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10 Introduzione di storia della società la frattura non si consumò nel volger di qualche mese o di qualche anno, ma fu viceversa un processo lungo, che si protrasse fino alla seconda metà degli anni Cinquanta. Un processo che vide nel corso di più di un decennio l’esplodere delle diverse componenti della società giuliana, attraversata da profonde linee di faglia, il suo decomporsi lungo il tracciato prevalente della discriminante nazionale – un dato questo che nel 1945, di fronte al momentaneo trionfo delle logiche di aggregazione ideologiche e di classe, non sembrava affatto scontato – ed il suo successivo, faticoso, ricomporsi in due società distinte, ciascuna – anche se in grado assai diverso – ben differente dalla precedente. Due società che le logiche della politica internazionale e del reciproco interesse avrebbero finito per spingere, in prospettiva, a dialogare assieme. Non una brusca frattura quindi, ma una lunga separazione; e tuttavia, il processo non era ancora concluso, perché ben presto, dopo il 1954, maturò da entrambe le parti del confine la consapevolezza che la difficile sostenibilità del nuovo tracciato confinario avrebbe rapidamente determinato un collasso dell’intera area frontaliera, a meno che non si fosse trovato il modo di ammorbidire il più possibile l’impatto delle divisione fra Stati sulla società locale. È in questo contesto che nacque il concetto di «confine – ponte», capace di collegare realtà statuali, nazionali ed economiche diverse e allo stesso tempo affini. Si trattò probabilmente dell’acquisizione più interessante maturata dalla cultura politica locale nel corso del dopoguerra, premessa della futura prospettiva della collaborazione transfrontaliera. Il progetto quindi mirava a ricostruire i passaggi essenziali di tale itinerario, il che poteva essere fatto solamente considerando in una prospettiva unitaria tutto il territorio coinvolto e quindi conducendo lo studio congiuntamente assieme a centri di ricerca della Repubblica di Slovenia. Per quanto riguarda il territorio italiano, le aree interessate dalla ricerca erano state individuate nell’intera fascia confinaria fra Italia e Slovenia, e quindi le province di Trieste e Gorizia, direttamente coinvolte dalle modifiche confinarie e dalle conseguenti dinamiche, assieme alle valli del Natisone, in provincia di Udine, in modo da stabilire un primo utile raffronto con un’altra area frontaliera della regione, che presenta alcuni problemi vicini a quelli dell’area giuliana. Quest’ultima indicazione peraltro è andata disattesa, per carenza di risorse scientifiche. In considerazione dei limiti di tempo e di risorse, si prevedeva di privilegiare nella ricerca alcuni filoni strategici, relativi al ruolo dei governi militari, alla costruzione dei nuovi sistemi politici, alla ricostruzione economica ed ai problemi delle culture di confine. Il termine ad quem dell’indagine veniva individuato per il versante italiano nella costituzione della Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, segno di piena «normalizzazione» della realtà istituzionale e politica del dopoguerra. Rispetto a tale indicazione temporale, l’ampiezza delle tematiche da affrontare ex novo ha suggerito in corso d’opera di concentrarsi sulla fase dell’«eccezionalità» protrattasi fino al 1954, rimandando ad altra ricerca l’analisi dell’inserimento pieno dei territori di frontiera nei contesti italiano e jugoslavo. Se questi dunque erano i propositi sul piano dei contenuti, su quello dell’impianto storiografico si partiva da un giudizio articolato in merito alle diverse stagioni di studi attraversate dalle storiografie italiana, slovena e jugoslava sul tema del confine giuliano: tutte storiografie che in passato, con tempi e forme diverse, erano interessate a rafforzare la coesione e l’integrità della nazione, preoccupandosi di legittimare innanzitutto l’appartenenza «giusta» della regione di confine. L’«eredità storiografica» da ambedue i lati del confine ha nutrito a lungo pregiudizi etnocentrici e rafforzato quelle medesime barriere che gli stessi storici dichiaravano idealmente di voler comprendere, se non abbattere. Così, nonostante il pluridecennale dialogo storiografico italo-sloveno, il superamento di una visione nazionale e autoreferenziale della storia di

