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318 Libero Pelaschiar riscontro largo e positivo sino «a rovesciare la posizione cattolica – sul piano morale prima e anche su quello politico poi – dandole una responsabilità di leadership nettamente maggioritaria» 18 . Ne derivò quindi una certa sintonia tra Santin e una notevole parte della borghesia triestina che, nell’opposizione agli accordi italo-jugoslavi di Osimo, trovò l’occasione che portò nelle amministrative del 1975 al successo elettorale della «Lista per Trieste». Una lettura storica di questi fatti portava a giudicare la nuova situazione una riproposta «aggiornata» della strategia liberal-nazionale come «mentalità» permanente della vita cittadina incarnata dalla componente liberale e dalla destra nazionalistica (non necessariamente fascista). Santin disapprovò energicamente gli accordi di Osimo, ma le sue prese di posizione furono personali e private senza alcuna pressione nei confronti del partito della DC. Tale disapprovazione trovò sostegno in un nutrito gruppo cattolico in parte scissionista dalla DC e in parte proveniente dai quadri dell’Azione cattolica. Uno degli scissionisti dalla DC, l’on. Giacomo Bologna, «pur ribadendo l’innegabile, palpabile, evidente comprensione […] del vescovo nei confronti dei cattolici militanti che erano “entrati nel coinvolgente agone politico della Lista per Trieste”», all’interrogativo se ci furono «“esplicite manifestazioni di sostegno fino a configurare una vera adesione di mons. Santin alla Lista per Trieste, e verso l’impegno dei cattolici che militavano in essa?”, risponde: “Francamente, non mi sembra”» 19 . Questo intrecciarsi nell’azione pastorale di Santin di responsabilità religiose, di amore patriottico per la propria terra e di rivendicazione dei diritti fondamentali dell’uomo, pone il problema della loro articolazione sulla base di criteri che rendano esplicito il loro rapporto. Infatti, alla fine del decennio tra il 1920 e il 1930 e durante gli anni Trenta, in Italia si diffuse l’opinione che sottolineava il legame tra civiltà occidentale, romanità e Cristianesimo soprattutto là dove si immaginava che con il Concordato si stesse realizzando l’utopia dello stato nazionale cristiano. Inoltre, durante gli anni che vanno dal 1943 alla morte di Santin, tra occidente ed oriente fu eretta una «cortina di ferro» che separava due mondi, quello della democrazia e del rispetto e promozione dei diritti fondamentali dell’uomo tra cui quello della libertà religiosa e il mondo della dittatura comunista, intollerante e persecutore della religione. La Jugoslavia faceva parte di questo mondo. Perciò la rivendicazione dell’appartenenza dei territori dell’Istria occidentale all’Italia veniva considerata una esigenza che assumeva i caratteri del diritto naturale di far parte della nazione italiana, senza che venisse sufficientemente distinto il diritto naturale inalienabile alla propria identità personale e culturale dall’idea di uno Stato caratterizzato non tanto dalla naturalità della nazione, quanto dall’esercizio della cittadinanza democratica dove i cittadini sentono lo Stato una loro creazione portatrice di giustizia e buon governo anche in una pacifica coesistenza di etnie diverse. Questa «contaminazione di ragioni» si trova sia in alcuni orientamenti pastorali di Santin, come nell’impegno politico ed educativo di Edoardo Marzari. Quest’ultimo esplicitamente indicava le ragioni decisive che lo spinsero ad accettare la presidenza del Comitato di Liberazione Nazionale costituite da preoccupazioni umanitarie, preoccupazioni religiose e preoccupazioni patriottiche. Ragioni che inizialmente si intrecciarono tra loro senza un chiara diversità tra valori non equivalenti e che in seguito Marzari distinse allorché prese decisamente posizione a favore dell’Unità europea come comunità politica fondata sull’esercizio della cittadinanza democratica al di sopra delle divisioni nazionali 20 . La ricordata contaminazione non fu estranea al crearsi e diffondersi tra il clero e la popolazione slavi di una sofferenza drammatica non sufficientemente percepita e quindi oggettivata dal clero e dalla popolazione italiana. Questo estremo disagio è ben evidenziato da alcuni scritti di monsignor Ukmar, quali la predica del 31 maggio 1931 sulla convivenza cristiana delle nazioni, inviata ai cardinali non italiani nel luglio del 1938 dopo la firma del trattato

