preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

freeterritorytrieste.com
from freeterritorytrieste.com More from this publisher
29.11.2014 Views

356 Daniele Andreozzi l’economia, la storia di Trieste può essere ritenuta non particolarmente rilevante nel determinare le vicende di quegli stati, la complessità delle vicende politiche che la caratterizzarono fanno della città un laboratorio ideale per lo studio di simili dinamiche. La questione, però, non è tutta qui, poiché la supremazia della storia politica è a sua volta strettamente collegata al quotidiano vissuto in una città immersa nella storia, in una città dove i processi di formazione degli stati, e delle nazioni, forse sono stati più faticosi e tragici che altrove e senz’altro sono stati più recenti. Infatti, se fino a pochi decenni fa tutta la storiografia è stata dominata dal paradigma dello Stato e dalle letture teleologiche del passato che ne seguivano, la storiografia triestina ha dovuto pure fare i conti, con maggiore urgenza, con gli oneri che le derivavano dall’essere strumento del confronto – e scontro – politico. Questo talvolta ha significato legare strettamente il lavoro degli storici alla difesa di posizioni e ideali – a volte nobilissimi – politici e sociali. In tal modo, la ricostruzione delle vicende economiche del passato si risolveva nel tratteggio di uno sfondo in cui agivano attori più rilevanti, protagonisti di vicende il cui esito era già conosciuto o il cui esito si voleva scongiurare. Si pensi a uno dei paradigmi che più ha influenzato la storiografia economica su Trieste: il ruolo centrale dei legami di Trieste con il suo retroterra danubiano-balcanico e la conseguente dissociazione tra razionalità economica, che spingeva alla permanenza nell’Impero, e l’idealità politica, che premeva per l’annessione all’Italia. Tale visione deve molte delle sue fortune ad Angelo Vivante, l’intellettuale socialista triestino che, alla vigilia della Prima guerra mondiale, elaborò le sue posizioni come estremo tentativo di evitare le tragedie del conflitto e rilanciare il credo internazionalista. Un’idea di un destino economico che poi negli anni successivi è stata usata ancora per dare un senso al declino della città e alle travagliate vicende politiche – come l’avvento del fascismo – da essa vissute e pure, paradossalmente e tragicamente, per legittimare momenti tremendi quali l’occupazione nazista 2 . Non si tratta di mettere in discussione gli ideali che sostennero Vivante, né affrontare la questione – che spaventa per l’ampiezza – della funzionalità di tale paradigma, né, qui, quella della sua veridicità, quanto sottolineare come tale interpretazione sia strettamente connessa alla lotta politica e come quindi questo abbia influito sul suo accoglimento e sui modi in cui, nel proseguo, è stata studiata. Non ci si può stupire se, di fronte a tutto ciò, la ricerca dei reali meccanismi di funzionamento dell’economia triestina, dei suoi tempi e delle sue congiunture sia passata in secondo piano; e questo sembra evidente dalla scarsa attenzione a lungo prestata verso gli unici testimoni che possono consentire di verificare le ipotesi avanzate: molte delle fonti necessarie a chiarire tali aspetti giacciono ancora non studiate negli archivi. Non è un caso che l’autore e i curatori di due delle più importanti pubblicazioni concernenti la storia economica di Trieste apparse negli ultimi anni – Giulio Sapelli e Roberto Finzi, Loredana Panariti e Giovanni Panjek – ribadiscano il bisogno di più approfonditi studi; un bisogno che per Roberto Finzi diventa quasi uno degli scopi dell’opera, vista come fondamento per ulteriori ricerche negli archivi 3 . Naturalmente con tali affermazioni non si vuole negare il molto che comunque, in condizioni spesso difficili, è stato fatto da generazioni di studiosi nel campo della storia economica di Trieste: nuovi dati sono stati forniti, nuove interpretazioni sono state suggerite e nuovi temi di ricerca sono stati proposti 4 . Tuttavia, se molto è stato fatto, molto è ancora da fare e probabilmente, anche per le vicende economiche di Otto e Novecento, a Trieste è ancora necessario «illuminare ciò che più di sovente altrove è già chiaro da tempo o che da più tempo si è provato a chiarire» 5 . Basti un breve richiamo ad alcune questioni che sembrano meritare approfondimenti; questioni scelte, tra le molte possibili, perché strettamente collegate all’argomento di questo convegno.