Introduzione 11 confine non appare ancora compiuto, e stenta a realizzarsi uno spazio aperto di discussione storiografica in grado di contribuire a una storia congiunta dell’area di confine, ma capace soprattutto di contenere la pluralità di sguardi. Uno sguardo congiunto può però scaturire soltanto da una riflessione senza indugi in primo luogo sulle categorie interpretative e sugli strumenti concettuali finora largamente condivisi, in secondo luogo sulle pratiche storiografiche che considerano non soltanto gli uni in rapporto con gli altri ma soprattutto gli uni attraverso gli altri, in termini di relazioni, interazione, circolazione. La sfida attuale della storiografia di frontiera pare dunque quella di rompere la prospettiva unidimensionale e semplificatoria che rende la realtà storica omogenea anche quando non lo è o non lo è stata. Il progetto «Dalla terra divisa al confine ponte» si inseriva quindi nell’ambito dei tentativi compiuti da storici italiani e sloveni di procedere lungo una strada nuova, che superasse anche i risultati – pur pregevoli – ottenuti con il confronto tra le storiografie nazionali, quale si è realizzato nell’ultimo decennio del secolo scorso con i lavori dalla Commissione mista storicoculturale italo-slovena. L’obiettivo finale infatti della nuova stagione di studi avviatasi dalle due parti del confine, consiste proprio nel superamento dei paradigmi delle storie nazionali, per puntare ad una nuova storiografia post-nazionale. Il risultato non è dietro l’angolo, perché i condizionamenti culturali e formativi e gli schemi mentali di un recentissimo passato non sono facili da rimuovere, nemmeno quando lo si desidera, ma l’unica via possibile da battere è quella della ricerca in comune, rispettosa delle sensibilità e dei tempi di elaborazione di ciascuno. In questo senso, il progetto ha cercato di far lavorare assieme studiosi di lingua italiana e slovena, cittadini dell’Italia e della Repubblica di Slovenia, attivi nelle principali istituzioni storico-scientifiche della fascia transfrontaliera, puntando alla piena condivisione di un intero percorso di ricerca, dall’individuazione dei collaboratori, degli argomenti e delle fonti fino alla stesura delle relazioni finali. Per un verso, tale disegno è stato reso più facile dai numerosi e stretti contatti personali che numerosi ricercatori avevano già intrecciato in passato, così come dal ruolo di cerniera tra le due storiografie che da tempo svolgeva l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. D’altro canto però, alcuni difetti strutturali del programma Interreg IIIA/Phare CBC Italia-Slovenia – relativi alla mancata sincronizzazione tra ricerche finanziate in Italia e Slovenia, nonché ai limiti posti all’attività dei ricercatori sloveni prima dell’entrata della Slovenia nell’Unione Europea – non hanno consentito di sviluppare appieno le potenzialità del progetto. In ogni caso, è stato possibile coinvolgere nella ricerca, attraverso l’istituzione di alcune borse di studio di varia durata, un gruppo di giovani e promettenti studiosi, italiani e sloveni, che in alcuni casi si sono mostrati capaci di produrre contributi fortemente innovativi. Quanto ai metodi, un impegno prioritario è stato individuato nell’acquisizione di nuove fonti, ed in effetti le indagini compiute hanno consentito di individuare e in parte recuperare una grande mole di materiali conservati non solo negli archivi locali, ma soprattutto in alcuni archivi nazionali e internazionali come l’Archivio della Commissione alleata di controllo depositato in copia microfilmata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, l’Archivio della OEEC, in deposito presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, gli Archivi Nazionali di Londra e Washignton, alcuni documenti dell’UNRRA Italia, conservati nel fondo Ferruccio Parri dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, per citare soltanto i più significativi. Ne è emerso un patrimonio documentario imponente, che al momento è stato solo in parte rielaborato ai fini dei saggi qui pubblicati, e che potrà costituire la base per molte ricerche a venire. Un altro aspetto particolarmente curato nella fase di progettazione è stato quello della comparazione delle situazioni createsi nelle zone sotto amministrazione anglo-americana,

