preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books
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264 Guido Botteri Dalla sera del 5 maggio iniziano le trasmissioni della stazione radio, ancora una volta ribattezzata, questa volta con il nome bilingue, italiano e sloveno (in ordine di precedenza) di «Radio Trieste Libera - Radio Svobodni Trst», gestita dai militari, con la direzione del maggiore Ante Novak, un dalmata croato, commissario politico presso il Comando generale di Tito. I quadri sono in larga misura rappresentati dall’organico della «Radio Osvobodilna fronta» (la radio del Fronte di liberazione sloveno), che aveva iniziato le trasmissioni clandestine già nel luglio dell’anno precedente: lo stesso direttore Jo‘e Javor{ek, (autore di un prezioso volume pubblicato a Lubiana nel 1979) si trasferisce a Trieste, nell’attesa di raggiungere la capitale della Slovenia, ancora occupata dai tedeschi dove lo stesso Javor{ek diverrà direttore della radio repubblicana. Su richiesta degli jugoslavi il rintracciato direttore Eiar, l’ammiraglio Francesco De Orestis convoca il personale – tecnico, amministrativo ed artistico, compresi i collaboratori, i musicisti e gli attori – per invitarli a continuare il loro lavoro. La proposta è accettata a stragrande maggioranza. Rimane nella redazione anche quel giornalista che, dopo essere entrato in «Radio Ettore Muti», ne aveva assunto la responsabilità formale con i nazisti (dopo il 1945 finirà indipendentista, al «Corriere di Trieste»). La redazione «partigiana» è costituita dai garibaldini (ma inquadrati nell’esercito jugoslavo) Vladimir Kenda, il monfalconese Romano De Mejo (l’unico che rimarrà alla RAI) ed Ennio Agostini. I programmi italiani sono affidati al maggiore partigiano Giorgio Jaksetich (che poi dirigerà il quotidiano comunista di Trieste «Il lavoratore» e quindi passerà a Bolzano come funzionario-segretario del Partito comunista). «Noi siamo venuti in parecchi alla radio – dice Jaksetich, che ha anche la carica di vice-governatore militare di Trieste, in un discorso trasmesso il 26 maggio – a dire i motivi che ci hanno fatto prendere la decisione di volere una Trieste autonoma nella nuova Jugoslavia federativa e democratica di Tito», aggiungendo: «Non si è mancato da parte dei nemici di attaccarci e siccome non siamo dei gerarchi profittatori, siccome non ci si può prendere dal lato morale, ecco che l’unica arma che potevano usare era quella di accusarci di venduti agli slavi». Tra i responsabili di Radio Trst - Trieste c’è anche Herta Haas, la prima moglie di Tito, che ha il nome partigiano di Vera Savi}. Primo direttore «civile» di Radio Trst - Trieste è il goriziano, di madre triestina, Miro Korsi~, che rimarrà al suo posto nei due anni successivi, sotto il Governo militare anglo-americano, per passare poi – come molti altri suoi colleghi – a Radio Capodistria. La programmazione per quanto concerne il palinsesto italiano, durante il periodo «titino», ripete sostanzialmente lo schema precedente, salvo ovviamente i contenuti differenti e la numerosa presenza di cori partigiani: continuano i concerti diretti dal maestro Giacomo Cipci (che si scopre essere stato una specie di agente jugoslavo e finirà a Lubiana), ma anche quelli affidati a Toffolo e Trost; continuano le trasmissioni di musica leggera delle orchestrine dirette da Guido Cergoli e da Roberto Erlach, cui si aggiunge il complessino della fisarmonicista Saveria Zacutti; continuano le registrazioni delle compagnie di prosa, quella diretta da Giulio Rolli e quella di Angelo Cecchelin, per le commedie in dialetto triestino, già «sdoganate», rispetto al veto fascista, dai nazisti; continua anche il collegamento domenicale con la cattedrale di San Giusto per la trasmissione della messa. Formalmente il cambiamento dei connotati giuridici di Radio Trieste avviene soltanto il 7 giugno del 1945, quando il Consiglio di Liberazione di Trieste (presieduto dall’avvocato comunista Giuseppe Pogassi, segretario il pescatore sloveno Franc [toka), al quale gli occupatori militari jugoslavi hanno affidato l’«amministrazione provvisoria della città», emana l’ordinanza che confisca il patrimonio dell’Eiar, colpevole di «aver servito esclusivamente alla propaganda fascista e poi nazifascista». Il giorno dopo, in applicazione del decreto, il «Consiglio» nomina direttore il musicista triestino Mario Bugamelli e, senza specificarne la qualifica,
