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238 Anna Maria Vinci Proprio loro apparivano dimentichi di una ripugnante situazione, nella quale la dominazione degli italiani con la tessera con quelli senza tessera [...] era sancita dalle leggi che [avrebbero dovuto] assicurare la parità tra tutti i cittadini e che, invece, in pieno ventesimo secolo e nel cuore della civiltà occidentale, nel nome angusto della patria, infangandolo, sancivano il più odioso dei privilegi 13 . Nel 1947, Francesco Collotti, suo figlio Enzo e il figlio dell’ing. Gandusio, erano stati aggrediti dai neofascisti all’interno della sede del Partito liberale 14 . Una vertigine di silenzio ha coperto questi «don Chisciotte», schiacciati nello scontro tra comunismo e anticomunismo, Italia e Antitalia, proprio perché il loro discorso laico non apparteneva alle nuove sacralità del dopoguerra: dentro quella definizione e dentro l’altra che essi avevano adottato (siamo degli «iconoclasti») ora si può cogliere invece non solo e non tanto la fragile ingenuità di un’utopia, ma anche e soprattutto la forza delle idee di un’alta dignità personale, umana e politico /nazionale. «Preferirei dire di no»: è la frase che, pronunciata da pochi intellettuali italiani contro il regime, ha tuttavia il sapore di una speranza che sopravvive nelle tragedie del ‘900 (anche di quello giuliano, naturalmente) e che lega il passato al futuro. Accanto a quel gruppo va pure affiancato – io credo – anche Fabio Cusin, «indagatore del tragico problema dell’età contemporanea», come egli stesso si definisce, incarnando la rabbia e l’indignazione della «rivolta morale» con cui vorrebbe «salvare» la sua terra d’origine 15 . La complicatissima situazione giuliana, è d’altra parte un banco di prova molto duro per altri progetti che si delineano negli anni del GMA. «Esportare la democrazia» in un paese uscito da una dittatura, i cui guasti sono indagati con grande lucidità dalle figure di numerosi militari/educatori (soprattutto americani e inglesi) – i cosiddetti «cittadini in uniforme» – prima e durante la campagna d’Italia 16 , rappresenta una sorta di sfida per i nuovi governanti: si potrebbe dire che vi avevano riflettuto a lungo «con l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione». Nella Venezia Giulia (e nella zona A in particolare) si trattava di rifondare una società in cui il principio di democrazia si coniugasse col superamento dei nazionalismi. Nella sua totalità, essa non solo era «territorio misto di popoli e genti», ma veniva considerata dagli italiani, secondo una felice espressione del colonnello americano Alfred Bowman, Ufficiale superiore per gli Affari Civili del GMA nella zona A per un biennio, una sorta di «Mecca o di Santo Graal» e, contemporaneamente, per gli Jugoslavi un luogo - simbolo «di onore e prestigio» 17 . Il tremendo groviglio di passioni che quel lembo di terra suscitava – è sempre Bowman a parlare – poteva essere incomprensibile per chi non vi fosse vissuto almeno per un periodo: immani gli sforzi compiuti da un grande della pedagogia americana, responsabile per l’Italia dell’Education Subcommision (ACC) e cioè Washburne, allievo di John Dewey, attraverso numerose visite e incontri nella zona A della Venezia Giulia per rimettere in piedi un equilibrato rapporto tra le nazionalità presenti, non solo nell’ottica della sopportazione bensì in quella dell’arricchimento reciproco e del benessere della collettività. Con molte più cautele di fatto si muove il capitano John Simoni suo collaboratore e responsabile della Sezione educazione dell’area indicata. Per ricreare (o meglio per creare) un equilibrio tra le parti era necessario ripartire da molto lontano, mentre è fortissimo il desiderio di rivalsa degli intellettuali e dirigenti scolastici sloveni in relazione al dramma delle «lingue tagliate» portato a compimento dal fascismo. Il deserto che segue a quell’offesa è difficile da attraversare e, al momento della ricostruzione, i tempi sembrano eterni. Il verbo comunista e il mito rivoluzionario trovano facilmente un passaggio nei meandri di un’ostilità cresciuta durante il ventennio intrecciando antitalianità e antifascismo: quei sentimenti sono ora dentro l’area egemonica del Comitato di liberazione nazionale del Litorale e di Trieste (PNOO), agguerrito concorrente degli stessi Uffici del GMA, anche

