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pdf pagina 1 - Biloslavo, Fausto

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Morti e saccheggi a Goma<br />

Nello scontro tra governo<br />

del Congo e ribelli spunta<br />

la questione cinese<br />

Accuse incrociate tra il leader dei tutsi<br />

Nkunda e il presidente Kabila sui<br />

“padrini” a Pechino e a Washington<br />

Londra insiste per la missione<br />

Kinsasha. Il conflitto in Congo, con morti<br />

e saccheggi nella zona orientale del paese,<br />

ha fatto emergere uno scontro geopolitico,<br />

una “nuova guerra fredda” secondo la definizione<br />

di alcuni analisti, tra Cina e Stati<br />

Uniti sul continente africano. Da una parte<br />

c’è l’espansionismo, non soltanto economico,<br />

di Pechino a caccia di risorse energetiche<br />

e minerarie. Dall’altra c’è il contenimento<br />

americano, che prende il posto del<br />

ruolo storico giocato in Africa dai grandi<br />

paesi europei, sempre più spaccati e indecisi.<br />

Tre giorni fa, il capo dei ribelli tutsi,<br />

Laurent Nkunda, che ha conquistato ampie<br />

fette del nord Kivu ed è alle porte di Goma,<br />

capoluogo della strategica regione congolese,<br />

annunciava un cessate il fuoco unilaterale<br />

e la disponibilità a trattare con il governo<br />

di Kinshasa. Nkunda, accusato di crimini<br />

di guerra, ha fatto alcune rivendicazioni.<br />

Una di queste rivela i riflessi strategici del<br />

conflitto: Nkunda chiede al presidente congolose,<br />

Joseph Kabila, di rinegoziare il patto<br />

d’acciaio siglato pochi mesi fa con la Cina.<br />

Un accordo di 9 miliardi di dollari per<br />

la costruzione di infrastrutture in cambio<br />

dei diritti di sfruttamento delle risorse minerarie.<br />

L’intesa prevede un investimento<br />

di Pechino di sei miliardi di dollari per la<br />

costruzione, attraverso imprese cinesi, di oltre<br />

seimila chilometri di strade, tremila chilometri<br />

di linee ferroviarie, due dighe, ospedali<br />

e scuole. I rimanenti tre miliardi saranno<br />

investiti nel settore minerario. L’accordo<br />

configura la creazione di una joint venture,<br />

detenuta al 68 per cento dal gruppo di imprese<br />

cinesi Railway Group e Sinohydro<br />

Corporation e al 32 dalla<br />

società nazionale congolese<br />

Gécamines. I termini<br />

dell’intesa prevedono “l’esenzione<br />

totale” da qualsiasi<br />

tassa o imposta sullo<br />

sfruttamento e la commercializzazione<br />

dei minerali<br />

fino al rimborso dell’investimento<br />

iniziale. Un’inchiesta<br />

condotta dall’Onu<br />

L. NKUNDA<br />

ha stabilito che le guerre in Congo riguardano<br />

da vicino “l’accesso, il controllo e il commercio”<br />

dei cinque principali minerali che<br />

si trovano nel sottosuolo del paese (coltan,<br />

diamanti, rame, cobalto e oro). Lo sfruttamento<br />

di queste risorse da parte di forze<br />

straniere, spesso intervenute militarmente<br />

in Congo, è risultato “sistematico”. I vicini<br />

Uganda e Ruanda sono stati accusati di avere<br />

trasformato le loro forze armate in “eserciti<br />

d’affari”.<br />

Il Kivu, dove da anni combatte il generale<br />

Nkunda, è uno dei forzieri minerari del<br />

Congo. Il capo dei ribelli è un tutsi legato al<br />

Fronte patriottico ruandese fondato da<br />

Paul Kagame, padre-padrone del Ruanda.<br />

L’appoggio dell’esercito ruandese ai miliziani<br />

di Nkunda è un segreto che tutti sanno.<br />

Sul fronte opposto, le fatiscenti forze armate<br />

congolesi sono alleate con i resti degli<br />

hutu che si macchiarono del genocidio<br />

in Ruanda nel 1994. Laurent Kabila, il discusso<br />

padre dell’attuale presidente congolese,<br />

frequentò ai tempi della Guerra fredda<br />

una scuola militare in Cina per poi seminare<br />

guerriglia e verbo marxista in Africa.<br />

Il giovane erede, che ha perso la fiducia<br />

negli europei, punta ai cinesi per possibili<br />

forniture militari, come elicotteri d’attacco<br />

e addestramento.<br />

L’addestramento dei ruandesi<br />

La penetrazione di Pechino in Congo e<br />

nel resto del continente africano è vista come<br />

una minaccia da Washington. Gli americani<br />

considerano alleati di ferro il Ruanda<br />

e l’Uganda, definiti i “prussiani” dell’Equatore.<br />

Kagame, nel 1990, frequentò un programma<br />

di addestramento a Fort Leavenworth<br />

in Kansas. Lo scorso gennaio, il<br />

governo americano ha stanziato 7 milioni di<br />

dollari per addestramento ed equipaggiamento<br />

militare alle truppe ruandesi. Consiglieri<br />

americani istruiscono gli ufficiali di<br />

Kigali. Sia per le missioni di pace cui partecipano,<br />

come quella in Darfur, che nell’ottica<br />

della guerra al terrorismo globale.<br />

Il Ruanda è uno degli alleati chiave sui<br />

quali punta il neonato Africom, il sesto comando<br />

americano sul teatro strategico globale.<br />

Non è un caso che nelle ore cruciali<br />

dell’avanzata di Nkunda su Goma il segretario<br />

di stato americano, Condoleezza Rice,<br />

abbia telefonato al presidente ruandese<br />

Kagame per cercare di evitare le violenze.<br />

Francesi e belgi, vicini al governo congolese<br />

e odiati dai tutsi ruandesi, hanno ipotizzato<br />

l’invio di 1.500 soldati europei per<br />

sostituire i Caschi blu, già in fuga. Se ne discuterà<br />

domani a Marsiglia alla riunione<br />

dei capi delle diplomazie dell’Unione europea,<br />

ma ci sono già parecchie spaccature. Il<br />

ministro degli Esteri francese, Bernard<br />

Kouchner e il suo collega britannico, David<br />

Miliband, sono in missione in Congo da sabato.<br />

Londra insiste per la missione, al momento<br />

l’accordo c’è soltanto sull’obiettivo<br />

di organizzare una conferenza di pace a<br />

Nairobi per far sedere allo stesso tavolo<br />

Kabila e Kagame.<br />

IL FOGLIO<br />

quotidiano<br />

Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1<br />

Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO<br />

ANNO XIII NUMERO 299 DIRETTORE GIULIANO FERRARA DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008 - € 1<br />

IL MONDO PERFETTO DI BARACK OBAMA<br />

Il cambiamento, la crisi, il rock e Wall Street. Così si è imposto l’american dream<br />

Lo staff del candidato repubblicano non molla e segnala riprese negli stati in bilico<br />

New York. A due giorni dalle elezioni presidenziali<br />

– con i sondaggi che continuano a<br />

minacciare una débâcle, tranne uno Zogby<br />

che dà addirittura John McCain avanti di un<br />

punto – il manager della campagna elettorale<br />

di John McCain ha scritto un memorandum<br />

dal titolo “The Final Push - The State of<br />

the Campaign” per spiegare che in queste ultime<br />

ore il suo candidato sta recuperando e<br />

che, al contrario di chi lo considera già sconfitto,<br />

ha buone possibilità di farcela, martedì<br />

notte. Il fronte Obama sostiene l’esatto contrario<br />

e ieri, a dimostrazione che il candidato<br />

democratico è competitivo ovunque, ha cominciato<br />

a comprare spot televisivi in stati<br />

tradizionalmente repubblicani, come il Nord<br />

Dakota, la Georgia e addirittura l’Arizona, lo<br />

stato di McCain.<br />

Il manager del candidato repubblicano,<br />

Rick Davis, ha spiegato che un elettore su sette<br />

è ancora indeciso. Questo vuol dire che se<br />

martedì andranno alle urne 130 milioni di<br />

americani, come si crede, ce ne sono ancora<br />

New York. Martedì è il giorno delle elezioni,<br />

ma per il Partito repubblicano, qualunque<br />

sarà l’esito elettorale, quelli decisivi sono<br />

i giorni successivi. Anche se John McCain<br />

THE WRONG NATION<br />

QUARTO DI UNA SERIE DI ARTICOLI<br />

18 milioni e mezzo da convincere. McCain<br />

pensa di farcela perché finire alla grande, dopo<br />

che è stato dato per morto, è una sua antica<br />

caratteristica, ma anche perché i sondaggi<br />

cominciano a segnalare un avvicinamento<br />

dei due candidati. La settimana scorsa, ha<br />

scritto Davis, i sondaggi davano McCain indietro<br />

di dieci e rotti punti, a metà di questa<br />

settimana almeno quattro rilevazioni nazionali<br />

sono rientrate entro il margine di errore.<br />

A livello statale, dove per McCain sarà<br />

più difficile recuperare il vantaggio di Obama,<br />

Davis sostiene che si nota un fenomeno<br />

simile, come dimostra l’improvvisa competitività<br />

dello Iowa, uno stato considerato da<br />

mesi nella colonna Obama e dove invece venerdì<br />

il candidato democratico è stato costretto<br />

a fare tappa. Poi ci sono gli stati del<br />

South West – Nevada, New Mexico e Colorado<br />

– che in questi mesi sono sembrati l’obiettivo<br />

più facile di Obama. In particolare<br />

in Colorado la gara si è fatta più serrata, sostiene<br />

la campagna McCain, che vede una<br />

dovesse riuscire a diventare presidente con<br />

un recupero prodigioso, il Partito repubblicano<br />

resta a corto di idee e incapace di tenere<br />

insieme l’antica coalizione di liberisti,<br />

conservatori sociali e neoconservatori che ha<br />

dominato intellettualmente gli ultimi 28 anni<br />

della politica americana. McCain non è un<br />

esponente tipico del suo partito e la sua invece<br />

probabile sconfitta contro Barack Obama<br />

ha già accelerato la resa dei conti e la<br />

battaglia dietro le quinte per ridefinire l’anima<br />

repubblicana. Il quotidiano online The<br />

Politico ha svelato che giovedì, due giorni dopo<br />

il voto presidenziale, numerosi leader<br />

conservatori si riuniranno per un lungo<br />

weekend in una casa di campagna della Virginia<br />

per avviare la discussione su come rivitalizzare<br />

un partito che con ogni probabilità<br />

perderà la Casa Bianca e subirà un’ulteriore<br />

e pesante sconfitta al Congresso. La fonte<br />

anonima citata da The Politico sostiene che<br />

in caso di vittoria di McCain il gruppo di leader<br />

conservatori si porrà il problema di come<br />

confrontarsi con la nuova Amministrazione,<br />

ben sapendo che il conservatore alla Casa<br />

Bianca non sarà McCain, ma Sarah Palin.<br />

Una settimana dopo le elezioni, a Miami, si<br />

riunirà l’associazione dei governatori repubblicani<br />

e l’incontro, a cui parteciperanno intellettuali,<br />

politici, sondaggisti ed ex generali,<br />

è già considerato come il primo appuntamento<br />

ufficiale per discutere il futuro del<br />

partito, seguito qualche giorno dopo a Myrtle<br />

Beach da una riunione convocata dal presidente<br />

del Grand Old Party della Carolina del<br />

sud, Keaton Dawson, uno che è in lizza per<br />

diventare presidente del partito nazionale. A<br />

gennaio, infine, il partito che in caso di sconfitta<br />

di McCain si troverà privo di leadership<br />

ripresa repubblicana anche in Ohio e Pennsylvania,<br />

due stati che insieme fanno 41<br />

grandi elettori. Qui McCain e la sua vice, Sarah<br />

Palin, ma anche Arnold Schwarzenegger<br />

e Rudy Giuliani, stanno concentrando i<br />

loro ultimi sforzi, puntando proprio sugli indecisi<br />

e su chi resta scettico nei confronti<br />

delle ricette fiscali di Obama.<br />

In generale, sostiene il team McCain, Obama<br />

fatica a raggiungere quota 50 per cento<br />

anche nei sondaggi che lo segnalano in testa,<br />

ma si assesta sempre sul 45-48 per cento negli<br />

stati in bilico. Davis, inoltre, ricorda che<br />

alle primarie democratiche Obama ha spesso<br />

preso meno voti rispetto a quelli che gli<br />

assegnavano i sondaggi. Gli obamiani spiegano<br />

di avere un vantaggio strategico e demografico,<br />

grazie alla mobilitazione dei giovani<br />

e degli afroamericani che solitamente non<br />

votano. Ma le analisi di Davis su chi ha già<br />

votato (dove è consentito il voto anticipato o<br />

per posta) non mostrano un cambiamento<br />

della composizione dell’elettorato: “E’ gente<br />

che molto probabilmente avrebbe comunque<br />

votato, a prescindere dall’alto interesse<br />

suscitato da questa campagna”. Il team Mc-<br />

Cain sostiene inoltre che la mossa obamiana<br />

di spendere soldi nelle ultime ore di campagna<br />

in Nord Dakota, Georgia e Arizona è un<br />

segno di debolezza, un tentativo di allargare<br />

il campo di battaglia in extremis perché sono<br />

diventati a rischio alcuni stati considerati<br />

sicuri fino a pochi giorni fa.<br />

Le ultime ore di McCain e Palin saranno<br />

di fuoco, spiega Davis. Lunedì i due candidati<br />

repubblicani toccheranno quattordici<br />

stati e nelle ultime 72 ore scatteranno le delicate<br />

operazioni di “get out the vote”, quelle<br />

per convincere la gente a recarsi alle urne.<br />

I repubblicani sono maestri di questa<br />

tecnica, al punto che Obama sta adottando<br />

il modello bushiano del 2004. Davis però sostiene<br />

che la sua organizzazione sta facendo<br />

meglio di Bush 2004 e, a sorpresa, ha svelato<br />

che nei rush finali McCain trasmetterà<br />

più spot tv di Obama.<br />

Come uscire dai guai del Grand Old Party<br />

Le Balene colpiscono ancora<br />

oi, qui, non abbiamo un “sogno italia-<br />

Ci risulta difficile credere che il so-<br />

Nno”.<br />

gno americano possa essere moneta corrente,<br />

non nei salotti di Manhattan, ma nel paese<br />

normale. E che il suo sgretolarsi abbia<br />

provocato un effetto simile a quello di un abbandono<br />

del tetto coniugale. Il miliardariofilantropo<br />

Carnegie scriveva che sfortunato<br />

è il riccone che muore avvinghiato ai suoi<br />

quattrini, senza aver permesso loro<br />

di riciclarsi in lubrificante sociale.<br />

Warren Buffett, un altro che a un<br />

certo punto ha scaricato il superfluo<br />

dal conto in banca nel circuito della<br />

produzione di opportunità, nei<br />

giorni del crollo di Wall Street invitava<br />

i connazionali a salvaguardare<br />

la dignità, contrariamente ai<br />

pirati della finanza americana. Barack<br />

Obama, in quelle stesse ore,<br />

al fatale incontro con Joe l’idraulico,<br />

usò l’espressione “distribuzione<br />

del benessere” per riassumere la sua<br />

visione per l’America che s’augurava di governare:<br />

un posto dove le possibilità tornino<br />

ad aprirsi, le vie per il paradiso siano praticabili<br />

e dove chi sta meglio, chi ha già conseguito<br />

un assodato benessere, accetti di pagare<br />

qualche soldo in più per aiutare chi sta<br />

peggio. Niente di nuovo in questo, niente<br />

che contraddica il credo nella buona volontà<br />

e nell’empatia su cui i Padri fondatori avviarono<br />

il loro progetto. Perfino l’espressione<br />

“distribuzione del benessere”, usata da Obama<br />

a Toledo, non è originale, è riciclata da<br />

un personaggio di Thornton Wilder che, a un<br />

certo punto, paragona il denaro al concime:<br />

non ha valore se non lo si usa.<br />

Eppure, nel rush della campagna, i repubblicani<br />

hanno selezionato il leit-motiv<br />

dell’“Obama socialista”, del redistributore<br />

che ti ficca le mani in saccoccia, per screditare<br />

l’avversario e spaventare l’America indecisa.<br />

Dimenticando che, come<br />

suggeriscono campioni del capitalismo<br />

tipo Carnegie e Buffett, la via<br />

americana non ha mai rischiato<br />

d’intingersi in tentazioni collettivistiche,<br />

pur provando a instaurare<br />

una logica e un’etica del pluralismo<br />

che ispirasse la crescita civile. Riallacciarsi<br />

a quel filo di generosità e attenzione<br />

è uno dei meriti della campagna<br />

di Obama per la presidenza, per come<br />

l’ha concertata e per come, interpretando i<br />

suoi desideri, David Axelrod l’ha orchestrata<br />

sul filo della grande rappresentazione. Non è<br />

un caso che, partendo da questa visione e dalla<br />

solennità con cui andava presentata, il senatore<br />

dell’Illinois abbia generato un movimento<br />

popolare che va oltre la questione dell’anacronistica<br />

persistenza dei partiti politici.<br />

Obama inizia una campagna improbabile<br />

senza quattrini e senza sponsor, ma travolge<br />

l grande capitalista (finalmente) s’è mosso.<br />

IRupert Murdoch, proprietario di un colosso<br />

dell’informazione mondiale, con le testate<br />

più vendute dall’Australia agli Stati Uniti<br />

andata e ritorno, è uscito dall’ortodossia<br />

obamiana imperante e ha dichiarato che la<br />

vittoria di Barack Obama alle elezioni di<br />

martedì può peggiorare la crisi finanziaria.<br />

“I presidenti spesso non mettono in pratica<br />

quel che promettono in campagna elettorale<br />

– ha premesso Murdoch parlando all’Australian<br />

(quotidiano di sua proprietà) – perché<br />

diventano prigionieri di molte cose, delle<br />

circostanze e degli eventi”, ma “negli ultimi<br />

anni parecchi democratici hanno minacciato<br />

di introdurre dazi contro le importazioni<br />

cinesi se Pechino non avesse messo mano<br />

alla sua valuta: se ciò dovesse accadere, scatenerebbe<br />

azioni di rappresaglia che danneggerebbero<br />

seriamente l’economia mondiale”.<br />

Che cosa farà Obama naturalmente<br />

non è dato sapere, ma se fa quel che ha annunciato<br />

“assisteremo a un reale tracollo<br />

della globalizzazione”. C’è già stato “il precedente<br />

di Smoot-Hawley”, ha ricordato il<br />

tycoon australiano, facendo riferimento a<br />

quella legge che, nel 1930, alzò le tariffe su<br />

ventimila prodotti americani scatenando la<br />

le “inevitabili” macchine elettorali avversarie,<br />

aggregando tecnologicamente un movimento<br />

spontaneo di base attorno alla proposta<br />

d’un nuovo vigore nazionale connesso con<br />

quello dell’età d’oro, al tempo stesso chiedendo<br />

ai seguaci i quattrini necessari a vincere –<br />

un pozzo di milioni che gli sarebbe stato puntualmente<br />

accordato. E se “promessa” e “movimento”<br />

sono le prime due parole-chiave<br />

che hanno permesso a Obama d’arrivare sulla<br />

soglia della vittoria, il terzo fattore è “razza”:<br />

la destabilizzazione di certezze preesistenti,<br />

la capacità di indurre gli americani a<br />

scegliere l’uomo “capace”, prima che l’uomo<br />

in scala cromatica prediletta, sono il prodotto<br />

di indubbio progresso. L’America, confrontandosi<br />

quotidianamente con Obama, ha intrapreso<br />

una seduta psicanalitica di massa<br />

“Lo sforzo finale” di John McCain<br />

rappresaglia di tutti i principali partner<br />

commerciali degli Stati Uniti. “Non posso<br />

immaginare che Obama faccia una cosa tanto<br />

folle, ma qualsiasi azione in questa direzione<br />

può aggiungere tensione al sistema finanziario<br />

e commerciale globale, fino a impattare<br />

sull’occupazione”.<br />

Con queste parole, Murdoch si pone in<br />

contrapposizione con il pensiero unico di<br />

tutto l’establishment o di uno come Warren<br />

Buffett, tanto per fare un esempio, che ha tirato<br />

la volata al candidato democratico alla<br />

Casa Bianca, aiutandolo a incarnare il ruolo<br />

del salvatore degli americani in queste<br />

che, salvo sorprese, archivierà l’effetto Bradley,<br />

consegnando un paese che cerca leadership,<br />

anziché appartenenza, come ha ribadito<br />

ieri Obama nel suo appello alla radio:<br />

“Cambierò l’America”.<br />

L’estate s’è rivelato il momento in cui il<br />

candidato “rockstar” ha cominciato a esprimere<br />

il suo quarto valore assoluto: il proprio<br />

sistema di risposte. Obama ha esposto non<br />

soltanto la sua vasta competenza, ma la capacità<br />

di delega e di utilizzo delle competenze<br />

disponibili. L’Obama che chiama al suo<br />

fianco Paul Volcker o Larry Summers, l’Obama<br />

che ascolta i generali e ne soppesa le<br />

correzione di rotta per il medio oriente, l’Obama<br />

pronto a pescare contributi in tutte le<br />

classi anagrafiche e politiche, è prima un<br />

grande coordinatore che un frenetico decisionista,<br />

e ciò piace all’America amara di<br />

questi giorni. Obama alla Casa Bianca commetterà<br />

errori e sarà immortalato durante<br />

imprevisti inciampi. Il rapporto con un Congresso<br />

troppo democratico e bramoso di<br />

sprigionare potere, ormoni e vendette, sarà<br />

per lui una terribile insidia. Ma si percepisce<br />

un rassicurante ottimismo alla base d’un<br />

suo insediamento. La sensazione di una ripartenza<br />

invocata. Dove le distanze siano<br />

più riavvicinate, le spalle più coperte, gli<br />

estremi meno lontani, i figli più accuditi.<br />

Non è tutta materia prima con cui è stata costruita<br />

la più magnifica delle nazioni?<br />

Dopo il voto i leader conservatori si riuniranno in Virginia per riconquistare l’anima del partito<br />

