Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
JOEY BARON + EUGENIO MORI + MARIANO CANTERO + GENT JAZZ FESTIVAL<br />
€ 6,00<br />
N.003<br />
NOVEMBRE 2009<br />
MENSILE - poste italiane spa sped. abb. post. d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, dcb roma - anno XXIV - novembre 2009<br />
PROVE: LUDWIG CENTENNIAL POWERDRIVE<br />
CUSTODIE PROTECTION RACKET<br />
SPECIALE<br />
mensile di cultura e tecnica chitarristica
N.003<br />
NOVEMBRE 2009<br />
mensile di cultura e tecnica chita ristica<br />
JOEY BARON + EUGENIO MORI + MARIANO CANTERO + GENT JAZZ FESTIVAL<br />
€ 6,00<br />
MENSILE - poste italiane spa sped. abb. post. d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, dcb roma - anno XIV - novembre 2009<br />
PROVE: LUDWIG CENTENNIAL POWERDRIVE<br />
CUSTODIE PROTECTION RACK<br />
SPECIALE<br />
SOMMARIO<br />
N.003 | novembre 2009<br />
>>COVER STORY<br />
18<br />
LUDWIG 1909-2009<br />
UN SECOLO DI TAMBURI E INVENZIONI<br />
di Antonio Di Lorenzo<br />
Attraverso la descrizione di alcuni pezzi pregiatissimi della sua sterminata<br />
collezione di batterie, Antonio Di Lorenzo ci racconta i primi<br />
cento anni di storia del “nome più famoso tra i tamburi”. Non solo<br />
vintage, però, per un marchio che, grazie alla più recente produzione,<br />
ha dimostrato di poter mettere d’accordo batteristi di tutte le<br />
età.<br />
>>STRUMENTI<br />
12 NUOVE DAL MERCATO<br />
14 LUDWIG CENTENNIAL POWERDRIVE<br />
16 CUSTODIE PROTECTION RACKET<br />
>>ARTISTI<br />
32 RONNIE VANNUCCI di Edoardo Sala<br />
38 JOEY BARON di Skip Hadden<br />
46 EUGENIO MORI di Mario A. Riggio<br />
52 MARIANO CANTERO di Gian Franco Grilli<br />
56 GUNTHER HERBER di Marco Gavioli<br />
66 GENT JAZZ FESTIVAL di Vincenzo Martorella<br />
70 SUONARE BURKINA di Mario A. Riggio<br />
32 38<br />
46<br />
4<br />
B&p | OTTOBRE 2009
DIDATTICA<br />
58 LA TECNICA DI MAXX di Maxx Furian<br />
60 LA BATTERIA IN STUDIO di Bandini e Furian<br />
62 PERCUSSIONI POP di Leo Di Angilla<br />
64 IL TAMBURO di Antonio Buonomo<br />
>>RUBRICHE<br />
06 IN BREVE<br />
10 LA VOCE DEI LETTORI<br />
1 1 PAROLA DI VOLPE<br />
72 IL DIRITTO DELLA MUSICA<br />
73 GRANDI FIRME: JOHN TEMPESTA<br />
74 RECENSIONI<br />
82 PENTOLE & COPERCHI<br />
tutto in salita<br />
o tutto in discesa?<br />
di Massimiliano Cerreto<br />
>>EDITORIALE<br />
Nel linguaggio comune, quando si vuole raccontare<br />
del successo di una persona, si usa dire<br />
che il suo percorso è tutto in salita. Eppure, parlando con Gigi<br />
Cifarelli, recentemente intervistato per gli amici di Chitarre,<br />
mi è capitato di ascoltare l’espressione “tutto in discesa”, in<br />
merito a un evento positivo della sua vita privata. In realtà,<br />
tale inversione di significato è facilmente comprensibile: la<br />
salita nel ciclismo (sport in cui eccelle il “Cifa”) rappresenta<br />
uno dei momenti di maggiore sforzo fisico e mentale per l’atleta.<br />
Seppure sia ben lontano dai risultati sportivi e musicali<br />
raggiunti dall’amico ‘ciclarrista’, questi ultimi mesi trascorsi<br />
in sella, dopo 17 anni di quasi totale inattività fisica e migliaia<br />
di articoli accompagnati dalle inseparabili sigarette (che gli<br />
studi universitari e il giornalismo nuocciano gravemente alla<br />
salute?) mi hanno portato ad alcune riflessioni che estendo<br />
anche al mondo della musica. Innanzitutto, l’importanza del<br />
fattore tempo. Ovvero, a parità di obiettivi, ciascuno di noi ha<br />
un proprio tempo per raggiungerli. Ad esempio, vi sono batteristi<br />
giovani ma dotati di grande professionalità e altri che,<br />
nonostante il talento, hanno raggiunto tale maturità (che non<br />
è solo artistica) in tempi decisamente più lunghi. Non tenere<br />
conto del proprio tempo interiore e cercare a tutti i costi di<br />
raggiungere chi ‘va più veloce’ è un gravissimo errore. È innegabile,<br />
e qui arrivo alla seconda considerazione, che in ogni<br />
essere umano sia innato l’istinto della competizione. Peccato<br />
che nessuno c’insegni a vivere questa dimensione dell’essere<br />
nel modo giusto. Errore frequente, ad esempio, è l’accusare<br />
chi appartiene alla categoria dei ‘vincenti’ di non avere alcun<br />
merito per quanto ‘conquistato’. Certo, sono innegabili sia le<br />
dinamiche del potere sia la mai risolta questione della meritocrazia,<br />
che possono condizionare anche il mondo dello sport<br />
e della musica. Ma l’accento forte delle mie parole va comunque<br />
posto sul significato del termine vincente. Un senso che vi<br />
invito a ricercare costantemente. In fondo, la reale differenza<br />
tra una salita e una discesa consiste nel punto in cui ci si trova<br />
in un determinato momento della propria vita. E ciò dipende<br />
soltanto da noi stessi. Perché non possiamo cambiare la realtà<br />
che ci circonda se non cambiando noi stessi e le nostre prospettive.<br />
Vorrei concludere rivolgendo il mio pensiero a una<br />
persona che non ha mai impugnato le bacchette, ma che ha<br />
reso speciale il mondo dello sport (ciclismo compreso): Alex<br />
Zanardi.<br />
DIRETTORE<br />
Alfredo Romeo<br />
REDAZIONE<br />
Vanna Crupi, Bianca Spezzano<br />
DIDATTICA<br />
Accademia del Suono<br />
ELABORAZIONE PARTITURE<br />
Lorenzo Petruzziello<br />
PROGETTO GRAFICO<br />
Fabio Timpanaro<br />
DIRETTORE RESPONSABILE<br />
Andrea Carpi<br />
PUBBLICITÀAntonio Gentile<br />
ba15456@iperbole.bologna.it<br />
3282180218 – fax 1782202334<br />
HANNO COLLABORATO<br />
Valerio Agostino, Ellade Bandini,<br />
Roberto Baruffaldi, Luciano Beccia,<br />
Davide Bernaro, Antonio Di Lorenzo,<br />
Antonio Buonomo, Massimiliano<br />
Cerreto, Leo Di Angilla, Maxx Furian,<br />
Marco Gavioli, Antonio Gentile, Gian<br />
Franco Grilli, Skip Hadden, Davide<br />
Iannuzzi, Vincenzo Martorella, Lorenzo<br />
Mazzaufo, Andrea Michinelli, Fabio<br />
Pirozzolo, Mauro Porcu, Mario A.<br />
Riggio, Edoardo Sala, Rick Van Horn,<br />
Vacho Varela, Roberto Villani, Marco<br />
Volpe.<br />
FOTOGRAFI<br />
Gian Franco Grilli, Riccardo Macina,<br />
Torey Mundkowsky, Ninni Pepe,<br />
Bianca Puleo.<br />
DISTRIBUTORE<br />
CDM, viale Don Pasquino Borghi 172,<br />
Roma, tel. 065291419<br />
STAMPA<br />
Petruzzi srl, via Venturelli 7/B<br />
06012 Città di Castello (PG), tel.<br />
0758511345<br />
BATTERIA & percussioni è uno speciale<br />
di Chitarre, pubblicazione mensile<br />
di Il Musichiere scarl, via Moricone<br />
9, 00199 Roma, tel. 0686219919/22;<br />
fax 0686219788.<br />
Registrazione del tribunale di Roma<br />
n. 13786 del 18 – 3 – 1986.<br />
Manoscritti e foto originali, anche se<br />
non pubblicati, non si restituiscono.<br />
È vietata la riproduzione anche<br />
parziale di testi, documenti, disegni<br />
e fotografie.<br />
IN COPERTINA<br />
<strong>Ludwig</strong> Stainless Steel +<br />
Ronnie Vannucci/foto di Torey<br />
Mundkowsky<br />
Finito di stampare<br />
nel mese di ottobre 2009<br />
settembre 2009 | b&p BATTERIA 283 541
STRUMENTI<br />
batteria<br />
LUDWIG Centennial Powerdrive<br />
di: edoardo sala<br />
La Batteria...DEL CENTENARIO<br />
LA NOVITÀ SICURAMENTE PIÙ ABBORDABILE PER IL GRANDE PUBBLICO, TRA LE TANTE<br />
SFORNATE DALLA LUDWIG PER FESTEGGIARE I SUOI PRIMI 100 ANNI, RIMANE LA LINEA<br />
CENTENNIAL, CON FUSTI IN ACERO AMERICANO ASSEMBLATI IN TAIWAN. DISPONIBILE PER<br />
ORA IN QUATTRO DIFFERENTI FINITURE DI CUI DUE SPARKLE (ARGENTO E VERDE) E DUE<br />
LACCATE (ACERO NATURALE E CHARCOAL SHADOW, UNA SPECIE DI NERO CARBONE), VIENE<br />
VENDUTA IN QUATTRO DIVERSE CONFIGURAZIONI DI BASE, CUI SI POSSONO AGGIUNGERE IN<br />
SEGUITO ALTRI TOM, TIMPANI E CASSE A SECONDA DEL GUSTO PERSONALE DI OGNUNO.<br />
Caratteristica abbastanza curiosa – ma in realtà al passo coi tempi<br />
– è la profondità dei fusti di questa linea, con le casse tutte<br />
da 20” (20”, 22” e 24” i diametri possibili), mentre timpani e tom<br />
sono del tipo fast; il rullante? Per ora solo da 6,5”, ma disponibile sia<br />
nel diametro da 13” sia da 14”. Il set a nostra disposizione per questa<br />
prova è il Powerdrive, composto da una cassa da 22” x 20”, tom 12” x<br />
8”, timpani 14” x 13” e 16” x 14” e rullante da 14” x 6,5”. Una volta tirata<br />
fuori dall’imballo in cartone possiamo osservare da vicino la bellezza<br />
della finitura silver sparkle, fascinosa alla luce del sole quanto intrigante<br />
sotto i riflettori di un palco. A una prima analisi visiva la Centennial<br />
non sembra avere nulla da invidiare alle ben più blasonate ‘sorelle’<br />
americane: il taglio dei bordi è pressoché perfetto, tutte le meccaniche<br />
sono del tipo Elite e le pelli marchiate Remo. Non resta che sentire<br />
come suona!<br />
CASSA<br />
Abituati per decenni a casse con profondità ben più modeste, una 22”<br />
x 20” fa già il suo effetto nel momento stesso in cui la si appoggia sul<br />
tappeto; il ‘siluro’ in questione è dotato di due pelli tipo Powerstroke<br />
3 – quindi con anello interno come sordina – entrambe recanti il<br />
logo <strong>Ludwig</strong> ben in evidenza; quella risonante è color bianco e di tipo<br />
sabbiato, con il logo stile vintage, mentre la battente è una clear con<br />
il logo moderno di dimensioni ridotte da un lato e la dicitura dall’altro<br />
