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266 Guido Botteri colonnello americano Alfred Bowman abolisce l’ente autonomo del Teatro comunale Giuseppe Verdi (che era stato costituito nel 1941) e dà vita all’Ertt, l’Ente Radio Teatro Trieste, che ingloba la stazione radiofonica, il teatro lirico e l’orchestra Filarmonica di Trieste, che è, di fatto, l’orchestra del Verdi, ma giuridicamente è ancora un’associazione privata. L’articolo VII precisa che l’«Ente sarà costantemente sotto la vigilanza ed il controllo del Governo militare alleato e dell’Ais (Servizio Alleato Informazioni)». Soltanto dopo un anno e mezzo si accorgeranno delle difficoltà – se non proprio dell’impossibilità – di uniformare la gestione di due realtà così diverse. Nel marzo del 1947 sono costituiti l’Ente comunale autonomo Teatro Trieste con la restituzione di fatto del teatro al Comune di Trieste, e l’Ente Radio Trieste, per la gestione della stazione radiofonica, che rimane invece sotto il pieno controllo degli ufficiali britannici e statunitensi. Dopo un primo assetto provvisorio delle trasmissioni, che si avvalgono anche – soprattutto per i notiziari giornalistici – della stazione mobile dell’VIII Armata britannica, sistemata a Torreano (in provincia di Udine), il palinsesto di Radio Trieste, ormai articolato sulle due stazioni, ripete ancora una volta lo schema introdotto dai nazisti già nel 1943, con un’emittente sostanzialmente italiana ed un’altra slovena; cambiano – ovviamente – i contenuti. Non c’è alcun dubbio che tutto il «periodo alleato» di Radio Trieste – dal giugno 1945 all’ottobre del 1954, quando, di fatto, la stazione ritorna a far parte della struttura nazionale, statuale – è contrassegnato da una «grande fioritura» di programmi artistici e culturali, sia italiani che sloveni (quest’ultimi irradiati da «Trieste II», destinata a diventare poi «Trieste A»). Ne danno ampia testimonianza, nel volume pubblicato dalla casa editrice della RAI, l’Eri, per ricordare il settantacinquesimo anniversario di Radio Trieste, Giorgio Vidusso, che di questi programmi è stato il responsabile (Radio Trieste «ha rappresentato, fotografato, la cultura triestina, ma anche incoraggiato e determinato l’andamento, i successi, l’inserimento nella cultura nazionale ed internazionale degli autori triestini più importanti») e, per la musica leggera, Roberto Curci («l’avvento dell’amministrazione alleata comporterà un’eccezionale fioritura di complessi e band, un intrecciarsi di sinergie e simbiosi tra gli strumentisti appartenenti alle forze americane di occupazione e i musicisti locali»), che accanto alla «storica» figura di Guido Cergoli fa i nomi di Franco Russo, di Teddy Reno e di Lelio Luttazzi. Giani Stuparich, che trasmette una sua «conversazione» mensile a Radio Trieste («Piccolo cabotaggio»), dal dicembre 1948, sottolinea che «mi si lasciava piena libertà nell’indirizzo generale e nella scelta degli argomenti» e Tullio Kezich, che a Radio Trieste debutta come critico cinematografico, ricorda che il direttore, l’americano Herber Jacobson, «non permise mai che i vieti puntigli nazionalistici sciocchi e velenosi ammorbassero i rapporti fra italiani e sloveni o influissero sul lavoro». Per quanto concerne i programmi sloveni, il loro maggior scrittore vivente, Alojz Rebula, ricorda che Radio Trieste «era per gli abitanti del litorale fino alle valli dell’Isonzo e di Vipacco e al monte Re, la voce dell’Occidente libero. E cristiano,…» sul piano politico e culturale. Gli anglo-americani, nella formazione dei quadri di Radio Trieste avevano, da un lato, confermato le presenze preesistenti e, dall’altro, avevano aperto le porte a redattori ed operatori culturali che potevano provenire da strutture «collaborazioniste», fasciste o filo-naziste. In particolare per il settore dei programmi sloveni è rilevante la presenza di elementi che hanno lasciato la Slovenia, in dissenso con l’assetto comunista della loro patria. Presenza anche più incidente per la scelta di alcuni vicini al comunismo di Tito di lasciare la radio per entrare a far parte delle redazioni del quotidiano «Primorski dnevnik» e della stessa Radio Capodistria, controllata dal Governo militare jugoslavo. Su questa realtà di «Radio Trst II» ci sono da parte slovena giudizi – e storiografia – divergenti. «Nel 1949 la radio – scrive Nata{a Sosi~, che dirige i programmi sloveni nei primi anni del 2000 – diventa la voce di una sola parte degli sloveni

