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348 Toma‘ Sim~i~ Quanto espresso da Jakob Ukmar nel 1955 a Camporosso non si discosta minimamente da ciò che mezzo secolo prima avevano scritto gli organi cristiano sociali triestini «Dru‘inski prijatelj» (L’amico della famiglia) e «Zarja» (L’Alba). Si tratta della dottrina cattolica tradizionale sulla nazione e sul principio di nazionalità, enunciata, fra i primi in Europa, da Anton Martin Slom{ek e sviluppata successivamente anche da Anton Mahni~. Si tratta della dottrina che scorge nella nazione una famiglia estesa, degna di ogni amore ed attenzione umani, ma che rifiuta il principio di nazionalità quale unico e supremo criterio cui improntare la vita sociale, quale strumento di legittimazione della violenza, dell’oppressione o della rivoluzione. In tal senso, l’interpretazione del concetto di nazione fornita da Slom{ek, Mahni~ e dallo stesso Ukmar non si differenzia sostanzialmente da quella che i vescovi austriaci avevano espresso nella loro celebre lettera pastorale del giugno del 1849 31 , benché nella storiografia si sia sedimentata un’interpretazione che attribuisce a quel documento il valore di avversione nei riguardi dei movimenti nazionali. Ma nei suoi interventi Jakob Ukmar seppe essere anche meno generico. Un anno prima della citata lezione a Camporosso egli era stato invitato a prendere la parola ad una manifestazione politica pubblica slovena svoltasi ad Opicina il 29 agosto 1954, poco più di un mese prima della firma del Memorandum di Londra. Nel suo intervento egli sottolineò come la difesa del bene nazionale costituisse una «giusta difensiva», che la diversità nazionale era parte del disegno divino e che ogni nazione, per piccola che fosse, era investita di una missione particolare da portare a compimento. In relazione alla convivenza con la popolazione maggioritaria, egli disse con parole nelle quali echeggiò, per un verso, il suo celebre intervento contro l’oppressione delle minoranze linguistiche del 1931, mentre, per un altro, vi si scorge un esplicito accenno al mancato favore che la Democrazia Cristiana italiana riservava ad una soluzione giusta della questione della minoranza: Malauguratamente, il moderno paganesimo che propaga il disprezzo del popolo minore risulta essere una malattia particolarmente contagiosa. Essa ha in parte contagiato anche coloro che vantano la propria fede cattolica e la democrazia cristiana. Si osserva così come alcuni popoli cristiani, dotati di propri governi cristiani e democratici, siano pressoché privi di ogni senso di cristiana giustizia e di amore per l’altro popolo, specie poi nei riguardi delle minoranze nazionali sul proprio territorio. Ma Ukmar non sarebbe stato Ukmar, se alla fine non avesse rivolto un accorato monito: Ma imploro tutti gli sloveni lungo il confine di rimanere fedeli alla Chiesa, ad onta di tutte le debolezze dei sedicenti cristiani, poiché non è sulla scorta del materialismo che si insinua nel popolo, bensì in virtù degli eterni principi cristiani enunciati dalla chiesa che possiamo confidare in una convivenza giusta e pacifica fra i popoli 32 . Un campo peculiare in cui Ukmar profuse la propria attività, fu quello dell’impegno teso a far sì che «dallo scranno supremo della Chiesa fosse spesa una parola chiara e risolutiva, un faro verbale per tutti i popoli, a favore di una soluzione cristiana alle controversie nazionali e di un trattamento cristiano delle minoranze nazionali» 33 . Tale auspicio era stato in verità formulato da Jakob Ukmar sin dai tempi del fascismo. Nel memorandum del 1938, indirizzato alla Segreteria di Stato vaticana, nella quale egli illustrò in dettaglio la situazione nella quale versavano gli sloveni in Italia, si leggono anche le seguenti significative parole dell’Ukmar: Chiediamo che a questi meravigliosi documenti pontifici (le encicliche sociali, NdA) si aggiunga

