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160 Tullia Catalan più importanti viste le sue ricadute sul consenso e sul mantenimento dell’ordine pubblico. Gli Alleati erano consapevoli della sua importanza: infatti, dopo una prima fase (1945-1949) caratterizzata esclusivamente dalla necessità di tamponare di volta in volta le emergenze attraverso un’amministrazione diretta, in un secondo tempo (1950-1954) si diedero da fare per riorganizzarla sulla base dei principi della Carta Atlantica e del Piano Beveridge, con l’obiettivo di avviare un processo di costruzione di un welfare democratico, alternativo allo stato sociale fascista da un lato, ma anche contrapposto a quello socialista che si andava strutturando nei territori limitrofi della zona B amministrati dallo Stato jugoslavo. In questa fase di passaggio e di riforme avviata nell’ultimo periodo dell’occupazione essi si appoggiarono a funzionari locali di loro fiducia impiegati nel Dipartimento di Assistenza, i quali ebbero un ruolo fondamentale nel fare da trait-d’union con l’Italia. Essi avviarono di concerto con il GMA una serie di sostanziali riforme nella formazione del personale maschile e femminile impiegato nell’assistenza e promossero un difficile coordinamento delle numerose istituzioni presenti sul territorio nel tentativo, in parte fallito, di non disperdere in mille rivoli i fondi messi a disposizione. Inoltre, un discorso a parte andrebbe fatto per la situazione degli enti assistenziali religiosi, che registrarono a Trieste una significativa modernizzazione delle strutture, del personale e dei programmi di intervento soprattutto sui giovani disagiati, grazie anche ai maggiori contatti che le autorità ecclesiastiche avevano mantenuto con le realtà democratiche europee. Queste istituzioni infatti, pur appoggiandosi ai finanziamenti degli Alleati, seppero svilupparsi in piena autonomia, raggiungendo rapidamente gli obiettivi prefissati grazie al fatto che potevano contare su una leadership di grande autorevolezza e capacità 8 . Nei primi anni Cinquanta per conseguire l’obiettivo di instaurazione di un modello democratico di welfare, gli anglo-americani accettarono di buon grado di mettere in pratica alcune strategie di indagine sulle condizioni della popolazione già adottate in Italia e caldamente raccomandate loro da alcuni funzionari, che godevano di una certa autonomia nelle scelte operative. Ciò significò pertanto il consolidarsi di un rapporto caratterizzato da scambi e confronti, e non solamente da ordini impartiti dall’alto e dalla contrapposizione con il GMA. Non più quindi in questo settore un’amministrazione diretta, ma un governo «misto» dell’assistenza pubblica, dove in una prima fase anche la Postbellica, facente capo al ministero per l’Assistenza Postbellica - Direzione Generale Alta Italia, ebbe un suo spazio del tutto indipendente già dal novembre 1945, occupandosi dell’aiuto alle vittime civili della guerra, che assisteva per mezzo di sussidi messi a disposizione dal governo italiano. La sua attività tuttavia non durò a lungo: nel maggio del 1947 fu costretta a interrompere l’erogazione dei fondi ai profughi, causa le mancate rimesse dall’Italia 9 . Problema, quest’ultimo, che si ripetè anche negli anni successivi all’occupazione, facendo in alcuni casi esplicitamente rimpiangere la puntualità del GMA. Non vanno infine trascurati nei primi anni Cinquanta i ruoli giocati dai partiti politici nella ristrutturazione dell’assistenza locale: i bisogni materiali della popolazione erano di tale portata, che la designazione di rappresentanti politici nei consigli di amministrazione degli enti assistenziali comunali divenne un terreno conteso e ambito per il suo peso ai fini del consenso elettorale.