dovrà scegliere il suo presidente.<br />

L’idea è che a essere nei guai è il Partito<br />

repubblicano, non il movimento conservatore,<br />

come dimostra la campagna di Obama<br />

centrata sul taglio delle tasse (e alla destra<br />

del Partito democratico su famiglia, matrimonio<br />

gay, politica estera, sicurezza nazionale,<br />

pena di morte). L’America resta un paese<br />

di centrodestra, chiunque vinca le elezioni,<br />

dicono i principali commentatori conservatori.<br />

Non c’è, però, una ricetta condivisa su<br />

come riconquistare la leadership del paese.<br />

L’istinto primario è quello di accusare<br />

George W. Bush, e per certi versi anche<br />

John McCain, di aver tradito i principi conservatori<br />

per aver perseguito una politica<br />

estera espansiva e tradizionalmente democratica,<br />

ampliato la presenza sociale dello<br />

stato, aumentato il debito pubblico, salvato<br />

Wall Street e aperto le frontiere all’immigrazione<br />

clandestina. I leader di questo<br />

fronte sono i rumorosi conduttori radiofonici,<br />

l’ala populista, isolazionista e tradizionalista<br />

del partito a cui pensano di rivolgersi<br />

il presidente del Gop della Carolina del sud<br />

e il governatore Mark Sanford. Secondo<br />

Sanford, i repubblicani devono ritrovare la<br />

loro identità e smetterla di imitare i democratici:<br />

“Quella era l’idea del conservatorismo<br />

compassionevole di Bush, ed è stato un<br />

disastro”. Il rischio, ha scritto Kimberley<br />

Strassel del Wall Street Journal, è che questa<br />

voglia di ritornare alle origini trasformi<br />

i repubblicani nel partito del “no”, relegandoli<br />

all’irrilevanza come i Tory inglesi ai<br />

tempi di Tony Blair.<br />

L’altra opzione è quella di puntare sull’anima<br />

riformatrice e moderna del partito, sull’apertura<br />

agli ispanici e agli afroamericani<br />

e su una nuova generazione di politici, come<br />

Charlie Crist, Eric Cantor e Paul Ryan, capaci<br />

di parlare non solo agli americani degli<br />

stati del sud e del mid-west, ma anche a chi<br />

vive nelle metropoli. Mitt Romney si propone<br />

come l’unico capace di unificare le due<br />

anime, ma mai sottovalutare Sarah Palin.<br />

Il grande capitalista (finalmente) s’è mosso. Murdoch contro Obama<br />

NON PROFUMA L’ALITO.<br />

LO AZZANNA.<br />

FISHERMAN’S FRIEND. LA PIÙ FORTE CHE C’È<br />

Wedding Obama<br />

“A Obama è stato chiesto perché è contro le<br />

nozze gay pure se ha condannato tutte le leggi<br />

che avrebbero impedito il matrimonio tra<br />

suo padre nero e sua madre bianca. La dfferenza,<br />

ha detto Obama, è la religione. Come<br />

cristiano – è membro dell'United Church of<br />

Christ – Obama crede che il matrimonio sia<br />

un'unione sacra, una benedizione di Dio, intesa<br />

esclusivamente per un uomo e una donna”.<br />

New York Times, 1 novembre 2008<br />

www.fishermansfriend.it<br />

ultime, impanicate settimane. Murdoch no,<br />

non ci sta. Definisce la politica fiscale di<br />

Obama semplicemente “crazy”, folle, soprattutto<br />

il piano di aumentare le tasse per<br />

chi guadagna più di 250 mila dollari e quello<br />

di distribuire i rimborsi d’imposta al 95<br />

per cento degli americani (quest’ultimo è,<br />

testuale, “rubbish”, spazzatura). “Il 50 per<br />

cento della popolazione non paga le tasse,<br />

come pensa di offrirgli un taglio? Puoi dare<br />

un assegno, come Obama ha promesso, un<br />

sussidio di 500 dollari, ma scomparirà molto<br />

velocemente. Non darà certo un contributo<br />

per invertire il corso della crisi”. Che cosa<br />

fare allora? Una ricetta, Murdoch, non ce<br />

l’ha (o comunque non la dice), ma è sicuro<br />

di due cose, una bella e una meno. L’ottimismo<br />

gli fa dire che il mondo “combatterà come<br />

un pazzo” per aver un mercato sempre<br />

più libero e per segnare il successo del<br />

Doha Round. Il pessimismo, invece, gli fa dire<br />

che le elezioni americane non calmeranno<br />

la crisi di fiducia che, “sotto un certo<br />

punto di vista, è al di fuori del margine di<br />

manovra della politica. I politici sono molto<br />

limitati: possono far peggiorare la crisi, ma<br />

non possono fermarla”.<br />

Tutti da Licio il sabato sera<br />

Allarme democratico<br />

per un Grande Vecchio<br />

finito su una tv locale<br />

Gelli torna in prima <strong>pagina</strong> per via<br />

di un programma. Per Di Pietro pure il<br />

decreto Gelmini “era nel piano P2”<br />

Baudo: “Non si fa più gavetta”<br />

Roma. L’Unità dedica alla notizia il titolo<br />

di apertura, sopra la foto che copre quasi<br />

tutta la prima <strong>pagina</strong>: “Venerabile Tv – Gelli<br />

su Odeon rivaluta il fascismo e chiama<br />

con sé Dell’Utri e Andreotti. ‘Chi è il mio<br />

erede? Berlusconi’”. Più o meno lo stesso fa<br />

Liberazione. Ma la notizia del ritorno sulla<br />

scena di Licio Gelli, capo della famigerata<br />

loggia massonica P2, desta allarme e indignazione<br />

su tutta la stampa nazionale. Peccato<br />

che sia Marcello Dell’Utri sia Giulio<br />

Andreotti abbiano subito smentito la propria<br />

partecipazione (“Licio Gelli? E’ ancora<br />

vivo?”, è stata la prima reazione del senatore<br />

a vita). Dettagli che non hanno fermato il<br />

dibattito. “Una volta si faceva la gavetta, c’era<br />

una progressione di carriera per i meritevoli<br />

che crescevano in autorità e autorevolezza.<br />

Oggi non mi pare che sia più così”, ha<br />

commentato Pippo Baudo, evidentemente<br />

amareggiato dalla pericolosa degenerazione<br />

dei palinsesti delle televisioni locali. “Visto<br />

quanto se ne parla, l’operazione ‘Gelli in tv’<br />

parte già in vantaggio. Ma attenzione all’autogol:<br />

in televisione talvolta un’aspettativa<br />

troppo alta può essere foriera di successiva<br />

delusione”, ha ammonito Paolo Bonolis, forse<br />

preoccupato per il potenziale danno d’immagine<br />

a tutta la rete, caratterizzata da programmi<br />

quali “Basta un poco di zucchero” e<br />

“Il campionato dei campioni”.<br />

Al centro dell’attenzione sta però la definitiva<br />

ammissione di Licio Gelli sull’identità<br />

del suo erede: Silvio Berlusconi. “La scuola,<br />

dopo la giustizia e l’informazione, è un altro<br />

tassello del progetto del venerabile della P2<br />

Licio Gelli, che Berlusconi sta realizzando”,<br />

rilancia subito Antonio Di Pietro. Non che in<br />

molti non l’avessero già insinuato sin dal<br />

1994, a partire dalle analogie tra il programma<br />

di Forza Italia e il celebre Piano di rinascita<br />

democratica elaborato dalla P2, che tra<br />

molte altre cose (e non poche banalità) prevedeva<br />

– udite udite – presidenzialismo e separazione<br />

delle carriere. Per la stessa ragione,<br />

peraltro, anche Bettino Craxi fu accusato<br />

di essere il vero erede di Gelli. E anche Massimo<br />

D’Alema (per via della Bicamerale). E<br />

di recente pure Walter Veltroni (sempre per<br />

via del dialogo sulle riforme).<br />

In realtà, per dirne una, nel piano della<br />

P2 si parlava pure di abolizione del valore<br />

legale del titolo di studio, ma a nessuno è<br />

mai venuto in mente di denunciare i molti<br />

sostenitori di una simile scelta come burattini<br />

di Gelli. Né risulta che Marco Travaglio<br />

– tra gli ultimi e più affezionati cantori del<br />

ritornello sui “veri esecutori” del piano piduista<br />

– abbia mai fatto serie indagini su<br />

chi, nell’Italia di oggi, voglia segretamente<br />

“aumentare la redditività del risparmio postale<br />

elevando il tasso al 7 per cento” (nel<br />

piano era previsto anche questo).<br />

Fatto sta che da più di vent’anni sulla<br />

stampa è tutto un denunciare nuove e vecchie<br />

P2, occulti e palesi esecutori del diabolico<br />

disegno di Gelli. Il quale sarà stato pure<br />

il Grande Vecchio, l’oscuro burattinaio di<br />

tutti i misteri d’Italia, il grande capo della<br />

massoneria internazionale, ma se oggi è finito<br />

a illustrare le sue venerabili reliquie<br />

pseudostoriche al pubblico di Odeon tv, evidentemente,<br />

le cose sono due: o non se la<br />

passa tanto bene lui, o se la passano anche<br />

peggio la massoneria internazionale e tutti<br />

i servizi deviati del mondo.<br />

Sai che scandalo, sai che<br />

vulnus. Quando Gelli dice:<br />

“Se uno ha la maggioranza<br />

deve usarla, senza<br />

interessarsi della minoranza”,<br />

è quello che Prodi<br />

ha fatto. Quando dice,<br />

sul lodo Alfano: “L’immunità ai grandi dovrebbe<br />

essere esclusa, perché al governo<br />

dovrebbero andare persone senza macchia”,<br />

è quello che sostengono Travaglio,<br />

Scalfaro, Eco, Fo, Veltroni, Di Pietro, Finocchiaro<br />

e ci fermiamo qui per comodità.<br />

Quando dice di Fini: “Avevo molta fiducia<br />

in lui, oggi non sono più dello stesso avviso”,<br />

quel “molta” a parte, standing ovation.<br />

Se Gelli ripete: “In linea di massima sono<br />

d’accordo con la Gelmini perché ripristina<br />

un po’ d’ordine”, si tratta di un’ovvietà parecchio<br />

condivisa. Quel suo “molti ragazzi<br />

vanno in piazza perché non hanno voglia di<br />

studiare”, è quello che ci hanno ripetuto<br />

per decenni l’universalità dei rettori, dei<br />

baroni, dei professori associati, dei supplenti,<br />

dei primi della classe, dei farmacisti,<br />

dei fruttivendoli e le mamme del mondo<br />

praticamente al completo, con l’eccezione<br />

sempre di Lidia Ravera. “Se oggi in Italia<br />

c’è un potere forte, quello è la magistratura”,<br />

bé, del tutto una stronzata forse non<br />

si può dire. “I partiti veri non esistono più”,<br />

chiedete a Macaluso. Però è vero. E’ vero<br />

che quando Gelli afferma: “Se dovesse morire<br />

Berlusconi, Forza Italia non andrebbe<br />

avanti”, questo è soltanto per far venire un<br />

colpo al ministro del Tesoro.<br />

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21


G iovedì sera, veglia in tv. Esce, ed è già<br />

stroncato, il film “Il sangue dei vinti”,<br />

dal romanzo di Pansa. La televisione di<br />

Porta a Porta fissa un’altra volta lo sguardo<br />

sul sangue versato in Italia alla caduta del<br />

fascismo. Fosca puntata di parole schiette<br />

e di parole doppie. 1945-1946, la guerra è finita.<br />

Il Duce è morto, italiani ancora tornano<br />

dalla Russia. In alcune zone del paese si<br />

scatena un anno di guerra con il silenziatore.<br />

Un’ecatombe di vinti: fascisti, cattolici,<br />

anche famiglie, uccisi da irriducibili bande<br />

partigiane. Una stima quieta ci dice: 30 mila<br />

morti. Non è certo in questione l’equiparazione<br />

tra resistenza e fascismo. Gli storici,<br />

e anche noi, gente di buona volontà, vorremmo<br />

capire se esistesse un piano per la<br />

rivoluzione italiana e quanta parte del Pci<br />

coinvolgesse; si vorrebbe capire se i corpi<br />

dei vinti e la pace su di loro possano essere<br />

considerati sacri. O se i vinti, in piena<br />

pace firmata, possano essere decimati in silenzio<br />

e non parlarne più se erano fascisti;<br />

mentre è naturale protestare se i vinti uccisi<br />

fan parte del fronte anti imperialista. In<br />

studio c’è Pansa, giornalista che non fa<br />

sconti, quasi umorista, ora coraggioso narratore.<br />

C’è Michele Placido, protagonista<br />

del film. Ci sono gli storici Lucio Villari ed<br />

Ernesto Galli della Loggia. E c’è un’anziana<br />

signora, che parla un poco da sola. Fu<br />

partigiana, è di Sant’Anna di Stazema. E c’è<br />

l’errore di unire gli eccidi delle bande partigiane<br />

al golem inumano del nazifascismo,<br />

che ristagna tra gli occhi della donna di<br />

Sant’Anna. Villari offre baci perugina con<br />

il bigliettino al tritolo. Sorride a Pansa: Sono<br />

sicuro che non pensi davvero quello che<br />

dici. Dice: non capisco questo vittimismo. Si<br />

vede bene come sia in gioco la patente del<br />

vecchio comunismo, licenza spesso autocertificata,<br />

di forza democratica, esente da<br />

tentativi di fuga dal recinto repubblicano.<br />

Abbiamo scritto la Costituzione, esclama il<br />

direttore di Rifondazione. Sì, ma non è agli<br />

atti cosa facevate con la mano libera dalla<br />

penna e per quanta parte della resistenza<br />

la guerra antifascista fosse un passaggio<br />

verso la rivoluzione. Villari sorride: “Cose<br />

vecchie, via, si sono sempre sapute”.<br />

Nei ristrettissimi circoli intellettuali<br />

Sì, ma sapute in ristretti circoli intellettuali<br />

dove avere differenti opzioni sulla<br />

realizzazione del socialismo fu parte fisiologica<br />

dello scontro dialettico con i compagni<br />

che sbagliano – a meno che le Brigate<br />

rosse siano nate sotto ai cavoli. Difficoltà<br />

psicanalitica della sinistra davanti<br />

agli eccidi di famiglia. Vespa si aggira paterno<br />

come un sacerdote della tv, ah se<br />

l’autocritica comunista avvenisse da lui!<br />

Quando Villari sorride a Pansa che certo<br />

non pensa quello che dice, il professor<br />

Della Loggia fa notare che se la discussione<br />

ha questo approccio, è difficile incontrarsi.<br />

Al margine dello studio, su una sedia<br />

a parte, la vecchia partigiana non capisce.<br />

Viene da Sant’Anna, sente parlare<br />

di questo sangue fascista e crede che la tv<br />

metta in dubbio la mostruosità del fascismo.<br />

Ode ancora la mitraglia crepitare alla<br />

chiesa, quando la gente di Sant’Anna<br />

muore. Lei ha negli occhi il fumo nero che<br />

sale al cielo e si forma una nube. La nube<br />

è rimasta su Sant’Anna e ora è in studio.<br />

In modo brusco, e sinistro, le responsabilità<br />

politiche ora s’invertono. C’è una vecchia<br />

partigiana lì, un’italiana ancora offesa<br />

che non capisce il senso della serata, e<br />

forse della vita. Non glielo fanno capire. Il<br />

fascismo è scomparso, e non può essere in<br />

studio, ma è come se la palla passasse nel<br />

campo della destra storica, dove gli eredi<br />

di Salò hanno appena fatto i primi conti<br />

con se stessi, mentre poco fa, nelle loro<br />

stanze e nelle piazze rivendicavano la gloria<br />

del Duce. Poi c’è che gran parte della<br />

popolazione non fu fascista: ma cos’era?<br />

Indossata la divisa da balilla come fosse<br />

una divisa sociale, furono accolti senza<br />

battere ciglio i discorsi alla radio, le leggi<br />

razziali, la soppressione del sindacato e<br />

della democrazia parlamentare. La fine<br />

della libertà. Nei treni, nei bar, dal dentista,<br />

dicono che purtroppo il fascismo si alleò<br />

con la Germania, ma non fece niente<br />

di male. La storia è un mare in vivo movimento,<br />

non fissabile in unico sguardo, e<br />

dalla fine del fascismo, per non dire dalla<br />

fine del comunismo, il tempo è ancora poco.<br />

Gridano i morti di Sant’Anna. Gridano<br />

i corpi degli italiani uccisi durante il primo<br />

tempo della pace omicida – nelle vie si<br />

gridava viva la libertà. Ancora stentano a<br />

cadere le pietre del Muro di Berlino. C’è<br />

tanto da fare, in Italia.<br />

Alessandro Schwed<br />

ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />

Ritratto di un negro<br />

La vendita all’asta di un quadro<br />

spiega meglio di ogni altro<br />

sondaggio il futuro americano<br />

Sangue television<br />

Guardare Porta a Porta e capire<br />

che cosa si intende quando si parla<br />

di comunismo da prima serata<br />

A una vendita all’asta in cui si disperdeva<br />

una celebre collezione di disegni del<br />

Settecento, un mercante francese cercava<br />

invano di aggiudicarsi almeno un foglio di<br />

Antoine Watteau. Ogni volta veniva battuto<br />

da un collega americano. Il mercante francese<br />

non spingeva mai troppo la gara perché<br />

aveva deciso di puntare tutto su un piccolo<br />

foglio che giudicava particolarmente<br />

interessante. Era deciso a combattere, ma<br />

non si faceva molte illusioni. Tutto quello<br />

che poteva aspettarsi era di costringere il<br />

suo concorrente a sborsare più dollari di<br />

quanti avrebbe voluto. Vista la disinvoltura<br />

con cui inseguiva ogni lotto anche oltre ogni<br />

ragionevole quotazione di mercato, il mercante<br />

americano doveva evidentemente lavorare<br />

su mandato di un collezionista disposto<br />

a pagare qualsiasi cifra per un disegno<br />

di Watteau. Di certo non si sarebbe lasciato<br />

scappare il pezzo più interessante.<br />

Il pezzo più interessante, secondo il mercante<br />

francese, era uno studio in cui l’artista<br />

aveva disegnato per tre volte la testa di<br />

un moro, da tre prospettive diverse. La qualità<br />

del disegno era alta, ma quello che interessava<br />

il francese era soprattutto il soggetto.<br />

Quando un mercante d’arte acquista<br />

un’opera ha perlopiù in mente il cliente a<br />

cui offrirla. In quel caso il cliente era più di<br />

uno. Da anni tra arredatori e collezioni andava<br />

di modo l’esotismo. Gli artisti orientalisti,<br />

pur mediocri che fossero, spuntavano<br />

sempre prezzi interessanti. Gli africanisti,<br />

molto più rari, andavano ancora meglio.<br />

Non c’era dubbio che un foglio africanista<br />

di mano di un grande maestro non avrebbe<br />

fatto la polvere in bottega.<br />

Quando il commissaire-priseur propose il<br />

foglio, il mercante francese aspettò. Intimoriti<br />

dalla presenza dell’americano, gli altri<br />

commercianti non si muovevano. Ma neanche<br />

l’americano si faceva vivo. Prima che il<br />

lotto venisse ritirato, il francese si aggiudicò<br />

il disegno. Aveva ottenuto quello che voleva,<br />

ma non era tranquillo. Come mai l’americano<br />

si era lasciato scappare un pezzo così<br />

interessante? Forse vi aveva visto qualcosa<br />

che lui non aveva notato? La carta era<br />

buona, la filigrana era di quelle che si vedevano<br />

in trasparenza nei fogli prodotti dal<br />

maestro nel periodo al quale, secondo lui,<br />

apparteneva il disegno delle tre teste di moro.<br />

La mano era indiscutibilmente di Watteau,<br />

le tracce del tempo avevano tutta l’aria<br />

di essere autentiche e non prodotte ad<br />

arte. La provenienza del foglio poi era delle<br />

più sicure, delle più documentate. Era<br />

un’opera che era stata studiata e pubblicata<br />

più volte. Ma se l’americano non l’aveva<br />

degnata di attenzione, dopo essersi aggiudicato<br />

di forza tutti gli altri fogli, qualcosa che<br />

non andava doveva esserci.<br />

La sera stessa i due antiquari si trovarono<br />

a cenare insieme. Il francese non seppe<br />

attenersi alla buona regola di non parlare<br />

mai di lavoro a tavola. La prese alla larga.<br />

Si complimentò per i buoni acquisti del<br />

collega, cercò di farlo arrivare al suo foglio.<br />

Poiché non riusciva a portare il discorso<br />

dove voleva, abbandonò la prudenza<br />

professionale e gli fece esplicitamente<br />

la domanda. Perché non aveva neppure<br />

tentato di acquistare il disegno delle tre teste?<br />

Cosa c’era che non andava? Niente,<br />

non c’era niente che non andava, era un disegno<br />

bellissimo, forse il più bello di tutta<br />

la vendita. Se fosse stato per lui l’avrebbe<br />

comperato subito. Ma purtroppo era un<br />

mercante e non poteva permettersi di<br />

scommettere su un’opera poco commerciale.<br />

Quanti collezionisti c’erano in America<br />

disposti a sborsare un mucchio di quattrini<br />

per il ritratto di un negro? L’episodio mi<br />

è tornato in mente quando hanno chiesto a<br />

me di scommettere su chi avrebbe vinto le<br />

elezioni in America.<br />

Sandro Fusina<br />

IL 4 NOVEMBRE DEI “TREI CJANTÒNS DA CJASE”<br />

Storia delle mille donne che portarono sulle spalle gli eroi della Grande guerra<br />

