preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

freeterritorytrieste.com
from freeterritorytrieste.com More from this publisher
29.11.2014 Views

24 Ariella Verrocchio derivate alcune delle principali interpretazioni sulla storia della prima Repubblica 1 . La letteratura storiografica ha soprattutto insistito sulla centralità del ruolo svolto dai partiti sul piano della ricostruzione del sistema politico italiano e della sua originaria legittimazione, come su quello dell’assunzione di compiti di educazione democratica e di apprendistato politico. Nel confronto tra caso locale e nazionale, una delle più rilevanti anomalie risulta risiedere nel tipo di rapporto che a Trieste, all’indomani della fine della guerra, si instaura tra politica e cittadini. Diversamente da quanto avviene nel resto del paese, i partiti politici mostrano, in questo caso, di non essere in grado di definire un comune sistema di regole che consenta loro di risolvere all’interno di un sistema pluralista le molteplici tensioni da cui è attraversata la società civile. Ne costituisce una prova evidente il fatto che è anzitutto nella piazza e nelle strade che durante il biennio 1945-1946 il conflitto trova di continuo espressione. Un conflitto che è insieme sociale e nazionale, politico e ideologico, di fronte al quale ad emergere è la sostanziale inadeguatezza dei partiti politici nello svolgimento della loro fondamentale funzione di mediatori. Da questo punto di vista, le preoccupazioni presenti negli anglo-americani sul fatto che Trieste fosse una città a rischio di democrazia erano tutt’altro che infondate. La transizione ad un assetto democratico non poteva, infatti, che presentarsi ai loro occhi assai più complessa e problematica che nel resto del paese. E ciò anzitutto a partire dalle diverse condizioni in cui versava nella città il processo di ricostruzione dei partiti politici e, in particolare, di quei partiti di massa il cui ruolo in Italia si stava, per contro, rivelando centrale nel guidare il paese verso la democrazia. Va da sé che il Partito comunista giuliano non poteva essere ritenuto dagli Alleati un interlocutore affidabile e tanto meno una formazione politica in grado di offrire garanzie di democrazia. Tuttavia, va anche detto che nemmeno la Democrazia cristiana costituiva in quegli anni una forza politica sulla quale il GMA potesse effettivamente contare. Nel biennio 1945-1946, la DC si presentava sulla scena politica come un partito sostanzialmente nuovo. Se da un lato mostrava di essere una formazione in grado di consolidarsi piuttosto rapidamente, venendo a colmare quel vuoto che, all’indomani della fine della guerra, si era creato nella città nell’ambito della rappresentanza nazionale italiana, dall’altro mostrava ancora sul piano strutturale di soffrire di una significativa debolezza. Diversamente dal Partito comunista, il quale poteva contare su un’organizzazione di gran lunga più solida e su un maggiore livello di radicamento sul territorio. Da questo punto di vista, lo scenario politico che Trieste mostrava all’indomani della fine della guerra era davvero anomalo: il solo partito veramente organizzato era quello comunista. I rapporti tra questo e il Partito comunista italiano precipitavano nei primi mesi del 1946, di fronte al sostanziale rifiuto da parte del primo di non prendere ufficialmente posizione sulla questione annessionistica 2 . In una lettera riservata del gennaio di quell’anno, la segreteria di Togliatti esprimeva il suo profondo disaccordo con la Direzione del PCRG (Partito Comunista della Regione Giulia), accusandola di aver violato tutti gli accordi conclusi dalle due organizzazioni, accordi «fondati sulla necessità di rinviare il dibattito sulla appartenenza statale di Trieste per poter realizzare l’unione delle forze democratiche prima nella guerra e poi nella lotta per un regime di democrazia popolare e antifascista» 3 . Tuttavia nella medesima riservata si insisteva sulla necessità di perseverare nella costruzione di un rapporto di collaborazione tra le due organizzazioni, divenendo la questione di Trieste un problema sempre più spinoso sia sul piano della politica nazionale che internazionale. Allo stesso tempo, si ribadiva però anche la volontà di non abbandonare la posizione in sostegno dell’appartenenza della città giuliana allo Stato italiano, poiché «ciò avrebbe come conseguenza di isolare l’Italia dalla parte più avanzata del Fronte democratico e di compromettere le sorti della democrazia in Europa» 4 . Era una posizione che ben rifletteva quel concetto di indipendenza nazionale formulato da Togliatti al V Congresso del dicembre 1945, e che pertanto rispondeva ad un programma politico che

