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ITALIA OGGI 25/09/2012 Fiat compra Chrysler o viceversa? La vera strategia transcontinentale di Sergio Marchionne, decifrata da un investitore Di Riccardo Ruggeri Da tre anni scrivo sull'industria dell'auto, e anche di Fiat: un libro (Parola di Marchionne, Brioschi ed.), una ventina di articoli, in cui ho espresso il mio pensiero di investitore. La crisi violenta del comparto ha avuto una ricaduta positiva: chiarezza sulla gerarchia dei valori. Due soli al comando, Volkwagen-Toyota, salvo i coreani, fenomeno a se, gli altri nel «gruppone», si agitano, si alleano, si separano, alcuni (bolliti) chiedono l'aiuto dei governi. La legge del «ciclo di rinnovo» - evoluzioni del prodotto in termini di innovazione-qualità-costi d'esercizio, vera discriminante fra leader e follower, fra chi investe molto e chi poco e tardi - non perdona. Spesso i follower, in silenzio, saltano un ciclo, risparmiano molti quattrini, distribuiscono dividendi e bonus, così si auto-affossano: lo sanno. Allora cercano alleanze fra di loro, disegnano fantastici scenari e progetti visionari (dicono sempre di risparmiare 2-3 miliardi sugli acquisti!): nessuna ha funzionato (Nissan-Renault è un caso a sé, sono tuttora entità separate, col solo Carlos Ghosn al vertice). Nel frattempo, Volkwagen e Toyota tirano dritto, rispettano i «cicli», aumentano profitti, quote di mercato, investimenti. Sono irraggiungibili. Rileggiamo il passato recente. Obama per liberarsi di Chrysler, fallita per la terza volta, la dotò di un ricco «corredo» normativo-economico (quattrini a fondo perduto, prestiti): fu offerta a tanti, solo Fiat accettò, però senza metterci quattrini; in quel marzo 2009 anch'essa era tecnicamente fallita (Moody's). Ubriachi di orgoglio nazionale («allora abbiamo la Chrysler!»), in Italia pochi si accorsero che gli azionisti Daimler «pagarono per uscire», mentre Fiat ebbe una partecipazione scambiandola con tecnologia (si disse, che genialata!). Chi di quattrini ne mise, e tanti, diventandone quindi azionista fu Obama: si affidò a Marchionne (gli italiani se ne innamorarono). Se conosci le regole del business, specie americano (chi mette i quattrini vince), capisci che la Chrysler di Obama implicitamente si era «comprata» Fiat. Sfuggì a molti. Poi Fiat presentò “Fabbrica Italia”, progetto “goloso” per l'Italia (eccitazione nazionale), disse: «costa» 20 miliardi, non chiese nulla, né agli azionisti (in 7 anni nessun aumento di capitale!) né al Governo, che comunque fece lo gnorri. Lo ritenni un frizzo, la cifra era bizzarra, come il resto, non riuscii a capire se il progetto serviva per aprire un dibattito di politica industriale, ovvero una semplice mossa tattica. D'altro canto, per investire su prodotti-processi rispettando il «ritmo» spietato dei «cicli di rinnovo», ci vogliono quattrini (tanti), uomini, reti di vendita, contesto: non c'erano. Dei 20 miliardi, Fiat ne investì 0,7 per uno stabilimento di montaggio (Pomigliano). Formalmente, Fiat (quotata) possiede la maggioranza di Chrysler (non quotata), che ha restituito il prestito al Tesoro Usa (indebitandosi con banche americane) ma l'«anima» di quest'azienda (concettualmente già «fusa») non ha più nulla di italiano. L'Ipo si terrà a Wall Street, il Quartier Generale sarà americano, parlerà inglese (ovvietà). Assumendo che Chrysler-Fiat entrerà in orbita entro il 2014-15 (quotazione a Wall Street), che la base di lancio sarà americana, quali saranno gli stadi intermedi (leggi stabilimenti italiani) che verranno abbandonati durante la salita nello spazio?