Radio Trieste 1945-1957 265 l’ing. Giuseppe Mejak. Le ordinanze degli jugoslavi prevedono l’unificazione, in una struttura unica, della stazione radiofonica e dell’Ente lirico. Dopo quattro giorni dalla nomina di Bugamelli le truppe jugoslave sono costrette a lasciare Trieste e tutti gli assetti da loro creati – quasi tutti rimasti sulla carta e non divenuti operativi – sono considerati decaduti, anche senza formali abolizioni. Accanto – o, più esattamente, contemporaneamente – alla «Radio Trieste Libera» degli jugoslavi opera, soprattutto negli ultimi dei «quaranta giorni», una «Radio Trieste Libertà», di cui si è – sin qui – poco parlato e scritto. C’è soltanto un fugace accenno nel volume che, nel 1963, Ennio Maserati dedica a L’occupazione jugoslava di Trieste. «Sotto la guida di Claudio Villi, valoroso combattente e decorato dalla VIII Armata britannica sul fronte italiano» il «servizio informazioni» organizzato dal CLN, rientrato nella clandestinità, «provvede all’installazione, nella prima decade di giugno, di una radiotrasmittente, in una casa di via S. Francesco». Notizie più precise si hanno dagli appunti che Ercole Miani scrive di suo pugno su un documento conservato dall’«ufficio storico della Deputazione regionale per la storia del Movimento di Liberazione Italiano della Venezia Giulia». È il testo di un discorso-appello che lo stesso Miani, «a nome» del clandestino «Comitato di liberazione nazionale» («cioè il partito d’azione, il partito socialista, il demo-cristiano, il demo-liberale») legge a «Radio Trieste Libertà», la sera dell’11 giugno 1945 (alla vigilia della partenza delle truppe jugoslave), alle 20.30, replicandone la lettura a distanza di un’ora, alle 21.30 e ancora alle 22.30. In una prima stesura, dopo aver sottolineato che Trieste «a differenza delle altre città italiane» non «ha conosciuto ancora il tripudio della liberazione», era scritto che Trieste era «ripiombata in schiavitù», frase sostituita poi con la più neutra dizione di «occupata dalle truppe jugoslave», così come la «dura dominazione straniera» ed i «nuovi oppressori» sostituisce il primitivo «fascismo sloveno». «Potremo – è detto nel lungo appello – esporre le bandiere nazionali, che già furono mitragliate e perseguitate barbaramente», ma si respinge ogni possibile «manifestazione di carattere nazionalista», evitando «atti di violenza, parole di risentimento e di odio né verso gli slavi che convivono e collaborano con noi sulla stessa terra giuliana, né verso i comunisti che si erano illusi sul progressismo jugoslavo». Gli appunti manoscritti di Ercole Miani – il quale rivela che la sera dello stesso 11 giugno, mezz’ora prima della messa in onda dell’appello, una squadra del CLN aveva «tentato» di tagliare i cavi di «Radio Trieste Libera», a Monte Radio – precisano che la «Radio Trieste Libertà» (il cui nome stesso era evidentemente stato adottato in polemica con il nome dato a Radio Trieste dagli jugoslavi) «era stata installata da alcuni uomini del CLN in una casa corrispondente al Nº 27 della via S. Francesco (3º piano)», informando che «si trattava di un apparecchio prelevato da una nave da guerra tedesca affondata a Grado. Fu recuperato dal ten. Claudio Villi (per Ercole Miani «un triestino arruolato nella marina americana», mentre Maserati lo considera aggregato alla britannica VIII armata) e dal triestino prof. Walter Horn, allora abitante in via Virgilio 8». «La Radio clandestina Libertà – aggiunge Miani – continuò a funzionare anche dopo il 12 giugno ed a trasmettere saltuariamente per circa due mesi». Gli anglo-americani, giunti a Trieste 24 ore dopo il IX Korpus jugoslavo, perché «segnano il passo» a Monfalcone, tutto sommato lasciano mano libera ai «titini» nelle faccende della radio, dei teatri e dei giornali, per tutti i quaranta giorni nel corso dei quali è proclamata l’annessione di Trieste, come settima repubblica, alla Federativa di Belgrado. Dopo il 12 giugno annullano, praticamente, tutte le decisioni adottate dagli jugoslavi, ma per quanto concerne Radio Trieste ripetono sul piano giuridico lo schema previsto, anche se non attuato, dal Consiglio di Liberazione. L’ordine del Governo Militare Alleato, emanato il 20 ottobre del 1945 e firmato dal
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Radio Trieste 1945-1957 265<br />