Fede e nazione nel pensiero dei cattolici giuliani sloveni e la posizione di mons. J. Ukmar 349 la lungamente attesa e necessaria enciclica sui rapporti fra lo stato ed i popoli e fra i popoli stessi, sul diritto dei popoli (e delle stesse minoranze) ad una cultura propria, ad un’istruzione scolastica ed alla cura delle anime nella lingua materna. Verrà così colmata una lacuna nel sistema giuridico-morale della nostra religione, al di fuori della quale non vi è salvezza 34 . Nei decenni successivi Jakob Ukmar si impegnò con forza, affinché lo spirito della parità di diritti si affermasse sia nella chiesa locale che in quella universale. In ambito locale egli ottenne nel 1959 che in occasione della denominazione del nuovo tempio mariano di Monte Grisa si rinunciasse all’ipotesi di una denominazione che avrebbe potuto suonare irriguardosa dei sentimenti nazionali dei fedeli sloveni 35 . In quello stesso anno fu approvato, su sua proposta, nell’ambito del sinodo diocesano triestino, l’articolo sull’eguaglianza delle lingue italiana e slovena nella vita diocesana 36 . Ed ancora nel 1970, in un memorandum indirizzato alla Santa Sede, egli richiamò la necessità che in sede di nomina del nuovo vescovo triestino la scelta cadesse su un uomo che potesse rivelarsi giusto nei riguardi di entrambe le comunità nazionali quivi conviventi 37 . Quanto alla chiesa universale, gli sforzi di Ukmar propiziarono il proprio frutto più cospicuo nell’enciclica Pacem in terris, con la quale papa Giovanni XXIII, che egli aveva conosciuto personalmente negli anni in cui era stato membro del tribunale ecclesiastico a Venezia, spese parole di condanna per l’oppressione delle minoranze nazionali (artt. 93-96). Affrontano il tema delle minoranze e dei loro diritti anche alcuni articoli della costituzione conciliare sulla chiesa nel mondo contemporaneo ed il decreto Ad gentes. Benché non si disponga di prove circostanziali su un’ipotetica influenza esercitata da Jakob Ukmar sulla formulazione dei documenti richiamati, è fuor di dubbio che le sue proposte in materia fossero ben note al papa 38 ed abbiano sicuramente contribuito a far sì che la considerazione sugli inalienabili diritti delle minoranze nazionali abbia conseguito una sanzione formale da parte del magistero della Chiesa. (Traduzione di Ravel Kodri~) ——————————— 1 Luka Jeran (1818-1896), sacerdote e pubblicista, considerato l’esponente di maggior spicco del cattolicesimo intransigente fra gli sloveni nell’Ottocento. 2 Il termine indica il rigoroso spartiacque ideologico iscrittosi nella vita sociale e culturale slovena a cavallo tra Ottocento e Novecento. Se ne fece fautore, dopo aver fondato ideologicamente il moderno movimento cattolico fra gli sloveni, Anton Mahni~ (1850-1920), sacerdote, professore di teologica a Gorizia e successivamente vescovo di Veglia. 3 Janko Kralj (1898-1944), uomo politico, dirigente del movimento cristiano-sociale nel Goriziano negli anni 1931-1944. 4 B. Ciani (Cijak), Trieste 1954-1956: il Memorandum d’Intesa e i gruppi politici autonomi sloveni,Kro‘ek za dru‘bena vpra{anja Virgil [~ek, Trieste 1993, p. 97. 5 I. Prijatelj, Slovenska kulturno-politi~na in slovstvena zgodovina (La storia politico-culturale e letteraria slovena), DZS, Ljubljana 1955-1985, I, pp. 190-192. 6 D. Kermavner, Politi~nozgodovinske opombe (Note storico-politiche), in I. Prijatelj, Slovenska kulturno-politi~na in slovstvena zgodovina cit., II, pp. 592-593; III, pp. 429-430. 7 Simon Gregor~i~ (1844-1906), sacerdote e poeta, particolarmente amato dagli sloveni giuliani. 8 Anton Gregor~i~ (1852-1925), sacerdote e professore di teologia. In politica propugnò l’intesa con i liberali sloveni su una piattaforma nazionale.