Pubblichiamo l’intervento al convegno<br />

della Camera dei deputati del 29 ottobre<br />

su “La Grande guerra nella memoria<br />

italiana” dell’onorevole Manuela di<br />

Centa, parlamentare del Pdl e campionessa<br />

olimpica di sci di fondo.<br />

Q uando ero impegnata nell’attività sportiva,<br />

erano quasi diecimila i chilometri<br />

che percorrevo ogni anno per fare, come si<br />

dice, fiato e gambe. Diecimila chilometri in<br />

prevalenza sugli sci, ma anche correndo e<br />

camminando su e giù lungo i sentieri delle<br />

montagne di casa, della terra dove sono nata,<br />

la Carnia. Sentieri che si inoltrano nei boschi<br />

di abeti, larici e faggi e aprono a pianori<br />

smeraldini, dove un tempo danzavano le<br />

fate, i diavoli goffi e le bizzarre streghe del<br />

Carducci, ma anche sentieri che in alta quota<br />

diventano impervi, pietraie sulle quali un<br />

appoggio sbagliato può essere davvero pericoloso.<br />

Cercavo di arrivare su, fino alla cima,<br />

per quei sentieri che erano stati i sentieri<br />

della Grande guerra, percorsi da mia nonna,<br />

“none Irme”, con il sole, la pioggia e la neve,<br />

per ventisei mesi di seguito. Mia nonna all’epoca<br />

non aveva ancora sedici anni!<br />

Non saliva e scendeva di corsa, perché<br />

non era lì per fare gambe e fiato e per quello,<br />

comunque, bastavano ed erano d’avanzo<br />

i quaranta chili che portava sulle spalle, nella<br />

gerla. Quaranta chili di viveri, medicinali<br />

e filo spinato, ma anche di proiettili e di<br />

bombe a mano, che facevano di quella gerla<br />

una vera e propria santabarbara, esposta<br />

per lunghi tratti al tiro del cecchino. Quattro,<br />

cinque ore di cammino al giorno, salendo<br />

oltre i duemila metri, fino alle trincee del<br />

Pal Piccolo, del Freikofel, e scendendo il<br />

più delle volte con il carico dolente di morti<br />

e feriti. E al momento del bisogno, a fine<br />

marzo del 1916, sotto i violentissimi attacchi<br />

del nemico, “none Irme” lasciava la gerla<br />

per fare da servente ai pezzi di artiglieria.<br />

Lei, come tante altre donne della mia terra,<br />

delle mie montagne, era una “Portatrice”.<br />

Donne non comuni, temprate da una vita difficile<br />

in luoghi di montagna dove ogni giorno<br />

sfamare la propria famiglia era una impresa.<br />

Donne che non a caso venivano definite i<br />

“trei cjantòns da cjase”, i tre angoli che sostenevano<br />

la casa. Sono quindi particolarmente<br />

grata al presidente Fini per l’opportunità<br />

che mi viene offerta di ricordare qui, oggi,<br />

l’abnegazione, il coraggio e l’eroismo delle<br />

Portatrici, di quel migliaio di donne che<br />

senza alcuna costrizione, ma del tutto volontariamente<br />

risposero un giorno all’appello<br />

del generale Lequio, comandante della Zona<br />

Carnia. Queste donne combatterono la loro<br />

guerra insieme ai Portatori più giovani, ragazzi<br />

pratici della zona e delle loro montagne,<br />

e a quelli più anziani, impegnati nella<br />

costruzione e manutenzione di mulattiere,<br />

gallerie, piazzali per l’artiglieria. Era, quello<br />

carnico, un settore del fronte italo-austriaco<br />

di particolare rilevanza strategica, in<br />

quanto comprensivo del valico di Monte Croce<br />

Carnico attraverso il quale passava l’antica<br />

via imperiale Julium Augusta, un valico<br />

che il nostro Comando Supremo paventava<br />

come uno dei possibili accessi per l’invasione<br />

dell’Italia da parte del nemico, ma era anche<br />

un settore lasciato colpevolmente privo<br />

di difese nella convinzione di nascondere così<br />

all’ex alleato austriaco le nostre vere intenzioni,<br />

cioè di entrare in guerra a fianco<br />

dell’Intesa.<br />

Insomma, nell’illusione di mantenere segreto<br />

il Patto che Sonnino aveva firmato a<br />

Londra il 26 aprile, e che ci impegnava a dichiarare<br />

guerra all’Austria entro un mese,<br />

non avevamo scavato una sola trincea, né<br />

predisposto una sola teleferica, a differenza<br />

degli austriaci che avevano preparato tutto<br />

nel migliore dei modi. Ma il nostro Comando<br />

Supremo aveva fatto d’altro: temendo<br />

possibili connivenze con il nemico, per via<br />

della presenza in Carnia di talune, piccole<br />

isole alloglotte, aveva dapprima predisposto<br />

la destinazione ad altri fronti – Carso e Isonzo<br />

– della maggior parte della leva locale,<br />

poi attuato la deportazione, seppure temporanea,<br />

della popolazione civile verso l’interno.<br />

Cadorna non aveva capito che, se in Carnia<br />

qualcuno sapeva parlare, oltre al friulano,<br />

anche una sorta di dialetto tedesco, non<br />

era perché “austriacante”, come si diceva<br />

allora, ma semplicemente perché da sempre<br />

l’Austria, più vicina e più facilmente raggiungibile<br />

di Udine, Trieste o Venezia, offriva<br />

opportunità di lavoro ai nostri muratori,<br />

ai nostri falegnami e ai nostri ambulanti.<br />

Settore Alta Valle del Bùt<br />

Oltre quindi a non aver predisposto rotabili<br />

e teleferiche per un adeguato rifornimento<br />

delle linee del fronte, possibile allora<br />

soltanto con trasporto a spalle lungo le<br />

mulattiere e i sentieri impervi già descritti,<br />

si era provveduto anche a trasferire altrove<br />

chi avrebbe potuto sopperire, con la conoscenza<br />

dei luoghi, alle difficoltà logistiche e<br />

alle insidie poste dal nemico.<br />

Il prezzo pagato nei primi mesi di guerra<br />

in vite umane e in salmerie finite nei crepacci<br />

o centrate dall’artiglieria nemica risultò<br />

talmente alto da costringere il Comando<br />

Supremo a fare marcia indietro con le comunità<br />

deportate, chiedendo loro aiuto, così<br />

come del resto a tutta la popolazione della<br />

Carnia. E poiché gli uomini validi erano<br />

già tutti alle armi, l’appello, espresso con<br />

tutta la drammaticità che la situazione<br />

obiettivamente richiedeva, fu raccolto con<br />

slancio commovente dalle donne, molte delle<br />

quali avevano mariti e talvolta figli impegnati<br />

al fronte, dai ragazzi e dagli anziani<br />

del posto. Fu così costituito un vero e proprio<br />

Corpo di ausiliarie, la cui età andava<br />

dai quattordici anni delle più giovani, ai sessanta<br />

delle più anziane. Suddivise in squadre<br />

di 15-20 unità, furono dotate di un bracciale<br />

rosso sul quale erano stampigliati sia i<br />

dati identificativi dell’unità militare con la<br />

quale operavano in stretta simbiosi, sia il<br />

numero del libretto personale di lavoro del<br />

quale ogni Portatrice era stata dotata e dove<br />

il furiere del reparto riportava presenze,<br />

viaggi compiuti, natura del materiale trasportato.<br />

Partivano tutti i giorni all’alba, dai<br />

depositi e dai magazzini di fondo valle, dove<br />

avveniva il carico delle gerle, senza una guida,<br />

e imponendosi autonomamente una disciplina<br />

di marcia. In caso di necessità, dovevano<br />

essere disponibili anche di notte e<br />

per qualsiasi destinazione. Se le posizioni<br />

della Zona Carnia, settore Alta Valle del<br />

Bùt, non furono mai cedute al nemico, ma<br />

solo inevitabilmente abbandonate dopo Caporetto,<br />

lo si deve anche al coraggio, alla abnegazione<br />

e al sacrificio delle Portatrici. A<br />

una di loro, Maria Plozner Mentil, madre di<br />

quattro figli, colpita mortalmente da un cecchino<br />

austriaco, il presidente Scalfaro ha voluto<br />

concedere nel 1997 motu proprio, la Medaglia<br />

d’Oro al Valor Militare, appuntandola<br />

sul petto della figlia Dorina, orfana di<br />

guerra di entrambi i genitori, e a sua volta<br />

Portatrice. Con legge dello Stato del 1969 veniva<br />

conferita l’onorificenza del “Cavalierato<br />

di Vittorio Veneto” a tutte le Portatrici,<br />

senza distinzione delle zone in cui avevano<br />

prestato servizio durante il conflitto, con la<br />

singolare conseguenza che il mio paese, Paluzza,<br />

annovera il più alto numero di onorificenze<br />

al valor militare conferite alle donne.<br />

A loro in modo particolare, ma anche a<br />

tutte le Portatrici e i Portatori della grande<br />

Guerra, idealmente uniti dall’amore per la<br />

propria Patria, va oggi il mio commosso pensiero<br />

e, sono certa, di tutta questa Assemblea.<br />

Grazie.<br />

Manuela Di Centa<br />

LE MOSSE INGLESI SULLA COMPAGNIA E IL FUTURO DI LUFTHANSA /2<br />

Cosa succede ai capitani coraggiosi se in Alitalia arriva British Airways<br />

Roma. Si apre un’aerovia per Londra.<br />

Ambienti vicini a Cai sottolineano come<br />

l’opzione British Airways si sia tramutata,<br />

nelle ultime ore, da plausibile a credibile.<br />

Fino a oggi, l’inedita alleanza anglo-italiana<br />

veniva considerata, dagli osservatori, come<br />

un’ipotesi di scuola, e le prudenti dichiarazioni<br />

d’interesse da parte di qualche manager<br />

inglese come semplici “manovre di disturbo”<br />

nei confronti di due antichi rivali:<br />

Air France e Lufthansa. In realtà, fonti qualificate<br />

rivelano come dai frequenti contatti<br />

tra gli emissari di Rocco Sabelli e di Willie<br />

Walsh, i due chief executive officers, sia nato<br />

un tavolo tecnico con l’obiettivo di stilare<br />

un documento da sottoporre ai rispettivi<br />

consigli di amministrazione. La parola chiave<br />

è “visione”, e alti dirigenti delle due delegazioni<br />

lavorano su una prospettiva di medio<br />

termine condivisa. Si tratta di un dossier<br />

molto ostico, anche perché da parte di BA è<br />

stato più volte ribadito che non c’è disponibilità<br />

a entrare nel capitale azionario di Cai.<br />

Una volontà che lascerebbe pensare a un<br />

tiepido interesse e che potrebbe far sbuffare<br />

diversi azionisti della cordata italiana,<br />

desiderosi di un impegno stringente da parte<br />

del partner straniero. A favore di Londra<br />

però gioca un aspetto non irrilevante legato<br />

alle prospettive di crescita. La compagnia<br />

inglese, infatti, sul mercato italiano ha un<br />

grado di penetrazione molto ridotto rispetto<br />

alle altre due major europee, e quindi potrebbe<br />

giovarsi di maggiori margini di crescita<br />

alleandosi con la prima compagnia aerea<br />

italiana. BA inoltre è leader del mercato<br />

sul traffico tra Europa e Stati Uniti, mentre<br />

la spagnola Iberia (per la cui acquisizione<br />

gli inglesi stanno incontrando alcuni problemi)<br />

detiene la palma per i voli diretti verso<br />

il sud e centro America. L’area del Mediterraneo<br />

è però poco presidiata, e maggiori<br />

spazi di crescita per Cai potrebbero nascere<br />

anche sui voli verso l’oriente. La strada inglese<br />

potrebbe quindi essere più profittevole<br />

per Colaninno e soci, ma anche più rischiosa.<br />

Il tavolo tecnico, nel suo documento<br />

sulla visione condivisa, non esclude lo<br />

scenario di una possibile fusione da compiere<br />

dopo il periodo di lock up – che vincola i<br />

soci Cai a non vendere le proprie azioni prima<br />

di un quinquennio. Un tempo che oltretutto<br />

farebbe comodo a Walsh per testare sul<br />

campo il valore che si creerebbe dall’apertura<br />

di un fronte italiano. Nel passato gli inglesi<br />

qualche tentativo di entrare in maniera<br />

più incisiva sul mercato nazionale l’avevano<br />

esperito. Nel ’95 avevano avviato fitti<br />

colloqui con il presidente Alitalia, Renato<br />

Riverso, che coinvolgevano anche American<br />

Airlines. Un dossier che seguì personalmente<br />

l’allora capo delle strategie, Daniele De<br />

Giovanni, divenuto poi stretto collaboratore<br />

di Romano Prodi durante la passata legislatura.<br />

Nel 2000 la compagnia inglese provò<br />

una strada più ambiziosa, dando vita alla<br />

controllata italiana National Jet, alla cui<br />

presidenza insediò l’ex presidente di Confcommercio,<br />

Sergio Billè. L’avventura non ebbe<br />

successo e la società chiuse i battenti.<br />

Ma un eventuale accordo Cai-Ba cosa potrebbe<br />

comportare? Lufthansa e Air France<br />

certamente non resterebbero ad aspettare il<br />

logoramento delle loro quote di mercato. La<br />

compagnia tedesca, come anticipato dal Foglio<br />

il 19 ottobre, ha creato una scatola societaria<br />

nuova, Lufthansa Italia spa, per poter<br />

sfruttare gli accordi open skies e lanciare<br />

nuovi collegamenti diretti senza passare per<br />

gli scali tedeschi. Jean-Cyril Spinetta potrebbe,<br />

al contrario, riallacciare i rapporti<br />

con il principe ismaelita Karim Aga Khan,<br />

per studiare una collaborazione con la sua<br />

Meridiana.<br />

LIBRI PRESIDENZIALI<br />

C’è una campana (letteraria) che suona sia per Obama che per McCain<br />

N el 1992, salendo sull’aereo della campagna<br />

elettorale, Bill Clinton sventolò<br />

un libro del suo scrittore preferito. Le<br />

vendite dei romanzi di Walter Mosley, nero<br />

cresciuto nel ghetto di Los Angeles, triplicarono<br />

in una settimana. Eletto presidente,<br />

Bill Clinton confermò al Wall<br />

Street Journal il nome del suo scrittore<br />

prediletto, consigliandolo a tutti. Mosley<br />

commentò: “Adesso ogni giornalista al<br />

mondo sa chi sono”. Da noi – dove i libri<br />

si scrivono in dosi massicce ma si leggono<br />

in dosi omeopatiche, e dove una campagna<br />

elettorale è considerata iattura dai librai,<br />

perché le vendite calano a picco – il<br />

“cosa sta leggendo?” non sta tra le legittime<br />

curiosità (l’unica scrittrice che abbia<br />

tratto vantaggio dalla politica si chiama<br />

Catherine Dunne: “La metà di niente”, citato<br />

di striscio nella lettera a Silvio di Veronica<br />

Berlusconi, rientrò prontamente in<br />

classifica).<br />

Sul supplemento libri del New York Times,<br />

Jon Meacham raccoglie le letture dei<br />

candidati Obama e McCain. Vince Mc-<br />

Cain, prima ancor di nominare un solo titolo.<br />

Quand’era prigioniero in Vietnam,<br />

per tenere la mente sveglia recitava scene<br />

di romanzi o film. Più o meno quel che<br />

fa il carcerato Molina nel “Bacio della<br />

donna ragno” di Manuel Puig: per distrarre<br />

il compagno di cella, gli racconta “La<br />

donna pantera” e altri film di zombie. Ma<br />

siccome l’altro è un prigioniero politico –<br />

il narratore invece è stato messo dentro<br />

per omosessualità – litigano di continuo.<br />

Uno vorrebbe sapere se i personaggi hanno<br />

coscienza sociale, l’altro non vede neppure<br />

l’apologia di nazismo in un film dell’UFA,<br />

occupato com’è a godersi gli abiti<br />

scintillanti e le pettinature.<br />

John McCain – che ha avuto l’onore di<br />

un ritratto firmato David Foster Wallace,<br />

in “Considera l’aragosta”, Einaudi – legge<br />

e rilegge “Per chi suona la campana” di<br />

Hemingway. “Ho sempre pensato che Robert<br />

Jordan, il protagonista, avesse tutte<br />

le caratteristiche che un uomo deve avere”.<br />

Gli piacciono i racconti di William Somerset<br />

Maugham, “Niente di nuovo sul<br />

fronte occidentale” di Eric Maria Remarque,<br />

“L’ultimo dei Mohicani”. Anche William<br />

Faulkner, “purché a piccole dosi”: i<br />

titoli preferiti sono “L’orso” (in “La grande<br />

foresta”, Adelphi) e “Turnabout”, portato<br />

sullo schermo da Howard Hawks nel<br />

1933, con Joan Crawford e Gary Cooper<br />

(“Today We Live”, ovvero “Rivalità eroica”:<br />

una ragazza e tre spasimanti durante<br />

la Seconda guerra mondiale). Nel reparto<br />

saggi, meno ricco, “Declino e caduta dell’Impero<br />

romano” di Edward Gibbon (letto<br />

due volte).<br />

Barack Obama manda per e-mail una lista<br />

con Jefferson, Emerson, Lincoln,<br />

Twain. Sullo scaffale degli afroamericani,<br />

il James Baldwin di “La prossima volta, il<br />

fuoco” e Toni Morrison. Gli piacciono<br />

Graham Greene – titoli segnalati: “Il potere<br />

e la gloria”, “Un americano tranquillo”<br />

–, “Il taccuino d’oro” di Doris Lessing,<br />