– a ricordarci la natura della pelle – made in Taiwan by Remo. I<br />
blocchetti sono del tipo classico, ma di dimensione ridotte, prevedono<br />
uno strato di plastica per eliminare eventuali e strane risonanze e sono<br />
assicurate al fusto tramite due viti ciascuno. La sorpresa – sicuramente<br />
gradita – arriva dalle graffe in cui alloggiano i tiranti: osservando le foto<br />
dei cataloghi si intravedono quelli a blocco unico ma, in un elegante<br />
14<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
BATTERIA LUDWIG<br />
CENTENNIAL POWEDRIVE<br />
DISTRIBUTORE: Aramini Strumenti Musicali Srl, via XXV<br />
aprile 36, 40057 Cadriano di Granarolo (BO);<br />
www.aramini.net www.ludwig-drums.com<br />
PREZZI (Iva inclusa): euro 1.159 (cassa 22” x 20”, rullante<br />
14” x 6,5”, tom 12” x 8” e timpano 16” x 14”); euro<br />
290,00 (timpano aggiuntivo 14” x 13”).<br />
PRO: rapporto qualità/prezzo; costruzione; sonorità.<br />
CONTRO: disponibile solo con profondità fast.<br />
confezione di cartone, ne troviamo alloggiate venti di quelle a forma di<br />
corna, tipiche dei modelli Classic Maple di fabbricazione americana:<br />
manca solo lo strato di materiale per la salvaguardia dei cerchi. Questi<br />
ultimi, anch’essi in otto strati di acero come il resto del fusto, prevedono<br />
la finitura sparkle solo sul lato esterno, mentre quello interno viene<br />
lasciato con il legno a vista; l’unico appunto è l’assenza di un sistema<br />
per l’aggancio del pedale, vivamente consigliato se si vuole mantenere<br />
nel tempo l’integrità del cerchio stesso. I puntali, sempre del tipo Elite,<br />
hanno la doppia opzione plastica/ferro e anche dopo una lunga sessione<br />
di prove si sono rivelati affidabilissimi e comodi da usare. Il badge,<br />
uguale per tutti i tamburi, è di color bronzo e di forma ovale, ha un elegante<br />
disegno di una pianta rampicante in rilievo e si trova situato nella<br />
parte superiore vicino alla pelle battente, vicino allo sfiato dell’aria. A<br />
sottolineare la cura di questo strumento notiamo che sia il badge sia<br />
lo sfiato hanno lo strato di plastica nei punti d’incontro del legno. Una<br />
volta montato un pedale – è giusto ricordare che il set viene venduto<br />
senza hardware – ci si accorge subito dell’abbondante volume e della<br />
presenza di una buona dose di bassi anche ad accordature medie.<br />
Essendo la pelle battente non bucata dobbiamo girare le viti al punto<br />
giusto per togliere il fastidio causato dal rimbalzo dell’aria sul pedale;<br />
in questo modo ci accorgiamo di come il suono risulti già asciutto e<br />
rotondo al punto da non dover inserire nulla all’interno del fusto. Una<br />
cassa sicuramente adatta per un suono rock, che accordata al punto<br />
giusto risulta perfetta anche per generi più ‘leggeri’ come pop, funky e<br />
blues; la cassa infatti entra subito in risonanza, risultando ‘viva’ anche<br />
quando viene suonata a bassi volumi. Testata sia in sala prove sia in<br />
ambito live, la cassa è risultata molto facile da microfonare, nonostante<br />
l’assenza del buco sulla pelle frontale; ovviamente non tutti i fonici<br />
hanno gradito…<br />
RULLANTE<br />
Il rullante, si sa, è il cuore del nostro set; pertanto, necessita della giusta<br />
cura e attenzione in ogni minimo particolare. Alla <strong>Ludwig</strong> sembrano<br />
esserne consci e perfino in questo rullante di media fascia di prezzo risultano<br />
perfetti la fattura dei bordi – privi di svaso in prossimità della<br />
cordiera – così come la finitura lungo il fusto, costruito anch’esso con<br />
otto strati di acero americano. Dotato di due massicci cerchi a tripla flangia<br />
con 10 tiranti per ogni lato, il rullante esce dalla casa madre fornito<br />
di una pelle sabbiata tipo Ambassador con il marchio <strong>Ludwig</strong> e una risonante<br />
classica senza alcuna scritta. La cordiera made in Taiwan è a 20<br />
fili in acciaio, assicurata alla macchinetta grazie alle classiche fascette<br />
di plastica trasparenti. La macchinetta non fa certo gridare al miracolo:<br />
priva di protezioni in plastica e saldamente ancorata al legno grazie a<br />
due abbondanti viti, risulta comunque precisa nell’azione e facile da<br />
usare. I blocchetti che ospitano i tiranti sono simili al resto del set, ma<br />
prevedono l’alloggiamento sia dalla parte battente che da quella risonante;<br />
unico difetto riscontrato, il vuoto lasciato nella parte centrale:<br />
l’unica maniera efficace per pulire i residui di legno delle bacchette e<br />
della polvere è la totale rimozione del blocchetto dal fusto. Il rullante<br />
lavora molto bene alle tensioni medio basse, rispondendo con efficacia<br />
a ogni colpo di bacchetta; dotato di una buona presenza di armonici,<br />
peraltro mai fastidiosi, ha un ottimo suono nel rimshot e un volume ben<br />
bilanciato con il resto del set. Aumentando l’altezza dell’accordatura il<br />
suono risulta leggermente penalizzato, in quanto perde corpo e il carattere<br />
dimostrato in precedenza: se amate il suono funky di Chad Smith<br />
forse è meglio puntare sul fratello minore con il diametro da 13”.<br />
TOM<br />
In periodo di profondità ultrafast, l’unico tom in dotazione al set Powerdrive<br />
non poteva che essere un 12” x 8”, stavolta composto da soli<br />
sei strati di acero. Venduto insieme a una comoda e precisa pinza, è<br />
munito di sistema Vibra Band, il nuovo rim <strong>Ludwig</strong> – ancorato a quattro<br />
tiranti e munito di blocco Elite – disegnato per far vibrare il tamburo in<br />
piena libertà. I cerchi sono a tripla flangia con sei tiranti (come nel resto<br />
del set, accompagnati dalle classiche rondelle in ferro), mentre lo sfiato<br />
dell’aria è dalla parte opposta del badge. Una volta montato su un’asta<br />
il tom risulta in perfetta sintonia con il resto del set, sia a livello di volumi<br />
che di timbrica sonora. Accordato a tensioni medio alte il tamburo<br />
canta con naturalezza e a livello di nota si riesce a differenziare bene<br />
dai timpani senza perdere efficacia, mentre fatica a emergere se accordato<br />
troppo in basso. Le pelli sono entrambe monostrato trasparenti,<br />
recanti il logo <strong>Ludwig</strong> di seconda generazione; per i rockettari amanti<br />
dei suoni scuri è vivacemente consigliato un cambio della battente,<br />
puntando magari su una doppio strato tipo Emperor.<br />
TIMPANI<br />
16” x 14” e 14” x 13”: queste misure premiano in pieno la scelta stilistica<br />
delle profondità fast. Meccanicamente identici al tom, se ne differenziano<br />
per la presenza delle gambe di sostegno; essendo gli alloggi<br />
posizionati vicino al cerchio della risonante, si rivelano parecchio versatili<br />
anche come altezza d’uso. Le gambe hanno ovviamente la parte<br />
zigrinata per un buon grip e il terminale in gomma davvero efficace, ma<br />
non prevedono alcuna memoria; una spesa minima, ma molto utile se<br />
vi capita di fare diverse date nell’arco dell’anno e non avete un roadie<br />
fidato! Il suono di questi timpani risulta davvero ricco di frequenze basse,<br />
con uno spettro di accordature ‘utilizzabili’ davvero ampio. Grazie<br />
agli ottimi cerchi tripla flangia l’accordatura viene preservata per lungo<br />
tempo e – aspetto tutt’altro che trascurabile – ciascun timpano lavora<br />
tranquillamente nel suo ‘raggio d’azione’ senza infastidire l’altro.<br />
CONCLUSIONI<br />
La Centennial è una serie che ben poco ha da invidiare a tante altre<br />
batterie presenti sul mercato al giorno d’oggi e, con il dovuto rispetto<br />
parlando, persino alle storiche Classic Maple della stessa <strong>Ludwig</strong>. Evidentemente<br />
la scelta di contenere i costi usando però legni americani<br />
ha soddisfatto i piani alti della dirigenza e, vedendo i prezzi di listino,<br />
anche noi ‘utilizzatori finali’, soprattutto chi è affezionato al marchio,<br />
ma in periodo di crisi non può permettersi di spendere grosse cifre. La<br />
batteria suona i modo professionale, e anche a livello meccanico si è<br />
dimostrata affidabile; unica pecca, oltre alla poca scelta a livello di finiture,<br />
è la possibilità di avere solo tamburi con profondità fast. Non resta<br />
che augurarci nuovi e succulenti upgrade al più presto. E tanti auguri!<br />
Edoardo Sala<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
15
COVER STORY<br />
<strong>Ludwig</strong> testo: ANTONIO DI LORENZO FOTO: NINNI PEPE<br />
CENTO ANNI DI<br />
LUDWIG. “IL NOME PIÙ FAMOSO NEI TAMBURI”.<br />
MAI MOTTO FU PIÙ EFFICACE E CORRETTO, SE PENSIAMO A UNO DEI MARCHI<br />
STORICI, LA PIÙ ANTICA DELLE DITTE DI BATTERIA E PERCUSSIONI,<br />
PRESENTE TUTTORA SUL MERCATO. GLI STRUMENTI DELLA LUDWIG HANNO<br />
ATTRAVERSATO VARIE EPOCHE, IN MOLTI CASI SONO STATI PROTAGONISTI<br />
ASSOLUTI DELLA STORIA MUSICALE, E TUTTORA LA GRANDE<br />
TRADIZIONE CONTINUA A ESSERE IL SUO PUNTO DI MAGGIOR FORZA,<br />
OLTRE ALL’INDUBBIA QUALITÀ CHE DA SEMPRE CARATTERIZZA<br />
TUTTI I SUOI PRODOTTI.<br />
La celebrazione del centenario ci dà la possibilità di<br />
tracciare una storia di questa ditta, dandone un taglio,<br />
se è possibile, anche squisitamente ‘italiano’,<br />
poiché i tamburi Ludwing (come stranamente si diceva<br />
