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162 Tullia Catalan A Trieste i fondi per l’attività assistenziale dell’ECA venivano erogati esclusivamente dal GMA, che si basava su parametri già adottati nel resto della penisola italiana, anche per quanto riguardava le assegnazioni alimentari 15 . Di norma gli Alleati pretendevano dall’amministrazione un elenco dettagliato mensile, disaggregato per le voci di spesa, e decidevano di volta in volta l’entità del contributo. Dure critiche per questo sistema e per l’eccessiva acquiescenza dimostrata dai funzionari dell’ente verso le decisioni degli Alleati comparvero su «Il Lavoratore» dell’11 marzo del 1949, che contestava la poca autonomia del consiglio di amministrazione e la sua incapacità di opporsi all’ordine di riduzione del personale giunto dal Dipartimento Finanze del GMA 16 . Dalla fitta corrispondenza intercorsa fra la dirigenza dell’ECA e gli Alleati in tema di sussidi, si evince che ad ogni scadenza finanziaria, che era di norma trimestrale, i funzionari si trovavano sull’orlo della crisi a causa delle molte difficoltà avanzate dagli inglesi e dagli americani per ripianare il bilancio. In definitiva però, le esigenze dell’ente venivano sempre soddisfatte, seppure con continui inviti ad economizzare ed a ridurre il personale. Per quanto riguarda l’assistenza ai profughi, nel maggio del 1949 venne sancito un accordo formale tra il GMA e il governo italiano: gli Alleati si sarebbero occupati dei profughi di tutte le nazionalità in transito per la città, mentre l’Italia si sarebbe fatta carico dei profughi italiani. Un accordo importante, dalle forti connotazioni politiche, che portò alla nascita a Trieste dell’Ufficio di Zona per l’Assistenza Postbellica, e che vide l’inizio di una nuova prospettiva di gestione della città da parte degli Alleati. Non più direct rule quindi, ma un progressivo allentamento delle redini del potere amministrativo in favore dell’Italia, che iniziò a partecipare – attraverso gettiti finanziari e con dei funzionari di fiducia – nella gestione dell’assistenza pubblica 17 . I primi anni Cinquanta e la costruzione di un welfare democratico. In questa ultima fase della presenza alleata a Trieste, la gestione dell’assistenza che fino al 1949 era stata in mano britannica, passò sotto quella americana, determinandone un significativo cambio di rotta. Fu creato il Dipartimento Assistenza Sociale, guidato con polso fermo e con grande dedizione da Carlo Schiffrer, che avviò da subito un’indagine sulle oltre cento istituzioni di assistenza comunali, confessionali e private presenti sul territorio della zona A, individuando proprio nell’eccessiva frammentazione degli interventi assistenziali una delle cause primarie della vetustà del sistema 18 . Altro elemento che andava sottoposto a revisione era la preparazione del personale dirigenziale, troppe eredità del passato pesavano ancora sul funzionamento delle istituzioni, e seguendo un percorso adottato anche all’estero, si decise di completare la formazione dei futuri funzionari per l’assistenza presso i paesi democratici europei, grazie ad alcune borse di studio messe a disposizione dall’ONU 19 . Accanto a queste iniziative di svecchiamento della struttura organizzativa precedente, si istituirono nuove figure professionali con l’apertura già nell’ottobre 1950 dell’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale, cui seguì pochi mesi dopo l’istituzione della Scuola Superiore di Servizio Sociale. Alla base della riorganizzazione assistenziale triestina dei primi anni Cinquanta vi fu la decisione di avvalersi nuovamente delle indagini statistiche sulle condizioni della popolazione, che erano state del tutto abbandonate dal regime fascista. Carlo Schiffrer, ad esempio, valutò con grande attenzione la metodologia e le procedure adottate in Italia nell’inchiesta sulla miseria avviata nel 1951, per poi riproporle in parte a Trieste nel 1953, con l’aiuto dei statistici dell’Università di Trieste 20 . Continuarono così, rafforzati, gli scambi proficui con l’Italia e, rispetto al periodo precedente durante il quale fu mantenuto lo status quo in tutte le istituzioni