Introduzione 11<br />

confine non appare ancora compiuto, e stenta a realizzarsi uno spazio aperto di discussione<br />

storiografica in grado di contribuire a una storia congiunta dell’area di confine, ma capace<br />

soprattutto di contenere la pluralità di sguardi. Uno sguardo congiunto può però scaturire<br />

soltanto da una riflessione senza indugi in primo luogo sulle categorie interpretative e sugli<br />

strumenti concettuali finora largamente condivisi, in secondo luogo sulle pratiche storiografiche<br />

che considerano non soltanto gli uni in rapporto con gli altri ma soprattutto gli uni<br />

attraverso gli altri, in termini di relazioni, interazione, circolazione. La sfida attuale della<br />

storiografia di frontiera pare dunque quella di rompere la prospettiva unidimensionale e<br />

semplificatoria che rende la realtà storica omogenea anche quando non lo è o non lo è stata.<br />

Il progetto «Dalla terra divisa al confine ponte» si inseriva quindi nell’ambito dei tentativi<br />

compiuti da storici italiani e sloveni di procedere lungo una strada nuova, che superasse anche<br />

i risultati – pur pregevoli – ottenuti con il confronto tra le storiografie nazionali, quale si è<br />

realizzato nell’ultimo decennio del secolo scorso con i lavori dalla Commissione mista storicoculturale<br />

italo-slovena. L’obiettivo finale infatti della nuova stagione di studi avviatasi dalle due<br />

parti del confine, consiste proprio nel superamento dei paradigmi delle storie nazionali, per<br />

puntare ad una nuova storiografia post-nazionale. Il risultato non è dietro l’angolo, perché i<br />

condizionamenti culturali e formativi e gli schemi mentali di un recentissimo passato non sono<br />

facili da rimuovere, nemmeno quando lo si desidera, ma l’unica via possibile da battere è quella<br />

della ricerca in comune, rispettosa delle sensibilità e dei tempi di elaborazione di ciascuno.<br />

In questo senso, il progetto ha cercato di far lavorare assieme studiosi di lingua italiana e<br />

slovena, cittadini dell’Italia e della Repubblica di Slovenia, attivi nelle principali istituzioni<br />

storico-scientifiche della fascia transfrontaliera, puntando alla piena condivisione di un intero<br />

percorso di ricerca, dall’individuazione dei collaboratori, degli argomenti e delle fonti fino alla<br />

stesura delle relazioni finali. Per un verso, tale disegno è stato reso più facile dai numerosi e<br />

stretti contatti personali che numerosi ricercatori avevano già intrecciato in passato, così come<br />

dal ruolo di cerniera tra le due storiografie che da tempo svolgeva l’Istituto regionale per la<br />

storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. D’altro canto però, alcuni difetti<br />

strutturali del programma Interreg IIIA/Phare CBC Italia-Slovenia – relativi alla mancata<br />

sincronizzazione tra ricerche finanziate in Italia e Slovenia, nonché ai limiti posti all’attività dei<br />

ricercatori sloveni prima dell’entrata della Slovenia nell’Unione Europea – non hanno consentito<br />

di sviluppare appieno le potenzialità del progetto. In ogni caso, è stato possibile coinvolgere<br />

nella ricerca, attraverso l’istituzione di alcune borse di studio di varia durata, un gruppo di<br />

giovani e promettenti studiosi, italiani e sloveni, che in alcuni casi si sono mostrati capaci di<br />

produrre contributi fortemente innovativi.<br />

Quanto ai metodi, un impegno prioritario è stato individuato nell’acquisizione di nuove fonti,<br />

ed in effetti le indagini compiute hanno consentito di individuare e in parte recuperare una<br />

grande mole di materiali conservati non solo negli archivi locali, ma soprattutto in alcuni archivi<br />

nazionali e internazionali come l’Archivio della Commissione alleata di controllo depositato in<br />

copia microfilmata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, l’Archivio della OEEC, in<br />

deposito presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, gli Archivi Nazionali di Londra e<br />

Washignton, alcuni documenti dell’UNRRA Italia, conservati nel fondo Ferruccio Parri<br />

dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, per citare soltanto i<br />

più significativi. Ne è emerso un patrimonio documentario imponente, che al momento è stato<br />

solo in parte rielaborato ai fini dei saggi qui pubblicati, e che potrà costituire la base per molte<br />

ricerche a venire.<br />

Un altro aspetto particolarmente curato nella fase di progettazione è stato quello della<br />

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