preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books
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178 Giulio Mellinato Il valore disciplinante degli aiuti alleati Parallelamente all’evoluzione delle trattative in corso a Roma, anche nel capoluogo giuliano il GMA stava strutturandosi secondo linee operative autonome rispetto a quelle in uso in Italia. Nel corso di una riunione tra gli ufficiali di più alto grado impegnati nel settore economico venne deciso che il piano per la lotta alla disoccupazione adottato per il Nord Italia non risultava applicabile alla situazione triestina, rispetto alla quale venivano fornite cifre più che preoccupanti. Il GMA stimava che, rispetto ad una popolazione produttiva di circa 70.000 persone, 50.000 fossero gli occupati, e 20.000 i disoccupati ufficiali. Ma tra gli occupati bisognava contare circa 10.000/15.000 addetti ancora impiegati soltanto a causa dei vincoli ai licenziamenti. In conclusione, se il mercato del lavoro fosse stato liberalizzato, la disoccupazione avrebbe colpito metà della popolazione produttiva 13 . Tra il 24 ed il 25 settembre 1945, nel mezzo di uno sciopero generale che assumeva anche evidenti connotazioni politiche, il GMA convocò i rappresentati dei sindacati e delle categorie economiche, circa una ventina di persone, per discutere il problema del rilancio dell’economia locale. Già dalla prima riunione emerse però il problema di fondo, in sostanza rappresentato dal contrasto tra la decisa volontà espressa dai rappresentati locali (tanto dei sindacati quanto delle categorie) di coinvolgere il GMA in piani di intervento a lungo termine, il principale dei quali era rappresentato dal riavvio della produzione nei cantieri, e la scelta tutta tattica degli ufficiali alleati di incanalare gli interventi contro la disoccupazione all’interno di progetti di breve periodo, come la ricostruzione di edifici ed infrastrutture. Venne creato un più ristretto Comitato economico per la ricostruzione, dove in sostanza maturò una soluzione di compromesso: la maggior parte degli sforzi sarebbe stata indirizzata verso l’edilizia, ma il GMA si impegnava ad operare per fornire alle grandi industrie carbone, materie prime ed occasioni d’impiego alternativo per la mano d’opera in esubero. Risulta comunque significativo ricordare che lo stesso 25 settembre Antonio Cosulich fu designato Presidente della Camera di Commercio di Trieste, evidenziando come gli interessi legati alla cantieristica fossero riconosciuti come prevalenti in tutti gli ambienti economici. Il problema del rilancio industriale non era soltanto contingente, ma assumeva agli occhi dei contemporanei un’importante connotazione strategica. La comunità locale e gli Alleati stavano tentando di definire i reciproci ruoli, e questo non poteva che influenzare tutto il decorso della vita locale fino alla fine dell’amministrazione alleata ed oltre. Durante l’ultima fase della guerra erano impiegate nei cantieri dell’area triestina oltre ventimila persone, tra queste circa seimila nelle sole officine aeronautiche di Monfalcone, che era ormai sicuro non avrebbero più potuto riprendere l’attività. Considerando l’indotto e la paralisi delle attività portuali, è facile capire come i cantieri fossero l’elemento determinante per la sopravvivenza della società locale, ma una simile massa di interessi si era consolidata all’interno di un settore da sempre fortemente protetto dallo Stato, fin dai tempi degli Asburgo, che dagli anni Trenta aveva fortemente beneficiato degli impegni imperiali prima e bellici poi dell’Italia fascista. Nel dopoguerra tutti questi prerequisiti erano scomparsi, le prospettive erano più che incerte e non restava altro se non associare gli Alleati ad un progetto di reinvenzione dell’economia locale ancora tutto da definire. L’alternativa era rappresentata dalla chiusura delle industrie navalmeccaniche e dal conseguente crollo dell’intera struttura economica e sociale locale: un’eventualità che anche il GMA non poteva considerare realizzabile. Restavano da definire i margini della trattativa ed, appunto, i ruoli reciproci degli attori. Gli ufficiali del GMA risposero con estrema schiettezza alle richieste di chi proponeva un rilancio in grande stile della cantieristica. Il maggiore Foden disse che «in the emergency […] also the impossible can be possible,