Il ruolo del GMA nelle politiche assistenziali cittadine. Fu direct rule? 161 Fronteggiare le emergenze in campo assistenziale ovvero «day by day policy» (1945-1949) 10 . I quaranta giorni di occupazione jugoslava della città dagli inizi di maggio a metà giugno del 1945 si tradussero per l’organizzazione assistenziale comunale in una improvvisa battuta di arresto dell’attività, causa il blocco dei finanziamenti erogati di norma dalla Prefettura e depositati presso la Cassa di Risparmio di Trieste. L’esaurimento delle scorte di viveri, di indumenti, di materassi e di altri generi di primo soccorso impedirono la somministrazione dell’assistenza ai profughi e agli sfollati e decretarono la chiusura di gran parte delle mense cittadine. Per ordine del Consiglio di Liberazione di Trieste decadde il consiglio di amministrazione dell’Ente Comunale di Assistenza (ECA) e venne nominato Commissario il rag. Rodolfo Ranieri, un ex funzionario della Prefettura di Trieste il quale, nonostante i suoi ripetuti reclami presso le autorità locali per le mancate rimesse finanziarie e alimentari, non fu in grado di ottenere gli aiuti necessari 11 . All’indomani del suo insediamento in città, nel giugno del 1945, il GMA si interessò dell’organizzazione e dello stato delle finanze degli enti di assistenza attraverso l’apposita omonima sezione, che nel periodo dell’occupazione venne ristrutturata altre due volte 12 .Gli Alleati iniziarono già nell’agosto del 1945 anche presso l’ente un’opera di epurazione, che fu condotta inizialmente con grande alacrità, colpendo non solo alcuni esponenti ai vertici dell’istituzione, come l’ex Segretario Carlo Rangan, ma anche alcuni funzionari ed impiegati, accusati di avere avuto pesanti connivenze con i fascisti 13 . L’estate del 1945 fu caratterizzata da un rincaro del costo della vita, che ebbe ripercussioni sulle casse di tutti gli enti assistenziali. Gran parte degli istituti finanziati dall’ECA si videro costretti ad aumentare le rette, perché l’acquisto dei viveri per i ricoverati era diventato sempre più difficile, mentre in città affluivano costantemente profughi dall’Istria e dalla Dalmazia, accanto agli ex internati in campo di concentramento o di prigionia in attesa di rimpatrio o di nuove destinazioni, i quali dovevano essere sfamati, vestiti ed alloggiati con le risorse dell’ente. Normalmente l’ECA si occupava delle famiglie disagiate, alle quali elargiva sussidi in denaro e vestiti; di assistenza ai poveri della città, ai quali forniva un servizio mensa, che negli ultimi anni del conflitto venne esteso anche ai cittadini di basso reddito. L’istituzione organizzava i dormitori invernali e gestiva i ricoveri permanenti destinati ad accogliere vecchi e bambini poveri oppure orfani. L’area d’intervento dell’ECA non era esclusivamente cittadina, ma comprendeva anche l’Altipiano, che necessitava di maggiore assistenza durante il periodo invernale. Con la fine del conflitto i suoi compiti si erano smisuratamente allargati, e l’istituzione divenne una punto di riferimento anche per gli Alleati, che in essa identificarono l’unica struttura in grado di far fronte con i mezzi e il personale a disposizione alle emergenze del momento. Nel resto dell’Italia vi fu nel dopoguerra un tentativo di rilancio del ruolo degli ECA attraverso la creazione a Milano nel 1946 dell’Associazione nazionale enti assistenziali (ANEA), con l’obiettivo di avviare ampie riforme ispirate ai modelli democratici di welfare essa ebbe l’ambizione di concentrare negli ECA l’organizzazione della nuova assistenza italiana. Il progetto non sortì i risultati sperati, in quanto fu ostacolato da pressioni politiche ed ecclesiastiche, che temevano di perdere il controllo su di una fondamentale leva di vigilanza sociale e di consenso quale era all’epoca l’assistenza religiosa e privata 14 . Tuttavia l’eco dei progressi fatti dai milanesi in campo assistenziale giunse anche a Trieste, dove da subito si manifestò nei funzionari dell’ente un interesse per la nuova associazione che raggruppava circa un centinaio di istituti italiani. Ciò dimostra che non venne mai meno il rapporto fra l’ECA triestino e gli altri enti della penisola, infatti l’archivio storico dell’istituzione presenta molti carteggi con altri ECA italiani.

