pdf pagina 1 - Biloslavo, Fausto
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Morti e saccheggi a Goma<br />
Nello scontro tra governo<br />
del Congo e ribelli spunta<br />
la questione cinese<br />
Accuse incrociate tra il leader dei tutsi<br />
Nkunda e il presidente Kabila sui<br />
“padrini” a Pechino e a Washington<br />
Londra insiste per la missione<br />
Kinsasha. Il conflitto in Congo, con morti<br />
e saccheggi nella zona orientale del paese,<br />
ha fatto emergere uno scontro geopolitico,<br />
una “nuova guerra fredda” secondo la definizione<br />
di alcuni analisti, tra Cina e Stati<br />
Uniti sul continente africano. Da una parte<br />
c’è l’espansionismo, non soltanto economico,<br />
di Pechino a caccia di risorse energetiche<br />
e minerarie. Dall’altra c’è il contenimento<br />
americano, che prende il posto del<br />
ruolo storico giocato in Africa dai grandi<br />
paesi europei, sempre più spaccati e indecisi.<br />
Tre giorni fa, il capo dei ribelli tutsi,<br />
Laurent Nkunda, che ha conquistato ampie<br />
fette del nord Kivu ed è alle porte di Goma,<br />
capoluogo della strategica regione congolese,<br />
annunciava un cessate il fuoco unilaterale<br />
e la disponibilità a trattare con il governo<br />
di Kinshasa. Nkunda, accusato di crimini<br />
di guerra, ha fatto alcune rivendicazioni.<br />
Una di queste rivela i riflessi strategici del<br />
conflitto: Nkunda chiede al presidente congolose,<br />
Joseph Kabila, di rinegoziare il patto<br />
d’acciaio siglato pochi mesi fa con la Cina.<br />
Un accordo di 9 miliardi di dollari per<br />
la costruzione di infrastrutture in cambio<br />
dei diritti di sfruttamento delle risorse minerarie.<br />
L’intesa prevede un investimento<br />
di Pechino di sei miliardi di dollari per la<br />
costruzione, attraverso imprese cinesi, di oltre<br />
seimila chilometri di strade, tremila chilometri<br />
di linee ferroviarie, due dighe, ospedali<br />
e scuole. I rimanenti tre miliardi saranno<br />
investiti nel settore minerario. L’accordo<br />
configura la creazione di una joint venture,<br />
detenuta al 68 per cento dal gruppo di imprese<br />
cinesi Railway Group e Sinohydro<br />
Corporation e al 32 dalla<br />
società nazionale congolese<br />
Gécamines. I termini<br />
dell’intesa prevedono “l’esenzione<br />
totale” da qualsiasi<br />
tassa o imposta sullo<br />
sfruttamento e la commercializzazione<br />
dei minerali<br />
fino al rimborso dell’investimento<br />
iniziale. Un’inchiesta<br />
condotta dall’Onu<br />
L. NKUNDA<br />
ha stabilito che le guerre in Congo riguardano<br />
da vicino “l’accesso, il controllo e il commercio”<br />
dei cinque principali minerali che<br />
si trovano nel sottosuolo del paese (coltan,<br />
diamanti, rame, cobalto e oro). Lo sfruttamento<br />
di queste risorse da parte di forze<br />
straniere, spesso intervenute militarmente<br />
in Congo, è risultato “sistematico”. I vicini<br />
Uganda e Ruanda sono stati accusati di avere<br />
trasformato le loro forze armate in “eserciti<br />
d’affari”.<br />
Il Kivu, dove da anni combatte il generale<br />
Nkunda, è uno dei forzieri minerari del<br />
Congo. Il capo dei ribelli è un tutsi legato al<br />
Fronte patriottico ruandese fondato da<br />
Paul Kagame, padre-padrone del Ruanda.<br />
L’appoggio dell’esercito ruandese ai miliziani<br />
di Nkunda è un segreto che tutti sanno.<br />
Sul fronte opposto, le fatiscenti forze armate<br />
congolesi sono alleate con i resti degli<br />
hutu che si macchiarono del genocidio<br />
in Ruanda nel 1994. Laurent Kabila, il discusso<br />
padre dell’attuale presidente congolese,<br />
frequentò ai tempi della Guerra fredda<br />
una scuola militare in Cina per poi seminare<br />
guerriglia e verbo marxista in Africa.<br />
Il giovane erede, che ha perso la fiducia<br />
negli europei, punta ai cinesi per possibili<br />
forniture militari, come elicotteri d’attacco<br />
e addestramento.<br />
L’addestramento dei ruandesi<br />
La penetrazione di Pechino in Congo e<br />
nel resto del continente africano è vista come<br />
una minaccia da Washington. Gli americani<br />
considerano alleati di ferro il Ruanda<br />
e l’Uganda, definiti i “prussiani” dell’Equatore.<br />
Kagame, nel 1990, frequentò un programma<br />
di addestramento a Fort Leavenworth<br />
in Kansas. Lo scorso gennaio, il<br />
governo americano ha stanziato 7 milioni di<br />
dollari per addestramento ed equipaggiamento<br />
militare alle truppe ruandesi. Consiglieri<br />
americani istruiscono gli ufficiali di<br />
Kigali. Sia per le missioni di pace cui partecipano,<br />
come quella in Darfur, che nell’ottica<br />
della guerra al terrorismo globale.<br />
Il Ruanda è uno degli alleati chiave sui<br />
quali punta il neonato Africom, il sesto comando<br />
americano sul teatro strategico globale.<br />
Non è un caso che nelle ore cruciali<br />
dell’avanzata di Nkunda su Goma il segretario<br />
di stato americano, Condoleezza Rice,<br />
abbia telefonato al presidente ruandese<br />
Kagame per cercare di evitare le violenze.<br />
Francesi e belgi, vicini al governo congolese<br />
e odiati dai tutsi ruandesi, hanno ipotizzato<br />
l’invio di 1.500 soldati europei per<br />
sostituire i Caschi blu, già in fuga. Se ne discuterà<br />
domani a Marsiglia alla riunione<br />
dei capi delle diplomazie dell’Unione europea,<br />
ma ci sono già parecchie spaccature. Il<br />
ministro degli Esteri francese, Bernard<br />
Kouchner e il suo collega britannico, David<br />
Miliband, sono in missione in Congo da sabato.<br />
Londra insiste per la missione, al momento<br />
l’accordo c’è soltanto sull’obiettivo<br />
di organizzare una conferenza di pace a<br />
Nairobi per far sedere allo stesso tavolo<br />
Kabila e Kagame.<br />
IL FOGLIO<br />
quotidiano<br />
Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1<br />
Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO<br />
ANNO XIII NUMERO 299 DIRETTORE GIULIANO FERRARA DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008 - € 1<br />
IL MONDO PERFETTO DI BARACK OBAMA<br />
Il cambiamento, la crisi, il rock e Wall Street. Così si è imposto l’american dream<br />
Lo staff del candidato repubblicano non molla e segnala riprese negli stati in bilico<br />
New York. A due giorni dalle elezioni presidenziali<br />
– con i sondaggi che continuano a<br />
minacciare una débâcle, tranne uno Zogby<br />
che dà addirittura John McCain avanti di un<br />
punto – il manager della campagna elettorale<br />
di John McCain ha scritto un memorandum<br />
dal titolo “The Final Push - The State of<br />
the Campaign” per spiegare che in queste ultime<br />
ore il suo candidato sta recuperando e<br />
che, al contrario di chi lo considera già sconfitto,<br />
ha buone possibilità di farcela, martedì<br />
notte. Il fronte Obama sostiene l’esatto contrario<br />
e ieri, a dimostrazione che il candidato<br />
democratico è competitivo ovunque, ha cominciato<br />
a comprare spot televisivi in stati<br />
tradizionalmente repubblicani, come il Nord<br />
Dakota, la Georgia e addirittura l’Arizona, lo<br />
stato di McCain.<br />
Il manager del candidato repubblicano,<br />
Rick Davis, ha spiegato che un elettore su sette<br />
è ancora indeciso. Questo vuol dire che se<br />
martedì andranno alle urne 130 milioni di<br />
americani, come si crede, ce ne sono ancora<br />
New York. Martedì è il giorno delle elezioni,<br />
ma per il Partito repubblicano, qualunque<br />
sarà l’esito elettorale, quelli decisivi sono<br />
i giorni successivi. Anche se John McCain<br />
THE WRONG NATION<br />
QUARTO DI UNA SERIE DI ARTICOLI<br />
18 milioni e mezzo da convincere. McCain<br />
pensa di farcela perché finire alla grande, dopo<br />
che è stato dato per morto, è una sua antica<br />
caratteristica, ma anche perché i sondaggi<br />
cominciano a segnalare un avvicinamento<br />
dei due candidati. La settimana scorsa, ha<br />
scritto Davis, i sondaggi davano McCain indietro<br />
di dieci e rotti punti, a metà di questa<br />
settimana almeno quattro rilevazioni nazionali<br />
sono rientrate entro il margine di errore.<br />
A livello statale, dove per McCain sarà<br />
più difficile recuperare il vantaggio di Obama,<br />
Davis sostiene che si nota un fenomeno<br />
simile, come dimostra l’improvvisa competitività<br />
dello Iowa, uno stato considerato da<br />
mesi nella colonna Obama e dove invece venerdì<br />
il candidato democratico è stato costretto<br />
a fare tappa. Poi ci sono gli stati del<br />
South West – Nevada, New Mexico e Colorado<br />
– che in questi mesi sono sembrati l’obiettivo<br />
più facile di Obama. In particolare<br />
in Colorado la gara si è fatta più serrata, sostiene<br />
la campagna McCain, che vede una<br />
dovesse riuscire a diventare presidente con<br />
un recupero prodigioso, il Partito repubblicano<br />
resta a corto di idee e incapace di tenere<br />
insieme l’antica coalizione di liberisti,<br />
conservatori sociali e neoconservatori che ha<br />
dominato intellettualmente gli ultimi 28 anni<br />
della politica americana. McCain non è un<br />
esponente tipico del suo partito e la sua invece<br />
probabile sconfitta contro Barack Obama<br />
ha già accelerato la resa dei conti e la<br />
battaglia dietro le quinte per ridefinire l’anima<br />
repubblicana. Il quotidiano online The<br />
Politico ha svelato che giovedì, due giorni dopo<br />
il voto presidenziale, numerosi leader<br />
conservatori si riuniranno per un lungo<br />
weekend in una casa di campagna della Virginia<br />
per avviare la discussione su come rivitalizzare<br />
un partito che con ogni probabilità<br />
perderà la Casa Bianca e subirà un’ulteriore<br />
e pesante sconfitta al Congresso. La fonte<br />
anonima citata da The Politico sostiene che<br />
in caso di vittoria di McCain il gruppo di leader<br />
conservatori si porrà il problema di come<br />
confrontarsi con la nuova Amministrazione,<br />
ben sapendo che il conservatore alla Casa<br />
Bianca non sarà McCain, ma Sarah Palin.<br />
Una settimana dopo le elezioni, a Miami, si<br />
riunirà l’associazione dei governatori repubblicani<br />
e l’incontro, a cui parteciperanno intellettuali,<br />
politici, sondaggisti ed ex generali,<br />
è già considerato come il primo appuntamento<br />
ufficiale per discutere il futuro del<br />
partito, seguito qualche giorno dopo a Myrtle<br />
Beach da una riunione convocata dal presidente<br />
del Grand Old Party della Carolina del<br />
sud, Keaton Dawson, uno che è in lizza per<br />
diventare presidente del partito nazionale. A<br />
gennaio, infine, il partito che in caso di sconfitta<br />
di McCain si troverà privo di leadership<br />
ripresa repubblicana anche in Ohio e Pennsylvania,<br />
due stati che insieme fanno 41<br />
grandi elettori. Qui McCain e la sua vice, Sarah<br />
Palin, ma anche Arnold Schwarzenegger<br />
e Rudy Giuliani, stanno concentrando i<br />
loro ultimi sforzi, puntando proprio sugli indecisi<br />
e su chi resta scettico nei confronti<br />
delle ricette fiscali di Obama.<br />
In generale, sostiene il team McCain, Obama<br />
fatica a raggiungere quota 50 per cento<br />
anche nei sondaggi che lo segnalano in testa,<br />
ma si assesta sempre sul 45-48 per cento negli<br />
stati in bilico. Davis, inoltre, ricorda che<br />
alle primarie democratiche Obama ha spesso<br />
preso meno voti rispetto a quelli che gli<br />
assegnavano i sondaggi. Gli obamiani spiegano<br />
di avere un vantaggio strategico e demografico,<br />
grazie alla mobilitazione dei giovani<br />
e degli afroamericani che solitamente non<br />
votano. Ma le analisi di Davis su chi ha già<br />
votato (dove è consentito il voto anticipato o<br />
per posta) non mostrano un cambiamento<br />
della composizione dell’elettorato: “E’ gente<br />