“Padiglione cancro” di Aleksandr Solzenicyn,<br />

l’autobiografia di Gandhi, John<br />

Steinbeck, e nell’elenco ritroviamo “Per<br />

chi suona la campana”. Entrambi i candidati<br />

amano Shakespeare, entrambi hanno<br />

letto “Tutti gli uomini del re” di Robert<br />

Penn Warren, ispirato alla storia vera di<br />

Huey P. Long, il democratico populista<br />

che divenne governatore della Louisiana<br />

e fu assassinato nel 1935 (un paio d’anni fa<br />

Steven Zaillian ne ha tratto un film, con il<br />

liberal Sean Penn nella parte del commesso<br />

viaggiatore che voleva candidarsi<br />

presidente contro Roosevelt).<br />

Tra i predecessori, il serio Abramo Lincoln<br />

leggeva la Bibbia e Shakespeare. Il<br />

giocherellone Franklin Roosevelt combatteva<br />

Hitler e recitava i limerick di<br />

Edward Lear a Winston Churchill, che rispondeva<br />

a tono.<br />

Mariarosa Mancuso<br />

LA BEFFA DI LINATE E LO STRANO CASO DELL’HUB DI MALPENSA /1<br />

Comunque andrà a finire con Cai c’è un partito che ha già perso, quello del nord<br />

Roma. La partita Alitalia si avvia finalmente<br />

alla conclusione con l’offerta presentata<br />

venerdì sera dai diciannove capitani coraggiosi<br />

di Cai. Un romanzo popolare che si<br />

dipana da oltre due anni, dove le prime bozze<br />

sull’epilogo consentono di soffermarsi sugli<br />

sconfitti. Oltre al sindacalismo corporativo<br />

e ricattatorio, nella casella dei perdenti<br />

va annoverato un altro attore molto rumoroso<br />

come il partito del nord. La grande Malpensa,<br />

sognata da dieci anni, resterà un<br />

obiettivo di difficile attuazione non potendo<br />

poggiare sulla principale compagnia aerea<br />

del paese. Il progetto elaborato per Roberto<br />

Colaninno da Intesa Sanpaolo e Boston Consulting,<br />

noto come piano Fenice, prevede il<br />

ritorno in Lombardia dei voli di lungo raggio<br />

solo a condizione che si chiuda (o fortemente<br />

ridimensioni) lo scalo di Linate. In caso<br />

contrario, con un aeroporto dentro la città<br />

che cannibalizza Malpensa, Cai non trasferirà<br />

quelle risorse che erediterà dislocate a<br />

Fiumicino. L’esigenza di un nuovo assetto sui<br />

cieli sopra Milano è condiviso anche da<br />

Lufthansa e Air France-Klm (British Airways<br />

non si è ancora esposta a riguardo), i due<br />

partner industriali più accreditati per entrare<br />

nel capitale azionario della nuova Alitalia.<br />

Entrambi gli scenari che si prospettano –<br />

Linate aperto o Linate chiuso – ridimensionano<br />

fortemente le ambizioni di quel partito<br />

del nord che annovera al suo interno vertici<br />

istituzionali (Roberto Formigoni, Letizia Moratti,<br />

Filippo Penati) e mondo dell’impresa<br />

(Emma Marcegaglia, Diana Bracco). La soluzione<br />

“meno Linate, più Malpensa” non ha<br />

mai convinto i politici milanesi. O meglio, dopo<br />

averla appoggiata in principio, si accorsero<br />

che la chiusura del city airport sarebbe<br />

stata impopolare e hanno fatto tutti retromarcia.<br />

Nel 1999 l’ex sindaco Gabriele Albertini<br />

arrivò a sconfessare in tribunale l’operato<br />

dell’ad di Sea (da lui nominato), Tomaso<br />

Quattrin. Oltre al danno di una Linate ridimensionata,<br />

si prefigura anche la beffa di un<br />

investimento di risorse da parte di Cai non<br />

sufficienti a fare di Malpensa un hub di livello<br />

europeo. Il capo di Sea, Giuseppe Bonomi,<br />

ha già espresso severe riserve sul piano Fenice.<br />

Se lo schema di limitare Linate dovesse<br />

andare in porto però avrà il placet del<br />

presidente del Consiglio Silvio Berlusconi,<br />

cosa che metterebbe in imbarazzo Moratti e<br />

Formigoni – che più che esprimere dissensi<br />

e distinguo, dovranno presumibilmente gioire<br />

per una vittoria mutilata.<br />

Tutt’altro che remota, invece, la possibilità<br />

che i veti incrociati suggeriscano all’esecutivo<br />

di non dare corso a un ridisegno del<br />

traffico aereo su Milano. In questo scenario,<br />

nonostante le reiterate intenzioni di tornare<br />

al nord espresse a più riprese da Colaninno<br />

e da altri componenti della cordata, Cai non<br />

si discosterà dal vituperato piano Prato,<br />

quello del disinvestimento da Malpensa. La<br />

nuova Alitalia partirà con risorse limitate e<br />

non disporrà di una potenza di fuoco per dislocare<br />

aeroplanini, come in un Risiko, su<br />

tre scali (Malpensa, Linate e Fiumicino).<br />

Ecco, ma perché è così indispensabile tagliare<br />

le ali a Linate? L’idea di Corrado Passera<br />

e Roberto Colaninno non è inedita. Lo<br />

schema ricalca il piano elaborato nel 1996<br />

dall’ex amministratore delegato Domenico<br />

Cempella, che aveva il suo sostentamento<br />

normativo nel decreto del ministro dei Trasporti,<br />

Claudio Burlando. Un piano che tre<br />

governi dal corto respiro – Prodi I, D’Alema,<br />

Amato II – non ebbero la forza di difendere<br />

a Bruxelles. Il ragionamento, di ieri e di oggi,<br />

è il seguente: i milanesi che volano (specie<br />

quelli di business class) per destinazioni<br />

brevi preferiscono utilizzare Linate, per cui<br />

non si può rinunciare ai viaggiatori d’affari<br />

autoemarginandosi a Malpensa. Al contempo<br />

se l’aeroporto varesino ambisce a diventare<br />

un hub necessita di voli dalla periferia<br />

per “alimentare” le tratte di lungo raggio.<br />

Nessun hub, a eccezione di Londra, può sopravvivere<br />

solamente con i residenti dell’area<br />

metropolitana. Come si fa dunque a<br />

riempire gli aerei da trecento e passa posti<br />

dei voli intercontinentali? La soluzione è obbligare<br />

tutti, anche i concorrenti, a trasferirsi<br />

a Malpensa. Certamente Cai non intende<br />

proseguire nello schema ibrido perseguito<br />

da Alitalia negli ultimi dieci anni, lasciando<br />

voli su entrambi gli aeroporti milanesi. Una<br />

strada inefficiente che comporta il raddoppio<br />

di costi fissi (due aerei utilizzati, due<br />

equipaggi, due turni di manutenzione). Un<br />

ex ex capoazienda di Alitalia, quando provava<br />

a persuadere i suoi interlocutori politici<br />

amava ricorrere al seguente esempio: “Se su<br />

Linate e Malpensa arrivano cinque voli al<br />

giorno e ne partono altrettanti, ogni aeroporto<br />

offre venticinque ipotetiche connessioni,<br />

cinquanta quindi in tutta l’area milanese. Se<br />

però, quei dieci voli in arrivo e in partenza<br />

si spostano in un solo scalo, le connessioni<br />

diventano cento”.<br />

Giuseppe Marchini<br />

Marco Di Domenico ha raccolto<br />

un repertorio di “animali<br />

e piante senza permesso di<br />

soggiorno” (“Clandestini”, Bollati Boringhieri,<br />

16 euro) che comprende 45 esemplari<br />

che si sono stabiliti di nascosto dalle<br />

parti nostre e hanno fatto fortuna. Sono voci<br />

svelte, di tre o quattro pagine al massimo,<br />

in ordine alfabetico, dunque casuale e<br />

modificabile a piacere. Mosso non da un<br />

interesse scientifico, ma dall’interesse privato<br />

e dal fatto personale io ho scelto dall’indice<br />

nell’ordine la zanzara tigre, la formica<br />

argentina, la nutria, il punteruolo<br />

rosso della palma, l’ailanto, il gambero rosso<br />

della Louisiana, il pesce siluro e la vongola<br />

filippina. Non so voi.<br />

PICCOLA POSTA<br />

di Adriano Sofri<br />

“Vittorio, Vittorio! Sono<br />

Aldo! Sto bene! Sto<br />

bene!”. Vittorio Messori<br />

nel suo “Perché credo” racconta la telefonata<br />

di zio Aldo, in una lontana<br />

notte torinese. E’ una <strong>pagina</strong> che fa<br />

drizzare i capelli: lo zio Aldo era morto<br />

esattamente l’anno prima. Cari morti,<br />

avrei bisogno anch’io di una telefonata.<br />

Oggi vengo io da voi, al cimitero,<br />

ma vorrei che ogni tanto ricambiaste<br />

la visita. Il mondo moderno vi respinge<br />

(dai giacobini che nel 1804 vi espulsero<br />

dalle città ai nichilisti che oggi vi<br />

espellono dalla realtà con la cremazione)<br />

ma voi non fateci caso, venite lo<br />

stesso. Perché se non venite voi vengono<br />

gli spiriti di Halloween, festa maligna<br />

che sta occupando un vuoto (ennesima<br />

prova che non si può vivere senza<br />

religione: dove finisce il cristianesimo<br />

comincia sempre una qualche forma<br />

di satanismo). Cari morti, rifatevi<br />

vivi.<br />

PREGHIERA<br />

di Camillo Langone<br />

LA FINESTRA DI FRONTE<br />

STRAVAGANZE<br />

MANUELA DI CENTA RACCONTA LA VITA SEGRETA DELLE VOLONTARIE CHE COMBATTERONO COSÌ NELLE TRINCEE DELLA CARNIA


ai non ha ceduto al ricatto di quelle<br />

Ccinque sigle sindacali di piloti e assistenti<br />

di volo di Alitalia che hanno deciso<br />

di non firmare i contratti per il personale<br />

della nuova Alitalia. E’ stata così<br />

rotta un’assurda regola non scritta<br />

per cui una società che rileva da un<br />

commissario un’azienda dovrebbe sottostare<br />

alle condizioni poste da una parte<br />

di quel personale che si trova coinvolto<br />

nella procedura pre fallimentare. Il<br />

commissario deve fare l’interesse dei<br />

creditori, e l’acquirente deve poter rispettare<br />

i criteri di economicità senza<br />

veti di chi non ha alcuna voce propria<br />

in questa procedura legale. Nella logica<br />

di rapporti sindacali (coerente con un<br />

sistema d’economia di mercato) gli accordi<br />

con i sindacati non si dovrebbero<br />

fare prima dell’acquisto dell’azienda, rilevata<br />

da una procedura commissariale,<br />

ma dopo. E quindi il metodo con cui la<br />

trattativa di Cai è stata condotta, e che<br />

l’attuale governo aveva ereditato dal<br />

precedente, è un metodo sbagliato. Si è<br />

perso così molto tempo, ma s’è anche<br />

potuto verificare che il consociativismo<br />

EDITORIALI<br />

a tesi di Gad Lerner, esposta su Re-<br />

di giovedì in un articolo<br />

Lpubblica<br />

pieno di cose interessanti, è questa: il<br />

fenomeno Obama è la negazione multietnica<br />

della radice culturale identitaria,<br />

una specie di consacrazione del<br />

multiculturalismo e di parola fine apposta<br />

al concetto di occidente. Potrebbe<br />

non essere la tesi giusta, sebbene<br />

Lerner cerchi di suffragarla vantando<br />

come argomento decisivo il fatto che il<br />

prossimo probabile presidente è figlio<br />

di un keniano e di una americana, e ha<br />

trascorso periodi formativi della sua vita<br />

alle Hawaii e in Indonesia. Barack<br />

Obama ha in realtà imposto se stesso<br />

come un mito personale superamericano<br />

e ultramericano. Il suo profilo è l’incarnazione<br />

del sogno, e il sogno si nutre<br />

certamente del meticciato etnico e culturale,<br />

come sempre avviene nei grandi<br />

imperi globali, ma approda dopo una<br />

esplicita e tormentata ricerca all’identità<br />

nazionale e perfino a un patriottismo<br />

culturale e religioso che a un “multiculti”<br />

europeo alla Lerner, civettuolo<br />

“bastardo” che non è altro, farebbe venire<br />

i brividi. Pubblichiamo oggi in prima<br />

<strong>pagina</strong>, solo per un esempio, la citazione<br />

della ragione addotta da Obama<br />

per giustificare la sua avversione al matrimonio<br />

gay: sono cristiano, la mia è<br />

un’opposizione che nasce dal sentimento<br />

religioso. (Va da sé che qualunque<br />

leader europeo pronunci la stessa frase<br />

sarebbe seduta stante impiccato alla<br />

sua bigotteria e al suo disprezzo per i<br />

valori laici della Costituzione.) Obama<br />

è un insieme di differenze che si comprime<br />

in una fortissima identità culturale<br />

e civile: è un white liberal guy di<br />

pelle nera, un perfetto americano.<br />

neocorporativo non regge se non ha<br />

l’appoggio del potere politico. La sottoscrizione<br />

dei nuovi contratti di lavoro (e<br />

dei criteri di selezione dei lavoratori<br />

della nuova compagnia che agevolano il<br />

governo nel fronteggiare le conseguenze<br />

future del ricatto dei sindacati che<br />

non hanno firmato) deriva dal fatto che<br />

le single sindacali si sono rese conto<br />

che il governo, col ritiro dell’offerta Cai,<br />

avrebbe lasciato che Alitalia fallisse –<br />

seguendo così le regole di una economia<br />

pubblica che rispetta le regole del<br />

mercato. La logica del mercato, dunque,<br />

ha finalmente prevalso su quella<br />

consociativista che ha creato tanti danni<br />

e ritardi alla nostra economia. Cai ha<br />

avuto coraggio. Ma nei riguardi dei piloti<br />

e degli assistenti di volo che non<br />

vorranno aderire ai nuovi contratti sarà<br />

aiutata, ancora una volta, dalla logica<br />

del mercato. Esiste, infatti, un’offerta<br />

nazionale e internazionale di personale<br />

di volo che può rimpiazzare quello<br />

che non accetterà le sue condizioni, che<br />

sono meramente quelle prevalenti nel<br />

mercato europeo.<br />

Muerte al capitale, anzi no<br />

iuniti nella capitale del Salvador, i<br />

Ri capi di stato e di governo dei 22<br />

paesi del vertice iberoamericano, hanno<br />

dato vita a un confronto che è presto<br />

sfociato in una specie di dialogo tra sordi.<br />

La differenza tra quelli che cercano<br />

misure adatte a fronteggiare la crisi dei<br />

mercati per rinsaldare il sistema capitalistico<br />

e quelli che pensano che sia<br />

giunto finalmente il momento per dargli<br />

il colpo di grazia sono troppo ampie<br />

per consentire qualsiasi tipo di convergenza<br />

non puramente verbale. La demagogia<br />

dei leader di Bolivia, Nicaragua,<br />

Ecuador, per non parlare di Cuba,<br />

si concentra nella denuncia delle inenarrabili<br />

nequizie dell’imperialismo<br />

yankee, mentre gli altri si preoccupano<br />

di come evitare la ricaduta della crisi<br />

che ormai minaccia da vicino le loro<br />

Il nero bastardo<br />

E’ vero che il fenomeno Obama è la negazione multietnica dell’identità?<br />

Ricattini sindacali<br />

Il caso Alitalia dimostra che gli accordi si devono fare dopo, e non prima<br />

Fronteggiare la crisi o dare il colpo di grazia? Il sud America si divide<br />

l ministro La Russa ieri è tornato su<br />

Iun argomento che ha già suscitato<br />

qualche polemica. “Il 4 Novembre – ha<br />

detto – sta per ridiventare non solo festa<br />

nazionale, perché lo è già, ma giorno di<br />

vacanza, esattamente come lo è il 2 Giugno<br />

e come lo è il 25 Aprile”. Se però festa<br />

nazionale “lo è già”, viene da domandarsi<br />

che bisogno ci sia di agitarsi tanto.<br />

Dopodiché, si finisce per cedere all’impressione<br />

di un vago spirito di rivalsa,<br />

neanche troppo nascosto nel paragone<br />

con il 2 giugno e il 25 aprile, foriero di<br />

nuove polemiche sulla gerarchia delle<br />

vacanze, ancora più inutili delle precedenti<br />

sul carattere “razzista” della canzone<br />

del Piave, denunciato da Liberazione<br />

con ottantotto anni di ritardo. Nel celebrare<br />

il 4 novembre non c’è nulla di<br />

La baruffa del Piave<br />

economie, come mostrano i nuovi cedimenti<br />

del sistema creditizio argentino<br />

(che già era crollato rovinosamente anche<br />

quando da Wall Street non venivano<br />

venti di crisi). La proposta del presidente<br />

messicano Felipe Calderon, per<br />

un nuovo rapporto tra stato e mercato<br />

inserito in un ordine internazionale più<br />

stabile, è caduta nel vuoto, mentre le<br />

politiche di nazionalizzazione delle<br />

compagnie petrolifere straniere adottate<br />

dai vari caudillos di sinistra hanno<br />

perso il loro fascino contemporaneamente<br />

al crollo del prezzo del greggio.<br />

Il documento approvato, un invito a<br />

nuovi investimenti per combattere la<br />

povertà, è talmente generico da apparire<br />

del tutto inutile, com’era inevitabile<br />

visti i punti di partenza sostanzialmente<br />

inconciliabili degli estensori.<br />

La Russa esagera un po’, ma la sinistra si ricordi del volontario Togliatti<br />