Aiuti e contropartite: tempi e logiche del sostegno alleato all’economia triestina 179 and the workers have to change job if they don’t want to take a walk», mentre il maggiore Bradbury aggiunse che «the skilled workers of the Crda of the aereonautic production must get another work» 14 . Si delineava il piano dello scambio: flessibilità da parte della società locale nell’abbandonare ciò che ormai la guerra aveva irrimediabilmente distrutto, in cambio di aiuti alleati per il recupero del recuperabile e sostegno ai redditi non solo per i disoccupati. Non a caso, veniva registrato il fatto che i salari pagati nella Venezia Giulia erano superiori rispetto a quelli del resto del Nord Italia. Nelle riunioni successive del Consiglio le discussioni divennero meno politiche, e finirono con il definire i dettagli della prassi operativa: sussidi, scuole-lavoro, lavori pubblici diversi dall’edilizia, e simili. Anche i rappresentanti dei sindacati pro-jugoslavi si dichiararono favorevoli ad appoggiare l’azione del GMA, se quest’ultima fosse stata diretta ad un miglioramento delle condizioni di vita 15 . Ma ancora verso la fine del 1945 la situazione sembrava drammatica, e richiedeva urgenti interventi regolatori da parte del GMA, che interessassero l’intera struttura economica della zona A, tanto da oltrepassare la semplice (anche se costosa) lotta alla disoccupazione. La «chaotic economic situation» che gli Alleati avevano ereditato dalla guerra li poneva davanti ad una scelta drammatica tra un intervento massiccio o il materializzarsi di un incubo politico 16 . Prezzi politici per i prodotti di prima necessità ben lontani dai valori di mercato, salari che non corrispondevano ad un effettivo lavoro, disoccupazione dilagante, mancanza di alloggi e condizioni di vita decisamente difficili per gran parte della popolazione amministrata diffondevano un malcontento che era facile, per le forze ostili al GMA, indirizzare contro l’amministrazione alleata, considerata responsabile dello stato di cose. Con l’arrivo del 1946, e l’inizio delle trattative per il Trattato di Pace, il clima locale sembrò infiammarsi. Nella propaganda politica, ma in fondo anche nella realtà della vita quotidiana della gente, non c’era molta distanza tra la questione dei confini, la scelta del sistema politico di riferimento e l’avvenire economico della società locale. Lavoro, economia e politica rappresentavano altrettante facce di un prisma unico, assai complicato perché l’evidenza della guerra fredda aveva fatto capire a tutti come l’avvenire commerciale di Trieste e dell’intera regione fosse ormai compromesso. Nel febbraio 1946 Winston Churchill aveva indicato una (politicamente) molto incerta internazionalizzazione della città come l’unica soluzione praticabile sul piano diplomatico 17 , mentre nel marzo successivo lo stesso Churchill pronunciò a Fulton il famoso discorso sulla «cortina di ferro», che da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico aveva ormai diviso in due l’Europa, tagliando fuori il porto giuliano da gran parte del suo retroterra ex-asburgico. A Trieste il 10 febbraio agenti della Polizia civile del GMA spararono sui partecipanti ad una manifestazione filo-jugoslava, provocando due morti e venti feriti, e nel marzo successivo, quattro giorni dopo l’arrivo in città della commissione internazionale di esperti per la determinazione dei confini, venne dichiarato uno sciopero generale di due giorni, dalle evidenti finalità politiche, inaugurando una pratica che sarebbe durata tutto l’anno. L’arma economica usata per raggiungere fini politici fu usata indifferentemente dal GMA e dalle forze sindacali: In this fight without quarters, the “Sindacati Unici” never ceased to hold the upper hand and it was generally thought that they were making a last determined bid to retain at least a position of supremacy in Trade Union membership, once it was no longer possible for them to hold the monopoly which they had accomplished during the Yugoslave [sic] occupation of the Territory. The “Camera del Lavoro” on the other hand, fully cognizant of their initial handicap, were equally determined to encroach on the “Sindacati unici” by playing up to the national sentiments of the Italian workers 18 .