che molto probabilmente avrebbe comunque<br />
votato, a prescindere dall’alto interesse<br />
suscitato da questa campagna”. Il team Mc-<br />
Cain sostiene inoltre che la mossa obamiana<br />
di spendere soldi nelle ultime ore di campagna<br />
in Nord Dakota, Georgia e Arizona è un<br />
segno di debolezza, un tentativo di allargare<br />
il campo di battaglia in extremis perché sono<br />
diventati a rischio alcuni stati considerati<br />
sicuri fino a pochi giorni fa.<br />
Le ultime ore di McCain e Palin saranno<br />
di fuoco, spiega Davis. Lunedì i due candidati<br />
repubblicani toccheranno quattordici<br />
stati e nelle ultime 72 ore scatteranno le delicate<br />
operazioni di “get out the vote”, quelle<br />
per convincere la gente a recarsi alle urne.<br />
I repubblicani sono maestri di questa<br />
tecnica, al punto che Obama sta adottando<br />
il modello bushiano del 2004. Davis però sostiene<br />
che la sua organizzazione sta facendo<br />
meglio di Bush 2004 e, a sorpresa, ha svelato<br />
che nei rush finali McCain trasmetterà<br />
più spot tv di Obama.<br />
Come uscire dai guai del Grand Old Party<br />
Le Balene colpiscono ancora<br />
oi, qui, non abbiamo un “sogno italia-<br />
Ci risulta difficile credere che il so-<br />
Nno”.<br />
gno americano possa essere moneta corrente,<br />
non nei salotti di Manhattan, ma nel paese<br />
normale. E che il suo sgretolarsi abbia<br />
provocato un effetto simile a quello di un abbandono<br />
del tetto coniugale. Il miliardariofilantropo<br />
Carnegie scriveva che sfortunato<br />
è il riccone che muore avvinghiato ai suoi<br />
quattrini, senza aver permesso loro<br />
di riciclarsi in lubrificante sociale.<br />
Warren Buffett, un altro che a un<br />
certo punto ha scaricato il superfluo<br />
dal conto in banca nel circuito della<br />
produzione di opportunità, nei<br />
giorni del crollo di Wall Street invitava<br />
i connazionali a salvaguardare<br />
la dignità, contrariamente ai<br />
pirati della finanza americana. Barack<br />
Obama, in quelle stesse ore,<br />
al fatale incontro con Joe l’idraulico,<br />
usò l’espressione “distribuzione<br />
del benessere” per riassumere la sua<br />
visione per l’America che s’augurava di governare:<br />
un posto dove le possibilità tornino<br />
ad aprirsi, le vie per il paradiso siano praticabili<br />
e dove chi sta meglio, chi ha già conseguito<br />
un assodato benessere, accetti di pagare<br />
qualche soldo in più per aiutare chi sta<br />
peggio. Niente di nuovo in questo, niente<br />
che contraddica il credo nella buona volontà<br />
e nell’empatia su cui i Padri fondatori avviarono<br />
il loro progetto. Perfino l’espressione<br />
“distribuzione del benessere”, usata da Obama<br />
a Toledo, non è originale, è riciclata da<br />
un personaggio di Thornton Wilder che, a un<br />
certo punto, paragona il denaro al concime:<br />
non ha valore se non lo si usa.<br />
Eppure, nel rush della campagna, i repubblicani<br />
hanno selezionato il leit-motiv<br />
dell’“Obama socialista”, del redistributore<br />
che ti ficca le mani in saccoccia, per screditare<br />
l’avversario e spaventare l’America indecisa.<br />
Dimenticando che, come<br />
suggeriscono campioni del capitalismo<br />
tipo Carnegie e Buffett, la via<br />
americana non ha mai rischiato<br />
d’intingersi in tentazioni collettivistiche,<br />
pur provando a instaurare<br />
una logica e un’etica del pluralismo<br />
che ispirasse la crescita civile. Riallacciarsi<br />
a quel filo di generosità e attenzione<br />
è uno dei meriti della campagna<br />
di Obama per la presidenza, per come<br />
l’ha concertata e per come, interpretando i<br />
suoi desideri, David Axelrod l’ha orchestrata<br />
sul filo della grande rappresentazione. Non è<br />
un caso che, partendo da questa visione e dalla<br />
solennità con cui andava presentata, il senatore<br />
dell’Illinois abbia generato un movimento<br />
popolare che va oltre la questione dell’anacronistica<br />
persistenza dei partiti politici.<br />
Obama inizia una campagna improbabile<br />
senza quattrini e senza sponsor, ma travolge<br />
l grande capitalista (finalmente) s’è mosso.<br />
IRupert Murdoch, proprietario di un colosso<br />
dell’informazione mondiale, con le testate<br />
più vendute dall’Australia agli Stati Uniti<br />
andata e ritorno, è uscito dall’ortodossia<br />
obamiana imperante e ha dichiarato che la<br />
vittoria di Barack Obama alle elezioni di<br />
martedì può peggiorare la crisi finanziaria.<br />
“I presidenti spesso non mettono in pratica<br />
quel che promettono in campagna elettorale<br />
– ha premesso Murdoch parlando all’Australian<br />
(quotidiano di sua proprietà) – perché<br />
diventano prigionieri di molte cose, delle<br />
circostanze e degli eventi”, ma “negli ultimi<br />
anni parecchi democratici hanno minacciato<br />
di introdurre dazi contro le importazioni<br />
cinesi se Pechino non avesse messo mano<br />
alla sua valuta: se ciò dovesse accadere, scatenerebbe<br />
azioni di rappresaglia che danneggerebbero<br />
seriamente l’economia mondiale”.<br />
Che cosa farà Obama naturalmente<br />
non è dato sapere, ma se fa quel che ha annunciato<br />
“assisteremo a un reale tracollo<br />
della globalizzazione”. C’è già stato “il precedente<br />
di Smoot-Hawley”, ha ricordato il<br />
tycoon australiano, facendo riferimento a<br />
quella legge che, nel 1930, alzò le tariffe su<br />
ventimila prodotti americani scatenando la<br />
le “inevitabili” macchine elettorali avversarie,<br />
aggregando tecnologicamente un movimento<br />
spontaneo di base attorno alla proposta<br />
d’un nuovo vigore nazionale connesso con<br />
quello dell’età d’oro, al tempo stesso chiedendo<br />
ai seguaci i quattrini necessari a vincere –<br />
un pozzo di milioni che gli sarebbe stato puntualmente<br />
accordato. E se “promessa” e “movimento”<br />
sono le prime due parole-chiave<br />
che hanno permesso a Obama d’arrivare sulla<br />
soglia della vittoria, il terzo fattore è “razza”:<br />
la destabilizzazione di certezze preesistenti,<br />
la capacità di indurre gli americani a<br />
scegliere l’uomo “capace”, prima che l’uomo<br />
in scala cromatica prediletta, sono il prodotto<br />
di indubbio progresso. L’America, confrontandosi<br />
quotidianamente con Obama, ha intrapreso<br />
una seduta psicanalitica di massa<br />
“Lo sforzo finale” di John McCain<br />
rappresaglia di tutti i principali partner<br />
commerciali degli Stati Uniti. “Non posso<br />
immaginare che Obama faccia una cosa tanto<br />
folle, ma qualsiasi azione in questa direzione<br />
può aggiungere tensione al sistema finanziario<br />
e commerciale globale, fino a impattare<br />
sull’occupazione”.<br />
Con queste parole, Murdoch si pone in<br />
contrapposizione con il pensiero unico di<br />
tutto l’establishment o di uno come Warren<br />
Buffett, tanto per fare un esempio, che ha tirato<br />
la volata al candidato democratico alla<br />
Casa Bianca, aiutandolo a incarnare il ruolo<br />
del salvatore degli americani in queste<br />
che, salvo sorprese, archivierà l’effetto Bradley,<br />
consegnando un paese che cerca leadership,<br />
anziché appartenenza, come ha ribadito<br />
ieri Obama nel suo appello alla radio:<br />
“Cambierò l’America”.<br />
L’estate s’è rivelato il momento in cui il<br />
candidato “rockstar” ha cominciato a esprimere<br />
il suo quarto valore assoluto: il proprio<br />
sistema di risposte. Obama ha esposto non<br />
soltanto la sua vasta competenza, ma la capacità<br />
di delega e di utilizzo delle competenze<br />
disponibili. L’Obama che chiama al suo<br />
fianco Paul Volcker o Larry Summers, l’Obama<br />
che ascolta i generali e ne soppesa le<br />
correzione di rotta per il medio oriente, l’Obama<br />
pronto a pescare contributi in tutte le<br />
classi anagrafiche e politiche, è prima un<br />
grande coordinatore che un frenetico decisionista,<br />
e ciò piace all’America amara di<br />
questi giorni. Obama alla Casa Bianca commetterà<br />
errori e sarà immortalato durante<br />
imprevisti inciampi. Il rapporto con un Congresso<br />
troppo democratico e bramoso di<br />
sprigionare potere, ormoni e vendette, sarà<br />
per lui una terribile insidia. Ma si percepisce<br />
un rassicurante ottimismo alla base d’un<br />
suo insediamento. La sensazione di una ripartenza<br />
invocata. Dove le distanze siano<br />
più riavvicinate, le spalle più coperte, gli<br />
estremi meno lontani, i figli più accuditi.<br />
Non è tutta materia prima con cui è stata costruita<br />
la più magnifica delle nazioni?<br />
Dopo il voto i leader conservatori si riuniranno in Virginia per riconquistare l’anima del partito<br />
dovrà scegliere il suo presidente.<br />
L’idea è che a essere nei guai è il Partito<br />
repubblicano, non il movimento conservatore,<br />
come dimostra la campagna di Obama<br />
centrata sul taglio delle tasse (e alla destra<br />
del Partito democratico su famiglia, matrimonio<br />
gay, politica estera, sicurezza nazionale,<br />
pena di morte). L’America resta un paese<br />
di centrodestra, chiunque vinca le elezioni,<br />
dicono i principali commentatori conservatori.<br />
Non c’è, però, una ricetta condivisa su<br />
come riconquistare la leadership del paese.<br />
L’istinto primario è quello di accusare<br />
George W. Bush, e per certi versi anche<br />
John McCain, di aver tradito i principi conservatori<br />
per aver perseguito una politica<br />
estera espansiva e tradizionalmente democratica,<br />
ampliato la presenza sociale dello<br />
stato, aumentato il debito pubblico, salvato<br />
Wall Street e aperto le frontiere all’immigrazione<br />
clandestina. I leader di questo<br />
fronte sono i rumorosi conduttori radiofonici,<br />
l’ala populista, isolazionista e tradizionalista<br />
del partito a cui pensano di rivolgersi<br />
il presidente del Gop della Carolina del sud<br />
e il governatore Mark Sanford. Secondo<br />
Sanford, i repubblicani devono ritrovare la<br />
loro identità e smetterla di imitare i democratici:<br />
“Quella era l’idea del conservatorismo<br />
compassionevole di Bush, ed è stato un<br />
disastro”. Il rischio, ha scritto Kimberley<br />
Strassel del Wall Street Journal, è che questa<br />
voglia di ritornare alle origini trasformi<br />
i repubblicani nel partito del “no”, relegandoli<br />
all’irrilevanza come i Tory inglesi ai<br />
tempi di Tony Blair.<br />
L’altra opzione è quella di puntare sull’anima<br />
riformatrice e moderna del partito, sull’apertura<br />
agli ispanici e agli afroamericani<br />
e su una nuova generazione di politici, come<br />
Charlie Crist, Eric Cantor e Paul Ryan, capaci<br />
di parlare non solo agli americani degli<br />
stati del sud e del mid-west, ma anche a chi<br />
vive nelle metropoli. Mitt Romney si propone<br />
come l’unico capace di unificare le due<br />
anime, ma mai sottovalutare Sarah Palin.<br />
Il grande capitalista (finalmente) s’è mosso. Murdoch contro Obama<br />
NON PROFUMA L’ALITO.<br />
LO AZZANNA.<br />
FISHERMAN’S FRIEND. LA PIÙ FORTE CHE C’È<br />
Wedding Obama<br />
“A Obama è stato chiesto perché è contro le<br />
nozze gay pure se ha condannato tutte le leggi<br />
che avrebbero impedito il matrimonio tra<br />
suo padre nero e sua madre bianca. La dfferenza,<br />
ha detto Obama, è la religione. Come<br />
cristiano – è membro dell'United Church of<br />
Christ – Obama crede che il matrimonio sia<br />
un'unione sacra, una benedizione di Dio, intesa<br />
esclusivamente per un uomo e una donna”.<br />
New York Times, 1 novembre 2008<br />
www.fishermansfriend.it<br />
ultime, impanicate settimane. Murdoch no,<br />
non ci sta. Definisce la politica fiscale di<br />
Obama semplicemente “crazy”, folle, soprattutto<br />
il piano di aumentare le tasse per<br />