Nazione e nazionalismo nella vita e nel pensiero di mons. A. Santin e di mons. E. Marzari 319 italo-iugoslavo, e da altri interventi fatti pervenire al vescovo Santin dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Infatti, lungo tutto il periodo dell’amministrazione italiana dopo il 1918, gli italiani vissero entro i confini della compagine statale italiana come cittadini che avevano raggiunto l’unità con la madre patria anche se il regime fascista impose la sua ideologia totalitaria e nazionalistica. Tuttavia, le ragioni che muovevano gli italiani del Litorale a volere l’unione con l’Italia erano le stesse che rivendicavano gli slavi per essere congiunti con la nuova Jugoslavia. Con il Trattato di Pace, le popolazioni slave del Litorale furono costrette ad accettare la condizione di minoranza nell’ambito di uno Stato che non rispettava ed anzi conculcava il loro diritto naturale a mantenere e promuovere la loro identità linguistica e culturale. Per i cattolici slavi la situazione ebbe connotazioni di grande rilievo religioso, in quanto il Vaticano dimostrava simpatia e un certo consenso nei confronti dello stato fascista senza che sulle vessazioni, le persecuzioni perpetrate contro sacerdoti e laici slavi si udisse da parte della sede apostolica nessuna protesta verso «il capo politico responsabile di tali nefandezze che anzi veniva pubblicamente proclamato come uomo mandato dalla Provvidenza per il bene della patria» (espressioni usate da mons. Ukmar nella memoria inviata ai cardinali non italiani nel luglio del 1938 ). Quanto ci fosse piena consapevolezza di questo drammatico disagio da parte dei vescovi italiani delle diocesi della Venezia Giulia nel loro comportamento pastorale verso i sacerdoti e i laici slavi, è possibile misurarlo considerando il loro costante impegno nella difesa dell’uso della lingua slava nell’ambito dell’attività pastorale delle parrocchie. Tuttavia, pur se attenuato, questo disagio non poteva essere completamente superato. Infatti, qualsiasi richiamo al rispetto della legalità in campo politico e civile come dovere morale da assumere verso lo Stato era radicalmente viziato, per la minoranza slava della Venezia Giulia, da leggi incivili e persecutorie. Nel documento scritto da mons. Ukmar nel 1938 veniva denunciato «il fatto che nella Curia Romana predominano i cardinali italiani e gli officiali superiori parimenti italiani». Da ciò «provengono vari danni», poiché «non possono essere risolti secondo giustizia e secondo i principi cattolici i gravi problemi pendenti tra le varie nazioni e precipuamente quelli riguardanti le minoranze nazionali, variamene vessate ed oppresse». Queste difficoltà e tensioni continuarono anche dopo la fine della guerra tra il 1945 e il 1954, anno in cui la zona A della Venezia Giulia venne affidata all’amministrazione italiana. Negli anni successivi, tra monsignor Santin e il clero e le popolazioni slave si stabilì un clima sempre più sereno, anche se una piena consonanza di idee e di sentimenti non venne raggiunta. Edoardo Marzari educatore sacerdote e patriota Edoardo Marzari, assieme a Santin, fu una delle figure dominanti nel mondo cattolico e civile della Venezia Giulia durante gli anni intercorsi tra l’inizio del suo ministero pastorale a Capodistria, 1935, e la sua morte (Trieste, 1973). Sacerdote di intensa spiritualità ed animatore di gruppi giovanili, patriota e resistente, presidente del CLN giuliano, vittima delle torture fasciste, contribuì alla ricostruzione delle strutture della vita democratica e fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, delle ACLI, della Lega nazionale e dei sindacati italiani opposti a quelli comunisti filo-jugoslavi. Educatore nato e coinvolgente, capace di dar vita a strutture e soluzioni originali per rispondere ai bisogni non solo di assistenza, ma di crescita umana, religiosa e democratica, contribuì in maniera determinante alla formazione morale religiosa e civile delle generazioni che arrivarono a maturazione negli anni del secondo conflitto mondiale. L’impegno caratteristico del suo lavoro educativo è stata la fondazione e la promozione dell’«Opera figli del popolo» le cui finalità erano quelle di offrire ambienti e strumenti adatti

