevano nelle élites economiche<br />

localizzate in Trieste. Un ceto che si caratterizzava per la capacità di assimilare apporti esterni<br />

purché questi si inserissero nel contesto esistente e non si ponessero in concorrenza con esso,<br />

e la cui debolezza principale fu sempre la scarsità di risorse finanziarie, debolezza dovuta anche<br />

alla limitata sedimentazione di ricchezza in città. Data la complessità delle vicende dell’economia<br />

triestina l’utilizzo di tale bussola interpretativa è utile per evitare confusioni e arbitrarietà.<br />

Poi un cenno merita il ruolo dello stato. Se non vi è dubbio che nel Settecento l’Impero<br />

asburgico ebbe un ruolo molto importante nel decollo di Trieste, in tale secolo la capacità di<br />

azione autonoma della periferia appare in ogni caso notevole. La città lungi dall’essere un<br />

passivo prodotto delle politiche della corte viennese, fu il risultato della complessa interazione<br />

tra gli stimoli del centro, l’agire delle forze locali e le occasioni e le risorse che furono rese<br />

disponibili dai mutamenti delle economie adriatiche, dalle rotte commerciali che innervavano<br />

quel mare e dai rapporti che intercorrevano tra i centri localizzati nelle sue sponde e i fiumi che<br />

in esso sfociavano. Anzi la limitazione delle pretese e delle prerogative proprie di tutti gli Stati<br />

di Antico regime, le debolezze dell’Impero e gli scarsi mezzi impiegati dalla burocrazia viennese<br />

fanno ulteriormente risaltare il ruolo delle periferie.<br />

Semmai fu nel corso dell’Ottocento, soprattutto nella seconda metà, che le politiche statali<br />

divennero un elemento molto più importante per la crescita della città. Vediamo perché.<br />

I mutamenti di meccanismi e traffici lungo le rotte adriatiche e mediterranee avvenuti nei<br />

primi decenni del secolo e soprattutto il modificarsi delle tecniche commerciali con l’avvio della<br />

progressiva trasformazione di Trieste da emporio a porto di transito - una trasformazione che<br />

comportava il passaggio a una forma di commercio che limitava sia i poteri di direzione<br />

dell’economia propri dei mercanti triestini, sia la quota di profitto loro disponibile – colpirono<br />

l’economia della città in maniera crescente tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta di quel secolo.<br />

In tale situazione la classe dirigente, numericamente in espansione, si trovò ad affrontare una<br />

contrazione delle carriere possibili per i propri membri. Infatti, la riduzione dei profitti derivanti<br />

dal commercio significava una possibile perdita di status per molti. Questo comportò il<br />

bisogno di cercare nuove fonti di occupazione e profitto e il moltiplicarsi e il divergere degli<br />

interessi all’interno di tale ceto e pure, tra primogeniti e secondi nati, all’interno delle famiglie<br />

che lo componevano. Un moltiplicarsi e un divergere degli interessi che per altro rispecchiava<br />

quanto stava avvenendo in città. Se rappresentare una città come un personaggio unitario è<br />

sempre un artificio retorico, questo diventa ancora più vero per la Trieste ottocentesca: con il<br />

crescere del centro urbano e della sua complessità, i gruppi di interesse e, quindi, i «destini<br />

economici» erano diventati numerosi e non coincidenti come mai nel secolo precedente. E<br />

questo era un processo che le strategie messe in atto dal ceto dirigente contribuivano significativamente<br />

ad alimentare.<br />

Infatti, nel tentativo di ovviare a un possibile declino, si puntò sul settore secondario – che<br />

sempre più si stava affrancando dal controllo del capitale commerciale –, sullo sviluppo<br />

urbanistico della città, sulla fornitura dei servizi necessari alla crescente popolazione e sul<br />

comparto finanziario e assicurativo. Bisogna notare, però, che il rapporto tra questo comparto<br />

e la crescita della città è stato sempre complesso. Se per le assicurazioni triestine la prima metà<br />

dell’Ottocento fu un periodo di crescita, fu pure il momento in cui – con il loro orientarsi verso<br />

il mercato europeo, l’avvio dell’espansione multinazionale e l’allargamento del campo d’inte-

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