ITALIA OGGI 25/09/2012<br />

Fiat compra Chrysler o viceversa? <strong>La</strong> <strong>vera</strong><br />

<strong>strategia</strong> <strong>transcontinentale</strong> <strong>di</strong> Sergio<br />

<strong>Marchionne</strong>, decifrata da un investitore<br />

Di Riccardo Ruggeri<br />

Da tre anni scrivo sull'industria dell'auto, e anche <strong>di</strong> Fiat: un libro (Parola <strong>di</strong> <strong>Marchionne</strong>, Brioschi<br />

ed.), una ventina <strong>di</strong> articoli, in cui ho espresso il mio pensiero <strong>di</strong> investitore. <strong>La</strong> crisi violenta del<br />

comparto ha avuto una ricaduta positiva: chiarezza sulla gerarchia dei valori. Due soli al<br />

comando, Volkwagen-Toyota, salvo i coreani, fenomeno a se, gli altri nel «gruppone», si agitano,<br />

si alleano, si separano, alcuni (bolliti) chiedono l'aiuto dei governi.<br />

<strong>La</strong> legge del «ciclo <strong>di</strong> rinnovo» - evoluzioni del prodotto in termini <strong>di</strong> innovazione-qualità-costi<br />

d'esercizio, <strong>vera</strong> <strong>di</strong>scriminante fra leader e follower, fra chi investe molto e chi poco e tar<strong>di</strong> - non<br />

perdona. Spesso i follower, in silenzio, saltano un ciclo, risparmiano molti quattrini, <strong>di</strong>stribuiscono<br />

<strong>di</strong>viden<strong>di</strong> e bonus, così si auto-affossano: lo sanno. Allora cercano alleanze fra <strong>di</strong> loro, <strong>di</strong>segnano<br />

fantastici scenari e progetti visionari (<strong>di</strong>cono sempre <strong>di</strong> risparmiare 2-3 miliar<strong>di</strong> sugli acquisti!):<br />

nessuna ha funzionato (Nissan-Renault è un caso a sé, sono tuttora entità separate, col solo Carlos<br />

Ghosn al vertice). Nel frattempo, Volkwagen e Toyota tirano dritto, rispettano i «cicli», aumentano<br />

profitti, quote <strong>di</strong> mercato, investimenti. Sono irraggiungibili.<br />

Rileggiamo il passato recente. Obama per liberarsi <strong>di</strong> Chrysler, fallita per la terza volta, la dotò<br />

<strong>di</strong> un ricco «corredo» normativo-economico (quattrini a fondo perduto, prestiti): fu offerta a tanti,<br />

solo Fiat accettò, però senza metterci quattrini; in quel marzo 2009 anch'essa era tecnicamente<br />

fallita (Moody's). Ubriachi <strong>di</strong> orgoglio nazionale («allora abbiamo la Chrysler!»), in Italia pochi si<br />

accorsero che gli azionisti Daimler «pagarono per uscire», mentre Fiat ebbe una partecipazione<br />

scambiandola con tecnologia (si <strong>di</strong>sse, che genialata!).<br />

Chi <strong>di</strong> quattrini ne mise, e tanti, <strong>di</strong>ventandone quin<strong>di</strong> azionista fu Obama: si affidò a <strong>Marchionne</strong><br />

(gli italiani se ne innamorarono). Se conosci le regole del business, specie americano (chi mette i<br />

quattrini vince), capisci che la Chrysler <strong>di</strong> Obama implicitamente si era «comprata» Fiat. Sfuggì a<br />

molti. Poi Fiat presentò “Fabbrica Italia”, progetto “goloso” per l'Italia (eccitazione nazionale),<br />

