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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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344 Toma‘ Sim~i~<br />

nale, che furono rivolti nel 1954, in concomitanza con la firma del Memorandum di Londra,<br />

dalle pagine del «Novi list» 11 si manifestarono propensioni analoghe a quelle che avevano, ad<br />

esempio, dettato attorno al 1870 al sacerdote stiriano Bo‘idar Rai~ 12 gli inviti a fronteggiare<br />

compattamente la pressione nazionale tedesca, accanto all’accesa avversione alla costituzione<br />

di società politiche cattoliche slovene 13 .<br />

Va da sé che i discrimini enunciati debbano essere intesi come una delle possibili chiavi<br />

d’interpretazione dello svolgimento storico, senza voler perciò neppure lontanamente adombrare<br />

dei giudizi di valore o tratteggiare un’elencazione esaustiva di tutte le possibili opzioni,<br />

delle loro sfumature e delle loro combinazioni. Sarebbe cioè errato dedurne che la propensione<br />

al primo dei due atteggiamenti implicasse una consapevolezza nazionale più flebile o che, per<br />

converso, la propensione al secondo di essi, comportasse necessariamente una deviazione<br />

dall’ortodossia cattolica. Nella vita pubblica, oppure nelle scelte quotidiane, gli elementi<br />

menzionati si manifestarono il più delle volte combinati ed intrecciati, il che consentiva agli<br />

individui laici ed ai singoli sacerdoti di operare ed agire congiuntamente. Le ricordate divergenze<br />

emergevano invece in situazioni di rottura e fu appunto in tali frangenti che fra i cattolici<br />

sloveni si manifestarono di fatto fratture e conflitti. Tali situazioni di rottura furono ad esempio<br />

innescate, prima della Grande Guerra, dalla questione della liturgia slava e dalla controversia<br />

ecclesiastica che investì il villaggio di Ricmanje 14 (San Giuseppe della Chiusa) nella diocesi di<br />

Trieste; nel corso della seconda guerra mondiale, dai dilemmi sollevati dall’atteggiamento nei<br />

riguardi dell’Osvobodilna fronta; a guerra finita, poi, da quelli relativi ai rapporti con le autorità<br />

comuniste jugoslave.<br />

Per la sua forma mentis, per i suoi – peraltro sporadici – interventi pubblici, per la sua<br />

concezione della questione nazionale e del rapporto fra fede e nazione, mons. Jakob Ukmar<br />

(1878-1971) andrebbe indubbiamente annoverato piuttosto al primo, che al secondo, dei due<br />

gruppi descritti. Sotto il profilo spirituale ed intellettuale egli era evoluto in un autentico adepto<br />

delle dottrine del Mahni~, in un avversario del cosiddetto «cattolicesimo nazionale» e della<br />

fiducia romantica nel valore salvifico della liturgia slava. L’atmosfera di fervori patriottici che<br />

aveva propiziato, nel 1899, il sorgere del sodalizio sacerdotale dello Zbor sve~enikov sv. Pavla<br />

(Assemblea dei sacerdoti di San Paolo), fu da lui giudicata con le seguenti parole: «Furono anni<br />

duri, quelli protrattisi dal 1900 fino al 1906 o poco oltre. De mortuis nihil nisi bene, tuttavia la<br />

storia fa fede che lo Zbor sve~enikov sv. Pavla nacque in un’atmosfera tutt’altro che ecclesiale.<br />

Parole d’ordine insidiose balenavano allora nel cielo: il rapporto uniatico, la confessione<br />

ortodossa, via dal vescovo tedesco, slava va vi{njem Bogu (formula liturgica vetero-slava), il<br />

messale glagolitico e simili. Anche il caso di Ricmanje, e la crisi estremamente pericolosa subita<br />

all’epoca dalla neo-costituita Società di Maria, rientrano nello stesso quadro [….] Forse ci<br />

lasciammo abbagliare, allora, da una certa fraseologia. Ma se oggi, da anziano sacerdote, volgo<br />

lo sguardo a quegli anni, devo dire: grazie a Dio, abbiamo conservato la santa fede» 15 .<br />

Ed infatti, negli anni antecedenti la Grande Guerra, nella contesa che oppose il vescovo alla<br />

società politica Edinost in relazione alla questione della lingua liturgica, Ukmar si era schierato<br />

a fianco del vescovo. Egli aveva peraltro sostenuto con determinazione la battaglia dell’«Edinost»<br />

a favore dell’uso pubblico della lingua slovena, al tempo stesso tuttavia ne venne<br />

criticando, sulla scorta dei precetti mahni~iani, le fondamenta ideali, specie l’accezione assolutista<br />

del principio di nazionalità. «Tale errore», scrisse, «consiste nel fatto di aver investito la<br />

nazione di attributi divini» 16 . Egli fu dell’avviso che le decisioni nelle questioni di pertinenza<br />

strettamente ecclesiastica fossero di competenza della gerarchia, non del popolo. Da tali<br />

posizioni egli non deflesse neppure più tardi. Pur non disponendo di documentazione diretta<br />

in proposito, non vi è dubbio che, quando nel 1920 una delegazione del clero giuliano sloveno

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