in Italia negli anni passati!) sono stati per i batteristi<br />
europei uno status symbol. E questo per la <strong>Ludwig</strong> è stato un<br />
fattore molto importante, come vedremo in seguito, per espandere<br />
quel concetto di Total Percussion tanto caro a Bill <strong>Ludwig</strong>.<br />
Ma andiamo subito al dunque, cercando sempre di affiancare alle<br />
vicende della ditta musicisti, prodotti e uomini che hanno caratterizzato<br />
le varie epoche.<br />
La <strong>Ludwig</strong> nasce nel 1909 a opera di due fratelli, William e<br />
Theobald <strong>Ludwig</strong>, appunto. William era un percussionista, figlio<br />
di un trombonista emigrato negli Usa dalla Germania, e nel 1902<br />
fu appunto William senior ad acquistare per il giovane William<br />
dal percussionista di John Philip Sousa un tamburo in metallo<br />
da 6,5” x 14” di costruzione europea dal suono potente ed efficace.<br />
Sarà importante questo particolare per lo sviluppo futuro<br />
dei tamburi <strong>Ludwig</strong>: il tamburo denominato Tom Mills, dal nome<br />
del percussionista originale proprietario, era in realtà un Sonor<br />
importato dalla Germania. Il percussionista William <strong>Ludwig</strong> tentò<br />
di convincere la Leedy a costruirne uno, ma la Leedy si rifiutò,<br />
18<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
nella convinzione che i tamburi dovessero essere fatti sempre<br />
in legno. Allora <strong>Ludwig</strong> decise di costruirsene uno. A oggi questo<br />
‘tamburo ispiratore’, il Tom Mills, esiste ancora: fu venduto<br />
da <strong>Ludwig</strong> a Harry Cangany, famoso collezionista ed esperto di<br />
vintage, e successivamente donato da questi al Museo degli Strumenti<br />
Musicali di Shrine.<br />
La scena musicale di quegli anni è molto attiva. Sono questi gli<br />
anni del ragtime, dei film muti, del vaudeville, del primo jazz e di<br />
molti altri impieghi nel mondo musicale. Il lavoro non mancava e<br />
in quegli anni – nel 1909 per la precisione – i fratelli <strong>Ludwig</strong> costruirono<br />
il primo prodotto di successo, che garantì alla neonata<br />
ditta una lunga storia: il primo pedale per grancassa. Questo<br />
primo prodotto ‘di punta’, unito alla costruzione di tutti gli effetti<br />
per la sonorizzazione dei film muti (fischi di treno, richiami<br />
di uccelli, sirene e così via) e al primo rullante in metallo resero<br />
prospera la piccola azienda <strong>Ludwig</strong>. Nel 1914 William si sposa e<br />
con l’aiuto del genero Robert C. Danly costruisce il primo timpano<br />
a pedale per il cambio dell’intonazione; la <strong>Ludwig</strong> continuò<br />
a crescere superando due grandi ostacoli: il primo fu la morte<br />
di Theobald nel 1918 per un’epidemia; il secondo fu l’entrata<br />
degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale (1914-18). Pur<br />
varando il governo delle misure restrittive sull’utilizzo dei materiali<br />
in metallo per tutte le industrie non di prima necessità, la<br />
<strong>Ludwig</strong> resse bene gli anni di crisi, grazie ad alcune commissioni<br />
e ordinazioni di tamburi ricevute dal governo. In particolare, il<br />
genio di Danly servì a costruire dei meccanismi tendi cordiera<br />
STORIA<br />
LUDWIG & LUDWIG DELUXE STANDARD 14” X<br />
5” (1929): THE BLACK BEAUTY<br />
Come non cominciare da questo strumento per parlare<br />
dei rullanti <strong>Ludwig</strong>! Ecco l’oscuro oggetto del<br />
desiderio di tutti i collezionisti e anche dei musicisti<br />
più raffinati: il mitico Deluxe Standard meglio conosciuto<br />
con un solo nome: il Black Beauty. La storia di questi rullanti<br />
è piuttosto complessa, poiché generalmente si definiscono<br />
come Black Beauty tutti i rullanti <strong>Ludwig</strong> anodizzati a<br />
‘canna di fucile’ e, generalmente, i rullanti prodotti dal 1920<br />
fino al 1935 con finitura nera e tube lugs. In realtà la dicitura<br />
Black Beauty è presente solo nel catalogo 1932-1934.<br />
Ma veniamo a questo gioiello di bellezza e sonorità: questo<br />
tamburo ha la finitura definita come 10 point flat top double<br />
lined floral pattern. Significa, in pratica, che è stato prodotto<br />
solo ed esclusivamente nel 1929 e presenta la macchinetta<br />
tendi cordiera definita come Professional Strainer (restaurata<br />
per me da John Aldridge, il più grande esperto al mondo<br />
di Black Beauty), definito nel gergo vintage il Timepiece. Un<br />
meraviglioso rullante a 10 tiranti, con un efficacissimo tendi<br />
cordiera e una suono di bellezza assoluta in condizioni<br />
quasi perfette.<br />
che superavano in assoluto qualsiasi modello in commercio in<br />
quegli anni, e questo unitamente all’uso dei fusti in metallo rese<br />
i rullanti <strong>Ludwig</strong> i più richiesti.<br />
In realtà, ieri come oggi, i rullanti <strong>Ludwig</strong> erano e sono considerati<br />
uno standard assoluto: mi sono capitati nella mia vita centinaia<br />
di set, di tutte le marche possibili e immaginabili, ma tutti<br />
equipaggiati immancabilmente con un rullante <strong>Ludwig</strong>; e se ciò<br />
è particolarmente vero per tutti gli strumenti dagli anni ‘60 in<br />
poi (grazie all’onnipresente rullante modello SupraPhonic), lo fu<br />
anche negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Il fusto<br />
<strong>Ludwig</strong> in metallo era ottenuto senza la saldatura verticale, ma<br />
con due fusti sovrapposti in orizzontale e bombati in corrispondenza<br />
della sovrapposizione dei due fusti in ottone. Questo processo<br />
rendeva il fusto leggerissimo, resistente e – da un punto<br />
di vista sonoro – anche ottimo! Alla leggerezza contribuivano<br />
anche i tiranti a tubo (tube lugs) oggi ritornati in auge. A questo<br />
ci sono da aggiungere poi le continue migliorie tecniche<br />
ed estetiche che porteranno la <strong>Ludwig</strong> a costruire rullanti che<br />
ormai hanno fatto la storia di questo strumento: nel 1924 viene<br />
prodotto per la prima volta il <strong>Ludwig</strong> Deluxe, che altro non è se<br />
non il famosissimo Black Beauty con finitura del fusto a canna<br />
di fucile e incisioni e meccaniche dorate, il rullante tutt’oggi<br />
più ricercato dai collezionisti. Nel 1926 fa la sua comparsa sul<br />
catalogo il Super-<strong>Ludwig</strong>, il più celebre rullante con la cordiera<br />
ad azione parallela, giunto sino a noi con il nome di Supersensitive,<br />
che in quegli anni aveva un meccanismo che consentiva<br />
di regolare singolarmente la tensione di ogni filo della<br />
cordiera. Ma anche i tamburi in legno <strong>Ludwig</strong> sono molto belli:<br />
come non ricordare il Peackock Pearl o lo Stipel Gold, divenuto<br />
successivamente il <strong>Ludwig</strong>old. Tutti questi rullanti potevano<br />
essere acquistati nella versione regolare o Super-<strong>Ludwig</strong> e tutti<br />
erano immancabilmente (e sono per chi li possiede!) bellissimi.<br />
Terminato il primo conflitto mondiale, la scena musicale riprese<br />
florida e molto attiva. Il lavoro era fiorente e nuovi prodotti<br />
vennero sviluppati, come il pedale per la cassa, il Super-Speed,<br />
e il rullante Super Sensitive ad azione parallela per i lavori in<br />
teatri e radio. Nel 1923 la <strong>Ludwig</strong> aveva circa 350 tra impiegati<br />
e operai ed era già la maggior industria di strumenti a percussione,<br />
avendo di gran lunga superato la Leedy grazie ai suoi tre<br />
grandi prodotti: il pedale per grancassa, il rullante in metallo,<br />
e i timpani a pedale.<br />
Ma alla fine degli anni Venti succedono due avvenimenti impor-<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
19
tanti: nel 1927 partono i film con il sonoro, e dunque tutte le<br />
orchestrine impiegate nella sonorizzazione dei film spariscono<br />
(con tutti i vari effetti sonori!); e nel 1929 scoppiano la grande<br />
crisi economica e la depressione conseguenti al crollo di Wall<br />
Street. Questo costrinse la <strong>Ludwig</strong> a fondersi nel 1929 con la<br />
Conn, che acquisì nel 1931 anche la Leedy (altra storica ditta,<br />
più anziana della stessa <strong>Ludwig</strong>!); la costruzione dei tamburi fu<br />
trasferita da Chicago a Elkhart, e molti dei lavoratori di Chicago<br />
furono licenziati. La Conn continuò a vendere separatamente i<br />
tamburi marchiati Leedy e gli strumenti <strong>Ludwig</strong> & <strong>Ludwig</strong> (fino<br />
LUDWIG & LUDWIG PROFESSIONAL LAVANDER PEARL 14” X 5” (1929-30)<br />
Il modello Professional era uno dei modelli più diffusi tra i musicisti dell’epoca e<br />
forse il più diffuso tra i rullanti in legno. La caratteristica peculiare di questo rullante<br />
è la finitura, la rarissima Lavander Pearl prodotta dal 1929 fino al 1935. Questo<br />
rullante (acquistato dal collezionista Mike Curotto) possiede quella che io definisco la<br />
‘sonorità vintage’ per eccellenza degli anni ’20-’30: un suono legnoso e sempre caldo e<br />
presente, con una definizione sonora perfetta e un insieme di armonici perfettamente<br />
bilanciato. La macchinetta tendi cordiera, è la 338, piccola ma perfettamente funzionale<br />
e funzionante, e i tube lugs permettono al fusto di vibrare in tutta la sua struttura.<br />