160 Tullia Catalan<br />

più importanti viste le sue ricadute sul consenso e sul mantenimento dell’ordine pubblico. Gli<br />

Alleati erano consapevoli della sua importanza: infatti, dopo una prima fase (1945-1949)<br />

caratterizzata esclusivamente dalla necessità di tamponare di volta in volta le emergenze<br />

attraverso un’amministrazione diretta, in un secondo tempo (1950-1954) si diedero da fare per<br />

riorganizzarla sulla base dei principi della Carta Atlantica e del Piano Beveridge, con l’obiettivo<br />

di avviare un processo di costruzione di un welfare democratico, alternativo allo stato sociale<br />

fascista da un lato, ma anche contrapposto a quello socialista che si andava strutturando nei<br />

territori limitrofi della zona B amministrati dallo Stato jugoslavo.<br />

In questa fase di passaggio e di riforme avviata nell’ultimo periodo dell’occupazione essi si<br />

appoggiarono a funzionari locali di loro fiducia impiegati nel Dipartimento di Assistenza, i quali<br />

ebbero un ruolo fondamentale nel fare da trait-d’union con l’Italia. Essi avviarono di concerto<br />

con il GMA una serie di sostanziali riforme nella formazione del personale maschile e femminile<br />

impiegato nell’assistenza e promossero un difficile coordinamento delle numerose istituzioni<br />

presenti sul territorio nel tentativo, in parte fallito, di non disperdere in mille rivoli i fondi<br />

messi a disposizione.<br />

Inoltre, un discorso a parte andrebbe fatto per la situazione degli enti assistenziali religiosi,<br />

che registrarono a Trieste una significativa modernizzazione delle strutture, del personale e dei<br />

programmi di intervento soprattutto sui giovani disagiati, grazie anche ai maggiori contatti che<br />

le autorità ecclesiastiche avevano mantenuto con le realtà democratiche europee. Queste<br />

istituzioni infatti, pur appoggiandosi ai finanziamenti degli Alleati, seppero svilupparsi in piena<br />

autonomia, raggiungendo rapidamente gli obiettivi prefissati grazie al fatto che potevano<br />

contare su una leadership di grande autorevolezza e capacità 8 .<br />

Nei primi anni Cinquanta per conseguire l’obiettivo di instaurazione di un modello democratico<br />

di welfare, gli anglo-americani accettarono di buon grado di mettere in pratica alcune<br />

strategie di indagine sulle condizioni della popolazione già adottate in Italia e caldamente<br />

raccomandate loro da alcuni funzionari, che godevano di una certa autonomia nelle scelte<br />

operative. Ciò significò pertanto il consolidarsi di un rapporto caratterizzato da scambi e<br />

confronti, e non solamente da ordini impartiti dall’alto e dalla contrapposizione con il GMA.<br />

Non più quindi in questo settore un’amministrazione diretta, ma un governo «misto» dell’assistenza<br />

pubblica, dove in una prima fase anche la Postbellica, facente capo al ministero per<br />

l’Assistenza Postbellica - Direzione Generale Alta Italia, ebbe un suo spazio del tutto indipendente<br />

già dal novembre 1945, occupandosi dell’aiuto alle vittime civili della guerra, che assisteva<br />

per mezzo di sussidi messi a disposizione dal governo italiano. La sua attività tuttavia non durò<br />

a lungo: nel maggio del 1947 fu costretta a interrompere l’erogazione dei fondi ai profughi,<br />

causa le mancate rimesse dall’Italia 9 . Problema, quest’ultimo, che si ripetè anche negli anni<br />

successivi all’occupazione, facendo in alcuni casi esplicitamente rimpiangere la puntualità del<br />

GMA.<br />

Non vanno infine trascurati nei primi anni Cinquanta i ruoli giocati dai partiti politici nella<br />

ristrutturazione dell’assistenza locale: i bisogni materiali della popolazione erano di tale portata,<br />

che la designazione di rappresentanti politici nei consigli di amministrazione degli enti<br />

assistenziali comunali divenne un terreno conteso e ambito per il suo peso ai fini del consenso<br />

elettorale.

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