chi guadagna più di 250 mila dollari e quello<br />
di distribuire i rimborsi d’imposta al 95<br />
per cento degli americani (quest’ultimo è,<br />
testuale, “rubbish”, spazzatura). “Il 50 per<br />
cento della popolazione non paga le tasse,<br />
come pensa di offrirgli un taglio? Puoi dare<br />
un assegno, come Obama ha promesso, un<br />
sussidio di 500 dollari, ma scomparirà molto<br />
velocemente. Non darà certo un contributo<br />
per invertire il corso della crisi”. Che cosa<br />
fare allora? Una ricetta, Murdoch, non ce<br />
l’ha (o comunque non la dice), ma è sicuro<br />
di due cose, una bella e una meno. L’ottimismo<br />
gli fa dire che il mondo “combatterà come<br />
un pazzo” per aver un mercato sempre<br />
più libero e per segnare il successo del<br />
Doha Round. Il pessimismo, invece, gli fa dire<br />
che le elezioni americane non calmeranno<br />
la crisi di fiducia che, “sotto un certo<br />
punto di vista, è al di fuori del margine di<br />
manovra della politica. I politici sono molto<br />
limitati: possono far peggiorare la crisi, ma<br />
non possono fermarla”.<br />
Tutti da Licio il sabato sera<br />
Allarme democratico<br />
per un Grande Vecchio<br />
finito su una tv locale<br />
Gelli torna in prima <strong>pagina</strong> per via<br />
di un programma. Per Di Pietro pure il<br />
decreto Gelmini “era nel piano P2”<br />
Baudo: “Non si fa più gavetta”<br />
Roma. L’Unità dedica alla notizia il titolo<br />
di apertura, sopra la foto che copre quasi<br />
tutta la prima <strong>pagina</strong>: “Venerabile Tv – Gelli<br />
su Odeon rivaluta il fascismo e chiama<br />
con sé Dell’Utri e Andreotti. ‘Chi è il mio<br />
erede? Berlusconi’”. Più o meno lo stesso fa<br />
Liberazione. Ma la notizia del ritorno sulla<br />
scena di Licio Gelli, capo della famigerata<br />
loggia massonica P2, desta allarme e indignazione<br />
su tutta la stampa nazionale. Peccato<br />
che sia Marcello Dell’Utri sia Giulio<br />
Andreotti abbiano subito smentito la propria<br />
partecipazione (“Licio Gelli? E’ ancora<br />
vivo?”, è stata la prima reazione del senatore<br />
a vita). Dettagli che non hanno fermato il<br />
dibattito. “Una volta si faceva la gavetta, c’era<br />
una progressione di carriera per i meritevoli<br />
che crescevano in autorità e autorevolezza.<br />
Oggi non mi pare che sia più così”, ha<br />
commentato Pippo Baudo, evidentemente<br />
amareggiato dalla pericolosa degenerazione<br />
dei palinsesti delle televisioni locali. “Visto<br />
quanto se ne parla, l’operazione ‘Gelli in tv’<br />
parte già in vantaggio. Ma attenzione all’autogol:<br />
in televisione talvolta un’aspettativa<br />
troppo alta può essere foriera di successiva<br />
delusione”, ha ammonito Paolo Bonolis, forse<br />
preoccupato per il potenziale danno d’immagine<br />
a tutta la rete, caratterizzata da programmi<br />
quali “Basta un poco di zucchero” e<br />
“Il campionato dei campioni”.<br />
Al centro dell’attenzione sta però la definitiva<br />
ammissione di Licio Gelli sull’identità<br />
del suo erede: Silvio Berlusconi. “La scuola,<br />
dopo la giustizia e l’informazione, è un altro<br />
tassello del progetto del venerabile della P2<br />
Licio Gelli, che Berlusconi sta realizzando”,<br />
rilancia subito Antonio Di Pietro. Non che in<br />
molti non l’avessero già insinuato sin dal<br />
1994, a partire dalle analogie tra il programma<br />
di Forza Italia e il celebre Piano di rinascita<br />
democratica elaborato dalla P2, che tra<br />
molte altre cose (e non poche banalità) prevedeva<br />
– udite udite – presidenzialismo e separazione<br />
delle carriere. Per la stessa ragione,<br />
peraltro, anche Bettino Craxi fu accusato<br />
di essere il vero erede di Gelli. E anche Massimo<br />
D’Alema (per via della Bicamerale). E<br />
di recente pure Walter Veltroni (sempre per<br />
via del dialogo sulle riforme).<br />
In realtà, per dirne una, nel piano della<br />
P2 si parlava pure di abolizione del valore<br />
legale del titolo di studio, ma a nessuno è<br />
mai venuto in mente di denunciare i molti<br />
sostenitori di una simile scelta come burattini<br />
di Gelli. Né risulta che Marco Travaglio<br />
– tra gli ultimi e più affezionati cantori del<br />
ritornello sui “veri esecutori” del piano piduista<br />
– abbia mai fatto serie indagini su<br />
chi, nell’Italia di oggi, voglia segretamente<br />
“aumentare la redditività del risparmio postale<br />
elevando il tasso al 7 per cento” (nel<br />
piano era previsto anche questo).<br />
Fatto sta che da più di vent’anni sulla<br />
stampa è tutto un denunciare nuove e vecchie<br />
P2, occulti e palesi esecutori del diabolico<br />
disegno di Gelli. Il quale sarà stato pure<br />
il Grande Vecchio, l’oscuro burattinaio di<br />
tutti i misteri d’Italia, il grande capo della<br />
massoneria internazionale, ma se oggi è finito<br />
a illustrare le sue venerabili reliquie<br />
pseudostoriche al pubblico di Odeon tv, evidentemente,<br />
le cose sono due: o non se la<br />
passa tanto bene lui, o se la passano anche<br />
peggio la massoneria internazionale e tutti<br />
i servizi deviati del mondo.<br />
Sai che scandalo, sai che<br />
vulnus. Quando Gelli dice:<br />
“Se uno ha la maggioranza<br />
deve usarla, senza<br />
interessarsi della minoranza”,<br />
è quello che Prodi<br />
ha fatto. Quando dice,<br />
sul lodo Alfano: “L’immunità ai grandi dovrebbe<br />
essere esclusa, perché al governo<br />
dovrebbero andare persone senza macchia”,<br />
è quello che sostengono Travaglio,<br />
Scalfaro, Eco, Fo, Veltroni, Di Pietro, Finocchiaro<br />
e ci fermiamo qui per comodità.<br />
Quando dice di Fini: “Avevo molta fiducia<br />
in lui, oggi non sono più dello stesso avviso”,<br />
quel “molta” a parte, standing ovation.<br />
Se Gelli ripete: “In linea di massima sono<br />
d’accordo con la Gelmini perché ripristina<br />
un po’ d’ordine”, si tratta di un’ovvietà parecchio<br />
condivisa. Quel suo “molti ragazzi<br />
vanno in piazza perché non hanno voglia di<br />
studiare”, è quello che ci hanno ripetuto<br />
per decenni l’universalità dei rettori, dei<br />
baroni, dei professori associati, dei supplenti,<br />
dei primi della classe, dei farmacisti,<br />
dei fruttivendoli e le mamme del mondo<br />
praticamente al completo, con l’eccezione<br />
sempre di Lidia Ravera. “Se oggi in Italia<br />
c’è un potere forte, quello è la magistratura”,<br />
bé, del tutto una stronzata forse non<br />
si può dire. “I partiti veri non esistono più”,<br />
chiedete a Macaluso. Però è vero. E’ vero<br />
che quando Gelli afferma: “Se dovesse morire<br />
Berlusconi, Forza Italia non andrebbe<br />
avanti”, questo è soltanto per far venire un<br />
colpo al ministro del Tesoro.<br />
Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21
G iovedì sera, veglia in tv. Esce, ed è già<br />
stroncato, il film “Il sangue dei vinti”,<br />
dal romanzo di Pansa. La televisione di<br />
Porta a Porta fissa un’altra volta lo sguardo<br />
sul sangue versato in Italia alla caduta del<br />
fascismo. Fosca puntata di parole schiette<br />
e di parole doppie. 1945-1946, la guerra è finita.<br />
Il Duce è morto, italiani ancora tornano<br />
dalla Russia. In alcune zone del paese si<br />
scatena un anno di guerra con il silenziatore.<br />
Un’ecatombe di vinti: fascisti, cattolici,<br />
anche famiglie, uccisi da irriducibili bande<br />
partigiane. Una stima quieta ci dice: 30 mila<br />
morti. Non è certo in questione l’equiparazione<br />
tra resistenza e fascismo. Gli storici,<br />
e anche noi, gente di buona volontà, vorremmo<br />
capire se esistesse un piano per la<br />
rivoluzione italiana e quanta parte del Pci<br />
coinvolgesse; si vorrebbe capire se i corpi<br />
dei vinti e la pace su di loro possano essere<br />
considerati sacri. O se i vinti, in piena<br />
pace firmata, possano essere decimati in silenzio<br />
e non parlarne più se erano fascisti;<br />
mentre è naturale protestare se i vinti uccisi<br />
fan parte del fronte anti imperialista. In<br />
studio c’è Pansa, giornalista che non fa<br />
sconti, quasi umorista, ora coraggioso narratore.<br />
C’è Michele Placido, protagonista<br />
del film. Ci sono gli storici Lucio Villari ed<br />
Ernesto Galli della Loggia. E c’è un’anziana<br />
signora, che parla un poco da sola. Fu<br />
partigiana, è di Sant’Anna di Stazema. E c’è<br />
l’errore di unire gli eccidi delle bande partigiane<br />
al golem inumano del nazifascismo,<br />
che ristagna tra gli occhi della donna di<br />
Sant’Anna. Villari offre baci perugina con<br />
il bigliettino al tritolo. Sorride a Pansa: Sono<br />
sicuro che non pensi davvero quello che<br />
dici. Dice: non capisco questo vittimismo. Si<br />
vede bene come sia in gioco la patente del<br />
vecchio comunismo, licenza spesso autocertificata,<br />
di forza democratica, esente da<br />
tentativi di fuga dal recinto repubblicano.<br />
Abbiamo scritto la Costituzione, esclama il<br />
direttore di Rifondazione. Sì, ma non è agli<br />
atti cosa facevate con la mano libera dalla<br />
penna e per quanta parte della resistenza<br />
la guerra antifascista fosse un passaggio<br />
verso la rivoluzione. Villari sorride: “Cose<br />
vecchie, via, si sono sempre sapute”.<br />
Nei ristrettissimi circoli intellettuali<br />
Sì, ma sapute in ristretti circoli intellettuali<br />
dove avere differenti opzioni sulla<br />
realizzazione del socialismo fu parte fisiologica<br />
dello scontro dialettico con i compagni<br />
che sbagliano – a meno che le Brigate<br />
rosse siano nate sotto ai cavoli. Difficoltà<br />
psicanalitica della sinistra davanti<br />
agli eccidi di famiglia. Vespa si aggira paterno<br />
come un sacerdote della tv, ah se<br />
l’autocritica comunista avvenisse da lui!<br />
Quando Villari sorride a Pansa che certo<br />
non pensa quello che dice, il professor<br />
Della Loggia fa notare che se la discussione<br />
ha questo approccio, è difficile incontrarsi.<br />
Al margine dello studio, su una sedia<br />
a parte, la vecchia partigiana non capisce.<br />
Viene da Sant’Anna, sente parlare<br />
di questo sangue fascista e crede che la tv<br />
metta in dubbio la mostruosità del fascismo.<br />
Ode ancora la mitraglia crepitare alla<br />
chiesa, quando la gente di Sant’Anna<br />
muore. Lei ha negli occhi il fumo nero che<br />
sale al cielo e si forma una nube. La nube<br />
è rimasta su Sant’Anna e ora è in studio.<br />
In modo brusco, e sinistro, le responsabilità<br />
politiche ora s’invertono. C’è una vecchia<br />
partigiana lì, un’italiana ancora offesa<br />
che non capisce il senso della serata, e<br />
forse della vita. Non glielo fanno capire. Il<br />
fascismo è scomparso, e non può essere in<br />
studio, ma è come se la palla passasse nel<br />
campo della destra storica, dove gli eredi<br />
di Salò hanno appena fatto i primi conti<br />
con se stessi, mentre poco fa, nelle loro<br />
stanze e nelle piazze rivendicavano la gloria<br />
del Duce. Poi c’è che gran parte della<br />
popolazione non fu fascista: ma cos’era?<br />
Indossata la divisa da balilla come fosse<br />
una divisa sociale, furono accolti senza<br />
battere ciglio i discorsi alla radio, le leggi<br />
razziali, la soppressione del sindacato e<br />
della democrazia parlamentare. La fine<br />
della libertà. Nei treni, nei bar, dal dentista,<br />
dicono che purtroppo il fascismo si alleò<br />
con la Germania, ma non fece niente<br />
di male. La storia è un mare in vivo movimento,<br />
non fissabile in unico sguardo, e<br />
dalla fine del fascismo, per non dire dalla<br />
fine del comunismo, il tempo è ancora poco.<br />
Gridano i morti di Sant’Anna. Gridano<br />
i corpi degli italiani uccisi durante il primo<br />
tempo della pace omicida – nelle vie si<br />