Il fusto in mogano con cerchio di rinforzo è in perfetto stato; eventualmente una pelle<br />
di tipo naturale o simile (fiberskin o reinassance) esalta la bellezza sonora di questo<br />
tamburo. Insieme alle finiture Top Hat and Cane, Emerald, Streaked o Abalone Pearl e<br />
Peackock Pearl è tra le più rare finiture in ricopertura presenti sui tamburi <strong>Ludwig</strong><br />
degli anni ’20 e ’30. Equipaggiato con dieci tiranti, era ed è tuttora uno strumento<br />
efficacissimo. La data di costruzione di questo strumento si colloca intorno al 1929-<br />
1930.<br />
Buddy Rich fu l’endorser di punta<br />
di tutta la storia della WFL, tanto da comparire<br />
in copertina nel catalogo del 1948 e del 1949<br />
con due foto diverse che<br />
lo indicavano come “La Top<br />
WFL BUDDY RICH IN BLACK<br />
Star del mondo della batteria”.<br />
DIAMOND PEARL 14 X 5,5 (1950) Ovvio che la WFL, cioè la <strong>Ludwig</strong><br />
di allora, gli dedicasse un rullante<br />
per altro bellissimo. Prodotto dal 1947 fino al 1956, è un rullante a tre<br />
stati mogano-acero-mogano, con spessi cerchi di rinforzo in acero<br />
e una meccanica tendi cordiera, la cosiddetta Classic Strainer,<br />
cioè la P-87, molto efficace a patto che venga ben regolata (e<br />
magari è meglio assicurare la ruota cromata – la P1088 – con<br />
una vite di sicurezza o un fermo in gomma per evitare che<br />
salti durante una performance! Mi è successo, ovviamente…).<br />
I blocchetti e i cerchi sono cromati e sono i celebri<br />
Classic Lugs, di ottimo effetto visivo, funzionali e tuttora utilizzati<br />
sui rullanti, mentre la sordina presente è la P-40, che<br />
venne abbandonata quando <strong>Ludwig</strong> si riappropriò dei propri<br />
brevetti originali. L’anno di costruzione di questo rullante<br />
è intorno al 1950, (il WFL Buddy Rich venne prodotto dal<br />
1947 al 1956) con la sua bellissima finitura in Black Diamond<br />
Pearl. Buddy ovviamente ne utilizzava uno in White Marine Pearl.<br />
Quando <strong>Ludwig</strong> si riappropriò del proprio nome, questo rullante<br />
diventò il Buddy Rich Super Classic e, dal 1960, semplicemente il Super<br />
Classic. È un rullante molto versatile e sensibile, grazie al fatto che la<br />
cordiera si estende oltre il cerchio del rullante nella parte in cui<br />
viene azionata la leva tendi cordiera. Suono caldo, ma con<br />
il suo attacco deciso e quel mezzo pollice in più che<br />
fa la sua parte: realmente uno strumento<br />
degno di Buddy Rich!<br />
al 1951, quando operò la fusione in <strong>Ludwig</strong> & Leedy), ma William<br />
<strong>Ludwig</strong> non fu mai contento di lavorare per la Conn.<br />
Costretto a una posizione defilata nella ditta e scontento<br />
perché non venivano sviluppati nuovi prodotti, William<br />
decise di uscire dalla Conn e di rimettersi in<br />
proprio: nel 1937 acquista un edificio in Chicago<br />
e fonda una nuova ditta che (non potendo utilizzare<br />
il nome <strong>Ludwig</strong>) si chiamerà William F.<br />
<strong>Ludwig</strong> Drum Co. In seguito il nome venne<br />
abbreviato in WFL, utilizzando le sole<br />
iniziali. Dal 1937 dunque avremo due<br />
ditte con il nome <strong>Ludwig</strong>: la Conn<br />
continuerà a produrre i tamburi<br />
con il nome di <strong>Ludwig</strong> & <strong>Ludwig</strong>,<br />
in seguito <strong>Ludwig</strong> & Leedy, e la<br />
famiglia <strong>Ludwig</strong>, con il neo entrato<br />
William (Bill) Frank <strong>Ludwig</strong><br />
Junior, produrrà i tamburi marchiati<br />
con WFL. Anche questa volta<br />
fu un prodotto che riuscì a portare<br />
la WFL in auge: il celeberrimo pedale<br />
Speed-King, arrivato praticamente intatto<br />
fino ai nostri giorni! Inoltre una buona spinta<br />
alla produzione veniva sempre data dalla costruzione<br />
degli strumenti a percussione per le orchestre<br />
sinfoniche, e grazie agli sforzi del giovane William,<br />
conosciuto al secolo come Bill, anche una buona fetta<br />
della produzione era destinata al mercato delle scuole, dove<br />
20<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
DOWN BEAT BLACK GALAXY (1961)<br />
La finitura Black Galaxy, prodotta dal 1961 al<br />
1965, è considerata la più rara delle finiture<br />
<strong>Ludwig</strong>. Questo strumento ha le tipiche dimensioni<br />
jazz con cassa da 20”, tom da 12”, timpano<br />
da 14” e rullante – il mitico Supraphonic – da 14” x 5”.<br />
In particolare questo strumento presenta interessanti<br />
caratteristiche: è una delle prime Black Galaxy<br />
prodotte: lo desumiamo dai blocchetti di timpano e<br />
tom, di tipo a vite (P 1672) e non a occhiello, modello<br />
comparso successivamente (P 1216), oltre ovviamente<br />
al fatto che i badge non hanno numero di serie.<br />
Molto interessante è anche la scritta sulla pelle<br />
frontale della cassa denominata European Style.<br />
Ebbene sì: gli acquirenti europei desideravano la<br />
scritta <strong>Ludwig</strong> più in vista possibile, per cui la casa<br />
produceva per loro un logo sulla cassa più grande!<br />
Il modello Down Beat è stato uno dei modelli di<br />
maggior successo della <strong>Ludwig</strong>. Nata nel 1959 e apparsa<br />
su catalogo nel 1960, era equipaggiata agli inizi con<br />
un rullante Down Beat 14” x 4”; successivamente il rullante<br />
di base diventò il Supraphonic (era nota la preferenza di<br />
<strong>Ludwig</strong> per i rullanti in metallo, non solo per motivi sonori,<br />
ma anche commerciali). La Down Beat fu tenuta in catalogo<br />
fino al 1970 e la stessa composizione dal 1978 al 1980<br />
fu denominata Jazzette (da non confondere con le <strong>Ludwig</strong><br />
Jazzette degli anni ‘60 che avevano la cassa generalmente<br />
da 18” x 12”). La Down Beat è uno strumento versatilissimo<br />
tutt’oggi, molto ricercata sia dai collezionisti sia dagli users,<br />
proprio per la sua estrema versatilità. Il fusto è a tre strati<br />
– mogano africano, pioppo, mogano africano – con cerchi<br />
di rinforzo in acero. L’interno è verniciato con la vernice<br />
bianca denominata Resacote e il suo suono è, ovviamente,<br />
fantastico. Il batterista dei Doors, John Densmore, ne usava<br />
una in versione Mod Orange, ma ovviamente anche i vari<br />
jazzmen, in forza alla scuderia <strong>Ludwig</strong>, come Ed Thigpen o<br />
il mancino Stan Levey. Ma anche la prima <strong>Ludwig</strong> di Ringo<br />
fu una Down Beat, anche se la sua più celebre batteria divenne<br />
la Super Classic. La finitura Black Galaxy è nera con<br />
delle scagliette in argento, rosso, verde e giallo; pur essendo<br />
bellissima, non fu molto richiesta dai batteristi, per<br />
cui venne dismessa nel 1965 (assurdo se si pensa a come il<br />
colore nero ha dominato la scena delle batterie negli anni<br />
seguenti!). Questo strumento era di Antonio Golino (padre<br />
di Alfredo) e mi è giunto attraverso il sig. Patrizio Mauro,<br />
collezionista fiorentino, che ringrazio.<br />
praticamente fino agli inizi anni ‘80 la<br />
<strong>Ludwig</strong> ebbe sempre un ruolo predominante.<br />
Lo scoppio della seconda guerra<br />
mondiale ripropose il problema dei materiali<br />
per costruire i tamburi: non potevano<br />
essere utilizzate leghe metalliche<br />
per la costruzione di strumenti, e fu allora<br />
che emerse il genio di Cecil Strupe,<br />
JAZZ COMBO 13” X 3” BLACK OYSTER<br />
‘RINGO FINISH’ (1967)<br />
Il Jazz Combo è il primo grande rullante ‘piccolo’.<br />
Oggi lo utilizzeremmo come rullante ausiliario<br />
(e io ne faccio in abbondanza questo uso; è perfetto!).<br />
Questo tamburo fu introdotto, con il nome di<br />
Buddy Rich Be-Bop, nel 1949 (a quell’epoca il be-bop<br />
era in auge e tutto era o doveva essere be-bop!) ed<br />
era il fratello ‘minore’ del rullante Down Beat: stesso<br />
look, ma dimensioni ridotte, con due tiranti in meno,<br />
sei anziché otto; da non confondere con il Las Vegas,<br />
sempre da 13” ma alto 4”. Il Jazz Combo fu prodotto<br />
dal 1960 fino al 1970, ne fu fatta negli anni a seguire<br />
una versione in metallo e fu poi reintrodotto negli<br />
anni ’90. Questo rullante ha la finitura ‘Ringo’, cioè<br />
Black Oyster Pearl, e quindi è particolarmente pregiato.<br />
Ha ovviamente un suono acuto, ma non paragonabile<br />
ai nuovi rullanti ‘bassi’ o ‘piccolo’. Ha un fusto<br />
a tre strati con verniciatura interna in Resacote e tendi<br />
cordiera denominato P-84, molto efficace anche<br />
se di dimensioni ridotte. È il tipico rullante ‘soprano’,<br />
che può essere utilizzato come rullante principale in<br />
un contesto funk, ma che ovviamente non trovava<br />
una sua collocazione nella musica post anni ’70 (ecco<br />
perché dal ’70 in poi non venne prodotto). I blocchetti<br />
utilizzati su questo rullante (e sul Down Beat) costruiti<br />
nel 1955 hanno sempre avuto qualche problema<br />
(occhio agli inserti filettati che cadono<br />
se la vite viene completamente<br />
svitata!), ma hanno sempre una loro<br />
eleganza e funzionalità, poiché non<br />
aggiungono molta massa sul fusto.<br />
Questo rullante era di serie su un set<br />
particolarissimo (con il reggirullante<br />
montato sulla cassa) denominato<br />
Gold Coast e sul set Hobby (nella versione<br />