Fonti, contesto e congiunture. Una riflessione sulla storia economica di Trieste 357 Poco si sa dei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro triestino in rapporto alle aree economiche in cui era inserita e con cui si relazionava la città, agli andamenti strutturali e congiunturali dell’economia e ai mutamenti politici verificatisi. Una mancanza di conoscenza che non permette di valutare i legami esistenti tra Trieste e i territori che la circondavano più da vicino (come il Friuli e l’Istria) e tra la città ed i più lontani centri ad essa collegati (come Venezia e le coste dell’Adriatico) e di capire il ruolo assunto dalla città nei circuiti della forza lavoro che hanno interessato l’Europa. E questo sia per quanto concerne il periodo asburgico, sia per quanto concerne il periodo italiano 6 . Inoltre, se gran parte della forza lavoro di Trieste era occupata nel settore secondario, una quota considerevole era impiegata in unità produttive medie e piccole, pure nel comparto artigianale; unità le cui vocazioni, le dinamiche interne e le interazioni con la grande impresa e la crescita della città sono stata analizzate solo parzialmente. Eppure non vi è dubbio che le medie e piccole imprese – in settori come quello alimentare e quello chimico, ma pure nell’indotto della cantieristica, nel sostegno dello sviluppo urbanistico, nella fornitura di beni e servizi alla crescente popolazione e al comparto commerciale – svolsero un ruolo importantissimo. Si trattava, nel Novecento, di alcune migliaia di unità produttive, raggruppate in un tessuto denso e capaci di contribuire a determinare la specifica configurazione assunta dal modello economico che caratterizzava la città. Ovvio, dunque, che la conoscenza di tale modello sia imperfetta. Inoltre – ripetiamo – non sono questi i soli tasselli che ancora devono essere ulteriormente analizzati; pur se maggiormente studiate le problematiche connesse alle assicurazioni, ai circuiti finanziari, al ruolo dei ceti dirigenti e dei diversi gruppi d’interesse, ai rapporti complessi che legavano la città ai diversi circuiti economici in cui era inserita, non sono ancora del tutto comprese nella loro complessità. Questo rende difficile cogliere appieno le dinamiche dei mutamenti strutturali e degli andamenti congiunturali dell’economia triestina. Si sa poco, ad esempio, delle cause, degli effetti e delle modalità della deindustrializzazione avvenuta tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Siamo così tornati al punto da cui eravamo partiti: al modo in cui i singoli tasselli della storia economica di Trieste si connettono al suo ordito complessivo. Una operazione faticosa da compiere quando, in mancanza di un preciso quadro di riferimento, bisogna distinguere le novità dalle persistenze. Un’operazione, tuttavia, che non deve scoraggiare. Anzi, se l’esame delle carte degli archivi è operazione fondamentale, il lavoro fin qua svolto, nel suo cumularsi, sembra poter essere solido punto di partenza per nuove feconde ricerche e consentire di formulare nuove ipotesi sul sistema economico triestino. Non si tratta di sostituire banalmente i precedenti paradigmi interpretativi con altri di nuova formulazione, quanto di avviare un dibattito in cui si confrontino analisi diverse, sorgano domande da porre alle fonti, si superino le visioni teleologiche, non limitandosi a ricostruire come attori dati si muovano nel contesto, ma inglobando nella spiegazione i processi di formazione e legittimazione degli attori stessi, si elaborino nuove ipotesi oppure, nel caso, si confermino, «con nuovi argomenti, nuove prove e nuovi dati, giudizi già acquisiti» 7 . Questo è il normale lavoro che dovrebbero fare gli storici, ma forse Trieste e le aree che hanno condiviso con essa molto della sua storia, di fronte alle sfide che i recenti mutamenti economici, politici e istituzionali impongono, hanno particolare bisogno di questo normale lavoro. Così, proprio quando la città ancora una volta si trova a interrogarsi sul futuro e sulle vocazioni economiche, scorrendo il passato alla ricerca del momento di rottura del destino di Trieste, dell’avvio del suo declinare e cambiare pelle, tale momento sembra farsi sfuggente e di ardua datazione, al punto da spingere a interrogarsi sulla sua rilevanza e a chiedersi se non siano da privilegiarsi le continuità rispetto alle rotture.