<strong>di</strong>sse: «costa» 20 miliar<strong>di</strong>, non chiese nulla, né agli azionisti (in 7 anni nessun aumento <strong>di</strong> capitale!)<br />

né al Governo, che comunque fece lo gnorri. Lo ritenni un frizzo, la cifra era bizzarra, come il resto,<br />

non riuscii a capire se il progetto serviva per aprire un <strong>di</strong>battito <strong>di</strong> politica industriale, ovvero una<br />

semplice mossa tattica. D'altro canto, per investire su prodotti-processi rispettando il «ritmo»<br />

spietato dei «cicli <strong>di</strong> rinnovo», ci vogliono quattrini (tanti), uomini, reti <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta, contesto: non<br />

c'erano. Dei 20 miliar<strong>di</strong>, Fiat ne investì 0,7 per uno stabilimento <strong>di</strong> montaggio (Pomigliano).<br />

Formalmente, Fiat (quotata) possiede la maggioranza <strong>di</strong> Chrysler (non quotata), che ha restituito il<br />

prestito al Tesoro Usa (indebitandosi con banche americane) ma l'«anima» <strong>di</strong> quest'azienda<br />

(concettualmente già «fusa») non ha più nulla <strong>di</strong> italiano. L'Ipo si terrà a Wall Street, il Quartier<br />

Generale sarà americano, parlerà inglese (ovvietà). Assumendo che Chrysler-Fiat entrerà in orbita<br />

entro il 2014-15 (quotazione a Wall Street), che la base <strong>di</strong> lancio sarà americana, quali saranno gli<br />

sta<strong>di</strong> interme<strong>di</strong> (leggi stabilimenti italiani) che verranno abbandonati durante la salita nello spazio?


Si prenda coscienza, il ciclo dell'Italia «automobilistica» durato cent'anni si è compiuto, rimarrà<br />

un interessante «mercato», con un paio <strong>di</strong> stabilimenti <strong>di</strong> montaggio, come la Polonia, l'Inghilterra,<br />

la Spagna.<br />

Non incolpiamo il meschino articolo 18 <strong>di</strong> nefandezze che (in questo caso) non ha, saltare i «cicli<br />

<strong>di</strong> rinnovo» ha portato Fiat a essere marginale nel mercato europeo e ciò come conseguenza <strong>di</strong><br />

decisioni prese, scientemente, dai vertici Fiat negli ultimi 15 anni (carenza <strong>di</strong> capitali), e<br />

quin<strong>di</strong> costretta a chiudere stabilimenti (per ora Termini). Molti non se ne sono accorti, ma in<br />

questi tre anni Fiat ha svolto verso Chrysler un ruolo (nobile), nell'atletica leggera si chiama<br />

«lepre»: ora è esausta, sta rientrando nello spogliatoio, si prepara al momento dello «switch».<br />

Il Governo prenda atto delle scelte strategiche già fatte da Fiat Auto, dell'irreversibilità del<br />

processo <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionamento degli stabilimenti, lasci perdere il ri<strong>di</strong>colo Economist («l'auto è il<br />

simbolo della virilità nazionale»).<br />

Vogliamo parlare <strong>di</strong> politica industriale? Bene, escludendo che si vogliano <strong>di</strong>fendere, con<br />

quattrini pubblici, posti <strong>di</strong> lavoro che il mercato ha da tempo cancellato (vivi solo per il «bocca a<br />

bocca» della cassa), concentriamoci su stabilimenti <strong>di</strong> montaggio coerenti con le quote <strong>di</strong> mercato<br />

Fiat.<br />

In particolare su Alfa Romeo, marchio talmente appetibile che può essere ceduto con, in «dote<br />

passiva», uno stabilimento e relativo personale. Avere, finalmente, in Italia un secondo produttore<br />

d'auto, specie uno dei due leader assoluti, non può che essere stimolante per l'industria della<br />

componentistica, sottovalutata, tenuta ai margini, sia dalla politica che dai me<strong>di</strong>a. Come ovvio,<br />

nessun problema per Ferrari e Maserati: vivono <strong>di</strong> luce propria. Il caso Fiat Auto ormai è storia,<br />

restano aperti alcuni temi <strong>di</strong> tipo logistico-produttivo, tutto qua.

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