Radio Trieste 1945-1957 267 triestini» aggiungendo che «ciononostante anche all’interno dell’emittente si hanno conflitti tra il gruppo liberale e quello cattolico». Nel 1949 avevano «abbandonato la sede diversi redattori e collaboratori che non condividono la linea politica e ideologica che la radio aveva assunto con gli anglo-americani. Diversi cori, il Teatro nazionale sloveno, singoli artisti e gruppi disdicono la collaborazione». Un po’ più articolato, ma sostanzialmente coincidente il giudizio dello storico Jo‘e Pirjevec: gli anglo-americani volevano «istituire un proprio centro di propaganda in un contesto politico già segnato dallo scontro ideologico della guerra fredda». Per fare questo «attingono» al «pool di fuggiaschi» «di matrice liberale, ma più spesso cattolica» che «nella Slovenia centrale avevano collaborato o simpatizzato durante la guerra con le forze d’occupazione italiane e poi con quelle tedesche, nella convinzione che il nemico principale cui bisognava opporsi fosse il Fronte di Liberazione, guidato dai comunisti». Di parere opposto quello del romanziere cattolico Rebula che considera Radio Trieste slovena «una tribuna di democrazia in mezzo ad un’atmosfera più sommersa, influenzata anche dall’ideologia comunista». Se i programmi, sia italiani che sloveni, nel periodo anglo-americano godono di grande autonomia, i giornali radio sono sotto stretto controllo degli ufficiali alleati. I giornalisti sono, in sostanza, dei semplici traduttori delle notizie di agenzia che vengono loro presentate dai militari alleati. Un piccolo nucleo – il City Desk – redige le notizie locali, anch’esse «visitate», prima della messa in onda. È proprio in relazione alla cronaca locale che scoppia, il 5 novembre del 1953, il più aspro conflitto all’interno di Radio Trieste. È lo stesso Governatore britannico che impone alla radio di non trasmettere il testo dell’ordine del giorno votato dal Consiglio comunale di Trieste che deplora l’uccisione, da parte della «polizia civile» comandata dagli inglesi, di due cittadini che partecipavano ad una dimostrazione a favore dell’Italia e di mandare, invece, in onda la versione di quegli avvenimenti «odiosamente parziale», commenta l’allora «reggente» tecnico della radio, l’ing. Guido Candussi. Lo stesso Candussi, nel suo monumentale volume sulla radiofonia in Italia, da lui edito nel 2004, rivela che avrebbe voluto dimettersi assieme ai più stretti collaboratori di parte italiana, ma ne era stato dissuaso dal direttore generale della RAI e dal consigliere politico italiano presso il GMA, il prof. Diego de Castro. Nell’ultimo periodo di gestione alleata di Radio Trieste, la RAI organizza una specie di trasmissione clandestina, il «Notiziario per i Fratelli Giuliani», irradiata dalla stazione di Venezia III, con notizie e programmi, musicali e di prosa, indirizzati agli italiani rimasti nei territori occupati dagli jugoslavi ed in particolare a quelli che, dopo il Trattato di Pace del 1947, continuano a vivere nella cosiddetta «Zona B del Territorio Libero di Trieste», il cui destino statale, pur essendo sottomessi ad un governo militare jugoslavo, non è ancora sanzionato a livello internazionale. Notiziari e programmi sono in parte «forniti», alla redazione romana, da Trieste da parte di giornalisti non appartenenti alla redazione di Radio Trieste. La RAI (di fatto già dall’ottobre del 1954, affidando la direzione della sede triestina alla medaglia d’oro della Resistenza, il piemontese Martini Mauri, e giuridicamente dall’agosto del 1957) conferma sostanzialmente tutte le strutture e la programmazione portata avanti nel decennio precedente (comprese le rubriche religiose affidate dagli anglo-americani ai protestanti, accanto alle trasmissioni cattoliche, italiane e slovene) ed a tutto il personale sloveno, compresi gli apolidi e quanti non hanno la cittadinanza italiana, offre l’«opzione» di inquadramento nell’azienda pubblica. Il dopoguerra, per Radio Trieste, è finito.