l’ing. Giuseppe Mejak. Le ordinanze degli jugoslavi prevedono l’unificazione, in una struttura<br />
unica, della stazione radiofonica e dell’Ente lirico. Dopo quattro giorni dalla nomina di<br />
Bugamelli le truppe jugoslave sono costrette a lasciare Trieste e tutti gli assetti da loro creati –<br />
quasi tutti rimasti sulla carta e non divenuti operativi – sono considerati decaduti, anche senza<br />
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Accanto – o, più esattamente, contemporaneamente – alla «Radio Trieste Libera» degli<br />
jugoslavi opera, soprattutto negli ultimi dei «quaranta giorni», una «Radio Trieste Libertà», di<br />
cui si è – sin qui – poco parlato e scritto. C’è soltanto un fugace accenno nel volume che, nel<br />
1963, Ennio Maserati dedica a L’occupazione jugoslava di Trieste. «Sotto la guida di Claudio<br />
Villi, valoroso combattente e decorato dalla VIII Armata britannica sul fronte italiano» il<br />
«servizio informazioni» organizzato dal CLN, rientrato nella clandestinità, «provvede all’installazione,<br />
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Notizie più precise si hanno dagli appunti che Ercole Miani scrive di suo pugno su un<br />
documento conservato dall’«ufficio storico della Deputazione regionale per la storia del Movimento<br />
di Liberazione Italiano della Venezia Giulia».<br />
È il testo di un discorso-appello che lo stesso Miani, «a nome» del clandestino «Comitato di<br />
liberazione nazionale» («cioè il partito d’azione, il partito socialista, il demo-cristiano, il<br />
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partenza delle truppe jugoslave), alle 20.30, replicandone la lettura a distanza di un’ora, alle<br />
21.30 e ancora alle 22.30.<br />
In una prima stesura, dopo aver sottolineato che Trieste «a differenza delle altre città<br />
italiane» non «ha conosciuto ancora il tripudio della liberazione», era scritto che Trieste era<br />
«ripiombata in schiavitù», frase sostituita poi con la più neutra dizione di «occupata dalle<br />
truppe jugoslave», così come la «dura dominazione straniera» ed i «nuovi oppressori» sostituisce<br />
il primitivo «fascismo sloveno». «Potremo – è detto nel lungo appello – esporre le bandiere<br />
nazionali, che già furono mitragliate e perseguitate barbaramente», ma si respinge ogni possibile<br />
«manifestazione di carattere nazionalista», evitando «atti di violenza, parole di risentimento<br />
e di odio né verso gli slavi che convivono e collaborano con noi sulla stessa terra giuliana, né<br />
verso i comunisti che si erano illusi sul progressismo jugoslavo».<br />
Gli appunti manoscritti di Ercole Miani – il quale rivela che la sera dello stesso 11 giugno,<br />
mezz’ora prima della messa in onda dell’appello, una squadra del CLN aveva «tentato» di<br />
tagliare i cavi di «Radio Trieste Libera», a Monte Radio – precisano che la «Radio Trieste<br />
Libertà» (il cui nome stesso era evidentemente stato adottato in polemica con il nome dato a<br />
Radio Trieste dagli jugoslavi) «era stata installata da alcuni uomini del CLN in una casa<br />
corrispondente al Nº 27 della via S. Francesco (3º piano)», informando che «si trattava di un<br />
apparecchio prelevato da una nave da guerra tedesca affondata a Grado. Fu recuperato dal ten.<br />
Claudio Villi (per Ercole Miani «un triestino arruolato nella marina americana», mentre<br />
Maserati lo considera aggregato alla britannica VIII armata) e dal triestino prof. Walter Horn,<br />
allora abitante in via Virgilio 8». «La Radio clandestina Libertà – aggiunge Miani – continuò a<br />
funzionare anche dopo il 12 giugno ed a trasmettere saltuariamente per circa due mesi».<br />
Gli anglo-americani, giunti a Trieste 24 ore dopo il IX Korpus jugoslavo, perché «segnano il<br />
passo» a Monfalcone, tutto sommato lasciano mano libera ai «titini» nelle faccende della radio,<br />
dei teatri e dei giornali, per tutti i quaranta giorni nel corso dei quali è proclamata l’annessione<br />
di Trieste, come settima repubblica, alla Federativa di Belgrado. Dopo il 12 giugno annullano,<br />
praticamente, tutte le decisioni adottate dagli jugoslavi, ma per quanto concerne Radio Trieste<br />
ripetono sul piano giuridico lo schema previsto, anche se non attuato, dal Consiglio di Liberazione.<br />
L’ordine del Governo Militare Alleato, emanato il 20 ottobre del 1945 e firmato dal