Le culture della ricostruzione 239 oltre il suo scioglimento. «L’assoluta apoliticità» della scuola, pretesa da John Simoni, vuol dunque essere per un verso un richiamo alla democrazia sostanziale, a quelle forme educative che escludano processi propagandistici e appropriazioni ideologiche, per l’altro diventa inevitabilmente la risposta, accompagnata da sanzioni disciplinari e restrittive, all’avanzata del temuto nemico comunista 18 . Le prove di democrazia (sull’esempio delle democrazie occidentali e nel segno di un vivace anticomunismo) con cui con gradualità si pensano di ricostruire, raccogliendo pazientemente i cocci di società distrutte e profondamente inquinate da odi e da impulsi di conquista e di rivalsa, hanno molte fragilità. Partire dalla formazione dei giovani e dalla cultura sprigionata da un modello lontano ha comunque il sapore di uno schema educativo calato dall’alto, per quanto siano molte le occasioni in cui la Sezione educazione del GMA tenti di tessere reti di adesione, spazi di dibattito, approcci di conciliazione: gli sloveni (insieme a non pochi italiani), desiderosi di un cambiamento radicale della società, non hanno orecchie per sentire; la grande maggioranza degli italiani, a sua volta, mentre si profilano con sempre maggiore nettezza i contorni del Trattato di Pace per una nazione sconfitta, radicalizza le proprie posizioni politiche lasciando strada a vecchi e nuovi motivi di repulsione verso il mondo sloveno e croato. Il successo di proposte di riforma scolastica avanzate dai pedagogisti più volte citati (la scuola attiva, la vita scolastica partecipe, lo scambio formativo tra alunni e insegnanti, il valore della cultura scientifica, l’importanza del «fare», rispetto all’astrattezza delle regole) conosce la barriera di molti rifiuti che sono anche rifiuti di ordine politico, correlati ad un orgoglio nazionale italiano offeso che esalta una civiltà d’alto profilo e di nobili ascendenze contro civiltà «giovani» e poco sagge. Gli altri saggi di questa sezione mostrano l’effervescenza culturale di quanti vogliono mostrare l’importanza delle risorse culturali e associative autonomamente riscoperte o reinventate in una zona tanto delicata: la chiave ideologica non basta per leggere l’effervescenza di una rinascita. Sarebbe interessante di certo – ma impossibile in questa sede – il discorso delle contaminazioni: lungo la linea della filmografia (quanti film sovietici e americani vennero proiettati allora dall’attivissimo CCA, alla caccia di preziosi tesori sconosciuti?), lungo la linea dell’arte e quella della scienza (quanti volumi anglo-americani di scienze, naturali, fisico/matematiche, sociali, di psicologia, di pedagogia si diffusero dall’Università nel territorio?). Sicuramente nei costumi, nelle mentalità, nelle scelte di svago dei sopravvissuti alla guerra, nelle scelte che guidano la costruzione di nuove forme assistenziali, l’influenza americana, soprattutto, è forte. Come è forte la curiosità di scoprire – e non da emigranti – quel moderno eldorado, al di là della conflittualità sempre aperta con i liberatori/occupatori. Presso l’editore Borsatti, esce a Trieste nel 1953 un gustoso libretto, Americanerie, il cui autore statunitense pagina dopo pagina mostra al lettore un mondo rovesciato, fatto di opportunità, serialità, elettrodomestici, e donne libere, libere anche di divorziare, forti e coraggiose. Dalle righe ammicca intanto una donna «dai riccioli bianchi, l’abito sgargiante e il cappellino[…] oppure la donna coi calzoni e i tacchi alti che passeggia in piazza fumando la sigaretta» 19 . Un nuovo immaginario e nuovi sogni iniziano a costruirsi dalle piccole cose.