gridava viva la libertà. Ancora stentano a<br />
cadere le pietre del Muro di Berlino. C’è<br />
tanto da fare, in Italia.<br />
Alessandro Schwed<br />
ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />
Ritratto di un negro<br />
La vendita all’asta di un quadro<br />
spiega meglio di ogni altro<br />
sondaggio il futuro americano<br />
Sangue television<br />
Guardare Porta a Porta e capire<br />
che cosa si intende quando si parla<br />
di comunismo da prima serata<br />
A una vendita all’asta in cui si disperdeva<br />
una celebre collezione di disegni del<br />
Settecento, un mercante francese cercava<br />
invano di aggiudicarsi almeno un foglio di<br />
Antoine Watteau. Ogni volta veniva battuto<br />
da un collega americano. Il mercante francese<br />
non spingeva mai troppo la gara perché<br />
aveva deciso di puntare tutto su un piccolo<br />
foglio che giudicava particolarmente<br />
interessante. Era deciso a combattere, ma<br />
non si faceva molte illusioni. Tutto quello<br />
che poteva aspettarsi era di costringere il<br />
suo concorrente a sborsare più dollari di<br />
quanti avrebbe voluto. Vista la disinvoltura<br />
con cui inseguiva ogni lotto anche oltre ogni<br />
ragionevole quotazione di mercato, il mercante<br />
americano doveva evidentemente lavorare<br />
su mandato di un collezionista disposto<br />
a pagare qualsiasi cifra per un disegno<br />
di Watteau. Di certo non si sarebbe lasciato<br />
scappare il pezzo più interessante.<br />
Il pezzo più interessante, secondo il mercante<br />
francese, era uno studio in cui l’artista<br />
aveva disegnato per tre volte la testa di<br />
un moro, da tre prospettive diverse. La qualità<br />
del disegno era alta, ma quello che interessava<br />
il francese era soprattutto il soggetto.<br />
Quando un mercante d’arte acquista<br />
un’opera ha perlopiù in mente il cliente a<br />
cui offrirla. In quel caso il cliente era più di<br />
uno. Da anni tra arredatori e collezioni andava<br />
di modo l’esotismo. Gli artisti orientalisti,<br />
pur mediocri che fossero, spuntavano<br />
sempre prezzi interessanti. Gli africanisti,<br />
molto più rari, andavano ancora meglio.<br />
Non c’era dubbio che un foglio africanista<br />
di mano di un grande maestro non avrebbe<br />
fatto la polvere in bottega.<br />
Quando il commissaire-priseur propose il<br />
foglio, il mercante francese aspettò. Intimoriti<br />
dalla presenza dell’americano, gli altri<br />
commercianti non si muovevano. Ma neanche<br />
l’americano si faceva vivo. Prima che il<br />
lotto venisse ritirato, il francese si aggiudicò<br />
il disegno. Aveva ottenuto quello che voleva,<br />
ma non era tranquillo. Come mai l’americano<br />
si era lasciato scappare un pezzo così<br />
interessante? Forse vi aveva visto qualcosa<br />
che lui non aveva notato? La carta era<br />
buona, la filigrana era di quelle che si vedevano<br />
in trasparenza nei fogli prodotti dal<br />
maestro nel periodo al quale, secondo lui,<br />
apparteneva il disegno delle tre teste di moro.<br />
La mano era indiscutibilmente di Watteau,<br />
le tracce del tempo avevano tutta l’aria<br />
di essere autentiche e non prodotte ad<br />
arte. La provenienza del foglio poi era delle<br />
più sicure, delle più documentate. Era<br />
un’opera che era stata studiata e pubblicata<br />
più volte. Ma se l’americano non l’aveva<br />
degnata di attenzione, dopo essersi aggiudicato<br />
di forza tutti gli altri fogli, qualcosa che<br />
non andava doveva esserci.<br />
La sera stessa i due antiquari si trovarono<br />
a cenare insieme. Il francese non seppe<br />
attenersi alla buona regola di non parlare<br />
mai di lavoro a tavola. La prese alla larga.<br />
Si complimentò per i buoni acquisti del<br />
collega, cercò di farlo arrivare al suo foglio.<br />
Poiché non riusciva a portare il discorso<br />
dove voleva, abbandonò la prudenza<br />
professionale e gli fece esplicitamente<br />
la domanda. Perché non aveva neppure<br />
tentato di acquistare il disegno delle tre teste?<br />
Cosa c’era che non andava? Niente,<br />
non c’era niente che non andava, era un disegno<br />
bellissimo, forse il più bello di tutta<br />
la vendita. Se fosse stato per lui l’avrebbe<br />
comperato subito. Ma purtroppo era un<br />
mercante e non poteva permettersi di<br />
scommettere su un’opera poco commerciale.<br />
Quanti collezionisti c’erano in America<br />
disposti a sborsare un mucchio di quattrini<br />
per il ritratto di un negro? L’episodio mi<br />
è tornato in mente quando hanno chiesto a<br />
me di scommettere su chi avrebbe vinto le<br />
elezioni in America.<br />
Sandro Fusina<br />
IL 4 NOVEMBRE DEI “TREI CJANTÒNS DA CJASE”<br />
Storia delle mille donne che portarono sulle spalle gli eroi della Grande guerra<br />
Pubblichiamo l’intervento al convegno<br />
della Camera dei deputati del 29 ottobre<br />
su “La Grande guerra nella memoria<br />
italiana” dell’onorevole Manuela di<br />
Centa, parlamentare del Pdl e campionessa<br />
olimpica di sci di fondo.<br />
Q uando ero impegnata nell’attività sportiva,<br />
erano quasi diecimila i chilometri<br />
che percorrevo ogni anno per fare, come si<br />
dice, fiato e gambe. Diecimila chilometri in<br />
prevalenza sugli sci, ma anche correndo e<br />
camminando su e giù lungo i sentieri delle<br />
montagne di casa, della terra dove sono nata,<br />
la Carnia. Sentieri che si inoltrano nei boschi<br />
di abeti, larici e faggi e aprono a pianori<br />
smeraldini, dove un tempo danzavano le<br />
fate, i diavoli goffi e le bizzarre streghe del<br />
Carducci, ma anche sentieri che in alta quota<br />
diventano impervi, pietraie sulle quali un<br />
appoggio sbagliato può essere davvero pericoloso.<br />
Cercavo di arrivare su, fino alla cima,<br />
per quei sentieri che erano stati i sentieri<br />
della Grande guerra, percorsi da mia nonna,<br />
“none Irme”, con il sole, la pioggia e la neve,<br />
per ventisei mesi di seguito. Mia nonna all’epoca<br />
non aveva ancora sedici anni!<br />
Non saliva e scendeva di corsa, perché<br />
non era lì per fare gambe e fiato e per quello,<br />
comunque, bastavano ed erano d’avanzo<br />
i quaranta chili che portava sulle spalle, nella<br />
gerla. Quaranta chili di viveri, medicinali<br />
e filo spinato, ma anche di proiettili e di<br />
bombe a mano, che facevano di quella gerla<br />
una vera e propria santabarbara, esposta<br />
per lunghi tratti al tiro del cecchino. Quattro,<br />
cinque ore di cammino al giorno, salendo<br />
oltre i duemila metri, fino alle trincee del<br />
Pal Piccolo, del Freikofel, e scendendo il<br />
più delle volte con il carico dolente di morti<br />
e feriti. E al momento del bisogno, a fine<br />
marzo del 1916, sotto i violentissimi attacchi<br />
del nemico, “none Irme” lasciava la gerla<br />
per fare da servente ai pezzi di artiglieria.<br />
Lei, come tante altre donne della mia terra,<br />
delle mie montagne, era una “Portatrice”.<br />
Donne non comuni, temprate da una vita difficile<br />
in luoghi di montagna dove ogni giorno<br />
sfamare la propria famiglia era una impresa.<br />
Donne che non a caso venivano definite i<br />
“trei cjantòns da cjase”, i tre angoli che sostenevano<br />
la casa. Sono quindi particolarmente<br />
grata al presidente Fini per l’opportunità<br />
che mi viene offerta di ricordare qui, oggi,<br />
l’abnegazione, il coraggio e l’eroismo delle<br />
Portatrici, di quel migliaio di donne che<br />
senza alcuna costrizione, ma del tutto volontariamente<br />
risposero un giorno all’appello<br />
del generale Lequio, comandante della Zona<br />
Carnia. Queste donne combatterono la loro<br />
guerra insieme ai Portatori più giovani, ragazzi<br />
pratici della zona e delle loro montagne,<br />
e a quelli più anziani, impegnati nella<br />
costruzione e manutenzione di mulattiere,<br />
gallerie, piazzali per l’artiglieria. Era, quello<br />
carnico, un settore del fronte italo-austriaco<br />
di particolare rilevanza strategica, in<br />
quanto comprensivo del valico di Monte Croce<br />
Carnico attraverso il quale passava l’antica<br />
via imperiale Julium Augusta, un valico<br />
che il nostro Comando Supremo paventava<br />
come uno dei possibili accessi per l’invasione<br />
dell’Italia da parte del nemico, ma era anche<br />
un settore lasciato colpevolmente privo<br />
di difese nella convinzione di nascondere così<br />
all’ex alleato austriaco le nostre vere intenzioni,<br />
cioè di entrare in guerra a fianco<br />
dell’Intesa.<br />
Insomma, nell’illusione di mantenere segreto<br />
il Patto che Sonnino aveva firmato a<br />
Londra il 26 aprile, e che ci impegnava a dichiarare<br />
guerra all’Austria entro un mese,<br />
non avevamo scavato una sola trincea, né<br />
predisposto una sola teleferica, a differenza<br />
degli austriaci che avevano preparato tutto<br />
nel migliore dei modi. Ma il nostro Comando<br />
Supremo aveva fatto d’altro: temendo<br />
possibili connivenze con il nemico, per via<br />
della presenza in Carnia di talune, piccole<br />
isole alloglotte, aveva dapprima predisposto<br />
la destinazione ad altri fronti – Carso e Isonzo<br />
– della maggior parte della leva locale,<br />
poi attuato la deportazione, seppure temporanea,<br />
della popolazione civile verso l’interno.<br />
Cadorna non aveva capito che, se in Carnia<br />
qualcuno sapeva parlare, oltre al friulano,<br />
anche una sorta di dialetto tedesco, non<br />
era perché “austriacante”, come si diceva<br />
allora, ma semplicemente perché da sempre<br />
l’Austria, più vicina e più facilmente raggiungibile<br />
di Udine, Trieste o Venezia, offriva<br />
opportunità di lavoro ai nostri muratori,<br />
ai nostri falegnami e ai nostri ambulanti.<br />
Settore Alta Valle del Bùt<br />
Oltre quindi a non aver predisposto rotabili<br />
e teleferiche per un adeguato rifornimento<br />
delle linee del fronte, possibile allora<br />
soltanto con trasporto a spalle lungo le<br />
mulattiere e i sentieri impervi già descritti,<br />
si era provveduto anche a trasferire altrove<br />
chi avrebbe potuto sopperire, con la conoscenza<br />
dei luoghi, alle difficoltà logistiche e<br />
alle insidie poste dal nemico.<br />
Il prezzo pagato nei primi mesi di guerra<br />
in vite umane e in salmerie finite nei crepacci<br />
o centrate dall’artiglieria nemica risultò<br />
talmente alto da costringere il Comando<br />
Supremo a fare marcia indietro con le comunità<br />
deportate, chiedendo loro aiuto, così<br />
come del resto a tutta la popolazione della<br />
Carnia. E poiché gli uomini validi erano<br />
già tutti alle armi, l’appello, espresso con<br />
tutta la drammaticità che la situazione<br />
obiettivamente richiedeva, fu raccolto con<br />
slancio commovente dalle donne, molte delle<br />
quali avevano mariti e talvolta figli impegnati<br />
al fronte, dai ragazzi e dagli anziani<br />
del posto. Fu così costituito un vero e proprio<br />
Corpo di ausiliarie, la cui età andava<br />
dai quattordici anni delle più giovani, ai sessanta<br />
delle più anziane. Suddivise in squadre<br />
di 15-20 unità, furono dotate di un bracciale<br />
rosso sul quale erano stampigliati sia i<br />
dati identificativi dell’unità militare con la<br />
quale operavano in stretta simbiosi, sia il<br />
numero del libretto personale di lavoro del<br />
quale ogni Portatrice era stata dotata e dove<br />
il furiere del reparto riportava presenze,<br />
viaggi compiuti, natura del materiale trasportato.<br />
Partivano tutti i giorni all’alba, dai<br />
depositi e dai magazzini di fondo valle, dove<br />
avveniva il carico delle gerle, senza una guida,<br />
e imponendosi autonomamente una disciplina<br />
di marcia. In caso di necessità, dovevano<br />
essere disponibili anche di notte e<br />
per qualsiasi destinazione. Se le posizioni<br />