con finitura Duco). Il numero di<br />
serie è 452xxx e l’anno di costruzione<br />
è il 1967.<br />
22<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
SUPER CLASSIC BLACK<br />
OYSTER ‘RINGO FINISH’ (1968)<br />
Per molti anni questa è stata considerata<br />
‘la batteria’ e il motivo<br />
è ovvio: probabilmente non è<br />
mai esistito un gruppo più conosciuto<br />
dei Beatles e una batteria più celebre<br />
di quella di Ringo Starr. Tutti i ragazzi<br />
americani degli anni ’60 volevano<br />
questo strumento, così come i ragazzi<br />
delle generazioni precedenti desideravano<br />
le Slingerland Radio King di Gene<br />
Krupa. La finitura Black Oyster è sicuramente<br />
molto bella e le dimensione<br />
della Super Classic sono le classiche<br />
22”, 13”, 16”. Il rullante di Ringo era in<br />
legno, il modello Jazz Festival, il che<br />
negli anni successivi ha scatenato una<br />
caccia a tutti i rullanti in legno con finitura<br />
Black Oyster, che solo a causa della<br />
finitura costano molto di più del medesimo<br />
rullante in altra finitura. Questo<br />
vale per i rullanti Pioneer e anche per il<br />
Down Beat con cui è equipaggiata questa<br />
batteria. In realtà il rullante di serie<br />
era su questi strumenti il sempiterno<br />
Supraphonic da 14” x 5”. La Super Classic<br />
a mio giudizio è la batteria che più ha<br />
caratterizzato la <strong>Ludwig</strong>, è la <strong>Ludwig</strong><br />
per eccellenza, così come la Jazzette<br />
è la Gretsch per antonomasia o come<br />
la Radio King sta alla Slingerland o la<br />
Swingtime alla Rogers. Anche questo<br />
strumento presenta i fusti a tre strati,<br />
ma non la verniciatura Resacote: ha infatti<br />
una laccatura trasparente interna,<br />
oltre, per l’hardware, allo snodo a cremagliera<br />
per il reggitom (invece della<br />
rotellina forata); ma bisogna ricordare<br />
onestamente che Ringo (insieme a<br />
Ginger Baker, Bonzo, Mitch Mitchell<br />
e molti altri) preferiva montare come<br />
reggi tom il Rogers Swivo-matic, che<br />
era onestamente il miglior reggitom<br />
esistente in quegli anni). All’interno<br />
la data stampata è, su tutti i tamburi,<br />
quella del 24 giugno del 1968, e in<br />
realtà anche i badge numerati 622529<br />
(13”), 629891 (16”) e 629801 (22”) confermano<br />
l’assoluta appartenenza di<br />
questo strumento all’anno celebre<br />
della contestazione studentesca! Non<br />
sperate mai di trovare i numeri di serie<br />
perfettamente consequenziali su uno<br />
strumento <strong>Ludwig</strong>: lo facevano solo su<br />
richiesta e quindi ci può essere sempre<br />
una buona discrepanza tra un numero<br />
e l’altro. La Super Classic è un gioiello<br />
per versatilità e funzionalità. In pratica<br />
la maggior parte degli endorser <strong>Ludwig</strong><br />
la utilizzava e Joe Morello la preferiva<br />
anche per suonare jazz con il quartetto<br />
di Dave Brubeck. Ma se ci sono tante<br />
Super Classic è anche vero che il mondo<br />
ne ricorda una: quella di Ringo, il quale<br />
in realtà agli inizi utilizzava una Down<br />
Beat, ma poi ovviamente fu costretto a<br />
passare a suoni più ‘presenti’, e quindi<br />
utilizzò la Super Classic, denominata<br />
Set # 3 dagli storici dei Fab 4, perché è<br />
il terzo set posseduto da Ringo e anche<br />
il più utilizzato. Questo strumento<br />
fu prodotto e tenuto nei cataloghi dal<br />
1959 al 1974 (poi sostituita dalla Deluxe<br />
Classic, ovviamente con il Blue Olive<br />
badge). Gran bello strumento, di gran<br />
valore. E chi ce l’ha… lo sa!<br />
un bravissimo tecnico della WFL che disegnò una linea di tamburi<br />
e supporti completamente in legno efficacissimi. Un gigantesco<br />
ordine delle autorità militari consentì alla WFL di rimanere<br />
a galla durante quei difficili anni. Terminato il conflitto la WFL<br />
pubblica alla fine 1947 un bel catalogo, ideato dal giovane Bill<br />
con Buddy Rich in copertina, i blocchetti Classic (tuttora in uso)<br />
e tutta una serie di interessanti accessori, insieme alle prime<br />
batterie con nuovi rivestimenti in perloide.<br />
Nuove restrizioni all’utilizzo dei materiali metallici furono imposte<br />
dal 1950 al 1953 a causa della guerra in Corea, ma nel 1954<br />
accadde un evento importante, poco dopo l’uscita dell’ultimo<br />
catalogo della WFL: la Conn decise di vendere i due marchi di<br />
strumenti a percussione <strong>Ludwig</strong> e Leedy. Fu così che, per l’allora<br />
enorme cifra di 90.000 dollari, la famiglia <strong>Ludwig</strong> si riappropriò<br />
del marchi e del diritto di utilizzare il nome (mentre Bud Slingerland<br />
si appropriò del marchio Leedy). Tornarono così a Chicago<br />
tutti i macchinari che erano stati trasferiti a Elkhart, e ovviamente<br />
tutti i brevetti, i diritti e quant’altro. Altro momento importante<br />
per la casa di Chicago scatta nel 1958, quando cominciarono<br />
a essere prodotte le prime pelli in plastica: dopo alcuni<br />
mesi di tentativi la <strong>Ludwig</strong> produsse un ottimo strumento, la<br />
pelle in plastica denominata Weather Master. Nello stesso anno<br />
cominciò anche la produzione di quello che sarebbe diventato il<br />
più diffuso rullante al mondo: il <strong>Ludwig</strong> Supraphonic (ma notate<br />
che, dal 1958 al 1962, il rullante veniva denominato, con piccole<br />
differenze, Super <strong>Ludwig</strong>), grazie anche al fatto che la <strong>Ludwig</strong>,<br />
avendo riacquistato tutti i suoi brevetti, poteva riutilizzare i<br />
blocchetti Imperial, tutt’oggi usati sui rullanti <strong>Ludwig</strong>.<br />
Ma il grande terremoto stava per arrivare, e questa volta dall’Europa:<br />
si chiama Ringo Starr ed è il batterista di un gruppo che<br />
avrebbe cambiato la storia, i Beatles. Questo giovane batterista<br />
di Liverpool appena ne ebbe l’opportunità entrò nel principale<br />
negozio di strumenti di Londra e abbandonò la sua Premier per<br />
quello che allora era considerato dai musicisti europei uno status<br />
symbol, una batteria di costruzione americana, e in particolare<br />
la <strong>Ludwig</strong>. E come se non bastasse, Ringo ne era così orgoglioso<br />
che volle il logo della <strong>Ludwig</strong> esposto sulla cassa! La <strong>Ludwig</strong><br />
in finitura Black Oyster di Ringo Starr è forse la batteria più<br />
celebre al mondo (compare anche nella sigla del nostro TG1!)<br />
e ovviamente all’epoca divenne l’oggetto del desiderio di ogni<br />
aspirante batterista. Uno strumento simile costava all’epoca sei<br />
mesi di stipendio di un operaio medio in Italia e questo la dice<br />
lunga su quanto una <strong>Ludwig</strong> fosse in Europa ambita e desiderata.<br />
L’apparizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show il 9 febbraio<br />
del 1964 è ricordata come una delle date più importanti della<br />
storia della televisione (la pelle frontale della cassa usata in<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
23
BIG BEAT BLUE SPARKLE<br />
(1976)<br />
Per quelli della mia generazione,<br />
la Big Beat aveva e ha un fascino<br />
particolare. Era praticamente la<br />
batteria ‘moderna’, perché aveva due<br />
tom! La Big Beat della <strong>Ludwig</strong> era ed è<br />
realmente uno strumento fantastico,<br />
molto versatile e apprezzato in qualsiasi<br />
contesto. In quegli anni era utilizzato<br />
anche da Max Roach (ne aveva un<br />
modello in acero chiaro) e per me era il<br />
massimo! Sostanzialmente la Big Beat<br />
nasce dal modello Holliwood, il primo a<br />
due tom (in origine erano due tamburi<br />
da 12” x 8”, che successivamente diventarono<br />
12” x 8” e 13” x 9”). Le dimensioni<br />
della Big Beat sono 22” x 14”, 12” x 8” e 13”<br />
x 9”, con timpano da 16” x 16”. Uno strumento<br />
versatilissimo nato con il rullante<br />
Jazz Festival, ma in seguito equipaggiato<br />
con il mitico Supraphonic. La Big Beat<br />
comparve nei cataloghi dal 1969 fino al<br />
1985, ma in pratica è tuttora prodotta<br />
poiché è appunto uno strumento estremamente<br />
versatile. Questo<br />
strumento ha il suo rullante<br />
Jazz Festival e, portando<br />
i numeri di serie 119xxxx<br />
su tutti i tamburi, è databile<br />
1976. Si noti che alcuni badge<br />
sono rovinati: è tipico dei<br />
badge Blue Olive prodotti<br />
dal 1969 fino circa al 1979,<br />
quando la <strong>Ludwig</strong> arrotondò<br />
gli angoli dei badge, proprio<br />
perché spesso gli angoli<br />
a punta si incastravano<br />
e si rovinavano (a causa<br />
anche del rivetto tubolare<br />
troppo lungo prodotto fino<br />
a quegli anni). L’interno dei<br />
fusti è verniciato in una vernice denominata<br />
Granitone e i fusti sono a tre strati<br />
acero-mogano-acero con cerchio di rinforzo.<br />
Penso che le Big Beat siano le batterie<br />
per eccellenza degli anni Settanta<br />
con il loro suono, l’attacco dei tamburi<br />
leggermente più aggressivo rispetto alle<br />
<strong>Ludwig</strong> anni ’60 e le loro meccaniche<br />
più resistenti alle sollecitazioni dei rockers.<br />
Per la cronaca,<br />
nel libro Let It Be dei Beatles si vede<br />
chiaramente come Ringo sia passato a<br />
una Holliwood in acero chiaro, con due<br />