strano. E infatti lo si è sempre celebrato,<br />

e tutte le principali cariche istituzionali<br />

– indipendentemente dalla loro personale<br />

formazione – vi hanno partecipato<br />

con discorsi solenni e con parole adeguate.<br />

Non meno pervasi di spirito unitario<br />

e aspirazione alla concordia nazionale,<br />

per parte nostra, invitiamo dunque<br />

i colleghi di Liberazione a cercare migliori<br />

spunti; tanto più che di simili polemiche<br />

furono già bersaglio, a sinistra,<br />

Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti<br />

(che alla Grande guerra partecipò da volontario<br />

nella Croce rossa, essendo stato<br />

dichiarato inabile per miopia). Ma al<br />

tempo stesso, certi della sua intelligente<br />

comprensione, invitiamo anche il ministro<br />

La Russa a ispirarsi nei suoi interventi<br />

ad analogo spirito di concordia.<br />

ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />

I giovani Cisl spiegano quali risposte si aspettano ora dalla Gelmini<br />

ni di questi giorni sono le parole del presidente<br />

Napolitano, che ha invitato al dialogo<br />

le parti per trovare una soluzione”.<br />

Lo sciopero però non sembrava un invito<br />

al dialogo. “Non è vero – prosegue Pirulli<br />

– lo sciopero è un modo per richiamare<br />

alla contrattazione, ha come obiettivo<br />

proprio il dialogo”. Secondo Pirulli serve<br />

che ci si sieda attorno a un tavolo e si rivedano<br />

i punti critici dei tagli all’università:<br />

“Sono stati fatti tagli generalizzati a<br />

cui siamo assolutamente contrari”. Che<br />

soluzione ci sarebbe? “Intanto quella di<br />

andare a vedere quali sono gli atenei più<br />

virtuosi e premiarli, non togliere loro la<br />

stessa quantità di fondi che si tolgono a<br />

chi ha una gestione di bilancio dissennata”.<br />

C’è anche la previsione della trasformazione<br />

in fondazioni private da parte di<br />

alcune università. “Il problema non è se<br />

un università è pubblica o privata, ma se<br />

offre un servizio buono ed è accessibile a<br />

tutti. Non sono contrario a questa trasformazione,<br />

anche se diversi punti non sono<br />

chiari e non si capisce la ricaduta che<br />

Roma. Dopo la trattativa Alitalia i sindacati<br />

non erano certo in cima classifica<br />

alle classifiche dei più amati del paese,<br />

ma il successo dello sciopero di giovedì,<br />

oltre ad avere aiutato la resurrezione di<br />

Veltroni, sembra aver ridato slancio anche<br />

alle tre sigle sindacali, tutte in piazza<br />

a braccetto per protestare contro il decreto<br />

sulla scuola voluto dal ministro Gelmini.<br />

A giorni il ministro dell’Istruzione renderà<br />

note le linee guida che daranno un<br />

quadro più completo dell’idea che in viale<br />

Trastevere si ha sul futuro degli atenei<br />

italiani. Di questo, delle proteste in piazza,<br />

dei blocchi della didattica e di quello<br />

che occorre fare per riformare il mondo<br />

universitario, parla al Foglio Mattia Pirulli,<br />

presidente nazionale dell’Associazione<br />

giovani della Cisl (che si occupa, tra l’altro,<br />

di accompagnare giovani che hanno<br />

terminato gli studi nella ricerca del lavoro).<br />

Ventiseienne laureando in Economia<br />

alla Sapienza di Roma e studente lavoratore<br />

da tre anni, Pirulli dice che “il punto<br />

di partenza per giudicare le manifestazioavrà<br />

ad esempio sulla ricerca di base”.<br />

Alzare di molto le tasse a chi se lo può<br />

permettere e creare più borse di studio<br />

per i capaci e meritevoli non sarebbe una<br />

soluzione? “Certo, potrebbe essere una<br />

soluzione, a patto che l’accesso sia davvero<br />

garantito a tutti e la qualità sia alta”,<br />

risponde Pirulli. Così come molti rettori<br />

“virtuosi” in tutta Italia, anche il presidente<br />

dei giovani della Cisl aspetta le linee<br />

guida della Gelmini con grande attenzione.<br />

Perché finora i tagli previsti in Finanziaria<br />

non lo convincono. Anche se,<br />

non per questo, è d’accordo con certe forme<br />

di protesta e con il blocco della didattica<br />

attuato in alcuni atenei della penisola,<br />

spesso per volontà di professori e rettori:<br />

“E’ assurdo che si arrivi alla sospensione<br />

delle lezioni – dice Pirulli, e parla<br />

soprattutto da universitario – Questo non<br />

è uno strumento che va a vantaggio degli<br />

studenti, soprattutto quando è imposto,<br />

come nei giorni scorsi. La libertà di scelta<br />

deve essere lasciata sempre: chi vuole<br />

aderire a una protesta lo faccia, ma per<br />

questo non penalizzi chi a lezione ci vuole<br />

andare”. Continua Pirulli: “Che molte<br />

università italiane siano in crisi è sotto gli<br />

occhi di tutti, e non solo dal punto di vista<br />

dei bilanci. Un cambiamento serve, ma è<br />

ovvio che se imposto dall’alto sarà difficilmente<br />

digerito; per questo dico che serve<br />

il dialogo, altrimenti non se ne esce”. La<br />

Gelmini avrà ben parlato con qualcuno<br />

delle linee guida, no? “Che io sappia non<br />

ha parlato con nessuno, questo è il problema”.<br />

Secondo Pirulli “è ottuso pensare<br />

che non serva una riforma, ma lo è altrettanto<br />

farla in modo unilaterale”. E’ vero,<br />

conclude Pirulli, “che la situazione attuale<br />

è anche eredità delle vecchie riforme,<br />

ma a maggior ragione bisogna parlare<br />

del ruolo che l’università oggi deve<br />

avere. Per questo dico: calma tutti, capiamo<br />

insieme come deve cambiare, avendo<br />

la preoccupazione che il livello della didattica<br />

sia elevato e l’università sia sempre<br />

accessibile a tutti”. E se bisogna fare<br />

dei tagli? “Si facciano pure, purché sensati<br />

e non generalizzati”.<br />

Maradona, quello nuovo, uscito dal massacro del maradonismo<br />

“LA NAZIONALE HA BISOGNO DI UN UOMO CHE FACCIA RIDERE E NON PIANGERE”, HA DETTO IL NUOVO CT DELL’ARGENTINA<br />

iego si stupisce dello stupore. Forse sento come nei giorni nei quali sono nate tario potranno raccontare davvero. anche quando era giocatore. Il che suona<br />

Dfa finta: con lui non sai mai dove s’incrociano<br />

spontaneità e sovrastruttura. Vedo<br />

un’infrazione ed è mancato poco che un Il maradonismo ha massacrato Maradona, go non avrebbe mai potuto allenare Mara-<br />

Dalma e Giannina… Oddio sto commetten-<br />

Non c’è perdono, non c’è comprensione. paradossale al quadrato se pensi che Diero,<br />

falso, sincero, costruito, sobrio, alterato:<br />

si tira a caso. Va come va, perché que-<br />

camion mi schiacciasse”. Il cellulare, ecco.<br />

Dicono non sia un dettaglio se risponto,<br />

ha offuscato la grandezza dei suoi gesti sa risolvere nessuno. Sappiamo solo che la<br />

trasformandolo in un’icona, l’ha banalizzadona,<br />

perché sennò chi l’avrebbe fatta la<br />

formazione? Ha fatto sapere che farà fuori<br />

Zanetti, Cambiasso e Abbondanzieri.<br />

DI BEPPE DI CORRADO<br />

Sono vent’anni che il campo da calcio non c’entra più niente con Diego,<br />

Non si sa di Aguero, cioè il genero, il fidanzato<br />

della figlia, che Diego considerasto<br />

è Maradona. Cioè tutto: il romanzo diventato il totem dei diseredati a caccia di un sogno da vivere. Diego<br />

eterno di uno che a un certo punto è stato<br />

va una mezza tacca fino a poco prima che<br />

morto da vivo e che adesso torna non si personaggio che sovrasta Diego calciatore è stato un insulto incancellabile. scoprisse di ritrovarlo in casa per la cena<br />

capisce se per ritrovarsi o per avere una<br />

di Natale. Giocherà, perché è forte. Giocherà<br />

perché fila con Messi, cioè il pupil-<br />

nuova scusa per autodistruggersi. Che s’aspettava,<br />

il silenzio? Lo sapeva, lo voleva.<br />

lo di Diego. Il resto è un’incognita che non<br />

Ora si ricomincia dalla panchina, dove non sempre vincono i più bravi<br />

Allenatore lui. Dai. Le polemiche sono<br />

parte dello show, accompagnano il personaggio<br />

e il suo mondo, qualunque sia e va, glielo avevano proibito. Lo teneva un dinaria capacità di far vedere che cosa si ta questa: “La Nazionale ha bisogno di un<br />

de direttamente lui. Perché mentre guari-<br />

tecnici, la bellezza del suo calcio, la straor-<br />

prima frase da commissario tecnico è sta-<br />

qualunque sia stato. Poi è stato lui a cominciare,<br />

come sempre: “Quanto mi pia-<br />

uno che renda felici e non tristi”. Anche<br />

amico che stava sempre con lui. Non Coppola,<br />

un altro. Rispondeva e filtrava le go personaggio che sovrasta Diego calcia-<br />

pazzie. Perché dopo quelle prove da mi-<br />

possa fare con un pallone tra i piedi. Die-<br />

uomo che faccia ridere e non piangere, di<br />

cerebbe rubare il posto a Carlos Bianchi.<br />

lui ha bisogno delle stesse cose. Vuole ridere,<br />

vuole gioire. Gli altri ex compagni<br />

Sarebbe come battere con un ko Tyson,<br />

Foreman o Monzon”.<br />

della generazione 86 lo aiuteranno: la federazione<br />

li sta chiamando uno a uno per<br />

Adesso che vuoi, Diego? L’anonimato?<br />

Uno che non ha mai di fatto vissuto da<br />

farli entrare nel gruppo. Gli hanno messo<br />

anonimo non può chiederlo agli altri. Non<br />

Carlos Bilardo a fare da tutore. Avrà un vice,<br />

poi forse anche una squadra di consu-<br />

lo vuole, comunque: è tutta scena, tutta coreografia<br />

di uno spettacolo che ha lui come<br />

protagonista anche quando non l’ha<br />

curazione anti follia. Diego sceglierà, gli<br />

lenti: la protezione contro il rischio, l’assi-<br />

chiesto. Stavolta sì: s’è preso la panchina<br />

altri consiglieranno. Perché tutti sanno<br />

dell’Argentina e adesso si prende i se, i<br />

dei precedenti. Maradona ha allenato la<br />

ma, i forse. Fanno parte del gioco: prendi<br />

prima volta nel 1994, subito dopo il Mondiale<br />

degli Stati Uniti: prese il Mandiyú,<br />

sta palla, Diego, e comincia a palleggiare.<br />

Bisognava aspettarlo, perché Maradona<br />

fece 12 partite 3 punti. Poi il Racing di<br />

non finisce mai. Questo è un capitolo, un<br />

Avellaneda: 11 partite 3 sconfitte, 6 pareggi<br />

e 2 vittorie. Due appena e una di queste<br />

altro. Prevede nemici, perché senza quelli<br />

Diego non sa stare: a Barcellona aveva i<br />

forse neanche voluta: alla Bombonera contro<br />

il suo Boca. Il Racing non lo batteva in<br />

difensori, a Napoli prima la stampa, poi<br />

Ferlaino, a Buenos Aires tutto il mondo, a<br />

trasferta da vent’anni, ci voleva Diego per<br />

Cuba tutto il mondo più Bush. Adesso la<br />

farlo. Non c’è altro, non ci sono avventure<br />

gente. Cioè quel pezzetto di Argentina che<br />

successive, prove con altre squadre, in altri<br />

paesi. C’è stata soltanto quella mezza<br />

l’ha schiaffeggiato l’altro giorno quando<br />

Clarin ha chiesto se fosse giusto dare la<br />

frase del 1996, poi dimenticata: “Tornerò<br />

panchina della Nazionale a Dieguito: 50<br />

in Italia e lo farò per allenare il Napoli”.<br />

mila no, il 73 per cento delle persone che<br />

All’epoca era un’uscita così. Oggi? Oggi se<br />

ha votato. E’ uno stadio intero. Per Maradona<br />

sarà quello del River, da sempre piepitolo<br />

ancora. Il romanzo, l’anti-Gomorra<br />

chiedi in giro, non aspettano altro. Un cano<br />

di gente che lo detesta. Cerca un pretesto<br />

e combatti. Però sa che dentro c’è gen-<br />

Prima, durante e dopo. Futuro, questo.<br />

di Napoli: la faccia di Diego in copertina.<br />

te del Boca, dell’Indipendiente, del<br />

Mentre qui qualcuno sta pensando ancora<br />

Newell’s, gente che lo amava e che non si<br />

al passato, ai numeri, alle esperienze, alle<br />

fida. E’ così, Diego. Adesso può esaltarsi o<br />

deprimersi, affari suoi: se ti rimetti in gioco<br />

accetti di uscire dalla protezione collet-<br />

qualcuno che lo tentasse, con qualcun al-<br />

ha avuto pietà delle sue follie non s’è reso Bombonera stava sul suo palco privato a<br />

chiamate per evitare di farlo parlare con tore è stato un insulto incancellabile. Chi ster, c’è stato il Diego folle, quello che alla<br />

tiva, dal rispetto infinito verso uno che stava<br />

per andarserne, dall’adorazione di un Se adesso risponde lui senza bisogno di uno che normale non era. Adesso sì. A 48 del Boca come una ballerina di un night<br />

tro che gli offrisse la sua gioia in polvere. conto di aver ridotto a persona normale, petto nudo, mentre volteggiava la maglia<br />

vincente che ha rischiato di perdere tutto. nessuno, allora vuol dire che quell’epoca anni si può, forse si deve. Normale, ma da quattro soldi. Quello con gli occhi spiritati<br />

e poi depressi, spenti, bui. Questo<br />

Il Diego drogato, quello malato, quello in è finita. Anche quella. E chi l’ha visto conferma:<br />

il look, lo spirito, la voglia sono da dev’essere sempre un pretesto, ci dev’esse-<br />

Diego ce li ha normali. Allora che fai, non<br />

eroe, perché sennò non sarebbe Diego. Ci<br />

clinica avevano compattato il mondo nella<br />

pietà, nella preghiera isterica degli orfani. uomo, non da clown a caccia di uno scopo re sempre un contesto. Ora c’è: l’Argentina gli credi? Non costa molto, in fondo. Se<br />

I sit-in fuori dall’ospedale, i santini, le tv di per fare pena. Non si parla di soldi nel pallonara che barcolla, arranca, si piega. non ti illudi, Maradona è ancora il massimo<br />

della vita, è sempre quell’immagine<br />

tutto il mondo a fare stand-up di fronte all’ingresso<br />

del reparto: “Ecco l’ultimo bol-<br />

problemi economici, è tornato una piccovatore,<br />

come nell’86, come ogni volta. I ne-<br />

del pallone attaccato al piede, è lo spot del<br />

suo contratto. Non ancora. Diego non ha Sconfitte, sconfitte, sconfitte. Diego è il sallettino<br />

medico sulle condizioni del Pibe la azienda da tre milioni l’anno di sole mici non sono gli inglesi delle Malvinas, calcio, il più bello che si possa avere. Dove<br />

lo trovi un altro che si divertiva a spor-<br />

de Oro”. Da allenatore non è più un resuscitato:<br />

è vero, toccabile, insultabile. E’ l’o-<br />

pagherà, certo. Quanto è ancora da vede-<br />

argentino nella finale di Italia 90. I nemici carsi nel fango? Dov’è un altro che non ca-<br />

comparsate e pubblicità. La federazione non sono gli italiani che fischiano l’inno<br />

leogramma che torna umano per l’ennesima<br />

volta.<br />

cettato senza neanche sapere quanto fos-<br />

dubbioso, scettico. Diego è Diego, sì. Ma la restava in piedi? Dov’è chi calciava come<br />

re perché pare che Maradona abbia ac-<br />

sono ex amici: el pueblo, il suo. E’ incerto, deva mai, che barcollava dopo un fallo, ma<br />

se l’offerta. Ha fame di se stesso, evidentemente.<br />

Lui più dei gufi che hanno semnersi<br />

tutto: videocassette, dvd, ricordi, fo-<br />

panchina?<br />

lui, chi dribblava come lui? Bisogna te-<br />

La risposta al cellulare<br />

Quanti ritorni ha avuto Diego? Non si pre alimentato il suo mondo da eroe-sbagliato:<br />

perché c’era tanta gente che lo ado-<br />

Qui non servono numeri, non servono i ora. Il terzo, il quarto, il quinto Diego del-<br />

La formazione l’ha sempre fatta lui<br />

to, ritagli di giornale. Diego è un altro,<br />

contano più, non ci è riuscita neanche l’ex<br />

moglie Claudia, che a un certo punto se ne rava rovinato? Perché hanno cercato sempre<br />

di prenderlo come esempio della ri-<br />

dove gli altri non vedono. La panchina è venti chili in meno, assomiglia a quello di<br />

piedi, non serve la testa, non serve vedere la sua vita. La panchina, la Nazionale,<br />

è andata. Questo è l’ultimo, per quelli che<br />

adorano la retorica è anche il più bello: vincita, del riscatto, del sud che ce la fa? un casino, dove non sempre vincono i più metà anni Ottanta: non s’è capito se vuole<br />

Maradona in campo, anzi in panchina, comunque<br />

dentro, protagonista, sano, al la-<br />

che c’era un mondo adorante a prescinde-<br />

da quando gli chiesero quante chance modo per restare piccolo per sempre.<br />

E’ così che s’è rovinato, Diego. Sapendo bravi. Non sono passati neanche due anni provare a diventare adulto, o se cerca il<br />

voro. Sorridente, anche. Questa è la maradoneide:<br />

felice al pensiero che l’uomo sba-<br />

senza riserve. Dicevano fosse perché in le. “Zero direi. Non diventerò mai commis-<br />

ritorno all’inferno. Bisogna aspettare.<br />

re, che c’era chi era pronto a stare con lui avesse di fare l’allenatore della Naziona-<br />

Non sappiamo se il ritorno nel calcio è il<br />

gliato non ci sia più, cancellato da questo campo era stato un dio. Invece sono sario tecnico, perché non so se chiamarmi Guardare. Spettatori di uno show che tanto<br />

va in onda lo stesso, anche se non lo ve-<br />

signore tirato e improvvisamente magro, vent’anni che il campo non c’entra nulla, conviene ai dirigenti”. Allora Diego allenatore<br />