della Zona Carnia, settore Alta Valle del<br />
Bùt, non furono mai cedute al nemico, ma<br />
solo inevitabilmente abbandonate dopo Caporetto,<br />
lo si deve anche al coraggio, alla abnegazione<br />
e al sacrificio delle Portatrici. A<br />
una di loro, Maria Plozner Mentil, madre di<br />
quattro figli, colpita mortalmente da un cecchino<br />
austriaco, il presidente Scalfaro ha voluto<br />
concedere nel 1997 motu proprio, la Medaglia<br />
d’Oro al Valor Militare, appuntandola<br />
sul petto della figlia Dorina, orfana di<br />
guerra di entrambi i genitori, e a sua volta<br />
Portatrice. Con legge dello Stato del 1969 veniva<br />
conferita l’onorificenza del “Cavalierato<br />
di Vittorio Veneto” a tutte le Portatrici,<br />
senza distinzione delle zone in cui avevano<br />
prestato servizio durante il conflitto, con la<br />
singolare conseguenza che il mio paese, Paluzza,<br />
annovera il più alto numero di onorificenze<br />
al valor militare conferite alle donne.<br />
A loro in modo particolare, ma anche a<br />
tutte le Portatrici e i Portatori della grande<br />
Guerra, idealmente uniti dall’amore per la<br />
propria Patria, va oggi il mio commosso pensiero<br />
e, sono certa, di tutta questa Assemblea.<br />
Grazie.<br />
Manuela Di Centa<br />
LE MOSSE INGLESI SULLA COMPAGNIA E IL FUTURO DI LUFTHANSA /2<br />
Cosa succede ai capitani coraggiosi se in Alitalia arriva British Airways<br />
Roma. Si apre un’aerovia per Londra.<br />
Ambienti vicini a Cai sottolineano come<br />
l’opzione British Airways si sia tramutata,<br />
nelle ultime ore, da plausibile a credibile.<br />
Fino a oggi, l’inedita alleanza anglo-italiana<br />
veniva considerata, dagli osservatori, come<br />
un’ipotesi di scuola, e le prudenti dichiarazioni<br />
d’interesse da parte di qualche manager<br />
inglese come semplici “manovre di disturbo”<br />
nei confronti di due antichi rivali:<br />
Air France e Lufthansa. In realtà, fonti qualificate<br />
rivelano come dai frequenti contatti<br />
tra gli emissari di Rocco Sabelli e di Willie<br />
Walsh, i due chief executive officers, sia nato<br />
un tavolo tecnico con l’obiettivo di stilare<br />
un documento da sottoporre ai rispettivi<br />
consigli di amministrazione. La parola chiave<br />
è “visione”, e alti dirigenti delle due delegazioni<br />
lavorano su una prospettiva di medio<br />
termine condivisa. Si tratta di un dossier<br />
molto ostico, anche perché da parte di BA è<br />
stato più volte ribadito che non c’è disponibilità<br />
a entrare nel capitale azionario di Cai.<br />
Una volontà che lascerebbe pensare a un<br />
tiepido interesse e che potrebbe far sbuffare<br />
diversi azionisti della cordata italiana,<br />
desiderosi di un impegno stringente da parte<br />
del partner straniero. A favore di Londra<br />
però gioca un aspetto non irrilevante legato<br />
alle prospettive di crescita. La compagnia<br />
inglese, infatti, sul mercato italiano ha un<br />
grado di penetrazione molto ridotto rispetto<br />
alle altre due major europee, e quindi potrebbe<br />
giovarsi di maggiori margini di crescita<br />
alleandosi con la prima compagnia aerea<br />
italiana. BA inoltre è leader del mercato<br />
sul traffico tra Europa e Stati Uniti, mentre<br />
la spagnola Iberia (per la cui acquisizione<br />
gli inglesi stanno incontrando alcuni problemi)<br />
detiene la palma per i voli diretti verso<br />
il sud e centro America. L’area del Mediterraneo<br />
è però poco presidiata, e maggiori<br />
spazi di crescita per Cai potrebbero nascere<br />
anche sui voli verso l’oriente. La strada inglese<br />
potrebbe quindi essere più profittevole<br />
per Colaninno e soci, ma anche più rischiosa.<br />
Il tavolo tecnico, nel suo documento<br />
sulla visione condivisa, non esclude lo<br />
scenario di una possibile fusione da compiere<br />
dopo il periodo di lock up – che vincola i<br />
soci Cai a non vendere le proprie azioni prima<br />
di un quinquennio. Un tempo che oltretutto<br />
farebbe comodo a Walsh per testare sul<br />
campo il valore che si creerebbe dall’apertura<br />
di un fronte italiano. Nel passato gli inglesi<br />
qualche tentativo di entrare in maniera<br />
più incisiva sul mercato nazionale l’avevano<br />
esperito. Nel ’95 avevano avviato fitti<br />
colloqui con il presidente Alitalia, Renato<br />
Riverso, che coinvolgevano anche American<br />
Airlines. Un dossier che seguì personalmente<br />
l’allora capo delle strategie, Daniele De<br />
Giovanni, divenuto poi stretto collaboratore<br />
di Romano Prodi durante la passata legislatura.<br />
Nel 2000 la compagnia inglese provò<br />
una strada più ambiziosa, dando vita alla<br />
controllata italiana National Jet, alla cui<br />
presidenza insediò l’ex presidente di Confcommercio,<br />
Sergio Billè. L’avventura non ebbe<br />
successo e la società chiuse i battenti.<br />
Ma un eventuale accordo Cai-Ba cosa potrebbe<br />
comportare? Lufthansa e Air France<br />
certamente non resterebbero ad aspettare il<br />
logoramento delle loro quote di mercato. La<br />
compagnia tedesca, come anticipato dal Foglio<br />
il 19 ottobre, ha creato una scatola societaria<br />
nuova, Lufthansa Italia spa, per poter<br />
sfruttare gli accordi open skies e lanciare<br />
nuovi collegamenti diretti senza passare per<br />
gli scali tedeschi. Jean-Cyril Spinetta potrebbe,<br />
al contrario, riallacciare i rapporti<br />
con il principe ismaelita Karim Aga Khan,<br />
per studiare una collaborazione con la sua<br />
Meridiana.<br />
LIBRI PRESIDENZIALI<br />
C’è una campana (letteraria) che suona sia per Obama che per McCain<br />
N el 1992, salendo sull’aereo della campagna<br />
elettorale, Bill Clinton sventolò<br />
un libro del suo scrittore preferito. Le<br />
vendite dei romanzi di Walter Mosley, nero<br />
cresciuto nel ghetto di Los Angeles, triplicarono<br />
in una settimana. Eletto presidente,<br />
Bill Clinton confermò al Wall<br />
Street Journal il nome del suo scrittore<br />
prediletto, consigliandolo a tutti. Mosley<br />
commentò: “Adesso ogni giornalista al<br />
mondo sa chi sono”. Da noi – dove i libri<br />
si scrivono in dosi massicce ma si leggono<br />
in dosi omeopatiche, e dove una campagna<br />
elettorale è considerata iattura dai librai,<br />
perché le vendite calano a picco – il<br />
“cosa sta leggendo?” non sta tra le legittime<br />
curiosità (l’unica scrittrice che abbia<br />
tratto vantaggio dalla politica si chiama<br />
Catherine Dunne: “La metà di niente”, citato<br />
di striscio nella lettera a Silvio di Veronica<br />
Berlusconi, rientrò prontamente in<br />
classifica).<br />
Sul supplemento libri del New York Times,<br />
Jon Meacham raccoglie le letture dei<br />
candidati Obama e McCain. Vince Mc-<br />
Cain, prima ancor di nominare un solo titolo.<br />
Quand’era prigioniero in Vietnam,<br />
per tenere la mente sveglia recitava scene<br />
di romanzi o film. Più o meno quel che<br />
fa il carcerato Molina nel “Bacio della<br />
donna ragno” di Manuel Puig: per distrarre<br />
il compagno di cella, gli racconta “La<br />
donna pantera” e altri film di zombie. Ma<br />
siccome l’altro è un prigioniero politico –<br />
il narratore invece è stato messo dentro<br />
per omosessualità – litigano di continuo.<br />
Uno vorrebbe sapere se i personaggi hanno<br />
coscienza sociale, l’altro non vede neppure<br />
l’apologia di nazismo in un film dell’UFA,<br />
occupato com’è a godersi gli abiti<br />
scintillanti e le pettinature.<br />
John McCain – che ha avuto l’onore di<br />
un ritratto firmato David Foster Wallace,<br />
in “Considera l’aragosta”, Einaudi – legge<br />
e rilegge “Per chi suona la campana” di<br />
Hemingway. “Ho sempre pensato che Robert<br />
Jordan, il protagonista, avesse tutte<br />
le caratteristiche che un uomo deve avere”.<br />
Gli piacciono i racconti di William Somerset<br />
Maugham, “Niente di nuovo sul<br />
fronte occidentale” di Eric Maria Remarque,<br />
“L’ultimo dei Mohicani”. Anche William<br />
Faulkner, “purché a piccole dosi”: i<br />
titoli preferiti sono “L’orso” (in “La grande<br />
foresta”, Adelphi) e “Turnabout”, portato<br />
sullo schermo da Howard Hawks nel<br />
1933, con Joan Crawford e Gary Cooper<br />
(“Today We Live”, ovvero “Rivalità eroica”:<br />
una ragazza e tre spasimanti durante<br />
la Seconda guerra mondiale). Nel reparto<br />
saggi, meno ricco, “Declino e caduta dell’Impero<br />
romano” di Edward Gibbon (letto<br />
due volte).<br />
Barack Obama manda per e-mail una lista<br />
con Jefferson, Emerson, Lincoln,<br />
Twain. Sullo scaffale degli afroamericani,<br />
il James Baldwin di “La prossima volta, il<br />
fuoco” e Toni Morrison. Gli piacciono<br />
Graham Greene – titoli segnalati: “Il potere<br />
e la gloria”, “Un americano tranquillo”<br />
–, “Il taccuino d’oro” di Doris Lessing,<br />
“Padiglione cancro” di Aleksandr Solzenicyn,<br />
l’autobiografia di Gandhi, John<br />
Steinbeck, e nell’elenco ritroviamo “Per<br />
chi suona la campana”. Entrambi i candidati<br />
amano Shakespeare, entrambi hanno<br />
letto “Tutti gli uomini del re” di Robert<br />
Penn Warren, ispirato alla storia vera di<br />
Huey P. Long, il democratico populista<br />
che divenne governatore della Louisiana<br />
e fu assassinato nel 1935 (un paio d’anni fa<br />
Steven Zaillian ne ha tratto un film, con il<br />
liberal Sean Penn nella parte del commesso<br />
viaggiatore che voleva candidarsi<br />
presidente contro Roosevelt).<br />
Tra i predecessori, il serio Abramo Lincoln<br />
leggeva la Bibbia e Shakespeare. Il<br />
giocherellone Franklin Roosevelt combatteva<br />
Hitler e recitava i limerick di<br />
Edward Lear a Winston Churchill, che rispondeva<br />
a tono.<br />
Mariarosa Mancuso<br />
LA BEFFA DI LINATE E LO STRANO CASO DELL’HUB DI MALPENSA /1<br />
Comunque andrà a finire con Cai c’è un partito che ha già perso, quello del nord<br />
Roma. La partita Alitalia si avvia finalmente<br />
alla conclusione con l’offerta presentata<br />
venerdì sera dai diciannove capitani coraggiosi<br />
di Cai. Un romanzo popolare che si<br />
dipana da oltre due anni, dove le prime bozze<br />
sull’epilogo consentono di soffermarsi sugli<br />
sconfitti. Oltre al sindacalismo corporativo<br />
e ricattatorio, nella casella dei perdenti<br />
va annoverato un altro attore molto rumoroso<br />
come il partito del nord. La grande Malpensa,<br />
sognata da dieci anni, resterà un<br />
obiettivo di difficile attuazione non potendo<br />
poggiare sulla principale compagnia aerea<br />
del paese. Il progetto elaborato per Roberto<br />
Colaninno da Intesa Sanpaolo e Boston Consulting,<br />
noto come piano Fenice, prevede il<br />
ritorno in Lombardia dei voli di lungo raggio<br />
solo a condizione che si chiuda (o fortemente<br />
ridimensioni) lo scalo di Linate. In caso<br />
contrario, con un aeroporto dentro la città<br />
che cannibalizza Malpensa, Cai non trasferirà<br />
quelle risorse che erediterà dislocate a<br />
Fiumicino. L’esigenza di un nuovo assetto sui<br />
cieli sopra Milano è condiviso anche da<br />
Lufthansa e Air France-Klm (British Airways<br />
non si è ancora esposta a riguardo), i due<br />
partner industriali più accreditati per entrare<br />
nel capitale azionario della nuova Alitalia.<br />
Entrambi gli scenari che si prospettano –<br />
Linate aperto o Linate chiuso – ridimensionano<br />
fortemente le ambizioni di quel partito<br />
del nord che annovera al suo interno vertici<br />
istituzionali (Roberto Formigoni, Letizia Moratti,<br />
Filippo Penati) e mondo dell’impresa<br />
(Emma Marcegaglia, Diana Bracco). La soluzione<br />
“meno Linate, più Malpensa” non ha<br />
mai convinto i politici milanesi. O meglio, dopo<br />
averla appoggiata in principio, si accorsero<br />
che la chiusura del city airport sarebbe<br />