348 Toma‘ Sim~i~<br />

Quanto espresso da Jakob Ukmar nel 1955 a Camporosso non si discosta minimamente da<br />

ciò che mezzo secolo prima avevano scritto gli organi cristiano sociali triestini «Dru‘inski<br />

prijatelj» (L’amico della famiglia) e «Zarja» (L’Alba). Si tratta della dottrina cattolica tradizionale<br />

sulla nazione e sul principio di nazionalità, enunciata, fra i primi in Europa, da Anton<br />

Martin Slom{ek e sviluppata successivamente anche da Anton Mahni~. Si tratta della dottrina<br />

che scorge nella nazione una famiglia estesa, degna di ogni amore ed attenzione umani, ma che<br />

rifiuta il principio di nazionalità quale unico e supremo criterio cui improntare la vita sociale,<br />

quale strumento di legittimazione della violenza, dell’oppressione o della rivoluzione. In tal<br />

senso, l’interpretazione del concetto di nazione fornita da Slom{ek, Mahni~ e dallo stesso<br />

Ukmar non si differenzia sostanzialmente da quella che i vescovi austriaci avevano espresso<br />

nella loro celebre lettera pastorale del giugno del 1849 31 , benché nella storiografia si sia<br />

sedimentata un’interpretazione che attribuisce a quel documento il valore di avversione nei<br />

riguardi dei movimenti nazionali.<br />

Ma nei suoi interventi Jakob Ukmar seppe essere anche meno generico. Un anno prima della<br />

citata lezione a Camporosso egli era stato invitato a prendere la parola ad una manifestazione<br />

politica pubblica slovena svoltasi ad Opicina il 29 agosto 1954, poco più di un mese prima della<br />

firma del Memorandum di Londra. Nel suo intervento egli sottolineò come la difesa del bene<br />

nazionale costituisse una «giusta difensiva», che la diversità nazionale era parte del disegno<br />

divino e che ogni nazione, per piccola che fosse, era investita di una missione particolare da<br />

portare a compimento. In relazione alla convivenza con la popolazione maggioritaria, egli disse<br />

con parole nelle quali echeggiò, per un verso, il suo celebre intervento contro l’oppressione<br />

delle minoranze linguistiche del 1931, mentre, per un altro, vi si scorge un esplicito accenno al<br />

mancato favore che la Democrazia Cristiana italiana riservava ad una soluzione giusta della<br />

questione della minoranza:<br />

Malauguratamente, il moderno paganesimo che propaga il disprezzo del popolo minore risulta<br />

essere una malattia particolarmente contagiosa. Essa ha in parte contagiato anche coloro che<br />

vantano la propria fede cattolica e la democrazia cristiana. Si osserva così come alcuni popoli<br />

cristiani, dotati di propri governi cristiani e democratici, siano pressoché privi di ogni senso di<br />

cristiana giustizia e di amore per l’altro popolo, specie poi nei riguardi delle minoranze nazionali<br />

sul proprio territorio.<br />

Ma Ukmar non sarebbe stato Ukmar, se alla fine non avesse rivolto un accorato monito:<br />

Ma imploro tutti gli sloveni lungo il confine di rimanere fedeli alla Chiesa, ad onta di tutte le<br />

debolezze dei sedicenti cristiani, poiché non è sulla scorta del materialismo che si insinua nel<br />

popolo, bensì in virtù degli eterni principi cristiani enunciati dalla chiesa che possiamo confidare<br />

in una convivenza giusta e pacifica fra i popoli 32 .<br />

Un campo peculiare in cui Ukmar profuse la propria attività, fu quello dell’impegno teso a<br />

far sì che «dallo scranno supremo della Chiesa fosse spesa una parola chiara e risolutiva, un faro<br />

verbale per tutti i popoli, a favore di una soluzione cristiana alle controversie nazionali e di un<br />

trattamento cristiano delle minoranze nazionali» 33 . Tale auspicio era stato in verità formulato<br />

da Jakob Ukmar sin dai tempi del fascismo. Nel memorandum del 1938, indirizzato alla<br />

Segreteria di Stato vaticana, nella quale egli illustrò in dettaglio la situazione nella quale<br />

versavano gli sloveni in Italia, si leggono anche le seguenti significative parole dell’Ukmar:<br />

Chiediamo che a questi meravigliosi documenti pontifici (le encicliche sociali, NdA) si aggiunga

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