356 Daniele Andreozzi<br />

l’economia, la storia di Trieste può essere ritenuta non particolarmente rilevante nel determinare<br />

le vicende di quegli stati, la complessità delle vicende politiche che la caratterizzarono<br />

fanno della città un laboratorio ideale per lo studio di simili dinamiche. La questione, però, non<br />

è tutta qui, poiché la supremazia della storia politica è a sua volta strettamente collegata al<br />

quotidiano vissuto in una città immersa nella storia, in una città dove i processi di formazione<br />

degli stati, e delle nazioni, forse sono stati più faticosi e tragici che altrove e senz’altro sono stati<br />

più recenti. Infatti, se fino a pochi decenni fa tutta la storiografia è stata dominata dal<br />

paradigma dello Stato e dalle letture teleologiche del passato che ne seguivano, la storiografia<br />

triestina ha dovuto pure fare i conti, con maggiore urgenza, con gli oneri che le derivavano<br />

dall’essere strumento del confronto – e scontro – politico. Questo talvolta ha significato legare<br />

strettamente il lavoro degli storici alla difesa di posizioni e ideali – a volte nobilissimi – politici<br />

e sociali. In tal modo, la ricostruzione delle vicende economiche del passato si risolveva nel<br />

tratteggio di uno sfondo in cui agivano attori più rilevanti, protagonisti di vicende il cui esito era<br />

già conosciuto o il cui esito si voleva scongiurare.<br />

Si pensi a uno dei paradigmi che più ha influenzato la storiografia economica su Trieste: il<br />

ruolo centrale dei legami di Trieste con il suo retroterra danubiano-balcanico e la conseguente<br />

dissociazione tra razionalità economica, che spingeva alla permanenza nell’Impero, e l’idealità<br />

politica, che premeva per l’annessione all’Italia. Tale visione deve molte delle sue fortune ad<br />

Angelo Vivante, l’intellettuale socialista triestino che, alla vigilia della Prima guerra mondiale,<br />

elaborò le sue posizioni come estremo tentativo di evitare le tragedie del conflitto e rilanciare<br />

il credo internazionalista. Un’idea di un destino economico che poi negli anni successivi è stata<br />

usata ancora per dare un senso al declino della città e alle travagliate vicende politiche – come<br />

l’avvento del fascismo – da essa vissute e pure, paradossalmente e tragicamente, per legittimare<br />

momenti tremendi quali l’occupazione nazista 2 .<br />

Non si tratta di mettere in discussione gli ideali che sostennero Vivante, né affrontare la<br />

questione – che spaventa per l’ampiezza – della funzionalità di tale paradigma, né, qui, quella<br />

della sua veridicità, quanto sottolineare come tale interpretazione sia strettamente connessa<br />

alla lotta politica e come quindi questo abbia influito sul suo accoglimento e sui modi in cui, nel<br />

proseguo, è stata studiata. Non ci si può stupire se, di fronte a tutto ciò, la ricerca dei reali<br />

meccanismi di funzionamento dell’economia triestina, dei suoi tempi e delle sue congiunture<br />

sia passata in secondo piano; e questo sembra evidente dalla scarsa attenzione a lungo prestata<br />

verso gli unici testimoni che possono consentire di verificare le ipotesi avanzate: molte delle<br />

fonti necessarie a chiarire tali aspetti giacciono ancora non studiate negli archivi. Non è un caso<br />

che l’autore e i curatori di due delle più importanti pubblicazioni concernenti la storia economica<br />

di Trieste apparse negli ultimi anni – Giulio Sapelli e Roberto Finzi, Loredana Panariti e<br />

Giovanni Panjek – ribadiscano il bisogno di più approfonditi studi; un bisogno che per Roberto<br />

Finzi diventa quasi uno degli scopi dell’opera, vista come fondamento per ulteriori ricerche<br />

negli archivi 3 .<br />

Naturalmente con tali affermazioni non si vuole negare il molto che comunque, in condizioni<br />

spesso difficili, è stato fatto da generazioni di studiosi nel campo della storia economica di<br />

Trieste: nuovi dati sono stati forniti, nuove interpretazioni sono state suggerite e nuovi temi di<br />

ricerca sono stati proposti 4 .<br />

Tuttavia, se molto è stato fatto, molto è ancora da fare e probabilmente, anche per le vicende<br />

economiche di Otto e Novecento, a Trieste è ancora necessario «illuminare ciò che più di<br />

sovente altrove è già chiaro da tempo o che da più tempo si è provato a chiarire» 5 . Basti un breve<br />

richiamo ad alcune questioni che sembrano meritare approfondimenti; questioni scelte, tra le<br />

molte possibili, perché strettamente collegate all’argomento di questo convegno.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!