La costruzione del sistema politico a Trieste nel secondo dopoguerra 25 fosse in grado di contribuire al rafforzamento di un quadro internazionale fondato sulla pace e la collaborazione tra grandi potenze e di garantire allo stesso tempo le condizioni migliori per lo sviluppo del paese 5 . A partire dal mese di marzo del 1946, a Trieste, in rappresentanza del partito di Togliatti, operava l’Ufficio informazioni sotto la guida dell’ex segretario della Federazione comunista triestina Giordano Pratolongo. La scelta ricadeva in questo caso su un quadro che poteva garantire la saldatura con la locale dirigenza comunista di nazionalità italiana, quella dirigenza che già prima della fine della guerra era stata duramente colpita con l’eliminazione di alcuni dei suoi maggiori esponenti. All’indomani della fine del conflitto, agli occhi della Direzione nazionale del PCI la ricostruzione a Trieste di una leadership comunista di nazionalità italiana si presentava come uno dei problemi più gravi ed urgenti. Già nel marzo del 1946, la situazione in cui versava il PCRG era considerata tale da permettere di parlare nei termini di un partito spaccato e prossimo alla scissione 6 . I diversi tentativi operati nella primavera di quell’anno dal Comitato per la costituzione di un Partito comunista italiano della Venezia Giulia saranno tuttavia in tutti i modi scoraggiati sia dall’Ufficio informazioni che dalla Direzione del PCI. L’esperienza, iniziata verso la fine di marzo, naufragava nel giro di pochi mesi, pur mostrando di trovare un significativo sostegno tra la base. Privo di aiuti economici e soprattutto di interlocutori politici nella Direzione del PCI, verso la fine di giugno il Comitato si vedeva costretto ad abbandonare il suo progetto di costruzione di una Federazione giuliana del PCI, quel progetto sorto alcuni mesi prima – come questo scriveva in una lettera alla Direzione del partito di Togliatti – «per rispondere ad una profonda esigenza presente nelle classi lavoratrici e colmare un vuoto nel locale CLN» 7 . Il suo esito fallimentare trovava spiegazione nella posizione in quel periodo assunta dalla Direzione del PCI sulla questione di Trieste, la quale, come è noto, rispondeva sia a questioni di legittimazione interna che ad obiettivi di distensione internazionale. Tuttavia, ciò che qui interessa sottolineare è lo stretto rapporto che nel caso locale intercorre tra ricostruzione della leadership e situazione internazionale. Significativamente saranno l’approvazione del Trattato di Pace nel febbraio del 1947 e il conseguente arrivo di Vittorio Vidali a Trieste a creare, circa un anno più tardi, le condizioni perché ciò avvenga. Nel 1946, la ricostruzione di una leadership di nazionalità italiana è considerata dal gruppo dirigente del PCI necessaria, ma allo stesso tempo prematura. Prematura, tuttavia non lontana nel tempo per la presenza di diversi elementi che permettono di parlare nei termini di «fallimento dell’esperimento del PCRG». «Formiamo nella regione Giulia dei quadri nostri – scriveva Golinelli nel marzo del 1946 alla Direzione del PCI – e sono convinto che riusciremo ad avere dalla nostra non solo una parte della popolazione ma anche gli sloveni che se sono veramente comunisti devono comprendere che per colpa loro la massa è stata abbandonata e perciò è tornata in balia della reazione» 8 . Nell’ottobre dello stesso anno, di fronte agli esiti degli accordi di Parigi, il problema triestino appariva tale da poter essere perfino guardato con grande ottimismo. «La situazione – scriveva Chiesa a Schiapparelli – può tornare ottima per noi, senza sconfessare il Giuliano, che dopo le decisioni di Parigi avrebbe esaurito il suo compito» 9 . Nella stessa lettera Chiesa, chiedendosi quanto fosse ancora necessario attendere la svolta, individuava quale tappa centrale del percorso lo svolgimento delle elezioni a Trieste, facendo anche in questo caso previsioni alquanto ottimistiche: «La città voterà per tutti meno che per i comunisti del Giuliano, tacciati di eccessivo filo-slavismo. Un PC italiano stravincerebbe» 10 . In verità, la svolta auspicata da Chiesa era assai più complessa e meno vicina di quanto questi credesse. Sarebbe, infatti, stato necessario attendere ancora alcuni anni perché nella città potesse fino in fondo realizzarsi la transizione ad un assetto democratico e dei partiti politici.