è una scommessa alla quale forse de nessuno. Se tradisce, peggio per lui.<br />

lucido, normale. Uno che risponde al telefono<br />

ai giornalisti dalla macchina un’o-<br />

dei diseredati a caccia di un sogno da vi-<br />

non crede neanche lui. “La formazione la Qui ci sono le immagini. Qui c’è lui. Eter-<br />

che Maradona è stato preso per il totem<br />

ra dopo aver avuto la notizia di essere stato<br />

scelto come commissario tecnico: “Mi tasmi che nessun film e nessun documensale,<br />

visto che Ferlaino dice che la faceva avremo sempre<br />

vere. Il suo è stato un incubo fatto di fan-<br />

faccio io”, ha detto. Il che suona paradosno.<br />

Può fallire Diego, chissenefrega. Noi<br />

Maradona.<br />

LIBRI<br />

Erlend Loe<br />

TUTTO SULLA FINLANDIA<br />

233 pp., Iperborea, euro 14<br />

possibile scrivere un opuscolo turistico<br />

su un paese in cui non siete mai<br />

E’<br />

stati? Forse sì, se vi chiamate Erlend Loe<br />

e avete il suo senso dell’umorismo, la sua<br />

abilità nel cogliere il risvolto ironico della<br />

banalità quotidiana, la sua capacità di<br />

fare di un dettaglio usuale il punto di partenza<br />

di girandole che costringono a sorridere<br />

del grottesco che così spesso si nasconde<br />

nell’ovvio. In quest’ultima fatica,<br />

Loe aggiunge alla galleria degli stralunati<br />

protagonisti dei suoi romanzi l’improbabile<br />

figura di un redattore di brochure.<br />

Trentenne, single, senza amici, libero<br />

professionista attualmente disoccupato e<br />

squattrinato, si vede proporre da due funzionari<br />

dell’ambasciata finlandese la stesura<br />

di un pieghevole sul loro paese. Non<br />

c’è mai stato, lui, in Finlandia. Ma proprio<br />

quella mattina gli hanno rimosso l’auto in<br />

divieto di sosta, non ha nemmeno i soldi<br />

per ritirarla dal deposito. E allora si inventa<br />

sui due piedi una nonna finlandese,<br />

improvvisa un’infanzia trascorsa nel paese<br />

dei mille laghi, millanta una competenza<br />

immaginaria, esce dall’ambasciata col<br />

contratto in tasca, in testa il miraggio di<br />

scrivere “la madre di tutte le brochure,<br />

quella che si legge comodamente seduti<br />

nella poltrona buona e poi si mette in libreria,<br />

accanto ai classici”.<br />

Impresa eroicomica che Loe mostra dall’interno,<br />

in presa diretta, squadernando<br />

un ininterrotto flusso di coscienza che continuamente<br />

si impegola in infinite digressioni<br />

tra il lavoro – c’è da stupirsi che proceda<br />

a rilento? – e i mille inciampi che la<br />

vita mette davanti. E pensare che il nostro<br />

scrittore di brochure si era presentato con<br />

una tirata contro l’acqua, suo incubo ricorrente,<br />

simbolo di instabilità e cambiamento,<br />

“siamo in molti a provare disagio per<br />

l’acqua, perché non la si può fermare, come<br />

il tempo, al diavolo entrambi”. Suo unico<br />

anelito, confessa, sono stabilità e certezze.<br />

Ma le certezze non sono che luoghi comuni,<br />

la stabilità è un sogno che continuamente<br />

gli viene sottratto, l’imprevisto irrompe:<br />

l’impiegata dell’ufficio cui si rivolge<br />

per riavere l’auto si rivela tanto gentile<br />

che lui passa una notte in un bosco solo<br />

per parlarle, in men che non si dica si ritrova<br />

a occuparsi del di lei inquieto fratellino,<br />

finisce per doverlo recuperare avventurandosi<br />

lungo un fiume su uno sgangherato<br />

kayak, costretto a vincere la guerra<br />

contro la propria fobia per l’acqua. E così<br />

via, in un caleidoscopio di situazioni di<br />

surreale quotidianità che invariabilmente<br />

sgretolano le povere sicurezze del nostro e<br />

lo obbligano a fare i conti con quel che accade.<br />

Moderno bildungsroman nordico col<br />

dono dell’autoironia e della levità.<br />

IL FOGLIO quotidiano<br />

ORGANO DELLA CONVENZIONE PER LA GIUSTIZIA<br />

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ISSN 1128 - 6164<br />

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La Giornata<br />

* * *<br />

In Italia<br />

BOSSI: “SU CAI INTERVENGA IL CAV.”.<br />

PILOTI E ASSISTENTI RESISTONO. Ieri il<br />

ministro per le Riforme, Umberto Bossi, ha<br />

detto che per sbloccare la trattativa di Cai<br />

con i sindacati di piloti e assistenti, “deve<br />

scendere in campo Berlusconi”. Sull’ipotesi<br />

della necessità di un nuovo finanziatore<br />

nell’acquisto di Alitalia, Bossi ha detto:<br />

“La Cai secondo me non molla la partita. I<br />

sindacati devono stare attenti a non esagerare:<br />

se falliscono Alitalia e Malpensa sarebbe<br />

uno smacco enorme per loro”. Per il<br />

ministro dell Infrastrutture, Altero Matteoli,<br />

“Cai volerà, nessuno può permettersi<br />

veti”. In una nota i rappresentanti di piloti<br />

e hostess hanno ribadito la loro contrarietà<br />

all’accordo con Cai alle attuali<br />

condizioni e hanno detto che “la resa incondizionata<br />

di Cgil, Cisl, Uil e Ugl rappresenta<br />

un’azione diretta contro i lavoratori”<br />

e che è in atto “una campagna mediatica<br />

piena di falsità” contro di loro. Lunedì<br />

il commissario straordinario di Alitalia,<br />

Augusto Fantozzi, esaminerà l’offerta<br />

Cai e a Fiumicino si svolgerà un’assemblea<br />

dei piloti e degli assistenti di volo. Anche<br />

il presidente della Camera, Gianfranco Fini,<br />

è intervenuto sulla vicenda chiedendo<br />

che “piloti e assistenti di volo si assumano<br />

le proprie responsabilità”.<br />

Secondo Pierluigi Bersani, ministro ombra<br />

dell’Economia del Pd “il problema di<br />

fondo è che l’offerta Cai è troppo debole per<br />

risolvere le esigenze reali del lavoro e per<br />

garantire un servizio adeguato interno ed<br />

internazionale”. Per Antonio Di Pietro, leader<br />

dell’Idv, “è l’ennesima fregatura”.<br />

* * *<br />

“Veltroni ammetta i suoi errori”. Così Emma<br />

Bonino ha commentato l’assenza del segretario<br />

del Pd al congresso dei Radicali italiani<br />

a Chianciano. “Alle elezioni hai scambiato<br />

la tua fretta con l’urgenza del Paese –<br />

ha detto Bonino rivolgendosi metaforicamente<br />

a Veltroni – Ammettilo, o ti troverai a<br />

rincorrere un populismo che non porta da<br />

nessuna parte”. Sul ruolo dei radicali nel<br />

Pd, Bonino ha aggiunto: “Non c’è un contatto<br />

di partito”. E sul referendum sul dl Gelmini:<br />

“Ci avete sempre detto che i referendum<br />

si fanno sulle grandi questioni di principio.<br />

E ora su cosa lo facciamo, sul grembiule?”.<br />

Su Alitalia: “Il governo ha detto bugie<br />

colossali. Non so come andrà a finire”<br />

Per Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione<br />

del Partito democratico, “i rapporti<br />

tra gli eletti radicali e il Pd sono improntati<br />

a una collaborazione positiva”.<br />

* * *<br />

“Prezzo della pasta troppo alto”. Il garante<br />

dei prezzi ha convocato i maggiori produttori:<br />

“Gli operatori adottino comportamenti<br />

virtuosi per ridurre i listini”, ha detto.<br />

* * *<br />

Quattro feriti a Pordenone per un’esplosione<br />

al poligono di tiro.<br />

Al direttore - E dopo i piloti kamikaze speriamo<br />

in un finale col botto.<br />

Maurizio Crippa<br />

Al direttore - Spero solo che tra quaranta anni<br />

non ci saranno articoli commemorativi del<br />

vergognoso 2007+1.<br />

Maurizio Genoese Zerbi, Roma<br />

Al direttore - Molti tra i critici della protesta<br />

di sinistra sui decreti Gelmini commentano che<br />

l’opposizione avrebbe invece potuto responsabilmente<br />

attaccare la formula indiscriminata dei<br />

tagli alle università. Siamo d’accordo. Il modello<br />

scelto dal governo è sempre quello frusto dell’egalitarismo,<br />

alla faccia delle chiacchiere sulla<br />

meritocrazia. Solo che è difficile trovare un<br />

esempio più clamoroso di suggerimento rivolto<br />

al soggetto sbagliato. Se il governo avesse mai<br />

distinto tra università virtuose e no, la protesta<br />

a sinistra si sarebbe arricchita di tutto il repertorio<br />

di allarmi contro la spirale discriminazione-razzismo.<br />

Con la benedizione del Pd. Di sicuro<br />

tra i 250 milioni di manifestanti al Circo Massimo<br />

avrebbero sfilato sotto il palco di Veltroni<br />

un po’ di professori e studenti, più qualche bambino,<br />

con appuntata la stella gialla. Così come<br />

ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />

Combattenti pro McCain, un appello fervoroso per voi tutti<br />

ra i pasticci di Alita-<br />

le elezioni ameri-<br />

Tlia,<br />

cane e una certa sconclusionatezza<br />

per il futuro<br />

non resta che rivolgersi a<br />

un esperto e sperare in bene,<br />

e cioè che l’esperto ri-<br />

L’AEROPLANINO DI CARTA<br />

DI EDOARDO CAMURRI<br />

sponda. Per i fatti miei, quando tento di<br />

stabilire uno scenario, mi lascio andare a<br />

fantasie speranzose tipo: per quanto riguarda<br />

il trasporto aereo, considerando<br />

anche la crisi di Alitalia, generalizzandola<br />

un po’, come sbloccare definitivamente la<br />

situazione? Ecco, a domande del genere,<br />

se mi si lascia solo, cioè senza l’esperto<br />

che risponde, immagino che il futuro non<br />

potrà che essere pneumatico, cioè volto all’esplorazione<br />

gnostica di nuovi sistemi di<br />

trasporto, privi di ali, ma ancor più veloci<br />

e efficaci. Penso infatti alla posta pneumatica<br />

su larga scala, a grandi capsule dentro<br />

le quali chiudere i passeggeri da spedire<br />

di qua e di là all’interno di tubazioni con<br />

basso attrito (la propulsione delle capsule<br />

potrebbe essere realizzata per mezzo di<br />

motori lineari sincroni, il sostentamento e<br />

la guida invece si realizzerebbero attraverso<br />

sistemi a sublimazione e levitazione<br />

magnetica). Faccio anche i miei calcoli: un<br />

sistema di questo tipo (che ovviamente, essendo<br />

quasi tutto automatizzato, farebbe a<br />

meno di molti rompiscatole come piloti e<br />

assistenti di volo) consentirebbe di percorrere<br />

la tratta New York-Los Angeles in<br />

INNAMORATO FISSO<br />

DI MAURIZIO MILANI<br />

già hanno manifestato qualche giorno fa i docenti<br />

del liceo Manini di Roma.<br />

Stefano Viale, Torino<br />

Mi sarei aspettato anch’io una manovra<br />

selettiva, e proteste favorevoli all’uniformità<br />

corporativa. E’ andata altrimenti. I tagli, si<br />

sa, non hanno anima.<br />

Al direttore - Penso, direttore, che Berlusconi<br />

debba rassegnarsi. O se ne va, scioglie il Pdl e,<br />

vista la maggioranza di cui dispone, fa votare<br />

un provvedimento con il quale i partiti del centrodestra<br />

vengono messi fuori legge (e quindi sono<br />

impediti dal partecipare alle elezioni) oppure<br />

deve mettere in conto e sopportare gli scioperi<br />

della Cgil.<br />

Giuliano Cazzola, deputato del Pdl<br />

Al direttore - Dopo sono tutti buoni. Io, invece,<br />

le dico prima che, secondo i miei personali<br />

sondaggi, è assolutamente certo che il prossimo<br />

presidente degli Stati Uniti sarà McCain (e, se<br />

Dio vuole, gli succederà Sarah Palin per otto<br />

anni, salvo imprevisti imprevedibili). Non può<br />

che essere così: solo una mutazione antropologica<br />

del popolo americano potrebbe indurlo, anche<br />

semplicemente disertando le urne (ed è invero<br />

questa l’unica chance di Obama), a bersi<br />

un altro “prodotto Carter”. E dei “Clinton” e dei<br />

clintonismi gli americani hanno fatto ormai<br />

esperienza. Cioè, né l’Obama visionario e sognatore,<br />

né quello calcolatore e opportunista,<br />

hanno la speranza di vincere. Certo, potrebbe<br />

perdere McCain. Ma poiché in tal caso vincerebbe<br />

Obama, non accadrà: il popolo americano<br />

– quello vero, non quello un po’ polverizzato<br />

e poi massificato che vive tra New York e Los<br />

Angeles – non può permetterlo. Perché non può<br />

permettere che venga confermata, o addirittura<br />

consolidata, per un decennio ancora, la maggioranza<br />

che volle la sentenza “Roe vs Wade”,<br />

Alta Società<br />

Weekend a Milano. Penna stilografica,<br />

inchiostro blu, calligrafia affettuosa,<br />

dediche mirate. Alberto Arbasino ha<br />

mandato agli amici il suo meraviglioso<br />

“La vita è bassa”. Da leggere, per rallegrarsi,<br />

in queste uggiose giornate<br />

novembrine.<br />

quarantacinque minuti, la tratta Washington-Pechino<br />

in due ore circa, eccetera. Così<br />

su due piedi mi sembrerebbe una soluzione<br />

efficace e insomma mi verrebbe da<br />

chiedere come mai pochi ci abbiano pensato<br />

mentre la maggior parte degli esperti<br />

s’incaponisce con le solite soluzioni. Penso,<br />

volendo tenere insieme i sempreverdi<br />

problemi di Alitalia, il trasporto aereo e<br />

anche le elezioni americane, a uno dei più<br />

famosi esperti aerei del pianeta, cioè a Patrick<br />

Smith, pilota e autore della fortunata<br />

rubrica “Ask the Pilot” della rivista americana<br />

Salon.com. Ecco, Smith è famoso<br />

per rispondere periodicamente a questioni<br />

piuttosto semplici come: “Quando un aereo<br />

atterra, sembra quasi che appena tocca<br />

la pista i motori vadano su di giri. Non<br />

è che per caso i motori vanno in retromarcia?”,<br />

oppure “Perché i voli transcontinentali<br />

notturni vanno solo<br />

verso est e non viceversa?”, oppure<br />

“E’ vero che il contenuto<br />

delle toilette viene scaricato<br />

durante il volo? Nessuno si è<br />

mai lamentato di essere stato investito<br />

dai liquami?”. Ecco, quando<br />

Smith affronta questi argomenti è<br />

bravo, sensibile e arguto. Diverso il<br />

caso, come anche insegna l’esperienza<br />

italiana, quando trasporto aereo<br />

e politica si intrecciano gordianamente.<br />

Nell’ultimo numero di Salon,<br />

Smith, discutendo del rapporto tra voli ae-<br />

Oggi lei mi ha lasciato<br />

perché le ho detto che<br />

ho fatto due anni in uno.<br />

Cioè terza e quarta geometra<br />

in un anno scolastico,<br />

per rimediare una<br />

bocciatura e tirarmi in<br />

pari. Lei: “Dovevi dirmelo<br />

la prima sera che ci<br />

siamo conosciuti, anzi<br />

era la prima notizia che<br />

dovevi darmi su di te”. Io: “Sì, sta attento<br />

che io adesso conosco una in spiaggia e<br />

la prima cosa che le dico non è il mio nome,<br />

non dove lavoro o in che albergo soggiorno,<br />

ma: ‘Senti bella, venticinque anni<br />

fa alle superiori sono stato bocciato in<br />

terza, per cui…”.<br />

Le donne in effetti sono un po’ strane.<br />

Nemmeno tanto. Il massimo è quando<br />

credono di essere originali e dicono: “A<br />

me quelli belli non piacciono”. Alcune<br />

arrivano al colmo di dire: “A me piacciono<br />

i brutti, sono sempre stata fidanzata<br />

con uomini bruttissimi”. Senti, donna<br />

che pensa di essere eccentrica, se ti<br />

passa di fianco George Clooney e per<br />

sbaglio ti invita a bere un aperitivo, portatelo<br />

a casa. Poi con le amiche discuti<br />

se pensavo meglio, peggio; ma intanto te<br />

lo blindi tu.<br />

ma anzi vuole che venga finalmente rovesciata,<br />

e quindi vuole McCain-Palin. E non può succedere<br />

nulla di diverso. E quando avrà vinto Mc-<br />

Cain, licenzierete finalmente quel disfattista alla<br />

Colin Powell di David Frum (un’altra Sua<br />

‘nziria alla Vito Mancuso), che sono almeno<br />

quattro anni che ci frantuma il frantumabile<br />

sulla crisi della right nation, sul declino dei social<br />

conservative, sulla perdita di peso delle issues<br />

antropologiche (vita, famiglia, matrimonio,<br />

libertà d’educazione), sui fallimenti di Bush e<br />

sul tramonto della coalizione reaganiana. Naturalmente,<br />

se a essere smentito, il 4 novembre,<br />

non sarà il disfattista – e con lui tutto l’obamismo<br />

planetario (godo già al solo pensiero, soprattutto<br />

se lo rivolgo a quello italico, e in particolare<br />

ai neo-obamisti di Alleanza nazionale)<br />

– ma il sottoscritto, allora sarò io ad aver meritato<br />

il licenziamento. Ma non credo.<br />

Cordialmente<br />

Giovanni Formicola, via Web<br />

Mi piace la sua combattività. In ogni combattente<br />

deve esserci una parte di immaginazione,<br />

di fervore, perfino di delirio. Diciamo<br />

che nella sua lettera questi ingredienti<br />

non mancano.<br />

Il nuovo idraulico Joe è un giornalista-pilota che non può che votare McCain<br />

rei e nuovo presidente degli Stati Uniti,<br />

prima spiega che per i piloti sarebbe auspicabile<br />

una vittoria di Obama, poi nota<br />

come invece molti piloti finiscano con il<br />

preferire McCain. Scrive: “I piloti appartengono<br />

a quel tipo di americani che si caratterizza<br />

per il fatto di votare<br />

contro i propri interessi. (…) Ho<br />

chiesto a un mio amico pilota,<br />

un conservatore evangelico, come<br />

fa a votare per un candidato<br />

che, molto più dell’altro, minaccia<br />

i suoi mezzi di sussistenza.<br />

‘Quello che i miei colleghi<br />

liberal non capiscono’ mi ha risposto<br />

‘è che io non voto contro quelli<br />

che considero i miei interessi più importanti.<br />

Gli interessi per la mia carriera non<br />

sono superiori alla mia fede conservatrice,<br />

al mio desiderio per un governo più leggero,<br />

per tasse più basse, per un esercito forte,<br />

eccetera”. Quasi come l’idraulico Joe,<br />

questo pilota è un uomo tutto d’un pezzo e<br />

Patrick Smith non riesce a farsene una ragione.<br />

Si capisce che ne rimane sconvolto.<br />

Al punto che, verso la fine del suo articolo,<br />

perdendo la calma, il bravo esperto smarrisce<br />

pure ogni residuo di buon senso. Diventa<br />

superstizioso. Ammette che tutti i<br />

candidati democratici alla presidenza che<br />

negli ultimi anni sono stati sconfitti, lui,<br />

Patrick Smith, li aveva incontrati poco prima<br />

di ogni elezione. Insomma, l’esperto teme<br />

di portare sfortuna. E scrive: “Mi chiedo<br />

se la cosa più sicura da fare non sia, in<br />

questi giorni, di barricarmi in cantina”.<br />

Per un pilota è il massimo.<br />

La Giornata<br />

* * *<br />

Nel mondo<br />

L’IRAQ HA DESTINATO 15 MILIARDI<br />

DI DOLLARI ALLA RICOSTRUZIONE.<br />

Il ministro delle Finanze di Baghdad,<br />

Bayan Jabr, ha annunciato ieri che il 25 per<br />

cento della Finanziaria del 2009 (che è ancora<br />

una bozza) è destinato alle infrastrutture.<br />

Secondo uno studio del governo, l’Iraq<br />

ha bisogno di 400 miliardi di dollari per la<br />

ricostruzione. “Ecco perché abbiamo bisogno<br />

di investimenti nel paese, in molti settori,<br />

inclusi quello dell’elettricità, della raffineria,<br />

del petrolio, delle case e delle banche”,<br />

ha detto Jabr. I trenta istituti di credito<br />

del paese sono a corto di capitale a<br />

causa della crisi e il governo segnala che,<br />

dipendendo al 90 per cento dal petrolio, l’economia<br />

irachena è in un periodo delicato.<br />

Il Times ha rivelato ieri che Saddam<br />

Hussein sarebbe stato accoltellato sei volte<br />

prima dell’impiccagione. La fonte è il capo<br />

delle guardie alla tomba dell’ex rais. Il governo<br />

ha smentito.<br />

* * *<br />

La tenda di Gheddafi al Cremlino. Il leader<br />

libico Gheddafi si è recato ieri a Mosca,<br />

dove ha incontrato il presidente russo Medvedev.<br />

Al centro dell’incontro la cooperazione<br />

energetica per gas e petrolio. Secondo<br />

una fonte vicina agli ambienti della Difesa<br />

russa, citata da Interfax, saranno anche<br />

discusse vendite di armamenti per oltre<br />

1,5 miliardi di euro.<br />

Medvedev ha nominato Yunus-Bek<br />

Yevkurov, un paracadutista, come presidente<br />

dell’Inguscezia a sostituzione di Zyazikov,<br />

fedele a Mosca. La nomina segnala<br />

la difficoltà della Russia a controllare i ribelli<br />

di tutto il Caucaso del nord.<br />

* * *<br />

Scissione dell’Anc in Sudafrica. I dissidenti<br />

dell’Anc, fedeli all’ex presidente<br />

Mbeki, sono pronti a lanciare un nuovo partito<br />

per opporsi a Zuma e hanno aperto una<br />

convention a Johannesburg. La nuova formazione<br />

sarà lanciata il 16 dicembre.<br />

* * *<br />

Aveva 13 anni la ragazza lapidata in Somalia<br />

ed era stata violentata. Amnesty ha rivelato<br />

che è questa l’età della ragazza uccisa<br />

a pietrate a Chisimaio, la settimana scorsa,<br />

con l’accusa di adulterio.<br />

E’ rientrato in Somalia un capo delle<br />

Corti islamiche, Sheik Ahmed. Aveva trovato<br />

asilo politico in Yemen.<br />

* * *<br />

Morales sospende le attività della Dea. Il<br />

presidente boliviano si è mosso contro ll’agenzia<br />

antidroga statunitense, accusandola<br />

di aver fomentato la rivolta civile nel paese.<br />

* * *<br />

Thaksin telefona alla folla in uno stadio a<br />

Bangkok. Novantamila sostenitori dell’ex<br />

premier thailandese hanno applaudito contro<br />

“la sentenza politica” di due settimane<br />

fa: “Non posso tornare a casa perché mi<br />

hanno condannato a due anni di prigione”.