stata impopolare e hanno fatto tutti retromarcia.<br />
Nel 1999 l’ex sindaco Gabriele Albertini<br />
arrivò a sconfessare in tribunale l’operato<br />
dell’ad di Sea (da lui nominato), Tomaso<br />
Quattrin. Oltre al danno di una Linate ridimensionata,<br />
si prefigura anche la beffa di un<br />
investimento di risorse da parte di Cai non<br />
sufficienti a fare di Malpensa un hub di livello<br />
europeo. Il capo di Sea, Giuseppe Bonomi,<br />
ha già espresso severe riserve sul piano Fenice.<br />
Se lo schema di limitare Linate dovesse<br />
andare in porto però avrà il placet del<br />
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi,<br />
cosa che metterebbe in imbarazzo Moratti e<br />
Formigoni – che più che esprimere dissensi<br />
e distinguo, dovranno presumibilmente gioire<br />
per una vittoria mutilata.<br />
Tutt’altro che remota, invece, la possibilità<br />
che i veti incrociati suggeriscano all’esecutivo<br />
di non dare corso a un ridisegno del<br />
traffico aereo su Milano. In questo scenario,<br />
nonostante le reiterate intenzioni di tornare<br />
al nord espresse a più riprese da Colaninno<br />
e da altri componenti della cordata, Cai non<br />
si discosterà dal vituperato piano Prato,<br />
quello del disinvestimento da Malpensa. La<br />
nuova Alitalia partirà con risorse limitate e<br />
non disporrà di una potenza di fuoco per dislocare<br />
aeroplanini, come in un Risiko, su<br />
tre scali (Malpensa, Linate e Fiumicino).<br />
Ecco, ma perché è così indispensabile tagliare<br />
le ali a Linate? L’idea di Corrado Passera<br />
e Roberto Colaninno non è inedita. Lo<br />
schema ricalca il piano elaborato nel 1996<br />
dall’ex amministratore delegato Domenico<br />
Cempella, che aveva il suo sostentamento<br />
normativo nel decreto del ministro dei Trasporti,<br />
Claudio Burlando. Un piano che tre<br />
governi dal corto respiro – Prodi I, D’Alema,<br />
Amato II – non ebbero la forza di difendere<br />
a Bruxelles. Il ragionamento, di ieri e di oggi,<br />
è il seguente: i milanesi che volano (specie<br />
quelli di business class) per destinazioni<br />
brevi preferiscono utilizzare Linate, per cui<br />
non si può rinunciare ai viaggiatori d’affari<br />
autoemarginandosi a Malpensa. Al contempo<br />
se l’aeroporto varesino ambisce a diventare<br />
un hub necessita di voli dalla periferia<br />
per “alimentare” le tratte di lungo raggio.<br />
Nessun hub, a eccezione di Londra, può sopravvivere<br />
solamente con i residenti dell’area<br />
metropolitana. Come si fa dunque a<br />
riempire gli aerei da trecento e passa posti<br />
dei voli intercontinentali? La soluzione è obbligare<br />
tutti, anche i concorrenti, a trasferirsi<br />
a Malpensa. Certamente Cai non intende<br />
proseguire nello schema ibrido perseguito<br />
da Alitalia negli ultimi dieci anni, lasciando<br />
voli su entrambi gli aeroporti milanesi. Una<br />
strada inefficiente che comporta il raddoppio<br />
di costi fissi (due aerei utilizzati, due<br />
equipaggi, due turni di manutenzione). Un<br />
ex ex capoazienda di Alitalia, quando provava<br />
a persuadere i suoi interlocutori politici<br />
amava ricorrere al seguente esempio: “Se su<br />
Linate e Malpensa arrivano cinque voli al<br />
giorno e ne partono altrettanti, ogni aeroporto<br />
offre venticinque ipotetiche connessioni,<br />
cinquanta quindi in tutta l’area milanese. Se<br />
però, quei dieci voli in arrivo e in partenza<br />
si spostano in un solo scalo, le connessioni<br />
diventano cento”.<br />
Giuseppe Marchini<br />
Marco Di Domenico ha raccolto<br />
un repertorio di “animali<br />
e piante senza permesso di<br />
soggiorno” (“Clandestini”, Bollati Boringhieri,<br />
16 euro) che comprende 45 esemplari<br />
che si sono stabiliti di nascosto dalle<br />
parti nostre e hanno fatto fortuna. Sono voci<br />
svelte, di tre o quattro pagine al massimo,<br />
in ordine alfabetico, dunque casuale e<br />
modificabile a piacere. Mosso non da un<br />
interesse scientifico, ma dall’interesse privato<br />
e dal fatto personale io ho scelto dall’indice<br />
nell’ordine la zanzara tigre, la formica<br />
argentina, la nutria, il punteruolo<br />
rosso della palma, l’ailanto, il gambero rosso<br />
della Louisiana, il pesce siluro e la vongola<br />
filippina. Non so voi.<br />
PICCOLA POSTA<br />
di Adriano Sofri<br />
“Vittorio, Vittorio! Sono<br />
Aldo! Sto bene! Sto<br />
bene!”. Vittorio Messori<br />
nel suo “Perché credo” racconta la telefonata<br />
di zio Aldo, in una lontana<br />
notte torinese. E’ una <strong>pagina</strong> che fa<br />
drizzare i capelli: lo zio Aldo era morto<br />
esattamente l’anno prima. Cari morti,<br />
avrei bisogno anch’io di una telefonata.<br />
Oggi vengo io da voi, al cimitero,<br />
ma vorrei che ogni tanto ricambiaste<br />
la visita. Il mondo moderno vi respinge<br />
(dai giacobini che nel 1804 vi espulsero<br />
dalle città ai nichilisti che oggi vi<br />
espellono dalla realtà con la cremazione)<br />
ma voi non fateci caso, venite lo<br />
stesso. Perché se non venite voi vengono<br />
gli spiriti di Halloween, festa maligna<br />
che sta occupando un vuoto (ennesima<br />
prova che non si può vivere senza<br />
religione: dove finisce il cristianesimo<br />
comincia sempre una qualche forma<br />
di satanismo). Cari morti, rifatevi<br />
vivi.<br />
PREGHIERA<br />
di Camillo Langone<br />
LA FINESTRA DI FRONTE<br />
STRAVAGANZE<br />
MANUELA DI CENTA RACCONTA LA VITA SEGRETA DELLE VOLONTARIE CHE COMBATTERONO COSÌ NELLE TRINCEE DELLA CARNIA
ai non ha ceduto al ricatto di quelle<br />
Ccinque sigle sindacali di piloti e assistenti<br />
di volo di Alitalia che hanno deciso<br />
di non firmare i contratti per il personale<br />
della nuova Alitalia. E’ stata così<br />
rotta un’assurda regola non scritta<br />
per cui una società che rileva da un<br />
commissario un’azienda dovrebbe sottostare<br />
alle condizioni poste da una parte<br />
di quel personale che si trova coinvolto<br />
nella procedura pre fallimentare. Il<br />
commissario deve fare l’interesse dei<br />
creditori, e l’acquirente deve poter rispettare<br />
i criteri di economicità senza<br />
veti di chi non ha alcuna voce propria<br />
in questa procedura legale. Nella logica<br />
di rapporti sindacali (coerente con un<br />
sistema d’economia di mercato) gli accordi<br />
con i sindacati non si dovrebbero<br />
fare prima dell’acquisto dell’azienda, rilevata<br />
da una procedura commissariale,<br />
ma dopo. E quindi il metodo con cui la<br />
trattativa di Cai è stata condotta, e che<br />
l’attuale governo aveva ereditato dal<br />
precedente, è un metodo sbagliato. Si è<br />
perso così molto tempo, ma s’è anche<br />
potuto verificare che il consociativismo<br />
EDITORIALI<br />
a tesi di Gad Lerner, esposta su Re-<br />
di giovedì in un articolo<br />
Lpubblica<br />
pieno di cose interessanti, è questa: il<br />
fenomeno Obama è la negazione multietnica<br />
della radice culturale identitaria,<br />
una specie di consacrazione del<br />
multiculturalismo e di parola fine apposta<br />
al concetto di occidente. Potrebbe<br />
non essere la tesi giusta, sebbene<br />
Lerner cerchi di suffragarla vantando<br />
come argomento decisivo il fatto che il<br />
prossimo probabile presidente è figlio<br />
di un keniano e di una americana, e ha<br />
trascorso periodi formativi della sua vita<br />
alle Hawaii e in Indonesia. Barack<br />
Obama ha in realtà imposto se stesso<br />
come un mito personale superamericano<br />
e ultramericano. Il suo profilo è l’incarnazione<br />
del sogno, e il sogno si nutre<br />
certamente del meticciato etnico e culturale,<br />
come sempre avviene nei grandi<br />
imperi globali, ma approda dopo una<br />
esplicita e tormentata ricerca all’identità<br />
nazionale e perfino a un patriottismo<br />
culturale e religioso che a un “multiculti”<br />
europeo alla Lerner, civettuolo<br />
“bastardo” che non è altro, farebbe venire<br />
i brividi. Pubblichiamo oggi in prima<br />
<strong>pagina</strong>, solo per un esempio, la citazione<br />
della ragione addotta da Obama<br />
per giustificare la sua avversione al matrimonio<br />
gay: sono cristiano, la mia è<br />
un’opposizione che nasce dal sentimento<br />
religioso. (Va da sé che qualunque<br />
leader europeo pronunci la stessa frase<br />
sarebbe seduta stante impiccato alla<br />
sua bigotteria e al suo disprezzo per i<br />
valori laici della Costituzione.) Obama<br />
è un insieme di differenze che si comprime<br />
in una fortissima identità culturale<br />
e civile: è un white liberal guy di<br />
pelle nera, un perfetto americano.<br />
neocorporativo non regge se non ha<br />
l’appoggio del potere politico. La sottoscrizione<br />
dei nuovi contratti di lavoro (e<br />
dei criteri di selezione dei lavoratori<br />
della nuova compagnia che agevolano il<br />
governo nel fronteggiare le conseguenze<br />
future del ricatto dei sindacati che<br />
non hanno firmato) deriva dal fatto che<br />
le single sindacali si sono rese conto<br />
che il governo, col ritiro dell’offerta Cai,<br />
avrebbe lasciato che Alitalia fallisse –<br />
seguendo così le regole di una economia<br />
pubblica che rispetta le regole del<br />
mercato. La logica del mercato, dunque,<br />
ha finalmente prevalso su quella<br />
consociativista che ha creato tanti danni<br />
e ritardi alla nostra economia. Cai ha<br />
avuto coraggio. Ma nei riguardi dei piloti<br />
e degli assistenti di volo che non<br />
vorranno aderire ai nuovi contratti sarà<br />
aiutata, ancora una volta, dalla logica<br />
del mercato. Esiste, infatti, un’offerta<br />
nazionale e internazionale di personale<br />
di volo che può rimpiazzare quello<br />
che non accetterà le sue condizioni, che<br />
sono meramente quelle prevalenti nel<br />
mercato europeo.<br />
Muerte al capitale, anzi no<br />
iuniti nella capitale del Salvador, i<br />
Ri capi di stato e di governo dei 22<br />
paesi del vertice iberoamericano, hanno<br />
dato vita a un confronto che è presto<br />
sfociato in una specie di dialogo tra sordi.<br />
La differenza tra quelli che cercano<br />
misure adatte a fronteggiare la crisi dei<br />
mercati per rinsaldare il sistema capitalistico<br />
e quelli che pensano che sia<br />
giunto finalmente il momento per dargli<br />
il colpo di grazia sono troppo ampie<br />
per consentire qualsiasi tipo di convergenza<br />
non puramente verbale. La demagogia<br />
dei leader di Bolivia, Nicaragua,<br />
Ecuador, per non parlare di Cuba,<br />
si concentra nella denuncia delle inenarrabili<br />
nequizie dell’imperialismo<br />
yankee, mentre gli altri si preoccupano<br />
di come evitare la ricaduta della crisi<br />
che ormai minaccia da vicino le loro<br />
Il nero bastardo<br />
E’ vero che il fenomeno Obama è la negazione multietnica dell’identità?<br />
Ricattini sindacali<br />
Il caso Alitalia dimostra che gli accordi si devono fare dopo, e non prima<br />
Fronteggiare la crisi o dare il colpo di grazia? Il sud America si divide<br />
l ministro La Russa ieri è tornato su<br />
Iun argomento che ha già suscitato<br />
qualche polemica. “Il 4 Novembre – ha<br />
detto – sta per ridiventare non solo festa<br />
nazionale, perché lo è già, ma giorno di<br />
vacanza, esattamente come lo è il 2 Giugno<br />
e come lo è il 25 Aprile”. Se però festa<br />
nazionale “lo è già”, viene da domandarsi<br />
che bisogno ci sia di agitarsi tanto.<br />
Dopodiché, si finisce per cedere all’impressione<br />
di un vago spirito di rivalsa,<br />
neanche troppo nascosto nel paragone<br />
con il 2 giugno e il 25 aprile, foriero di<br />
nuove polemiche sulla gerarchia delle<br />
vacanze, ancora più inutili delle precedenti<br />
sul carattere “razzista” della canzone<br />
del Piave, denunciato da Liberazione<br />