tom sulla cassa da 12” e 13”. Un grande<br />
strumento, forse il più versatile tra le<br />
batterie vintage e non. In questo caso<br />
alla Big Beat è stato abbinato, per motivi<br />
di look, un Jazz Festival anni ’60 con finitura<br />
uguale.<br />
JAZZETTE VISTALITE (1978)<br />
Le batterie in Vistalite sono state sempre degli strumenti ‘dedicati’<br />
al rock, sia come look che come sonorità. Il maggior<br />
volume, la minor presenza di armonici e il look aggressivo<br />
rendono questi strumenti più adatti a palchi con molta presenza scenica<br />
e di volume. Nonostante ciò Roy Haynes utilizzò una Vistalite<br />
con misure grandi, ma solo per un brevissimo periodo; anche Lionel<br />
Hampton in alcuni show televisivi utilizzò una Tivoli Vistalite (la batteria<br />
che aveva le<br />
lucine che illuminavano<br />
la batteria<br />
dall’interno) e, più<br />
vicino ai nostri<br />
giorni, Bob Moses<br />
con Gary Burton<br />
(una Vistalite con<br />
i tamburi uno diverso<br />
dall’altro)<br />
e Danny Gottlieb<br />
con Pat Metheny!<br />
Ovviamente la<br />
maggior parte di<br />
tamburi Vistalite<br />
sono prodotti<br />
in dimensioni<br />
‘grandi’, laddove già le dimensioni Big Beat cioè 22”, 12”, 13” e 16”<br />
hanno carenza nei bassi. Non è casuale che John Bonham utilizzasse<br />
una cassa da 26” e tom da 14”, 16” e 18”! I tamburi Vistalite furono<br />
introdotti a cavallo tra il 1972 e 1973, e la produzione cessò intorno al<br />
1983. Questo strumento è una rarissima Jazzette Vistalite: prodotte in<br />
numero limitatissimo, attualmente questa è una delle tre che si conoscano<br />
al mondo e tra queste sicuramente la più bella, nella finitura<br />
a tre bande trasversali denominata Tequila Sunrise; le tre fasce sono<br />
in colore rosso, ambra e giallo. E insieme allo strumento c’è il suo<br />
rullante da 14” x 5”. Le dimensioni della batteria sono 18”, 12”, 14” e<br />
sicuramente lo strumento ha un suono fantastico, ma particolarissimo!<br />
Per non parlare del suo indubbio effetto scenico. Non è la ‘classica’<br />
batteria da jazz, ovviamente, ma ha un suono fantasticamente<br />
aggressivo: è la perfetta batteria per suonare Jungle! Ovviamente i<br />
tamburi hanno un suono molto più acuto dei ‘corrispettivi’ in legno,<br />
e questo consente di suonare con intonazione jazzistica, senza dover<br />
avere le pelli tiratissime. Il rullante ha il classico suono ‘medioso’<br />
dei rullanti in Vistalite e per questo non è versatilissimo (infatti le<br />
Vista erano per lo più equipaggiate con il Supraphonic), ma ha un<br />
suo ‘colore’ caratteristico ed efficace, anche se in realtà spesso questi<br />
rullanti avevano problemi con i bearing edge. Dai numeri di serie si<br />
evince che questo strumento è stato costruito nel 1978 e porta come<br />
numeri di serie per tutti i tamburi 134xxxx. Nota importante: la cassa<br />
è 18” x 14” e non 18” x 12” come le Jazzette in catalogo della <strong>Ludwig</strong><br />
(anche se in realtà esistono tantissime <strong>Ludwig</strong> 18” x 14”).<br />
quella trasmissione è stata acquistata all’asta da Sotheby per<br />
44.000 dollari dal collezionista Russ Lease). Quel sabato cambiò<br />
il destino di molti giovani, che decisero di fare della batteria il<br />
loro mestiere, e ovviamente tutti questi giovani desideravano<br />
una <strong>Ludwig</strong>, allo stesso modo in cui i giovani degli anni ‘30 desideravano<br />
la Slingerland di Gene Krupa. Ma la televisione aveva<br />
amplificato e reso ‘assoluto’ un qualcosa che la radio degli anni<br />
Trenta rendeva solo in parte; Ringo continua anche oggi a usare<br />
le batterie <strong>Ludwig</strong>, pur non essendo mai stato contattato da Bill<br />
per diventare un endorser ufficiale! E del resto, come pagarlo?<br />
Se Buddy Rich costava alla <strong>Ludwig</strong> 50.000 dollari l’anno, quanto<br />
avrebbero dovuto dare mai a Ringo? Per fortuna della <strong>Ludwig</strong>,<br />
24<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
SUPRAPHONIC 14” X 6,5”:<br />
THE BONZO SNARE (1978)<br />
Il rullante Supraphonic è senza dubbio il rullante più<br />
celebre della storia ed anche il più utilizzato. Potremmo<br />
dividere con un grande spartiacque i batteristi che utilizzavano<br />
il Supra alto 5 pollici, da quelli che utilizzavano il<br />
6 pollici e mezzo; in realtà quest’ultimo è oggi conosciuto<br />
con un solo nome: the Bonzo Snare, ossia il rullante di John<br />
Bonham dei Led Zeppelin. Bonzo ebbe parecchi set <strong>Ludwig</strong><br />
(il suo endorsement si ebbe grazie all’interessamento<br />
di Carmine Appice), ma il rullante rimase sempre e solo<br />
questo, con cordiera Gretsch a 40 fili e fusto rigorosamente<br />
in metallo e non bronzo: a Bonham non piacevano affatto<br />
i rullanti in bronzo, perché meno squillanti di quelli in Ludalloy<br />
(la lega metallica della <strong>Ludwig</strong>). Il suo tecnico, Jeff<br />
Ocheltree, narra che i rullanti venissero graffiati all’interno<br />
per controllare che non fossero di bronzo! E in pratica tutta<br />
la schiera dei batteristi di scuola hard rock anni ‘70 utilizzò<br />
questo strumento: Roger Taylor dei Queen, Alan White degli<br />
Yes, Cozy Powell e ovviamente Ian Paice. Ma anche nel jazz<br />
questo rullante ha avuto i suoi fautori ed estimatori! Carl<br />
Allen ad esempio. Il numero di serie di questo rullante è<br />
131xxxx, il che data questo strumento al 1978. Un rullante di<br />
indubbia potenza, ma anche di grande sensibilità, che ne fa<br />
così uno dei tanti ‘classici’ costruiti dalla <strong>Ludwig</strong>, un must<br />
per ogni session man che si rispetti.<br />
il problema non si pose mai. Comunque, durante la conferenza<br />
stampa del 5 settembre in occasione della tournée statunitense<br />
dei Beatles nel 1964, Bill <strong>Ludwig</strong> – accompagnato dalla figlia e<br />
da Dick Schory (celebre manager di quegli anni) – consegnò a<br />
Ringo un rullante Supersensitive in oro a 14 carati (che il batterista<br />
ancora possiede) e ovviamente durante tutti questi anni<br />
gli sono state costruite tutte le batterie su misura che ha desiderato;<br />
e del resto, come non accontentarlo! Sono state persino<br />
costruite molte riedizioni della Black Oyster (ma quella originale<br />
ha un fascino ineguagliabile!), che hanno avuto un buon successo.<br />
Tra le altre cose, Ringo utilizzava un rullante in legno<br />
denominato Jazz Festival che sarebbe negli anni successivi<br />
diventato l’ossessione dei collezionisti. Un Jazz Festival in finitura<br />
Black Oyster non costa meno di 2.500 dollari; alcuni<br />
anni fa un esemplare nuovo di magazzino è stato venduto alla<br />
cifra esorbitante di 14.000 dollari! Alla metà degli anni Sessanta<br />
alla <strong>Ludwig</strong> furono costretti a organizzare turni notturni<br />
per poter soddisfare le richieste che pervenivano, non più solo<br />
dagli Stati Uniti, ma anche dall’Europa, Italia compresa. Nel<br />
frattempo la ditta continuava ad avere un ottimo fatturato<br />
con i tamburi per parata e i timpani per orchestra, oltre a<br />
produrre negli anni vari metodi e vari accessori. Si tenga poi<br />
presente che nel 1967 la <strong>Ludwig</strong> acquisì il marchio Musser,<br />
leader al mondo nella costruzione di marimbe, xilofoni, vibrafoni<br />
e altre percussioni intonate. Nel 1968 la <strong>Ludwig</strong> acquisì<br />
una ditta di custodie e una ditta pubblicitaria di Chicago, la<br />
Creative Corporation, che permise alla <strong>Ludwig</strong> di continuare e<br />
migliorare la pubblicazione della rivista The <strong>Ludwig</strong> Drummer e<br />
i cataloghi <strong>Ludwig</strong> (per chi scrive, dagli anni ‘80 in poi erano<br />
una specie di Bibbia: li conosco a memoria!). Nel 1972 nuovi<br />
materiali vengono sperimentati: il kevlon nella costruzione dei<br />
tasti degli strumenti intonati al posto del legno, mentre per<br />
la batteria vengono prodotti dei tamburi che creeranno una<br />
splendida variazione estetica e sonora: quelli trasparenti in<br />
Vistalite. All’inizio prodotti solo in colori trasparenti, giallo,<br />
rosso e ambra, in seguito ne vennero aggiunti molti altri con<br />
varie combinazioni di colori e possibilità. La produzione continuò<br />
fino al 1980, anno in cui venne pubblicizzata sul catalogo<br />
la mitica Tivoli Vistalite, con un sistema di luci interne che si<br />
illuminavano come un albero di Natale! Gli sforzi per costruire<br />
la Tivoli, il suo relativo insuccesso (il sistema di lucine si rompeva<br />
con facilità) e l’aumentare del costo della materia prima<br />
(il petrolio per costruire la plastica) fecero sì che nel catalogo<br />
del 1981 non ci fosse più traccia dei tamburi Vistalite, che verranno<br />
reintrodotti… in questi ultimi anni, peraltro con grande<br />
successo. Ma anche qui, è la storia della <strong>Ludwig</strong> che aiuta le<br />
reissues (riedizioni): chiunque di noi sia vissuto nei primi anni<br />
‘70 ricorda la splendida Vistalite color ambra usata all’apice del<br />
successo da John Bonham dei Led Zeppelin nei concerti dal<br />
vivo. Anche Bonzo utilizzò molti set <strong>Ludwig</strong> nella sua carriera,<br />
ma tutti ne ricordiamo uno: questo. Ecco perché la <strong>Ludwig</strong> ha<br />