24 Ariella Verrocchio<br />

derivate alcune delle principali interpretazioni sulla storia della prima Repubblica 1 . La letteratura<br />

storiografica ha soprattutto insistito sulla centralità del ruolo svolto dai partiti sul piano<br />

della ricostruzione del sistema politico italiano e della sua originaria legittimazione, come su<br />

quello dell’assunzione di compiti di educazione democratica e di apprendistato politico. Nel<br />

confronto tra caso locale e nazionale, una delle più rilevanti anomalie risulta risiedere nel tipo<br />

di rapporto che a Trieste, all’indomani della fine della guerra, si instaura tra politica e cittadini.<br />

Diversamente da quanto avviene nel resto del paese, i partiti politici mostrano, in questo caso,<br />

di non essere in grado di definire un comune sistema di regole che consenta loro di risolvere<br />

all’interno di un sistema pluralista le molteplici tensioni da cui è attraversata la società civile.<br />

Ne costituisce una prova evidente il fatto che è anzitutto nella piazza e nelle strade che durante<br />

il biennio 1945-1946 il conflitto trova di continuo espressione. Un conflitto che è insieme sociale<br />

e nazionale, politico e ideologico, di fronte al quale ad emergere è la sostanziale inadeguatezza<br />

dei partiti politici nello svolgimento della loro fondamentale funzione di mediatori. Da questo<br />

punto di vista, le preoccupazioni presenti negli anglo-americani sul fatto che Trieste fosse una<br />

città a rischio di democrazia erano tutt’altro che infondate. La transizione ad un assetto<br />

democratico non poteva, infatti, che presentarsi ai loro occhi assai più complessa e problematica<br />

che nel resto del paese. E ciò anzitutto a partire dalle diverse condizioni in cui versava nella<br />

città il processo di ricostruzione dei partiti politici e, in particolare, di quei partiti di massa il cui<br />

ruolo in Italia si stava, per contro, rivelando centrale nel guidare il paese verso la democrazia.<br />

Va da sé che il Partito comunista giuliano non poteva essere ritenuto dagli Alleati un interlocutore<br />

affidabile e tanto meno una formazione politica in grado di offrire garanzie di democrazia.<br />

Tuttavia, va anche detto che nemmeno la Democrazia cristiana costituiva in quegli anni una<br />

forza politica sulla quale il GMA potesse effettivamente contare. Nel biennio 1945-1946, la DC<br />

si presentava sulla scena politica come un partito sostanzialmente nuovo. Se da un lato<br />

mostrava di essere una formazione in grado di consolidarsi piuttosto rapidamente, venendo a<br />

colmare quel vuoto che, all’indomani della fine della guerra, si era creato nella città nell’ambito<br />

della rappresentanza nazionale italiana, dall’altro mostrava ancora sul piano strutturale di<br />

soffrire di una significativa debolezza. Diversamente dal Partito comunista, il quale poteva<br />

contare su un’organizzazione di gran lunga più solida e su un maggiore livello di radicamento<br />

sul territorio. Da questo punto di vista, lo scenario politico che Trieste mostrava all’indomani<br />

della fine della guerra era davvero anomalo: il solo partito veramente organizzato era quello<br />

comunista. I rapporti tra questo e il Partito comunista italiano precipitavano nei primi mesi del<br />

1946, di fronte al sostanziale rifiuto da parte del primo di non prendere ufficialmente posizione<br />

sulla questione annessionistica 2 . In una lettera riservata del gennaio di quell’anno, la segreteria<br />

di Togliatti esprimeva il suo profondo disaccordo con la Direzione del PCRG (Partito Comunista<br />

della Regione Giulia), accusandola di aver violato tutti gli accordi conclusi dalle due<br />

organizzazioni, accordi «fondati sulla necessità di rinviare il dibattito sulla appartenenza statale<br />

di Trieste per poter realizzare l’unione delle forze democratiche prima nella guerra e poi nella<br />

lotta per un regime di democrazia popolare e antifascista» 3 . Tuttavia nella medesima riservata<br />

si insisteva sulla necessità di perseverare nella costruzione di un rapporto di collaborazione tra<br />

le due organizzazioni, divenendo la questione di Trieste un problema sempre più spinoso sia<br />

sul piano della politica nazionale che internazionale. Allo stesso tempo, si ribadiva però anche<br />

la volontà di non abbandonare la posizione in sostegno dell’appartenenza della città giuliana<br />

allo Stato italiano, poiché «ciò avrebbe come conseguenza di isolare l’Italia dalla parte più<br />

avanzata del Fronte democratico e di compromettere le sorti della democrazia in Europa» 4 . Era<br />

una posizione che ben rifletteva quel concetto di indipendenza nazionale formulato da Togliatti<br />

al V Congresso del dicembre 1945, e che pertanto rispondeva ad un programma politico che

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!