con ottantotto anni di ritardo. Nel celebrare<br />
il 4 novembre non c’è nulla di<br />
La baruffa del Piave<br />
economie, come mostrano i nuovi cedimenti<br />
del sistema creditizio argentino<br />
(che già era crollato rovinosamente anche<br />
quando da Wall Street non venivano<br />
venti di crisi). La proposta del presidente<br />
messicano Felipe Calderon, per<br />
un nuovo rapporto tra stato e mercato<br />
inserito in un ordine internazionale più<br />
stabile, è caduta nel vuoto, mentre le<br />
politiche di nazionalizzazione delle<br />
compagnie petrolifere straniere adottate<br />
dai vari caudillos di sinistra hanno<br />
perso il loro fascino contemporaneamente<br />
al crollo del prezzo del greggio.<br />
Il documento approvato, un invito a<br />
nuovi investimenti per combattere la<br />
povertà, è talmente generico da apparire<br />
del tutto inutile, com’era inevitabile<br />
visti i punti di partenza sostanzialmente<br />
inconciliabili degli estensori.<br />
La Russa esagera un po’, ma la sinistra si ricordi del volontario Togliatti<br />
strano. E infatti lo si è sempre celebrato,<br />
e tutte le principali cariche istituzionali<br />
– indipendentemente dalla loro personale<br />
formazione – vi hanno partecipato<br />
con discorsi solenni e con parole adeguate.<br />
Non meno pervasi di spirito unitario<br />
e aspirazione alla concordia nazionale,<br />
per parte nostra, invitiamo dunque<br />
i colleghi di Liberazione a cercare migliori<br />
spunti; tanto più che di simili polemiche<br />
furono già bersaglio, a sinistra,<br />
Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti<br />
(che alla Grande guerra partecipò da volontario<br />
nella Croce rossa, essendo stato<br />
dichiarato inabile per miopia). Ma al<br />
tempo stesso, certi della sua intelligente<br />
comprensione, invitiamo anche il ministro<br />
La Russa a ispirarsi nei suoi interventi<br />
ad analogo spirito di concordia.<br />
ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />
I giovani Cisl spiegano quali risposte si aspettano ora dalla Gelmini<br />
ni di questi giorni sono le parole del presidente<br />
Napolitano, che ha invitato al dialogo<br />
le parti per trovare una soluzione”.<br />
Lo sciopero però non sembrava un invito<br />
al dialogo. “Non è vero – prosegue Pirulli<br />
– lo sciopero è un modo per richiamare<br />
alla contrattazione, ha come obiettivo<br />
proprio il dialogo”. Secondo Pirulli serve<br />
che ci si sieda attorno a un tavolo e si rivedano<br />
i punti critici dei tagli all’università:<br />
“Sono stati fatti tagli generalizzati a<br />
cui siamo assolutamente contrari”. Che<br />
soluzione ci sarebbe? “Intanto quella di<br />
andare a vedere quali sono gli atenei più<br />
virtuosi e premiarli, non togliere loro la<br />
stessa quantità di fondi che si tolgono a<br />
chi ha una gestione di bilancio dissennata”.<br />
C’è anche la previsione della trasformazione<br />
in fondazioni private da parte di<br />
alcune università. “Il problema non è se<br />
un università è pubblica o privata, ma se<br />
offre un servizio buono ed è accessibile a<br />
tutti. Non sono contrario a questa trasformazione,<br />
anche se diversi punti non sono<br />
chiari e non si capisce la ricaduta che<br />
Roma. Dopo la trattativa Alitalia i sindacati<br />
non erano certo in cima classifica<br />
alle classifiche dei più amati del paese,<br />
ma il successo dello sciopero di giovedì,<br />
oltre ad avere aiutato la resurrezione di<br />
Veltroni, sembra aver ridato slancio anche<br />
alle tre sigle sindacali, tutte in piazza<br />
a braccetto per protestare contro il decreto<br />
sulla scuola voluto dal ministro Gelmini.<br />
A giorni il ministro dell’Istruzione renderà<br />
note le linee guida che daranno un<br />
quadro più completo dell’idea che in viale<br />
Trastevere si ha sul futuro degli atenei<br />
italiani. Di questo, delle proteste in piazza,<br />
dei blocchi della didattica e di quello<br />
che occorre fare per riformare il mondo<br />
universitario, parla al Foglio Mattia Pirulli,<br />
presidente nazionale dell’Associazione<br />
giovani della Cisl (che si occupa, tra l’altro,<br />
di accompagnare giovani che hanno<br />
terminato gli studi nella ricerca del lavoro).<br />
Ventiseienne laureando in Economia<br />
alla Sapienza di Roma e studente lavoratore<br />
da tre anni, Pirulli dice che “il punto<br />
di partenza per giudicare le manifestazioavrà<br />
ad esempio sulla ricerca di base”.<br />
Alzare di molto le tasse a chi se lo può<br />
permettere e creare più borse di studio<br />
per i capaci e meritevoli non sarebbe una<br />
soluzione? “Certo, potrebbe essere una<br />
soluzione, a patto che l’accesso sia davvero<br />
garantito a tutti e la qualità sia alta”,<br />
risponde Pirulli. Così come molti rettori<br />
“virtuosi” in tutta Italia, anche il presidente<br />
dei giovani della Cisl aspetta le linee<br />
guida della Gelmini con grande attenzione.<br />
Perché finora i tagli previsti in Finanziaria<br />
non lo convincono. Anche se,<br />
non per questo, è d’accordo con certe forme<br />
di protesta e con il blocco della didattica<br />
attuato in alcuni atenei della penisola,<br />
spesso per volontà di professori e rettori:<br />
“E’ assurdo che si arrivi alla sospensione<br />
delle lezioni – dice Pirulli, e parla<br />
soprattutto da universitario – Questo non<br />
è uno strumento che va a vantaggio degli<br />
studenti, soprattutto quando è imposto,<br />
come nei giorni scorsi. La libertà di scelta<br />
deve essere lasciata sempre: chi vuole<br />
aderire a una protesta lo faccia, ma per<br />
questo non penalizzi chi a lezione ci vuole<br />
andare”. Continua Pirulli: “Che molte<br />
università italiane siano in crisi è sotto gli<br />
occhi di tutti, e non solo dal punto di vista<br />
dei bilanci. Un cambiamento serve, ma è<br />
ovvio che se imposto dall’alto sarà difficilmente<br />
digerito; per questo dico che serve<br />
il dialogo, altrimenti non se ne esce”. La<br />
Gelmini avrà ben parlato con qualcuno<br />
delle linee guida, no? “Che io sappia non<br />
ha parlato con nessuno, questo è il problema”.<br />
Secondo Pirulli “è ottuso pensare<br />
che non serva una riforma, ma lo è altrettanto<br />
farla in modo unilaterale”. E’ vero,<br />
conclude Pirulli, “che la situazione attuale<br />
è anche eredità delle vecchie riforme,<br />
ma a maggior ragione bisogna parlare<br />
del ruolo che l’università oggi deve<br />
avere. Per questo dico: calma tutti, capiamo<br />
insieme come deve cambiare, avendo<br />
la preoccupazione che il livello della didattica<br />
sia elevato e l’università sia sempre<br />
accessibile a tutti”. E se bisogna fare<br />
dei tagli? “Si facciano pure, purché sensati<br />
e non generalizzati”.<br />
Maradona, quello nuovo, uscito dal massacro del maradonismo<br />
“LA NAZIONALE HA BISOGNO DI UN UOMO CHE FACCIA RIDERE E NON PIANGERE”, HA DETTO IL NUOVO CT DELL’ARGENTINA<br />
iego si stupisce dello stupore. Forse sento come nei giorni nei quali sono nate tario potranno raccontare davvero. anche quando era giocatore. Il che suona<br />
Dfa finta: con lui non sai mai dove s’incrociano<br />
spontaneità e sovrastruttura. Vedo<br />
un’infrazione ed è mancato poco che un Il maradonismo ha massacrato Maradona, go non avrebbe mai potuto allenare Mara-<br />
Dalma e Giannina… Oddio sto commetten-<br />
Non c’è perdono, non c’è comprensione. paradossale al quadrato se pensi che Diero,<br />
falso, sincero, costruito, sobrio, alterato:<br />
si tira a caso. Va come va, perché que-<br />
camion mi schiacciasse”. Il cellulare, ecco.<br />
Dicono non sia un dettaglio se risponto,<br />
ha offuscato la grandezza dei suoi gesti sa risolvere nessuno. Sappiamo solo che la<br />
trasformandolo in un’icona, l’ha banalizzadona,<br />
perché sennò chi l’avrebbe fatta la<br />
formazione? Ha fatto sapere che farà fuori<br />
Zanetti, Cambiasso e Abbondanzieri.<br />
DI BEPPE DI CORRADO<br />
Sono vent’anni che il campo da calcio non c’entra più niente con Diego,<br />
Non si sa di Aguero, cioè il genero, il fidanzato<br />
della figlia, che Diego considerasto<br />
è Maradona. Cioè tutto: il romanzo diventato il totem dei diseredati a caccia di un sogno da vivere. Diego<br />
eterno di uno che a un certo punto è stato<br />
va una mezza tacca fino a poco prima che<br />
morto da vivo e che adesso torna non si personaggio che sovrasta Diego calciatore è stato un insulto incancellabile. scoprisse di ritrovarlo in casa per la cena<br />
capisce se per ritrovarsi o per avere una<br />
di Natale. Giocherà, perché è forte. Giocherà<br />
perché fila con Messi, cioè il pupil-<br />
nuova scusa per autodistruggersi. Che s’aspettava,<br />
il silenzio? Lo sapeva, lo voleva.<br />
lo di Diego. Il resto è un’incognita che non<br />
Ora si ricomincia dalla panchina, dove non sempre vincono i più bravi<br />
Allenatore lui. Dai. Le polemiche sono<br />
parte dello show, accompagnano il personaggio<br />
e il suo mondo, qualunque sia e va, glielo avevano proibito. Lo teneva un dinaria capacità di far vedere che cosa si ta questa: “La Nazionale ha bisogno di un<br />
de direttamente lui. Perché mentre guari-<br />
tecnici, la bellezza del suo calcio, la straor-<br />
prima frase da commissario tecnico è sta-<br />
qualunque sia stato. Poi è stato lui a cominciare,<br />
come sempre: “Quanto mi pia-<br />
uno che renda felici e non tristi”. Anche<br />
amico che stava sempre con lui. Non Coppola,<br />
un altro. Rispondeva e filtrava le go personaggio che sovrasta Diego calcia-<br />
pazzie. Perché dopo quelle prove da mi-<br />
possa fare con un pallone tra i piedi. Die-<br />
uomo che faccia ridere e non piangere, di<br />
cerebbe rubare il posto a Carlos Bianchi.<br />
lui ha bisogno delle stesse cose. Vuole ridere,<br />
vuole gioire. Gli altri ex compagni<br />
Sarebbe come battere con un ko Tyson,<br />
Foreman o Monzon”.<br />
della generazione 86 lo aiuteranno: la federazione<br />
li sta chiamando uno a uno per<br />
Adesso che vuoi, Diego? L’anonimato?<br />
Uno che non ha mai di fatto vissuto da<br />
farli entrare nel gruppo. Gli hanno messo<br />
anonimo non può chiederlo agli altri. Non<br />
Carlos Bilardo a fare da tutore. Avrà un vice,<br />
poi forse anche una squadra di consu-<br />
lo vuole, comunque: è tutta scena, tutta coreografia<br />
di uno spettacolo che ha lui come<br />
protagonista anche quando non l’ha<br />
curazione anti follia. Diego sceglierà, gli<br />
lenti: la protezione contro il rischio, l’assi-<br />
chiesto. Stavolta sì: s’è preso la panchina<br />
altri consiglieranno. Perché tutti sanno<br />
dell’Argentina e adesso si prende i se, i<br />
dei precedenti. Maradona ha allenato la<br />
ma, i forse. Fanno parte del gioco: prendi<br />
prima volta nel 1994, subito dopo il Mondiale<br />
degli Stati Uniti: prese il Mandiyú,<br />
sta palla, Diego, e comincia a palleggiare.<br />
Bisognava aspettarlo, perché Maradona<br />
fece 12 partite 3 punti. Poi il Racing di<br />
non finisce mai. Questo è un capitolo, un<br />
Avellaneda: 11 partite 3 sconfitte, 6 pareggi<br />
e 2 vittorie. Due appena e una di queste<br />
altro. Prevede nemici, perché senza quelli<br />
Diego non sa stare: a Barcellona aveva i<br />
forse neanche voluta: alla Bombonera contro<br />
il suo Boca. Il Racing non lo batteva in<br />
difensori, a Napoli prima la stampa, poi<br />
Ferlaino, a Buenos Aires tutto il mondo, a<br />
trasferta da vent’anni, ci voleva Diego per<br />
Cuba tutto il mondo più Bush. Adesso la<br />
farlo. Non c’è altro, non ci sono avventure<br />
gente. Cioè quel pezzetto di Argentina che<br />
successive, prove con altre squadre, in altri<br />
paesi. C’è stata soltanto quella mezza<br />
l’ha schiaffeggiato l’altro giorno quando<br />