ANNO XIII NUMERO 299 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />

UNA CHIESA MALATA DI BIOLOGISMO<br />

Mancuso vede “una strana convergenza” tra neodarwinisti e gerarchie ecclesiastiche, a scapito della libertà<br />

di Vito Mancuso<br />

empre più mi vado convincendo di<br />

Suna strana convergenza, l’esposizione<br />

della quale costituisce la tesi di<br />

questo articolo. Si tratta di qualcosa<br />

di inaspettato e di sorprendente che<br />

riguarda due attori molto distanti l’uno<br />

dall’altro, anzi in continua reciproca<br />

polemica: mi riferisco al pensiero<br />

neodarwinista ortodosso da un lato e<br />

alle prese di posizione della gerarchia<br />

cattolica in tema di bioetica dall’altro.<br />

A prima vista sembra non ci debba essere<br />

nulla di più distante, ma le cose,<br />

forse, non stanno così.<br />

Martedì scorso, 28 ottobre, ho assistito<br />

all’inaugurazione dell’anno accademico<br />

della mia università, l’Università<br />

Vita Salute San Raffaele di Milano,<br />

ascoltando nell’occasione la lectio<br />

magistralis che il rettore don Luigi<br />

Verzé aveva affidato per quest’anno al<br />

genetista di fama internazionale Luca<br />

Cavalli Sforza, professore emerito nell’Università<br />

americana di Stanford e<br />

docente presso la mia stessa facoltà di<br />

Filosofia.<br />

L’aula era gremita da studenti, docenti,<br />

autorità. Benché arrivato in<br />

orario, a me è toccato assistere in piedi<br />

all’intera celebrazione, avendo<br />

però la fortuna di condividere la non<br />

Se per la vita biologica siamo quasi<br />

identici alla scimmia, per la nostra<br />

vita spirituale non abbiamo nessuna<br />

analogia con il mondo animale<br />

comoda posizione con il collega Andrea<br />

Tagliapietra, insigne filosofo e<br />

vulcanico creatore di motti di spirito.<br />

Cavalli Sforza ha esordito dicendo<br />

che la vita “non è più un mistero”<br />

perché ora noi sappiamo bene che cosa<br />

essa è, sappiamo che è Dna, cioè<br />

una molecola in grado di replicare se<br />

stessa. Sappiamo anche, ha continuato<br />

Cavalli Sforza, come la vita si evolve:<br />

si evolve mediante errori di copiatura<br />

che avvengono casualmente nella<br />

replicazione del Dna. Senza errori,<br />

niente evoluzione. Ma grazie agli errori<br />

l’evoluzione si mette in moto, essendo<br />

l’evoluzione nient’altro che il<br />

progressivo adattamento degli organismi<br />

mutanti e mutati all’ambiente circostante.<br />

Nulla di nuovo in tutto ciò,<br />

sia chiaro, solo una brillante riproposizione<br />

del paradigma ortodosso del<br />

neodarwinismo. Ciò che a me qui preme<br />

sottolineare è il fatto che la tesi<br />

naturalista colloca la verità di noi<br />

stessi nelle molecole di Dna del nostro<br />

patrimonio genetico. Ovvero: l’uomo<br />

è definito dalla sua biologia, l’uomo<br />

è bios.<br />

A Cavalli Sforza, e in genere al pensiero<br />

che lui rappresenta (che nella<br />

nostra facoltà è portato avanti anche<br />

da Edoardo Boncinelli), non è difficile<br />

replicare che è evidente che l’uomo<br />

è vita biologica, ma che è altrettanto<br />

evidente che l’uomo non è solo<br />

vita biologica. Il contesto stesso nel<br />

quale Cavalli Sforza affermava l’equivalenza<br />

dell’uomo a mero bios, cioè<br />

ra scienza e fede è in corso un duello appas-<br />

In palio nientemeno che la parola<br />

Tsionante.<br />

definitiva sull’uomo e il mondo. Gli spettatori sono<br />

pregati di schierarsi per l’una o per l’altra<br />

squadra, senza farsi distrarre da alcunché. Stando<br />

a certe cronache, all’assemblea plenaria della<br />

Pontificia Accademia delle Scienze, l’altroieri,<br />

è accaduto qualcosa del genere. Finalmente<br />

scienziati e uomini di chiesa si sono messi gli uni<br />

di fronte agli altri, ognuno con la propria verità<br />

ben scolpita ma in qualche modo da condividere<br />

dal momento che l’epoca delle contrapposizioni<br />

sanguinose, grazie al cielo, è finita. Purché, da<br />

una parte e dall’altra, non ci si scambi colpi bassi<br />

e nessuno si azzardi a invasioni di campo.<br />

In questo senso c’è da registrare la strana convergenza<br />

tra Repubblica e Osservatore Romano<br />

nel mettere fuori gioco l’Intelligent Design (ID)<br />

come elemento di disturbo di un dialogo-serio-ecostruttivo.<br />

La fretta con cui si vuole sgombrare<br />

il campo dai guastatori d’Oltreoceano insinua<br />

però qualche dubbio. Forse le esigenze del religiosamente<br />

corretto impongono una politica della<br />

distensione nei confronti dell’establishment<br />

scientifico, e di conseguenza un aggiustamento<br />

delle posizioni espresse anche da autorevoli<br />

esponenti ecclesiastici. Come il cardinale di<br />

Vienna, Cristoph Schoenborn, teologo di vaglia<br />

(è stato uno dei più brillanti allievi del professor<br />

Ratzinger), che nel luglio del 2005 scrisse un editoriale<br />

sul New York Times, intitolato “Scoprire<br />

un’aula universitaria, così come la<br />

musica del grande Händel che aveva<br />

accompagnato l’ingresso del senato<br />

accademico, sono una prova del suo<br />

contrario, una prova cioè che l’uomo,<br />

oltre a essere bios, è anche psyché e<br />

pneuma, vita dell’anima e dello spirito.<br />

Senza il Dna, niente anima e niente<br />

spirito, è chiaro. Ma siccome l’anima<br />

e lo spirito si danno (oltre all’università<br />

e alla musica, prova ne sia il<br />

giornale che ora tenete in mano e il<br />

desiderio di conoscere che vi porta a<br />

leggerlo, e centomila altre cose che è<br />

sufficiente alzare la testa per individuare)<br />

ne viene che l’essere umano è<br />

maggiore del suo patrimonio<br />

genetico,<br />

non è riducile alla<br />

vita biologica.<br />

I genetisti<br />

dicono che<br />

condividiamo<br />

con lo<br />

scimpanzé<br />

il 98,5 per<br />

cento del<br />

dna. Bene. Essendo<br />

sotto gli<br />

occhi di tutti che<br />

(con tutto il rispetto<br />

per lo scimpanzé) la storia e la civiltà<br />

dell’essere umano sono abbastanza<br />

diverse da quella dello scimpanzé,<br />

molto probabilmente non è il nostro<br />

Dna con quel suo piccolo 1,5 per cento<br />

di differenza a spiegare l’evoluzione<br />

che ci ha differenziato, e ci differenzierà<br />

sempre più, dallo scimpanzé.<br />

Il Dna è la base necessaria da<br />

cui emergono livelli superiori dell’essere-energia<br />

che ci costituisce, per<br />

designare i quali la filosofia classica<br />

ha coniato altri termini oltre a<br />

“bios”: ha parlato di “zoé”, “psyché”,<br />

“pneuma”, “nous”. La<br />

tradizione cristiana e anche<br />

quella ebraica (Tommaso d’Aquino<br />

per la prima, Mosè Maimonide<br />

per la seconda) hanno<br />

accolto totalmente questa visione antropologica,<br />

ponendo la verità ultima<br />

dell’uomo non in basso, cioè nella sua<br />

vita biologica, ma in alto, cioè nella<br />

sua vita spirituale. Se infatti per la vita<br />

biologica siamo quasi identici allo<br />

scimpanzé, per la nostra vita spirituale<br />

non abbiamo nessuna, non<br />

dico identità, ma neppure<br />

analogia, col resto del<br />

mondo animale. E’<br />

questo più alto<br />

livello dell’essere<br />

a fare<br />

dell’essere<br />

umano qualcosa<br />

di unico,<br />

qualcosa di<br />

così stupefacente<br />

nel mondo dei<br />

viventi davanti a cui la mente<br />

umana di tutti i tempi e di tutti i<br />

luoghi, per poterne dare conto, ha inferito<br />

un suo legame con una sfera<br />

del tutto particolare dell’essere, non<br />

rintracciabile nella dimensione naturale,<br />

e chiamata convenzionalmente<br />

“Dio” (termine che deriva dalla realtà<br />

più pura di cui abbiamo esperienza,<br />

il progetto nella natura”, in cui sosteneva che “i<br />

difensori del dogma neodarwiniano hanno spesso<br />

invocato la supposta accettazione – o almeno<br />

acquiescenza – del cattolicesimo romano quando<br />

essi difendono la loro teoria come fosse compatibile<br />

con la fede cristiana. Ma questo non è<br />

vero. La chiesa cattolica, mentre lascia alla<br />

scienza molti dettagli circa la storia della vita<br />

sulla terra, proclama che con la luce della ragione<br />

l’intelletto umano può chiaramente discernere<br />

uno scopo e un progetto nel mondo naturale e<br />

negli esseri viventi. Potrebbe essere fondata<br />

un’evoluzione intesa come discendenza comune;<br />

ma non un’evoluzione concepita in senso neodarwiniano,<br />

come processo non guidato, che non<br />

risponde a un progetto, ed è mossa soltanto dalla<br />

selezione naturale e dalle variazioni casuali.<br />

Ogni sistema di pensiero che neghi o cerchi di rifiutare<br />

l’imponente evidenza di progetto in biologia<br />

è ideologia non scienza. (…) Ora all’inizio<br />

del XXI secolo, in contrapposizione a posizioni<br />

scientifiche come il neo-darwinismo e l’ipotesi<br />

del multiverso in cosmologia inventato per evitare<br />

la sovrabbondante evidenza di scopo e progetto<br />

che si trova nella scienza moderna, la chiesa<br />

cattolica difenderà di nuovo la ragione umana<br />

proclamando che il progetto immanente che<br />

è evidente nella natura è reale. Teorie scientifiche<br />

che cercano di negare l’evidenza di progetto<br />

come il risultato di caso e necessità non sono per<br />

niente scientifiche, ma, come affermato da Giovanni<br />

Paolo II, un’abdicazione dell’intelligenza<br />

umana”.<br />

Lo stesso Joseph Ratzinger nel 1969 tenne su<br />

questo tema una lezione, “Fede nella creazione<br />

e teoria dell’evoluzione”, in cui osservava che<br />

“effettivamente il passaggio alla contemplazione<br />

evolutiva del mondo rappresenta il passo verso<br />

quella forma positiva della scienza che si limita<br />

consapevolmente a ciò che è dato, concreto, dimostrabile<br />

all’uomo ed esclude dalla sfera della<br />

scienza la riflessione sulle vere ragioni del reale<br />

come una riflessione sterile. In questo, fede<br />

nella creazione e idea dell’evoluzione indicano<br />

non appena due diverse dimensioni di ricerca,<br />

ma due diverse forme di pensiero”. Più nello<br />

specifico, il professor Ratzinger formulava una<br />

diagnosi sull’“umanazione”, cioè il momento in<br />

cui l’uomo diventa tale: “Il primo tu che fu pronunciato<br />

– balbettando come sempre – nei confronti<br />

di Dio dalle labbra dell’uomo, indica l’istante<br />

in cui lo spirito era nato nel mondo. Qui<br />

fu attraversato il Rubicone dell’umanazione. (…)<br />

Questo stabilisce la dottrina della particolare<br />

creazione dell’uomo. Soprattutto qui sta il centro<br />

della fede nella creazione. Sta qui anche la<br />

ragione per cui l’istante dell’umanazione non<br />

può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione<br />

è l’insorgenza dello spirito, che non si può<br />

dissotterrare con la vanga”.<br />

Sull’Osservatore Romano dell’altro giorno, invece,<br />

dettava la linea proprio un paleontologo,<br />

don Fiorenzo Facchini dell’Università di Bologna,<br />

nemico dichiarato dell’ID che vede come un<br />

intralcio al dialogo serio tra addetti ai lavori, addirittura<br />

una minaccia al bene supremo dell’“armonia<br />

delle conoscenze”. Repubblica coglieva al<br />

volo l’assist e sentenziava la fine di nocive “invenzioni”<br />

come l’ID. Scongiurate le “invasioni di<br />

campo autoritarie”, finalmente si può celebrare<br />

la lezione sull’origine dell’universo gentilmente<br />

impartita da Hawking e soci agli alti prelati. Il<br />

giorno dopo uno di loro, monsignor Sanchez Sorondo,<br />

cancelliere della Pontificia Accademia<br />

delle Scienze, si è spinto a dire che “la teoria dell’evoluzione<br />

non solo non è incompatibile con il<br />

progetto di Dio, ma è più vicina a quanto leggiamo<br />

nella Bibbia di tante altre teorie”.<br />

Eppure la molteplicità delle immagini del<br />

mondo, catalogo di cui la stessa Bibbia è ben fornita,<br />

sconsiglierebbe di escluderne qualcuna, anche<br />

la più eterodossa e inclassificabile. Qualcuno<br />

ha notato l’ironia di un manipolo di scientisti,<br />

quali in fondo sono i sostenitori duri e puri dell’ID,<br />

che corrode dall’interno i precetti dell’evoluzionismo.<br />

Prendendo più o meno alla lettera alcuni<br />

passi della Bibbia, hanno voluto vedere un<br />

intervento diretto e puntuale del divino nel corso<br />

dell’evoluzione. Forse non ci sono riusciti, ma<br />

intanto hanno ottenuto molto di più incrinando i<br />

due pilastri del darwinismo: la modificazione genetica<br />

frutto del puro caso e la selezione naturale<br />

con il suo corollario di ingegneria genetica.<br />

la luce). Qualunque realtà si nomini<br />

dicendo “Dio” o “divino”, l’intuizione<br />

esistenziale cui questa categoria rimanda<br />

è la libertà spirituale dell’uomo<br />

rispetto alla sua biologia e alla<br />

sua socialità. Noi siamo bios, noi siamo<br />

relazioni sociali, è evidente; ma<br />

né il bios né le relazioni sociali ci definiscono<br />

ultimamente: ognuno di noi,<br />

ultimamente, è la sua libertà, la sua<br />

anima spirituale, la sua irripetibile<br />

individualità. E’ per questo ed è in<br />

questo che siamo, come dice il libro<br />

biblico della Genesi, “a immagine e<br />

somiglianza di Dio”. Dio infatti è spirito,<br />

insegna il Vangelo, e noi siamo a<br />

sua immagine non in quanto bios, ma<br />

in quanto pneuma, in quanto spirito,<br />

cioè libertà.<br />

Le occasioni della vita hanno voluto<br />

che il giorno prima di sentire Cavalli<br />

Sforza al San Raffaele io partecipassi<br />

alla nota trasmissione televisiva<br />

di Gad Lerner, “L’Infedele”, dedicata<br />

al caso di Eluana Englaro. Questa volta<br />

ero seduto, ma devo confessare che<br />

il giorno dopo in piedi accanto a Tagliapietra<br />

mi sarei sentito più comodo<br />

che non lì, su una poltroncina rossa<br />

accanto a Beppino Englaro, straordinario<br />

esempio di dedizione paterna,<br />

e all’onorevole Eugenia Roccella<br />

sottosegretario con delega alla Salute.<br />

Quali esponenti della dottrina cattolica<br />

ufficiale in tema di bioetica vi<br />

erano Marina Casini e Gian Luigi Gigli,<br />

autorevoli esponenti di “Scienza<br />

e vita”, l’organismo emanazione<br />

della Conferenza episcopale<br />

italiana. In quella occasione<br />

mi sono ritrovato ad ascoltare<br />

argomentazioni che, nella sostanza<br />

antropologica, il giorno<br />

dopo avrei ritrovato nella lectio<br />

magistralis di Cavalli Sforza.<br />

Per Marina Casini e il professor Gigli,<br />

e in genere per l’impostazione<br />

bioetica assunta in questi anni dalla<br />

gerarchia cattolica, la dignità dell’uomo<br />

è altra cosa dalla sua libertà, nel<br />

senso che tale dignità non consiste<br />

nell’esercizio della libertà ma nella<br />

sua dimensione biologica. La vita<br />

umana è sacra non in quanto spirito<br />

libero, ma in quanto vita<br />

biologica. Per questo, si sostiene,<br />

all’uomo non spetta<br />

l’ultima parola sulla sua vita.<br />

“Non spetta alla persona decidere”,<br />

ha dichiarato mons.<br />

Giuseppe Betori il 30 settembre<br />

scorso nel suo ultimo intervento<br />

da segretario della Cei,<br />

specificando di parlare “con il<br />

pieno consenso del presidente Bagnasco”.<br />

Dire questo equivale a sostenere<br />

che la verità dell’uomo non<br />

sta in alto, cioè nella libertà descritta<br />

classicamente con i termini di anima<br />

e di spirito, ma in basso, cioè nella<br />

sua biologia. I vertici della Cei negano<br />

alla libertà potere sulla biologia, e<br />

affermano che è piuttosto la biologia<br />

a vincolare la libertà: infatti “non<br />

spetta alla persona decidere”. A chi<br />

spetta allora? Ai medici, risponde la<br />

gerarchia. Ma qual è il criterio in base<br />

al quale i medici decidono? La biologia,<br />

è evidente, e non può che essere<br />

così, se i medici fanno il loro mestiere.<br />

Negare il principio di autodeterminazione<br />

della persona suppone<br />

quindi un’antropologia che, al pari<br />

del paradigma naturalistico, pone lo<br />

specifico umano nella biologia. Questa<br />

è la strana convergenza antropologica<br />

che riscontro tra l’attuale vertice<br />

della chiesa cattolica italiana e il più<br />

agguerrito naturalismo neodarwinista.<br />

E’ chiaro che poi se ne traggono<br />

conseguenze opposte, perché per gli<br />

uni la natura non ha altra logica che<br />

non sia quella che consegue dagli errori<br />

di copiatura e dall’adattamento<br />

all’ambiente, mentre per gli altri la<br />

natura è lo strumento tramite cui Dio<br />

esercita direttamente la sua sovranità;<br />

la base antropologica però (ovvero:<br />

uomo = bios) è la medesima. Il che<br />

un po’ mi inquieta e mi porta a chiedere<br />

come mai il pensiero cattolico<br />