Il ruolo del GMA nelle politiche assistenziali cittadine. Fu direct rule? 163 assistenziali locali, l’avvento della nuova direzione americana coincise con il desiderio di porre le basi di un modello di welfare democratico che potesse in futuro progredire autonomamente. Nonostante gli indubbi progressi in ambito organizzativo e formativo, i problemi materiali rimanevano però gli stessi, e si ha la netta sensazione, leggendo la documentazione disponibile, che fosse estremamente difficile per gli operatori abbattere la diffidenza negli utenti dell’assistenza pubblica, che male recepivano l’idea di prevenzione sociale, problema questo che interessò soprattutto l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) 21 . Fra i maggiori sforzi finanziari profusi dal GMA nel settore assistenziale, vi fu nei primi anni Cinquanta la costruzione di parecchi alloggi destinati ai senza tetto e ai profughi, che vennero edificati in punti strategici della città con il cofinanziamento del governo italiano. I criteri della loro assegnazione sollevarono tuttavia malumori nella popolazione, prova ne sono le numerose lettere inviate all’ECA e al Comune di Trieste, nelle quali si accusavano le autorità locali di privilegiare le esigenze abitative dei profughi a scapito di quelle dei triestini. I primi inoltre, non sempre accettavano di buon grado le sistemazioni definitive offerte loro e rifiutavano le nuove abitazioni. Esemplare a riguardo il caso occorso nel febbraio del 1952, quando circa il 60% dei profughi ospitati negli alloggi collettivi gratuiti dell’ECA, si opposero al loro trasferimento nelle nuove case del Comune a Poggi S. Anna. Il Presidente dell’ECA Franceschini si esprimeva così a riguardo: «Non si può più tollerare che individui e famiglie in godimento di normali mezzi economici continuino, per malvolere, a gravare sui pubblici servizi assistenziali, con carico dei pubblici fondi, a detrimento di altri scopi assistenziali più impellenti per i veramente bisognosi» 22 . Parole dure e di sfogo, che però riassumono con chiarezza lo stato di emergenza in cui versava la città, tenuto conto del fatto che già nel 1950 l’ECA affermava di spendere ben 80 milioni del suo bilancio annuale per i profughi 23 , cifra che non veniva rimborsata dal GMA. Un contenzioso, a quanto sembra, iniziato da tempo e destinato a durare a lungo, che vide il coinvolgimento di tutte le forze politiche locali, del sindacato e dello stesso vescovo Santin 24 . Per porre rimedio il GMA nell’agosto del 1952 decise di riorganizzare anche questo servizio, accentrando il tutto in una Commissione unica per l’accoglimento e l’esame delle domande di alloggio 25 , prendendo spunto dalla normativa italiana in materia. Tattica questa perseguita dagli americani in tutta la ripianificazione della macchina assistenziale. Va sottolineato il fatto che non era prevista la presenza di nessun membro del GMA all’interno di essa. Settembre 1954: «Si sta entrando nel periodo delle vacche magre» 26 . Con il ritorno di Trieste all’Italia, nell’ottobre del 1954, la situazione dell’assistenza locale non mutò, ma visse nei primi anni una crisi significativa, segnata anche dall’affluenza dei profughi dall’Istria e dalla Dalmazia e dal sensibile peggioramento delle condizioni occupazionali al punto che «il crescente disagio per la depressione economica della città ha fatto aumentare gradatamente ed incessantemente le richieste per la concessione del vitto gratuito, forma assistenziale questa che più d’ogni altra serve a misurare il polso della povertà» 27 . Inoltre, come suggeriva sulla «Prora» Giulio Chicco, Vicepresidente della Fondazione Antonio Caccia e Maria Burlo Garofolo, «con l’avvento dell’amministrazione italiana molte persone che si “arrangiavano” con gli alleati, che avevano trovato occupazione, magari provvisoria, con le truppe, ora si vedono costretti a ricorrere all’Ente assistenziale. Con tutto ciò il bilancio dell’ECA non solo non è stato lasciato intatto, ma decurtato» 28 . Il governo italiano aveva deciso di diminuire i finanziamenti all’ECA triestino per il 1955 di ben 17 milioni di lire, e i gettiti destinati all’assistenza arrivavano a singhiozzo, impedendo una

162 Tullia Catalan<br />

A Trieste i fondi per l’attività assistenziale dell’ECA venivano erogati esclusivamente dal<br />