costruito The Zep Set alcuni anni fa, in onore di Bonham. In<br />
realtà non tutti i batteristi amano i tamburi Vistalite, poiché<br />
il loro suono differisce radicalmente da quello del legno e non<br />
tutti lo gradiscono: ma è vero che il volume generato da una<br />
Vistalite, soprattutto in dimensioni grandi, è impressionante!<br />
Anche se – a parità di tensione – un tamburo Vistalite suonerà<br />
sempre più acuto di uno in legno.<br />
William <strong>Ludwig</strong> Senior muore nel 1973, lasciando a Bill <strong>Ludwig</strong> un<br />
impero musicale, la più grande ditta di strumenti a percussione<br />
mai esistita. Tutti i migliori e più importanti gruppi della scena<br />
(soprattutto pop rock) usano strumenti <strong>Ludwig</strong>: Led Zeppelin con<br />
John Bonham, Pink Floyd con Nick Mason, Ginger Baker, Carmine<br />
Appice, Alan White degli Yes, Roger Taylor dei Queen, Neil Peart<br />
dei Rush, e la lista potrebbe continuare per molto; ma si ricordi<br />
che dalla fine dei ’70 ai primi anni ‘80 ci furono in ambito jazz<br />
26<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
anche la terza sponsorizzazione di Buddy Rich (il rapporto tra<br />
Rich e la <strong>Ludwig</strong> meriterebbe molte pagine!) e quelle di Max<br />
Roach, Alan Dawson, Ed Thigpen, Roy Haynes, del sempiterno<br />
Joe Morello, protagonista per molti anni delle clinic della <strong>Ludwig</strong><br />
in tutto il mondo (anche in Italia), Ed Shaugnessy e del giovane,<br />
a quei tempi, Danny Gottlieb. Inoltre come non ricordare che il<br />
re degli studios in quegli anni, Hal Blaine, non solo utilizzava i<br />
tamburi <strong>Ludwig</strong>, ma fu l’artefice – non ampiamente riconosciuto<br />
con suo sommo disappunto – del primo Monster Kit, poi diventato<br />
il modello Octaplus. In realtà era un normale kit Super Classic<br />
‘potenziato’ con otto tom melodici, cioè senza pelle risonante.<br />
E non da ultimo va ricordato che la supremazia degli strumenti<br />
<strong>Ludwig</strong> nell’ambito degli strumenti a percussione per orchestra<br />
era praticamente assoluta, sia per i timpani, da sempre lo standard<br />
assoluto mondiale, sia per grancasse e tamburi da parata,<br />
sia per gli strumenti a percussione intonati (con la Musser), sia<br />
per grancasse sinfoniche e altro: la realizzazione del concetto di<br />
Total Percussion.<br />
Ma in questi anni cominciarono a emergere i primi problemi: la<br />
manodopera aumenta il suo costo e la concorrenza giapponese<br />
comincia a farsi sentire; per rinnovare la linea, migliorare la produzione<br />
e ridurre i costi si passò dal fusto in legno a tre strati<br />
con cerchio di rinforzo ai fusti a sei e quattro strati, più semplici<br />
da costruire; ma, essendo tamburi più spessi, risuonano meno,<br />
pur avendo un maggiore attacco (ecco spiegato il motivo per cui<br />
spesso i musicisti rock preferiscono i fusti anni ‘70 e i musicisti<br />
di area jazzofila i fusti più leggeri degli anni ’60). Le vendite alla<br />
fine degli anni ‘80 erano scese e la <strong>Ludwig</strong> ebbe forse il suo periodo<br />
peggiore nella storia, anche dal punto di vista della qualità<br />
dei prodotti; fu così che la famiglia <strong>Ludwig</strong> decise nel 1981 di<br />
vendere l’attività alla Selmer, ditta produttrice dei famosi sassofoni,<br />
tutt’ora proprietaria del marchio <strong>Ludwig</strong>. Dopo alcuni anni<br />
bui, successivi allo spostamento della ditta da Chicago a Monroe,<br />
la Selmer è riuscita a riportare in auge il marchio grazie proprio<br />
all’importanza che dalla ditta è stata data al proprio passato,<br />
per costruire ottimi strumenti nel presente. Inoltre Bill <strong>Ludwig</strong>,<br />
soprannominato The Chief, pur non essendo più proprietario della<br />
<strong>Ludwig</strong>, ha continuato a lavorare per la ditta come suo ‘ambasciatore’<br />
fino alla sua morte, avvenuta lo scorso anno. A lui è<br />
stato dedicato uno splendido rullante a edizione limitata, denominato<br />
appunto The Chief, un Supraphonic con fusto in titanio e<br />
meccanica tendi cordiera realizzati da Ronn Dunnett. In realtà è<br />
fuori di ogni dubbio che il fascino di un tamburo <strong>Ludwig</strong>, aldilà<br />
del suono (che in vero è sempre stato in ogni epoca di ottimo<br />
livello, se non addirittura il massimo per il periodo) consiste<br />
nella storia di questo marchio che ha attraversato la storia della<br />
musica moderna con i suoi prodotti, le sue invenzioni e i grandi<br />
personaggi relazionati a esso. E quindi siamo qui a festeggiare<br />
questo splendido centenario, con la costruzione da parte dell’italiano<br />
Adrian Kirchler di una riedizione del rullante Triumphal Gold<br />
in tiratura limitata di 100 esemplari. Beato chi lo può comprare!<br />
Antonio Di Lorenzo<br />
SERVIZIO<br />
COPIA SICURA<br />
IN EDICOLA<br />
Se vuoi essere sicuro di trovare BATTE-<br />
RIA & Percussioni nell’edicola a te più<br />
vicina, chiedi all’edicolante il NUME-<br />
RO DI CODICE dell’edicola e comunicalo<br />
alla redazione, telefonando allo 06<br />
86219919 o mandando una e-mail a<br />
batteriaepercussioni@gmail.com.<br />
Sul nostro sito (www.musicistaonline.it) troverete un altro articolo<br />
di Antonio Di Lorenzo in cui sono elencati tutti i libri che<br />
parlano della <strong>Ludwig</strong> reperibili sul mercato.<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
27
IL PRESENTE DELLA LUDWIG<br />
Nel 2002 la <strong>Ludwig</strong> è diventata una divisione della Conn-<br />
Selmer, e da allora si è aperto un nuovo capitolo nella storia<br />
della compagnia. Da allora la <strong>Ludwig</strong>, oltre a realizzare<br />
nuovi prodotti, continua ad aggiornare alcuni particolari dei suoi<br />
strumenti. Il general manager della compagnia, Grant Henry, ha<br />
recentemente dichiarato: “<strong>Ludwig</strong> è sempre stata conosciuta per<br />
le sue innovazioni; stiamo<br />
tornando alle nostre radici,<br />
ricreando quella ‘magia’ e<br />
reintroducendo il vintage<br />
feel del nostro passato, ma<br />
con le intuizioni innovative<br />
richieste dai batteristi di<br />
oggi. In fin dei conti Ringo<br />
Starr non suonava uno<br />
strumento vintage, ma una<br />
batteria nuova…”. Tra i<br />
nuovi prodotti espressamente realizzati per il centenario spicca<br />
una collezione speciale di rullanti, tra cui il rullante 100th<br />
Anniversary, una replica del modello Gold Triumphal del 1928<br />
(dell’epoca pare ce ne siano solo sette in circolazione), il cui<br />
fusto in ottone placcato<br />
in oro a 24 carati è inciso<br />
a mano, come del resto<br />
i cerchi (l’incisione è<br />
opera dell’italiano Adrian<br />
Kirchler, che potrete conoscere<br />
in una prossima<br />
intervista). Grazie alla<br />
cooperazione con un altro<br />
famoso incisore di tamburi,<br />
John Aldridge, si è creata anche una nuova versione di un<br />
rullante classico, il 100th Anniversary Black Beauty. Accanto a<br />
questi costosi prodotti per collezionisti, ci sono anche strumenti<br />
decisamente più abbordabili, come la serie di rullanti chiamata<br />
Black Magic, il cui fusto non è prodotto negli USA ed è inciso<br />
non a mano, ma al laser. A chiudere la rassegna dei rullanti del<br />
centenario abbiamo infine il rullante Chief Supraphonic, dotato<br />
di uno speciale badge ‘a toppa’ che commemora il soprannome<br />
di William F. <strong>Ludwig</strong> II.<br />
Dopo aver passato in rassegna i rullanti, vediamo ora in rapida<br />
successione le le linee di batterie introdotte per il centenario.<br />
LEGACY EXOTIC<br />
Questa linea professionale usa una combinazione di legni a tre<br />
strati, con dei fogli di acero del nord america a circondare uno<br />
strato centrale di pioppo e cerchi di rinforzo in acero monostrato;<br />
il risultato è un suono corposo e caldo. Per la loro eleganza,<br />
per il rivestimento esterno sono state scelte tre essenze esotiche:<br />
black limba africano, sumauma dall’Amazzonia e lacewood<br />
australiano.<br />
LEGACY CLASSIC LIVERPOOL 4<br />
In linea con l’originale Ringo kit, ecco il set Liverpool 4, ovviamente<br />
in finitura Black Oyster Pearl. La configurazione e i fusti a<br />
tre strati sono gli stessi ascoltati su tanti dischi classici; questo<br />
è il primo set della serie Legacy con i tiranti classic di misura<br />
standard e il nuovo sistema reggi tom Rail Consolette. I primi<br />
100 esemplari sono stati prodotti con il badge del 100° anniversario.<br />
STAINLESS STEEL LIMITED EDITION<br />
Lavorati a mano dall’espertissimo Ronn Dunnett, sono disponibili<br />
appena un centinaio di esemplari di questa Anniversary Edition<br />
Stainless Steel Pro Beat, metà dei quali in acciaio cromato ‘spazzolato’<br />
e hardware in ottone, l’altra metà in acciaio spazzolato e<br />
hardware cromato. Il volume è assicurato dai fusti ultra sottili e<br />
dagli accurati bearing edges di ogni tamburo.<br />
CENTENNIAL<br />
Vedi la prova di Edoardo Sala a pag. 14<br />
28<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
Parlando<br />
del “Capo” di<br />
Jim Catalano<br />
E P I C<br />
Mi sono sempre considerato una<br />
delle persone più fortunate<br />
