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preme1.chp:Corel VENTURA - TRIESTE Books

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Il problema del governo diretto 107<br />

Il problema del governo diretto<br />

di Raoul Pupo<br />

Per affrontare il problema del direct rule, riferito in primo luogo al Governo Militare Alleato,<br />

il punto di partenza può essere costituito dalla notissima – ma non per questo meno vera –<br />

osservazione a suo tempo compiuta da Giampaolo Valdevit, secondo il quale dal 1943 al 1954<br />

Trieste fu una città eterodiretta 1 . Con durate diverse, è un’osservazione che si può ben<br />

estendere a tutta la Venezia Giulia, con la doppia periodizzazione ad quem, del 1947 e del 1954.<br />

Bisogna dire però, che per l’area giuliana non si trattava di una situazione del tutto nuova, dal<br />

momento che anche gli anni successivi al primo conflitto mondiale avevano visto una fase di<br />

governo militare e poi di amministrazione straordinaria civile: e questa situazione eccezionale<br />

– che è stata ben studiata da Angelo Visintin e da Almerigo Apollonio 2 – aveva influito<br />

fortemente sugli assetti della società locale. Venticinque anni dopo, il quadro di eccezionalità<br />

si ripresenta con caratteri ancor più marcati e con una maggior durata nel tempo: per più di un<br />

decennio nella Venezia Giulia si succedono occupazioni militari ed amministrazioni forti,<br />

espressione di poteri lontani – Berlino, Londra, Washington, Belgrado – ma decisi a farsi<br />

percepire con grande intensità sul territorio e, soprattutto, ben intenzionati a realizzare i propri<br />

obiettivi attraverso il monopolio del potere.<br />

Questo è un punto importante: i governi militari, per loro natura, non sono governi democratici,<br />

anche quando parlano di democrazia; ed anche quando vogliono introdurla, usano dei<br />

sistemi alquanto curiosi, specialmente in aree dove la democrazia non è praticata da diverso<br />

tempo, e dove quindi nel modo di concepire la lotta politica hanno preso piede molte cattive<br />

abitudini. Il primo passo quindi che i governi militari compiono per affermare la propria<br />

concezione della democrazia, è quello di mettere fuori gioco i poteri espressione di concezioni<br />

e riferimenti diversi. Così, nel maggio del 1945 l’amministrazione jugoslava azzera le istituzioni<br />

che rimandano allo Stato italiano, e da parte sua, poco più di un mese dopo, l’amministrazione<br />

anglo-americana azzera i «poteri popolari» che rinviano allo Stato jugoslavo. A questo punto<br />

però, fra zona A e zona B, e fra i due modi di amministrare il territorio, i destini si separano,<br />

proprio perché le concezioni della democrazia che stanno alla base dei due governi militari,<br />

quello anglo-americano e quello jugoslavo, sono sostanzialmente differenti. Il GMA tollera le<br />

opinioni diverse, anche se non le ama e le sorveglia con grande attenzione; l’amministrazione<br />

jugoslava invece non ammette opinioni diverse, e quindi non solo non consente che si esprimano,<br />

ma cerca con grande zelo di estirparle.<br />

Comunque, anche nella zona A la democrazia – intesa come capacità di autodecisione da<br />

parte delle diverse componenti della società locale – può attendere, di fronte alle esigenze del<br />

controllo: e non a caso, il segno distintivo della politica del GMA è stato individuato proprio<br />

nel «governo diretto». Questo giudizio, ben esplicitato a suo tempo da Giampaolo Valdevit 3 ,<br />

è entrato oramai nella storiografia, e a buon diritto: per convincersene ad abundantiam, basta<br />

che confrontiamo due atti del Governo Militare Alleato, compiuti rispettivamente all’inizio ed<br />

alla fine della sua esperienza. Il primo è l’ordine n. 11 che dissolve i poteri popolari ed afferma<br />

con molta chiarezza l’univocità del potere alleato; il secondo è il comportamento tenuto<br />

nell’autunno del 1953, quando il GMA difende con estrema decisione – nel sangue – l’esclusività<br />

del proprio ruolo a Trieste.

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