Nazione e nazionalismo nella vita e nel pensiero di mons. A. Santin e di mons. E. Marzari 319<br />

italo-iugoslavo, e da altri interventi fatti pervenire al vescovo Santin dopo la fine del secondo<br />

conflitto mondiale. Infatti, lungo tutto il periodo dell’amministrazione italiana dopo il 1918, gli<br />

italiani vissero entro i confini della compagine statale italiana come cittadini che avevano<br />

raggiunto l’unità con la madre patria anche se il regime fascista impose la sua ideologia<br />

totalitaria e nazionalistica. Tuttavia, le ragioni che muovevano gli italiani del Litorale a volere<br />

l’unione con l’Italia erano le stesse che rivendicavano gli slavi per essere congiunti con la nuova<br />

Jugoslavia. Con il Trattato di Pace, le popolazioni slave del Litorale furono costrette ad<br />

accettare la condizione di minoranza nell’ambito di uno Stato che non rispettava ed anzi<br />

conculcava il loro diritto naturale a mantenere e promuovere la loro identità linguistica e<br />

culturale. Per i cattolici slavi la situazione ebbe connotazioni di grande rilievo religioso, in<br />

quanto il Vaticano dimostrava simpatia e un certo consenso nei confronti dello stato fascista<br />

senza che sulle vessazioni, le persecuzioni perpetrate contro sacerdoti e laici slavi si udisse da<br />

parte della sede apostolica nessuna protesta verso «il capo politico responsabile di tali nefandezze<br />

che anzi veniva pubblicamente proclamato come uomo mandato dalla Provvidenza per<br />

il bene della patria» (espressioni usate da mons. Ukmar nella memoria inviata ai cardinali non<br />

italiani nel luglio del 1938 ). Quanto ci fosse piena consapevolezza di questo drammatico disagio<br />

da parte dei vescovi italiani delle diocesi della Venezia Giulia nel loro comportamento pastorale<br />

verso i sacerdoti e i laici slavi, è possibile misurarlo considerando il loro costante impegno<br />

nella difesa dell’uso della lingua slava nell’ambito dell’attività pastorale delle parrocchie.<br />

Tuttavia, pur se attenuato, questo disagio non poteva essere completamente superato. Infatti,<br />

qualsiasi richiamo al rispetto della legalità in campo politico e civile come dovere morale da<br />

assumere verso lo Stato era radicalmente viziato, per la minoranza slava della Venezia Giulia,<br />

da leggi incivili e persecutorie. Nel documento scritto da mons. Ukmar nel 1938 veniva<br />

denunciato «il fatto che nella Curia Romana predominano i cardinali italiani e gli officiali<br />

superiori parimenti italiani». Da ciò «provengono vari danni», poiché «non possono essere<br />

risolti secondo giustizia e secondo i principi cattolici i gravi problemi pendenti tra le varie<br />

nazioni e precipuamente quelli riguardanti le minoranze nazionali, variamene vessate ed<br />

oppresse». Queste difficoltà e tensioni continuarono anche dopo la fine della guerra tra il 1945<br />

e il 1954, anno in cui la zona A della Venezia Giulia venne affidata all’amministrazione italiana.<br />

Negli anni successivi, tra monsignor Santin e il clero e le popolazioni slave si stabilì un clima<br />

sempre più sereno, anche se una piena consonanza di idee e di sentimenti non venne raggiunta.<br />

Edoardo Marzari educatore sacerdote e patriota<br />

Edoardo Marzari, assieme a Santin, fu una delle figure dominanti nel mondo cattolico e civile<br />

della Venezia Giulia durante gli anni intercorsi tra l’inizio del suo ministero pastorale a<br />

Capodistria, 1935, e la sua morte (Trieste, 1973). Sacerdote di intensa spiritualità ed animatore<br />

di gruppi giovanili, patriota e resistente, presidente del CLN giuliano, vittima delle torture<br />

fasciste, contribuì alla ricostruzione delle strutture della vita democratica e fu tra i fondatori<br />

della Democrazia Cristiana, delle ACLI, della Lega nazionale e dei sindacati italiani opposti a<br />

quelli comunisti filo-jugoslavi. Educatore nato e coinvolgente, capace di dar vita a strutture e<br />

soluzioni originali per rispondere ai bisogni non solo di assistenza, ma di crescita umana,<br />

religiosa e democratica, contribuì in maniera determinante alla formazione morale religiosa e<br />

civile delle generazioni che arrivarono a maturazione negli anni del secondo conflitto mondiale.<br />

L’impegno caratteristico del suo lavoro educativo è stata la fondazione e la promozione<br />

dell’«Opera figli del popolo» le cui finalità erano quelle di offrire ambienti e strumenti adatti

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