ufficiale si stia tanto pericolosamente<br />

trasformando all’insegna di un biologismo<br />

che la tradizione non ha mai<br />

conosciuto – prova ne sia che l’affermazione<br />

di monsignor Betori con il<br />

consenso del cardinal Bagnasco, secondo<br />

cui “non spetta alla persona<br />

decidere”, è contraria rispetto all’articolo<br />

2278 del Catechismo (“le decisioni<br />

devono essere prese dal paziente”);<br />

è contraria rispetto al documento<br />

“Iura et bona” della Congregazione<br />

per la dottrina della fede (“prendere<br />

Questa bioetica ecclesiastica<br />

conosce solo il corpo e la sua<br />

necessità, e ignora l’anima e la sua<br />

libertà. Contro Vangelo e tradizione<br />

delle decisioni spetterà in ultima<br />

istanza alla coscienza del malato o<br />

delle persone qualificate per parlare<br />

a nome suo, oppure anche dei medici”,<br />

laddove tutti vedono chi viene al<br />

primo posto per il documento magisteriale<br />

del 1980); è contraria rispetto<br />

al fondamento della coscienza morale<br />

delineato dal Vaticano II in “Gaudium<br />

et spes” 16-17 (“L’uomo può volgersi<br />

al bene soltanto nella libertà”),<br />

è contraria all’architettura del giudizio<br />

morale elaborata da Tommaso<br />

d’Aquino, ed è soprattutto contraria<br />

all’immenso rispetto per la libertà<br />

umana da parte di Dio come emerge<br />

dalla Bibbia: “Egli da principio creò<br />

l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio<br />

volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti;<br />

l’essere fedele dipenderà<br />

dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto<br />

davanti il fuoco e l’acqua; la dove<br />

vuoi, stenderai la tua mano” (Siracide<br />

15,14-16). Mi chiedo il motivo di questa<br />

scivolosa trasformazione dell’antropologia<br />

sottesa alla bioetica oggi<br />

maggioritaria nella chiesa cattolica, e<br />

non so rispondere. Vedo solo una<br />

chiesa la cui bioetica è sempre meno<br />

capace di rendere conto delle parole<br />

di Gesù: “Non abbiate paura di quelli<br />

che uccidono il corpo, ma non hanno<br />

potere di uccidere l’anima” (Matteo<br />

10,28). Questa bioetica ecclesiastica,<br />

in singolare armonia con il neodarwinismo,<br />

conosce solo il corpo e la<br />

sua necessità, e ignora l’anima e la<br />

sua libertà.<br />

L’Osservatore non lo sa, ma l’ID è un parente abbastanza stretto della Provvidenza<br />

Con l’ID gli americani, pragmatici anche nelle loro<br />

investigazioni epistemologiche, hanno senza<br />

dubbio smosso le acque di un sapere scientifico<br />

spesso arroccato in pseudodogmi che l’informazione<br />

provvede poi a rivendere.<br />

In realtà, le continue e inevitabili pretese di<br />

senso che gli scienziati avanzano non possono<br />

essere ignorate dai credenti in nome del fair<br />

play o del quieto convivere, a tal punto che l’incontro<br />

tra il Papa e Stephen Hawking si riduce<br />

a una photo op. Eppure su Repubblica si legge<br />

che “Hawking nel suo discorso non entra in<br />

queste questioni. Non fa ideologia né filosofia,<br />

neanche di tipo scientista. Traccia socraticamente<br />

il percorso delle scoperte, delle ipotesi,<br />

degli errori, dei risultati aggiunti. Evidenzia ciò<br />

che si sa e ciò che si ignora”. Socrate, però, ci<br />

porta nei pressi della filosofia e la frase successiva<br />

dell’astrofisico inglese è illuminante: “Il<br />

mio è un approccio positivista”. Positivista, dice,<br />

e non positivo. C’è quindi tutta una teoria<br />

dietro, una visione del mondo – e non delle più<br />

brillanti. La chiesa ha uno sguardo più ampio,<br />

e lo chiama Provvidenza. Se lo dimentica scivola<br />

nella retorica del dialogo, dove i contendenti<br />

si pongono in maniera così perfettamente<br />

speculare che il rischio di confonderli è altissimo.<br />

Il che spiega il vantaggio argomentativo che<br />

si prende la tesi del professor Vito Mancuso sul<br />

biologismo che accomuna chiesa e scienza.<br />

Marco Burini


ANNO XIII NUMERO 299 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />

LA GRANDE CRISI MONDIALE DEI FUMETTI<br />

Weeklypedia. Dove si parla delle strisce americane, del più bel disco della stagione, di Maus e delle migliori cento meteore<br />

Il fumetto Opus è stato disegnato da Berkeley Breathed tra il 2003 e il 2008<br />

di Luca Sofri<br />

Opus era il titolo di una tavola domenicale<br />

disegnata da Berkeley Breathed<br />

per circa cinque anni tra il 2003 e il<br />

2008. Fu la quarta striscia di Breathed,<br />

dopo Academia Waltz, Bloom County e<br />

Outland. Ambientata nella Bloom<br />

County, la striscia raccontava le avventure<br />

del popolare pinguino Opus, prendendo<br />

in giro parallelamente temi della<br />

cultura pop e della politica. All’inizio di<br />

ottobre 2008 l’autore ha dichiarato che<br />

avrebbe chiuso la serie in seguito ai suoi<br />

timori di tempi duri in arrivo per gli<br />

Stati Uniti e al suo desiderio di separarsi<br />

dal suo personaggio più famoso “con<br />

leggerezza”.<br />

Dice Berkeley Breathed che sono<br />

tempi grami per le strisce a fumetti.<br />

Berkeley Breathed dice che il<br />

momento così così dei giornali<br />

rappresenta la principale minaccia<br />

per il mondo dei fumetti<br />

Anche in America, dove lo spazio offerto<br />

ai comics è una tradizone dei<br />

quotidiani, di tutti i quotidiani. Dice<br />

Berkeley Breathed che la crisi dei<br />

giornali di carta travolge le strisce,<br />

che sono difficilmente convertibili<br />

alle abitudini di lettura sul Web. Dice<br />

Berkeley Breathed che è da un<br />

quarto di secolo – ovvero dalla nascita<br />

di Calvin & Hobbes – che il fumetto<br />

a strisce non crea qualcosa di “storico”,<br />

che rimane. Dice Berkeley<br />

Breathed che poi si annunciano tempi<br />

grami in generale, e allora meglio<br />

andarsene prima di doverli raccontare:<br />

“Ho una parte Michael Moore di<br />

me che mi fa diventare cattivo”. E insomma,<br />

Opus, l’ultima serie delle<br />

strisce di Breathed col pinguino omonimo<br />

chiude oggi. Oggi esce l’ultima<br />

tavola domenicale sui quotidiani che<br />

lo pubblicano. In Italia arrivò tramite<br />

Linus, come tutte le grandi strisce<br />

americane. Opus deve il suo nome a<br />

una canzone dei Kansas: “E se siete<br />

troppo giovani per sapere chi fossero<br />

i Kansas, beh, peggio per voi”, ha detto<br />

Breathed.<br />

Ivor Churchill Guest, primo Visconte<br />

di Wimborne (16 gennaio 1873 – 14 giugno<br />

1939) fu un politico britannico e<br />

uno degli ultimi Lords Luogotenenti di<br />

Irlanda, titolare della carica ai tempi<br />

della Rivolta di Pasqua.<br />

In realtà io non cercavo questo<br />

Ivor Guest: quello che cercavo io è il<br />

produttore del nuovo disco di Grace<br />

Jones e suo fidanzato (per quanto si<br />

possa essere “fidanzati” con Grace<br />

Jones). Ma non ha una <strong>pagina</strong> su<br />

Wikipedia, e su di lui ho trovato poco.<br />

Se non che dev’essere un aristocratico<br />

discendente di questo Ivor Guest<br />

(è quarto Visconte di Wimborne), oltreché<br />

imparentato con la famiglia<br />

reale. Però, siccome tutto si tiene, il<br />

fu Ivor Churchill Guest è risultato essere<br />

il terzultimo rappresentante della<br />

Corona sul Regno d’Irlanda prima<br />

dell’indipendenza, ovvero quello in<br />

carica all’inizio del film Michael Collins,<br />

che già fu raccontato in una <strong>pagina</strong><br />

di Weeklypedia, ad agosto.<br />

“What I am” è una canzone scritta<br />

da Edie Brickell e Kenny Withrow e<br />

incisa da Edie Brickell & the New<br />

Bohemians nel loro primo disco,<br />

Shooting rubberbands at the stars<br />

(1988). Arrivò al numero trentuno in<br />

Inghilterra e al settimo posto nella<br />

classifica di Billboard negli Stati<br />

Uniti. Fu classificata al settantunesimo<br />

posto nella lista delle migliori 100<br />

Meteore della rete VH1, ed era stata<br />

usata in un episodio del 1989 di Miami<br />

Vice. Edie Brickell fece un bel<br />

colpo con “What I am” e con un’altra<br />

bella canzone in quel disco: “Circles”.<br />

E poi, meteora appunto, scomparve.<br />

Aveva ventidue anni ed era di<br />

Dallas. Quest’anno ha pubblicato un<br />

nuovo disco con il suo figliastro, ma<br />

non se n’è accorto nessuno.<br />

Comunque, capita a molte coppie<br />

di avere una canzone con la quale ci<br />

si è innamorati. Ma la canzone con<br />

sui si innamorò Edie Brickell era<br />

sua, e la stava cantando lei: e questo<br />

non capita a molti. Successe che l’avevano<br />

invitata a cantare “What I<br />

am” al Saturday Night Live, in televisione.<br />

Quando venne il loro momento,<br />

lei e la band attaccarono la canzone:<br />

ma a un certo punto fu distratta<br />

da una faccia, un uomo in piedi davanti<br />

a un cameraman, e quasi sbagliò<br />

le parole. Quell’uomo era un altro<br />

ospite dello show, Paul Simon.<br />

Paul Simon di Simon & Garfunkel, insomma.<br />

Aveva venticinque anni più<br />

di lei. Si sposarono quattro anni dopo<br />

e stanno ancora assieme.<br />

Cesare Cardini (24 febbraio 1896 – 3<br />

novembre 1956) era un ristoratore e albergatore<br />

di origine italiana a cui è attribuita<br />

l’invenzione della Caesar Salad.<br />

Era nato sul lago Maggiore e aveva almeno<br />

quattro fratelli: Alessandro, Carlotta,<br />

Caudencio e Maria. Mentre le sorelle<br />

rimasero in Italia, i tre fratelli emigrarono<br />

in America. Alessandro e Caudencio<br />

entrarono nella ristorazione a<br />

Città del Messico. Alessandro poi divenne<br />

socio di Cesare a Tijuana. Cesare aveva<br />

lavorato in Europa e si era trasferito<br />

negli Stati Uniti a vent’anni. Aprì un ristorante<br />

a Sacramento, e poi si spostò a il nome cerca di proporre il piatto ai<br />

storante di Tijuana che ha ereditato<br />

San Diego. Contemporaneamente aprì clienti che arrivano dall’altra parte<br />

anche a Tijuana, dove si poteva sfuggire del confine, ma loro sono diffidenti. Il<br />

alle regole del proibizionismo.<br />

cronista del New York Times si è fidato<br />

e l’ha trovata buonissima (adesso<br />

ha dentro anche parmigiano, ace-<br />

Dice il New York Times che il ristorante<br />

di Tijuana fa fatica a vendere<br />

le sue leggendarie insalate. La<br />

to, salsa Worcester, uova e senape).<br />

Caesar Salad sarebbe stata inventata Nessuna corrispondenza nei titoli delle<br />

pagine. La <strong>pagina</strong> “Gabriel Kahane”<br />

da Cardini una sera del 1924 che non<br />

c’era più niente da dare ai clienti: così<br />

aveva preso quel che c’era – insalatenzione!<br />

L’indice del database viene ag-<br />

non esiste. E’ possibile crearla ora. Atta,<br />

pezzi di pane, aglio – e l’aveva buttato<br />

in una scodella. Le acciughe le scritte recentemente potrebbero non<br />

giornato ogni 40 ore circa: le pagine<br />

avrebbe aggiunte Alessandro, secondo<br />

una versione. Il problema è che cerca.<br />

comparire ancora tra i risultati della ri-<br />

oggi ai turisti americani è sconsigliato<br />

di mangiare verdure crude in Messico,<br />

per timore che l’acqua con cui ne non c’è. Eppure a me il suo sem-<br />

Niente: la <strong>pagina</strong> su Gabriel Kaha-<br />

sono lavate non sia sufficientemente bra il più bel disco di questa stagione.<br />

Ho dovuto fare senza Wikipedia:<br />

pulita. E così l’attuale gestore del ri-<br />

Il musicista americano Gabriel Kahane è stato elogiato la scorsa settimana dal Wsj<br />

esperienza straniante. Ho scoperto<br />

che vive a Brooklyn, fa anche l’attore<br />

e l’autore teatrale, si attacca a ricche<br />

e colte citazioni letterarie, ma prima<br />

aveva anche messo in musica degli<br />

annunci trovati sul sito web Craigslist.<br />

Aveva suonato il piano e cantato<br />

con Sufjan Stevens, genio creativo<br />

musicale di gran culto in questi anni,<br />

e un po’ si sente. Il Wall Street Journal<br />

gli ha fatto un sacco di complimenti,<br />

due settimane fa, ricordando<br />

che è figlio di un grande pianista<br />

classico e direttore dell’Orchestra<br />

Sinfonica del Colorado. Io intanto sono<br />

diventato suo fan su Facebook:<br />

siamo ottantadue.<br />

Art Spiegelman (Stoccolma, 1948) è<br />

un autore di fumetti statunitense. Spiegelman<br />

è codirettore della rivista di fumetti<br />

e grafica Raw, di cui è stato uno<br />

dei fondatori, ed è tra gli artisti che hanno<br />

compilato e illustrato graficamente i<br />

lemmi del Futuro dizionario d’America<br />

(The Future Dictionary of America, pubblicato<br />

da McSweeney’s nel 2005). Ha<br />

pubblicato svariati lavori su riviste statunitensi<br />

come New York Times, Village<br />

Voice e New Yorker. In Italia le sue storie<br />

sono pubblicate dal settimanale Internazionale.<br />

Nel 1982 ha ricevuto il<br />

Premio Yellow Kid a Lucca. Attualmente<br />

insegna alla School of Visual Arts di<br />

New York. Art Spiegelman deve la sua<br />

fama principalmente ad un’unica opera,<br />

Maus, un romanzo (auto)biografico<br />

in fumetti pubblicato tra il 1973 ed il<br />

1991, dove si narra la storia del padre,<br />

Vladek Spiegelman, un ebreo polacco<br />

sopravvissuto alla Shoah.<br />

Maus, appunto. Qualche giorno fa<br />

Slate, il giornale online, ha analizzato<br />

la sua opera per cercare di capire<br />

se sia possibile per Spiegelman disegnare<br />

qualcos’altro di valido dopo<br />

Maus (che vinse un Pulitzer nel 1992).<br />

Di recente è stata ripubblicata una<br />

sua vecchia raccolta di storie, Breakdowns.<br />

Secondo Slate la metà della<br />

storia mancante in Maus (il diario di<br />

sua madre, bruciato da suo padre) è<br />

anche la metà della storia che manca<br />

a Spiegelman: Anja si suicidò nel<br />

1968. Spiegelman ne parla nell’introduzione<br />

a Breakdowns, e racconta di<br />

come lei gli comprò la sua prima rivista<br />

a fumetti (era Mad): “Ma non dirlo<br />

a tuo padre”. Nella postfazione,<br />

Spiegelman dice di avere nostalgia<br />

per quel disegnatore più eclettico e<br />

arrogante che era ai tempi delle storie<br />

di Breakdowns, prima di Maus.<br />

Secondo l’articolo di Slate è un’invidia<br />

che cela un senso di colpa, quello<br />

di ogni grande artista che ha creato<br />

una grande opera raccontando le<br />

sofferenze dei suoi cari. E gli schizzi<br />

che aveva dato al penultimo numero<br />

di McSweeney’s, la rivista di Dave Eggers,<br />

sembrano raccontare un uomo<br />

pieno di ansie e consapevolezza di sé<br />

e delle sue inadeguatezze. “Se la tua<br />

opera è l’Olocausto”, dice Slate, “dopo<br />

che fai?”.<br />

Fiorenzo Bava Beccaris (Fossano, 17<br />

marzo 1831 – Roma, 8 aprile 1924) è stato<br />

un generale italiano, noto soprattutto<br />

per la feroce repressione dei moti milanesi<br />

da lui guidata nel 1898. Dopo<br />

aver partecipato alla Guerra di Crimea<br />

e alle Guerre d’Indipendenza del 1859 e<br />

del 1866 (ottenendo il 6 dicembre 1866 il<br />

Cavalierato dell’Ordine Militare d’Italia),<br />

divenne Direttore generale d’artiglieria<br />

e genio al ministero della Guerra,<br />

e tenne il comando del VII° e del III°<br />

Corpo d’Armata.<br />

Nel maggio 1898, in occasione dei<br />

Art Spiegelman è un disegnatore<br />

americano, ha vinto il Pulitzer e la<br />

rivista Slate si chiede se sarà in<br />

grado di creare un nuovo Maus<br />

gravi tumulti milanesi – passati alla storia<br />

come la “Protesta dello stomaco” – il<br />

governo guidato da Antonio di Rudinì<br />

proclamò lo Stato d’Assedio e il generale,<br />

in qualità di Regio Commissario<br />

Straordinario, ordinò di sparare cannonate<br />

sulla folla provocando una strage.<br />

In segno di riconoscimento per quella<br />

che dalla monarchia fu giudicata una<br />

brillante azione militare, Bava-Beccaris<br />

ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto<br />

I la Gran Croce dell’Ordine Militare di<br />

Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un<br />

seggio al Senato. Il 29 luglio del 1900, a<br />

Monza, Umberto I venne assassinato<br />

dall’anarchico Gaetano Bresci, che dichiarò<br />

esplicitamente di aver voluto vendicare<br />

i morti del maggio 1898 e l’offesa<br />

della decorazione a Bava Beccaris, il<br />

quale definì il regicida “Un folle che meriterebbe<br />

di subire lo squartamento”. Fu<br />

collocato a riposo nel 1902.<br />

Bava Beccaris almeno lo collocarono<br />

a riposo, mica lo fecero senatore a<br />

vita.<br />

Altre voci che ho cercato questa settimana<br />

Lala.com<br />

Songs of faith and devotion<br />

Filippo Turati<br />

Apollo 11<br />

Prima Base<br />

Judith Miller<br />

Ascensori<br />

ANSA<br />

Gipi<br />

Tampa Bay

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