GMA, che si basava su parametri già adottati nel resto della penisola italiana, anche per quanto<br />

riguardava le assegnazioni alimentari 15 . Di norma gli Alleati pretendevano dall’amministrazione<br />

un elenco dettagliato mensile, disaggregato per le voci di spesa, e decidevano di volta in volta<br />

l’entità del contributo. Dure critiche per questo sistema e per l’eccessiva acquiescenza dimostrata<br />

dai funzionari dell’ente verso le decisioni degli Alleati comparvero su «Il Lavoratore»<br />

dell’11 marzo del 1949, che contestava la poca autonomia del consiglio di amministrazione e la<br />

sua incapacità di opporsi all’ordine di riduzione del personale giunto dal Dipartimento Finanze<br />

del GMA 16 . Dalla fitta corrispondenza intercorsa fra la dirigenza dell’ECA e gli Alleati in tema<br />

di sussidi, si evince che ad ogni scadenza finanziaria, che era di norma trimestrale, i funzionari<br />

si trovavano sull’orlo della crisi a causa delle molte difficoltà avanzate dagli inglesi e dagli<br />

americani per ripianare il bilancio. In definitiva però, le esigenze dell’ente venivano sempre<br />

soddisfatte, seppure con continui inviti ad economizzare ed a ridurre il personale.<br />

Per quanto riguarda l’assistenza ai profughi, nel maggio del 1949 venne sancito un accordo<br />

formale tra il GMA e il governo italiano: gli Alleati si sarebbero occupati dei profughi di tutte<br />

le nazionalità in transito per la città, mentre l’Italia si sarebbe fatta carico dei profughi italiani.<br />

Un accordo importante, dalle forti connotazioni politiche, che portò alla nascita a Trieste<br />

dell’Ufficio di Zona per l’Assistenza Postbellica, e che vide l’inizio di una nuova prospettiva di<br />

gestione della città da parte degli Alleati. Non più direct rule quindi, ma un progressivo<br />

allentamento delle redini del potere amministrativo in favore dell’Italia, che iniziò a partecipare<br />

– attraverso gettiti finanziari e con dei funzionari di fiducia – nella gestione dell’assistenza<br />

pubblica 17 .<br />

I primi anni Cinquanta e la costruzione di un welfare democratico.<br />

In questa ultima fase della presenza alleata a Trieste, la gestione dell’assistenza che fino al<br />

1949 era stata in mano britannica, passò sotto quella americana, determinandone un significativo<br />

cambio di rotta. Fu creato il Dipartimento Assistenza Sociale, guidato con polso fermo e<br />

con grande dedizione da Carlo Schiffrer, che avviò da subito un’indagine sulle oltre cento<br />

istituzioni di assistenza comunali, confessionali e private presenti sul territorio della zona A,<br />

individuando proprio nell’eccessiva frammentazione degli interventi assistenziali una delle<br />

cause primarie della vetustà del sistema 18 . Altro elemento che andava sottoposto a revisione<br />

era la preparazione del personale dirigenziale, troppe eredità del passato pesavano ancora sul<br />

funzionamento delle istituzioni, e seguendo un percorso adottato anche all’estero, si decise di<br />

completare la formazione dei futuri funzionari per l’assistenza presso i paesi democratici<br />

europei, grazie ad alcune borse di studio messe a disposizione dall’ONU 19 . Accanto a queste<br />

iniziative di svecchiamento della struttura organizzativa precedente, si istituirono nuove figure<br />

professionali con l’apertura già nell’ottobre 1950 dell’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale, cui<br />

seguì pochi mesi dopo l’istituzione della Scuola Superiore di Servizio Sociale.<br />

Alla base della riorganizzazione assistenziale triestina dei primi anni Cinquanta vi fu la<br />

decisione di avvalersi nuovamente delle indagini statistiche sulle condizioni della popolazione,<br />

che erano state del tutto abbandonate dal regime fascista. Carlo Schiffrer, ad esempio, valutò<br />

con grande attenzione la metodologia e le procedure adottate in Italia nell’inchiesta sulla<br />

miseria avviata nel 1951, per poi riproporle in parte a Trieste nel 1953, con l’aiuto dei statistici<br />

dell’Università di Trieste 20 . Continuarono così, rafforzati, gli scambi proficui con l’Italia e,<br />

rispetto al periodo precedente durante il quale fu mantenuto lo status quo in tutte le istituzioni

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