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Aiuti e contropartite: tempi e logiche del sostegno alleato all’economia triestina 179<br />
and the workers have to change job if they don’t want to take a walk», mentre il maggiore<br />
Bradbury aggiunse che «the skilled workers of the Crda of the aereonautic production must get<br />
another work» 14 .<br />
Si delineava il piano dello scambio: flessibilità da parte della società locale nell’abbandonare<br />
ciò che ormai la guerra aveva irrimediabilmente distrutto, in cambio di aiuti alleati per il<br />
recupero del recuperabile e sostegno ai redditi non solo per i disoccupati. Non a caso, veniva<br />
registrato il fatto che i salari pagati nella Venezia Giulia erano superiori rispetto a quelli del<br />
resto del Nord Italia. Nelle riunioni successive del Consiglio le discussioni divennero meno<br />
politiche, e finirono con il definire i dettagli della prassi operativa: sussidi, scuole-lavoro, lavori<br />
pubblici diversi dall’edilizia, e simili. Anche i rappresentanti dei sindacati pro-jugoslavi si<br />
dichiararono favorevoli ad appoggiare l’azione del GMA, se quest’ultima fosse stata diretta ad<br />
un miglioramento delle condizioni di vita 15 .<br />
Ma ancora verso la fine del 1945 la situazione sembrava drammatica, e richiedeva urgenti<br />
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zona A, tanto da oltrepassare la semplice (anche se costosa) lotta alla disoccupazione. La<br />
«chaotic economic situation» che gli Alleati avevano ereditato dalla guerra li poneva davanti<br />
ad una scelta drammatica tra un intervento massiccio o il materializzarsi di un incubo politico 16 .<br />
Prezzi politici per i prodotti di prima necessità ben lontani dai valori di mercato, salari che non<br />
corrispondevano ad un effettivo lavoro, disoccupazione dilagante, mancanza di alloggi e condizioni<br />
di vita decisamente difficili per gran parte della popolazione amministrata diffondevano<br />
un malcontento che era facile, per le forze ostili al GMA, indirizzare contro l’amministrazione<br />
alleata, considerata responsabile dello stato di cose.<br />
Con l’arrivo del 1946, e l’inizio delle trattative per il Trattato di Pace, il clima locale sembrò<br />
infiammarsi. Nella propaganda politica, ma in fondo anche nella realtà della vita quotidiana<br />
della gente, non c’era molta distanza tra la questione dei confini, la scelta del sistema politico<br />
di riferimento e l’avvenire economico della società locale. Lavoro, economia e politica rappresentavano<br />
altrettante facce di un prisma unico, assai complicato perché l’evidenza della guerra<br />
fredda aveva fatto capire a tutti come l’avvenire commerciale di Trieste e dell’intera regione<br />
fosse ormai compromesso.<br />
Nel febbraio 1946 Winston Churchill aveva indicato una (politicamente) molto incerta<br />
internazionalizzazione della città come l’unica soluzione praticabile sul piano diplomatico 17 ,<br />
mentre nel marzo successivo lo stesso Churchill pronunciò a Fulton il famoso discorso sulla<br />
«cortina di ferro», che da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico aveva ormai diviso in due<br />
l’Europa, tagliando fuori il porto giuliano da gran parte del suo retroterra ex-asburgico. A<br />
Trieste il 10 febbraio agenti della Polizia civile del GMA spararono sui partecipanti ad una<br />
manifestazione filo-jugoslava, provocando due morti e venti feriti, e nel marzo successivo,<br />
quattro giorni dopo l’arrivo in città della commissione internazionale di esperti per la determinazione<br />
dei confini, venne dichiarato uno sciopero generale di due giorni, dalle evidenti finalità<br />
politiche, inaugurando una pratica che sarebbe durata tutto l’anno. L’arma economica usata<br />
per raggiungere fini politici fu usata indifferentemente dal GMA e dalle forze sindacali:<br />
In this fight without quarters, the “Sindacati Unici” never ceased to hold the upper hand and it<br />
was generally thought that they were making a last determined bid to retain at least a position of<br />
supremacy in Trade Union membership, once it was no longer possible for them to hold the<br />
monopoly which they had accomplished during the Yugoslave [sic] occupation of the Territory.<br />
The “Camera del Lavoro” on the other hand, fully cognizant of their initial handicap, were equally<br />
determined to encroach on the “Sindacati unici” by playing up to the national sentiments of the<br />
Italian workers 18 .