del mondo, perché ho sempre<br />
nutrito il sogno di diventare batterista e<br />
il mio sogno si è avverato. Tutto ha avuto<br />
inizio il 9 febbraio 1964: era un sabato<br />
sera, avevo 11 anni e stavo guardando<br />
in tv l’Ed Sullivan Show quando ho visto<br />
i Beatles con Ringo Starr suonare una<br />
<strong>Ludwig</strong>. Wow! Era quello che volevo fare<br />
da grande! Dissi subito ai miei genitori:<br />
“Diventerò un batterista e prima o poi avrò<br />
una <strong>Ludwig</strong>, proprio come Ringo”. Beh,<br />
è successo davvero. Ho studiato tanto<br />
e mi sono laureato con un master in<br />
Percussioni. Crescendo mi capitava di<br />
guardare i cataloghi <strong>Ludwig</strong>, sperando<br />
di poter un giorno suonare qualche<br />
strumento di quelli che ammiravo sulla<br />
carta e magari di poter conoscere i<br />
<strong>Ludwig</strong>: in fin dei conti non si trattava<br />
tanto di un’industria che costruiva grandi<br />
strumenti, quanto di una famiglia che era<br />
stata all’avanguardia nel creare la stessa<br />
industria degli strumenti a percussione. Il<br />
mio viaggio ebbe inizio nel 1983, quando<br />
ottenni un lavoro presso la <strong>Ludwig</strong><br />
Drum Company. William F. <strong>Ludwig</strong> Jr.<br />
aveva venduto <strong>Ludwig</strong> alla Selmer ed<br />
era andato in pensione, pur continuando<br />
a essere impegnato in un paio di ‘eventi’<br />
relativi alla ditta. Incontrarlo fu per me<br />
un’emozione incredibile e credo che<br />
andammo d’accordo perché avevamo<br />
tanti interessi in comune. Io suonavo tutti<br />
gli strumenti a percussione, mi esibivo con<br />
un’orchestra sinfonica e una concert band<br />
locali, conoscevo bene i rudimenti, potevo<br />
eseguire tutti i vecchi soli di rullante<br />
basati su di essi, avevo una passione<br />
sincera per la musica e un intuitivo senso<br />
del business. Ma a lui interessava cogliere<br />
nelle persone in primo luogo la passione<br />
per la percussione. E così nel 1983 iniziai<br />
il primo dei miei 22 anni di lavoro accanto<br />
al n. 1 degli ambasciatori mondiali della<br />
percussione, Bill <strong>Ludwig</strong> II. Abbiamo<br />
visitato tutti gli States insieme, siamo<br />
stati spesso all’estero: per me si trattava<br />
di imparare da un maestro, di circa 40<br />
anni più vecchio di me. Ed era davvero<br />
divertente, sempre lì a raccontare aneddoti<br />
e a fare scherzi, a svelare retroscena: era<br />
davvero fantastico vederlo così felice,<br />
lontano dallo stress legato al fatto di<br />
possedere la ditta… Iniziai a chiamarlo<br />
Chief (capo, ndr) nel 1983, perché non<br />
riuscivo a chiamarlo semplicemente<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
Bill, né Mr. <strong>Ludwig</strong>, che sarebbe stato<br />
troppo formale. Capo indicava rispetto,<br />
riconoscimento delle sue posizioni<br />
e delle sue qualità, e io sapevo che si<br />
meritava quel soprannome, che ben<br />
presto venne adottato da tutti. Alcuni<br />
dei primi viaggi fatti insieme servirono<br />
per il lancio delle sue letture sulla Storia<br />
della percussione, una grande idea, perché<br />
nessuno al mondo aveva nell’anima<br />
più percussione del Capo. In più lui era<br />
anche un abile oratore, un istrione e uno<br />
showman istintivo che amava il mondo<br />
dei batteristi e degli strumenti. Guidare<br />
quelle auto a noleggio passando da una<br />
clinic all’altra attraverso la Nazione ha<br />
significato per me studiare la vera Storia<br />
della percussione al 101%: ossia, non solo<br />
quella della batteria e del drumming, ma<br />
la stessa storia dell’industria musicale.<br />
E il Capo si stupiva di quanto mi<br />
interessassero questi argomenti, e quindi<br />
continuava a raccontarmi storie su storie,<br />
tutte affascinanti. Ma lui aveva anche<br />
altri interessi: la storia della Guerra Civile,<br />
per esempio, ma poteva dire tanto anche<br />
a proposito di investimenti finanziari…<br />
Nel 2000 portammo la sua lettura sulla<br />
storia della percussione in Giappone: una<br />
missione diplomatica presso il nostro<br />
miglior cliente internazionale. Il Capo era<br />
un personaggio ben noto nell’ambiente:<br />
una sera a Tokyo ci imbattemo per strada<br />
nella sezione percussioni della Boston<br />
Symphony Orchestra al completo, i cui<br />
membri ovviamente lo riconobbero.<br />
A Bill <strong>Ludwig</strong> II stava molto a cuore la<br />
famiglia, la sua in primis, ma anche la<br />
mia. Una volte venne a Elkhart, Indiana,<br />
per un seminario sui timpani destinato<br />
ai nostri clienti; quel pomeriggio gli dissi<br />
che l’avrei lasciato solo per poter seguire<br />
un concerto di mio figlio Jimmy con<br />
l’orchestra della scuola superiore in cui<br />
studiava. E lui è voluto venire con me e<br />
dopo l’esibizione fu per me qualcosa di<br />
davvero speciale veder chiacchierare mio<br />
figlio e il Capo… Di solito, quando qualcuno<br />
guida per decenni una compagnia che a<br />
un certo punto viene venduta, per quella<br />
persona viene il tempo di andare in<br />
pensione e riposare sugli allori. Ma non<br />
era il caso di The Chief, che voleva ancora<br />
stare al centro delle cose con <strong>Ludwig</strong> e il<br />
nostro mondo percussivo.<br />
Per me è stato un vero onore avere<br />
l’opportunità di lavorare con Bill <strong>Ludwig</strong><br />
II per così tanti anni. Sono così orgoglioso<br />
di aver fatto progredire l’azienda e di<br />
aver contribuito a mantenere il Capo<br />
impegnato con la nostra compagnia: ciò<br />
gli ha consentito di andare avanti come<br />
una sorta di ‘patriarca’, un punto di<br />
riferimento per conoscenza, esperienza<br />
e gioia di vivere per tutti noi giovani che<br />
abbiamo viaggiato e lavorato con lui per<br />
anni e anni: gente come Bill <strong>Ludwig</strong> III,<br />
Chuck Heuck, Todd Trent, Bob Berheide,<br />
Ward Durrett, John Cummings, Dick<br />
Gerlach e tanti altri ancora. Che grande<br />
opportunità è stata per tutti noi poter<br />
lavorare con una leggenda vivente! In<br />
questo 2009 la <strong>Ludwig</strong> Drum Company<br />
celebra il suo 100mo anniversario, con<br />
alcuni prodotti speciali per onorare The<br />
Chief: abbiamo sempre considerato la<br />
compagnia come una famiglia, perché<br />
è così che è nata e questo è lo spirito<br />
che speriamo di mantenere. Per questo,<br />
come Bill <strong>Ludwig</strong> II avrebbe voluto che<br />
si dicesse, invitiamo tutti i batteristi e<br />
i percussionisti a “unirsi alla famiglia<br />
<strong>Ludwig</strong>”.<br />
Ora The Chief sta suonando il suo tamburo<br />
imperiale lassù in Paradiso. Ogni volta<br />
che penso a lui non posso fare a mano<br />
di sorridere, né posso ancora credere al<br />
percorso che ho avuto la fortuna di fare<br />
con lui. È stato un gigante del nostro<br />
tempo ed è diventato il mio mentore e un<br />
mio amico. Gli sarò grato in eterno per<br />
questo.<br />
Jim Catalano, responsabile vendite e<br />
marketing <strong>Ludwig</strong>/Musser nel settore<br />
Concert Percussion.<br />
29
EPIC SERIES<br />
Il suono centrato e tagliente della betulla combinato al caratteristico<br />
calore dell’acero, per una linea apprezzata in situazioni in<br />
cui è richiesto un volume notevole. Nuovi fusti ultra sottili a sei<br />
strati, quattro finiture classiche esaltate da un hardware Vintage<br />
Bronze per un look e un feel davvero brillanti.<br />
EPIC X-OVER<br />
I fusti ‘segmentati’ mirano a sposare la timbrica scura del noce<br />
americano con il calore dell’acero: la Epic X-Over Striped offre un<br />
mix tra bassi tuonanti e acuti brillanti, con il suo strato centrale<br />
di pioppo e cerchi di rinforzo in betulla a tre strati.<br />
EPIC MODULAR<br />
Il noce americano non è solo famoso per il suo colore scuro, ma<br />
anche per il calore del suo suono. La nuova Epic X-Over può contare<br />
su armonici più profondi della norma, perché ha uno strato<br />
in legno di pioppo all’interno di quelli in noce e cerchi di riforzo<br />
in tre strati di betulla per un suono ancor più focalizzato e assai<br />
articolato nel registro basso.<br />
EPIC X-OVER STRIPED<br />
Di base è equipaggiata con due rack tom, due timpani e due<br />
casse da 20” x 8” che possono essere ‘collegate’ per ottenere<br />
un suono davvero notevole. La relativa profondità di queste<br />
casse agevola un rimbalzo più veloce, mentre i tom e i timpani<br />
possono combinarsi in maniera differente e creativa – o addirittura<br />
– in due kit separati, per l’uso nei locali più piccoli o<br />
per l’insegnamento.<br />
30<br />
B&p | NOVEMBRE 2009
10. ELEMENT SERIES<br />
Pensata per gli studenti, questa linea presenta il sistema reggi<br />
tom Vibra-Bandi, i nuovi blocchetti Classic Keystone e due nuove<br />
finiture.<br />
ELEMENT SE (MODELLO COREY MILLER)<br />
ELEMENT LACQUER SERIES<br />
Due strati di pioppo al centro di ogni fusto a sei strati di betulla.<br />
Quattro le finiture laccate sulla betulla ‘marmorizzata’, esaltate<br />
da nuovi blocchetti Classic Keystone, dai cerchi da 2.5 mm (2<br />
mm per rullante e tom) o dallo hardware nero. La versione Emo<br />
four-piece shell pack ha la cassa da 22” x 20”.<br />
NOVEMBRE 2009 | b&p<br />
31