Radio Trieste 1945-1957 267<br />

triestini» aggiungendo che «ciononostante anche all’interno dell’emittente si hanno conflitti tra<br />

il gruppo liberale e quello cattolico». Nel 1949 avevano «abbandonato la sede diversi redattori<br />

e collaboratori che non condividono la linea politica e ideologica che la radio aveva assunto con<br />

gli anglo-americani. Diversi cori, il Teatro nazionale sloveno, singoli artisti e gruppi disdicono<br />

la collaborazione». Un po’ più articolato, ma sostanzialmente coincidente il giudizio dello<br />

storico Jo‘e Pirjevec: gli anglo-americani volevano «istituire un proprio centro di propaganda<br />

in un contesto politico già segnato dallo scontro ideologico della guerra fredda». Per fare questo<br />

«attingono» al «pool di fuggiaschi» «di matrice liberale, ma più spesso cattolica» che «nella<br />

Slovenia centrale avevano collaborato o simpatizzato durante la guerra con le forze d’occupazione<br />

italiane e poi con quelle tedesche, nella convinzione che il nemico principale cui bisognava<br />

opporsi fosse il Fronte di Liberazione, guidato dai comunisti». Di parere opposto quello del<br />

romanziere cattolico Rebula che considera Radio Trieste slovena «una tribuna di democrazia<br />

in mezzo ad un’atmosfera più sommersa, influenzata anche dall’ideologia comunista».<br />

Se i programmi, sia italiani che sloveni, nel periodo anglo-americano godono di grande<br />

autonomia, i giornali radio sono sotto stretto controllo degli ufficiali alleati. I giornalisti sono,<br />

in sostanza, dei semplici traduttori delle notizie di agenzia che vengono loro presentate dai<br />

militari alleati. Un piccolo nucleo – il City Desk – redige le notizie locali, anch’esse «visitate»,<br />

prima della messa in onda. È proprio in relazione alla cronaca locale che scoppia, il 5 novembre<br />

del 1953, il più aspro conflitto all’interno di Radio Trieste. È lo stesso Governatore britannico<br />

che impone alla radio di non trasmettere il testo dell’ordine del giorno votato dal Consiglio<br />

comunale di Trieste che deplora l’uccisione, da parte della «polizia civile» comandata dagli<br />

inglesi, di due cittadini che partecipavano ad una dimostrazione a favore dell’Italia e di<br />

mandare, invece, in onda la versione di quegli avvenimenti «odiosamente parziale», commenta<br />

l’allora «reggente» tecnico della radio, l’ing. Guido Candussi. Lo stesso Candussi, nel suo<br />

monumentale volume sulla radiofonia in Italia, da lui edito nel 2004, rivela che avrebbe voluto<br />

dimettersi assieme ai più stretti collaboratori di parte italiana, ma ne era stato dissuaso dal<br />

direttore generale della RAI e dal consigliere politico italiano presso il GMA, il prof. Diego de<br />

Castro.<br />

Nell’ultimo periodo di gestione alleata di Radio Trieste, la RAI organizza una specie di<br />

trasmissione clandestina, il «Notiziario per i Fratelli Giuliani», irradiata dalla stazione di<br />

Venezia III, con notizie e programmi, musicali e di prosa, indirizzati agli italiani rimasti nei<br />

territori occupati dagli jugoslavi ed in particolare a quelli che, dopo il Trattato di Pace del 1947,<br />

continuano a vivere nella cosiddetta «Zona B del Territorio Libero di Trieste», il cui destino<br />

statale, pur essendo sottomessi ad un governo militare jugoslavo, non è ancora sanzionato a<br />

livello internazionale. Notiziari e programmi sono in parte «forniti», alla redazione romana, da<br />

Trieste da parte di giornalisti non appartenenti alla redazione di Radio Trieste.<br />

La RAI (di fatto già dall’ottobre del 1954, affidando la direzione della sede triestina alla<br />

medaglia d’oro della Resistenza, il piemontese Martini Mauri, e giuridicamente dall’agosto del<br />

1957) conferma sostanzialmente tutte le strutture e la programmazione portata avanti nel<br />

decennio precedente (comprese le rubriche religiose affidate dagli anglo-americani ai protestanti,<br />

accanto alle trasmissioni cattoliche, italiane e slovene) ed a tutto il personale sloveno,<br />

compresi gli apolidi e quanti non hanno la cittadinanza italiana, offre l’«opzione» di inquadramento<br />

nell’azienda pubblica.<br />

Il dopoguerra, per Radio Trieste, è finito.

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