Le culture della ricostruzione 239<br />

oltre il suo scioglimento. «L’assoluta apoliticità» della scuola, pretesa da John Simoni, vuol<br />

dunque essere per un verso un richiamo alla democrazia sostanziale, a quelle forme educative<br />

che escludano processi propagandistici e appropriazioni ideologiche, per l’altro diventa inevitabilmente<br />

la risposta, accompagnata da sanzioni disciplinari e restrittive, all’avanzata del<br />

temuto nemico comunista 18 .<br />

Le prove di democrazia (sull’esempio delle democrazie occidentali e nel segno di un vivace<br />

anticomunismo) con cui con gradualità si pensano di ricostruire, raccogliendo pazientemente i<br />

cocci di società distrutte e profondamente inquinate da odi e da impulsi di conquista e di rivalsa,<br />

hanno molte fragilità. Partire dalla formazione dei giovani e dalla cultura sprigionata da un<br />

modello lontano ha comunque il sapore di uno schema educativo calato dall’alto, per quanto<br />

siano molte le occasioni in cui la Sezione educazione del GMA tenti di tessere reti di adesione,<br />

spazi di dibattito, approcci di conciliazione: gli sloveni (insieme a non pochi italiani), desiderosi<br />

di un cambiamento radicale della società, non hanno orecchie per sentire; la grande maggioranza<br />

degli italiani, a sua volta, mentre si profilano con sempre maggiore nettezza i contorni del<br />

Trattato di Pace per una nazione sconfitta, radicalizza le proprie posizioni politiche lasciando<br />

strada a vecchi e nuovi motivi di repulsione verso il mondo sloveno e croato. Il successo di<br />

proposte di riforma scolastica avanzate dai pedagogisti più volte citati (la scuola attiva, la vita<br />

scolastica partecipe, lo scambio formativo tra alunni e insegnanti, il valore della cultura<br />

scientifica, l’importanza del «fare», rispetto all’astrattezza delle regole) conosce la barriera di<br />

molti rifiuti che sono anche rifiuti di ordine politico, correlati ad un orgoglio nazionale italiano<br />

offeso che esalta una civiltà d’alto profilo e di nobili ascendenze contro civiltà «giovani» e poco<br />

sagge.<br />

Gli altri saggi di questa sezione mostrano l’effervescenza culturale di quanti vogliono<br />

mostrare l’importanza delle risorse culturali e associative autonomamente riscoperte o reinventate<br />

in una zona tanto delicata: la chiave ideologica non basta per leggere l’effervescenza di una<br />

rinascita.<br />

Sarebbe interessante di certo – ma impossibile in questa sede – il discorso delle contaminazioni:<br />

lungo la linea della filmografia (quanti film sovietici e americani vennero proiettati allora<br />

dall’attivissimo CCA, alla caccia di preziosi tesori sconosciuti?), lungo la linea dell’arte e quella<br />

della scienza (quanti volumi anglo-americani di scienze, naturali, fisico/matematiche, sociali, di<br />

psicologia, di pedagogia si diffusero dall’Università nel territorio?). Sicuramente nei costumi,<br />

nelle mentalità, nelle scelte di svago dei sopravvissuti alla guerra, nelle scelte che guidano la<br />

costruzione di nuove forme assistenziali, l’influenza americana, soprattutto, è forte. Come è<br />

forte la curiosità di scoprire – e non da emigranti – quel moderno eldorado, al di là della<br />

conflittualità sempre aperta con i liberatori/occupatori. Presso l’editore Borsatti, esce a Trieste<br />

nel 1953 un gustoso libretto, Americanerie, il cui autore statunitense pagina dopo pagina mostra<br />

al lettore un mondo rovesciato, fatto di opportunità, serialità, elettrodomestici, e donne libere,<br />

libere anche di divorziare, forti e coraggiose. Dalle righe ammicca intanto una donna «dai<br />

riccioli bianchi, l’abito sgargiante e il cappellino[…] oppure la donna coi calzoni e i tacchi alti<br />

che passeggia in piazza fumando la sigaretta» 19 .<br />

Un nuovo immaginario e nuovi sogni iniziano a costruirsi dalle piccole cose.

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