Clarin ha chiesto se fosse giusto dare la<br />
frase del 1996, poi dimenticata: “Tornerò<br />
panchina della Nazionale a Dieguito: 50<br />
in Italia e lo farò per allenare il Napoli”.<br />
mila no, il 73 per cento delle persone che<br />
All’epoca era un’uscita così. Oggi? Oggi se<br />
ha votato. E’ uno stadio intero. Per Maradona<br />
sarà quello del River, da sempre piepitolo<br />
ancora. Il romanzo, l’anti-Gomorra<br />
chiedi in giro, non aspettano altro. Un cano<br />
di gente che lo detesta. Cerca un pretesto<br />
e combatti. Però sa che dentro c’è gen-<br />
Prima, durante e dopo. Futuro, questo.<br />
di Napoli: la faccia di Diego in copertina.<br />
te del Boca, dell’Indipendiente, del<br />
Mentre qui qualcuno sta pensando ancora<br />
Newell’s, gente che lo amava e che non si<br />
al passato, ai numeri, alle esperienze, alle<br />
fida. E’ così, Diego. Adesso può esaltarsi o<br />
deprimersi, affari suoi: se ti rimetti in gioco<br />
accetti di uscire dalla protezione collet-<br />
qualcuno che lo tentasse, con qualcun al-<br />
ha avuto pietà delle sue follie non s’è reso Bombonera stava sul suo palco privato a<br />
chiamate per evitare di farlo parlare con tore è stato un insulto incancellabile. Chi ster, c’è stato il Diego folle, quello che alla<br />
tiva, dal rispetto infinito verso uno che stava<br />
per andarserne, dall’adorazione di un Se adesso risponde lui senza bisogno di uno che normale non era. Adesso sì. A 48 del Boca come una ballerina di un night<br />
tro che gli offrisse la sua gioia in polvere. conto di aver ridotto a persona normale, petto nudo, mentre volteggiava la maglia<br />
vincente che ha rischiato di perdere tutto. nessuno, allora vuol dire che quell’epoca anni si può, forse si deve. Normale, ma da quattro soldi. Quello con gli occhi spiritati<br />
e poi depressi, spenti, bui. Questo<br />
Il Diego drogato, quello malato, quello in è finita. Anche quella. E chi l’ha visto conferma:<br />
il look, lo spirito, la voglia sono da dev’essere sempre un pretesto, ci dev’esse-<br />
Diego ce li ha normali. Allora che fai, non<br />
eroe, perché sennò non sarebbe Diego. Ci<br />
clinica avevano compattato il mondo nella<br />
pietà, nella preghiera isterica degli orfani. uomo, non da clown a caccia di uno scopo re sempre un contesto. Ora c’è: l’Argentina gli credi? Non costa molto, in fondo. Se<br />
I sit-in fuori dall’ospedale, i santini, le tv di per fare pena. Non si parla di soldi nel pallonara che barcolla, arranca, si piega. non ti illudi, Maradona è ancora il massimo<br />
della vita, è sempre quell’immagine<br />
tutto il mondo a fare stand-up di fronte all’ingresso<br />
del reparto: “Ecco l’ultimo bol-<br />
problemi economici, è tornato una piccovatore,<br />
come nell’86, come ogni volta. I ne-<br />
del pallone attaccato al piede, è lo spot del<br />
suo contratto. Non ancora. Diego non ha Sconfitte, sconfitte, sconfitte. Diego è il sallettino<br />
medico sulle condizioni del Pibe la azienda da tre milioni l’anno di sole mici non sono gli inglesi delle Malvinas, calcio, il più bello che si possa avere. Dove<br />
lo trovi un altro che si divertiva a spor-<br />
de Oro”. Da allenatore non è più un resuscitato:<br />
è vero, toccabile, insultabile. E’ l’o-<br />
pagherà, certo. Quanto è ancora da vede-<br />
argentino nella finale di Italia 90. I nemici carsi nel fango? Dov’è un altro che non ca-<br />
comparsate e pubblicità. La federazione non sono gli italiani che fischiano l’inno<br />
leogramma che torna umano per l’ennesima<br />
volta.<br />
cettato senza neanche sapere quanto fos-<br />
dubbioso, scettico. Diego è Diego, sì. Ma la restava in piedi? Dov’è chi calciava come<br />
re perché pare che Maradona abbia ac-<br />
sono ex amici: el pueblo, il suo. E’ incerto, deva mai, che barcollava dopo un fallo, ma<br />
se l’offerta. Ha fame di se stesso, evidentemente.<br />
Lui più dei gufi che hanno semnersi<br />
tutto: videocassette, dvd, ricordi, fo-<br />
panchina?<br />
lui, chi dribblava come lui? Bisogna te-<br />
La risposta al cellulare<br />
Quanti ritorni ha avuto Diego? Non si pre alimentato il suo mondo da eroe-sbagliato:<br />
perché c’era tanta gente che lo ado-<br />
Qui non servono numeri, non servono i ora. Il terzo, il quarto, il quinto Diego del-<br />
La formazione l’ha sempre fatta lui<br />
to, ritagli di giornale. Diego è un altro,<br />
contano più, non ci è riuscita neanche l’ex<br />
moglie Claudia, che a un certo punto se ne rava rovinato? Perché hanno cercato sempre<br />
di prenderlo come esempio della ri-<br />
dove gli altri non vedono. La panchina è venti chili in meno, assomiglia a quello di<br />
piedi, non serve la testa, non serve vedere la sua vita. La panchina, la Nazionale,<br />
è andata. Questo è l’ultimo, per quelli che<br />
adorano la retorica è anche il più bello: vincita, del riscatto, del sud che ce la fa? un casino, dove non sempre vincono i più metà anni Ottanta: non s’è capito se vuole<br />
Maradona in campo, anzi in panchina, comunque<br />
dentro, protagonista, sano, al la-<br />
che c’era un mondo adorante a prescinde-<br />
da quando gli chiesero quante chance modo per restare piccolo per sempre.<br />
E’ così che s’è rovinato, Diego. Sapendo bravi. Non sono passati neanche due anni provare a diventare adulto, o se cerca il<br />
voro. Sorridente, anche. Questa è la maradoneide:<br />
felice al pensiero che l’uomo sba-<br />
senza riserve. Dicevano fosse perché in le. “Zero direi. Non diventerò mai commis-<br />
ritorno all’inferno. Bisogna aspettare.<br />
re, che c’era chi era pronto a stare con lui avesse di fare l’allenatore della Naziona-<br />
Non sappiamo se il ritorno nel calcio è il<br />
gliato non ci sia più, cancellato da questo campo era stato un dio. Invece sono sario tecnico, perché non so se chiamarmi Guardare. Spettatori di uno show che tanto<br />
va in onda lo stesso, anche se non lo ve-<br />
signore tirato e improvvisamente magro, vent’anni che il campo non c’entra nulla, conviene ai dirigenti”. Allora Diego allenatore<br />
è una scommessa alla quale forse de nessuno. Se tradisce, peggio per lui.<br />
lucido, normale. Uno che risponde al telefono<br />
ai giornalisti dalla macchina un’o-<br />
dei diseredati a caccia di un sogno da vi-<br />
non crede neanche lui. “La formazione la Qui ci sono le immagini. Qui c’è lui. Eter-<br />
che Maradona è stato preso per il totem<br />
ra dopo aver avuto la notizia di essere stato<br />
scelto come commissario tecnico: “Mi tasmi che nessun film e nessun documensale,<br />
visto che Ferlaino dice che la faceva avremo sempre<br />
vere. Il suo è stato un incubo fatto di fan-<br />
faccio io”, ha detto. Il che suona paradosno.<br />
Può fallire Diego, chissenefrega. Noi<br />
Maradona.<br />
LIBRI<br />
Erlend Loe<br />
TUTTO SULLA FINLANDIA<br />
233 pp., Iperborea, euro 14<br />
possibile scrivere un opuscolo turistico<br />
su un paese in cui non siete mai<br />
E’<br />
stati? Forse sì, se vi chiamate Erlend Loe<br />
e avete il suo senso dell’umorismo, la sua<br />
abilità nel cogliere il risvolto ironico della<br />
banalità quotidiana, la sua capacità di<br />
fare di un dettaglio usuale il punto di partenza<br />
di girandole che costringono a sorridere<br />
del grottesco che così spesso si nasconde<br />
nell’ovvio. In quest’ultima fatica,<br />
Loe aggiunge alla galleria degli stralunati<br />
protagonisti dei suoi romanzi l’improbabile<br />
figura di un redattore di brochure.<br />
Trentenne, single, senza amici, libero<br />
professionista attualmente disoccupato e<br />
squattrinato, si vede proporre da due funzionari<br />
dell’ambasciata finlandese la stesura<br />
di un pieghevole sul loro paese. Non<br />
c’è mai stato, lui, in Finlandia. Ma proprio<br />
quella mattina gli hanno rimosso l’auto in<br />
divieto di sosta, non ha nemmeno i soldi<br />
per ritirarla dal deposito. E allora si inventa<br />
sui due piedi una nonna finlandese,<br />
improvvisa un’infanzia trascorsa nel paese<br />
dei mille laghi, millanta una competenza<br />
immaginaria, esce dall’ambasciata col<br />
contratto in tasca, in testa il miraggio di<br />
scrivere “la madre di tutte le brochure,<br />
quella che si legge comodamente seduti<br />
nella poltrona buona e poi si mette in libreria,<br />
accanto ai classici”.<br />
Impresa eroicomica che Loe mostra dall’interno,<br />
in presa diretta, squadernando<br />
un ininterrotto flusso di coscienza che continuamente<br />
si impegola in infinite digressioni<br />
tra il lavoro – c’è da stupirsi che proceda<br />
a rilento? – e i mille inciampi che la<br />
vita mette davanti. E pensare che il nostro<br />
scrittore di brochure si era presentato con<br />
una tirata contro l’acqua, suo incubo ricorrente,<br />
simbolo di instabilità e cambiamento,<br />
“siamo in molti a provare disagio per<br />
l’acqua, perché non la si può fermare, come<br />
il tempo, al diavolo entrambi”. Suo unico<br />
anelito, confessa, sono stabilità e certezze.<br />
Ma le certezze non sono che luoghi comuni,<br />
la stabilità è un sogno che continuamente<br />
gli viene sottratto, l’imprevisto irrompe:<br />
l’impiegata dell’ufficio cui si rivolge<br />
per riavere l’auto si rivela tanto gentile<br />
che lui passa una notte in un bosco solo<br />
per parlarle, in men che non si dica si ritrova<br />
a occuparsi del di lei inquieto fratellino,<br />
finisce per doverlo recuperare avventurandosi<br />
lungo un fiume su uno sgangherato<br />
kayak, costretto a vincere la guerra<br />
contro la propria fobia per l’acqua. E così<br />
via, in un caleidoscopio di situazioni di<br />
surreale quotidianità che invariabilmente<br />
sgretolano le povere sicurezze del nostro e<br />
lo obbligano a fare i conti con quel che accade.<br />
Moderno bildungsroman nordico col<br />
dono dell’autoironia e della levità.<br />
IL FOGLIO quotidiano<br />
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La Giornata<br />
* * *<br />
In Italia<br />
BOSSI: “SU CAI INTERVENGA IL CAV.”.<br />
PILOTI E ASSISTENTI RESISTONO. Ieri il<br />
ministro per le Riforme, Umberto Bossi, ha<br />
detto che per sbloccare la trattativa di Cai<br />
con i sindacati di piloti e assistenti, “deve<br />
scendere in campo Berlusconi”. Sull’ipotesi<br />
della necessità di un nuovo finanziatore<br />
nell’acquisto di Alitalia, Bossi ha detto:<br />
“La Cai secondo me non molla la partita. I<br />
sindacati devono stare attenti a non esagerare:<br />
se falliscono Alitalia e Malpensa sarebbe<br />
uno smacco enorme per loro”. Per il<br />
ministro dell Infrastrutture, Altero Matteoli,<br />
“Cai volerà, nessuno può permettersi<br />
veti”. In una nota i rappresentanti di piloti<br />
e hostess hanno ribadito la loro contrarietà<br />
all’accordo con Cai alle attuali<br />
condizioni e hanno detto che “la resa incondizionata<br />
di Cgil, Cisl, Uil e Ugl rappresenta<br />
un’azione diretta contro i lavoratori”<br />
e che è in atto “una campagna mediatica<br />
piena di falsità” contro di loro. Lunedì<br />
il commissario straordinario di Alitalia,<br />
Augusto Fantozzi, esaminerà l’offerta<br />
Cai e a Fiumicino si svolgerà un’assemblea<br />
dei piloti e degli assistenti di volo. Anche<br />
il presidente della Camera, Gianfranco Fini,<br />
è intervenuto sulla vicenda chiedendo<br />
che “piloti e assistenti di volo si assumano<br />
le proprie responsabilità”.<br />
Secondo Pierluigi Bersani, ministro ombra<br />
dell’Economia del Pd “il problema di<br />
fondo è che l’offerta Cai è troppo debole per<br />
risolvere le esigenze reali del lavoro e per<br />
garantire un servizio adeguato interno ed<br />
internazionale”. Per Antonio Di Pietro, leader<br />
dell’Idv, “è l’ennesima fregatura”.<br />
* * *<br />
“Veltroni ammetta i suoi errori”. Così Emma<br />
Bonino ha commentato l’assenza del segretario<br />
del Pd al congresso dei Radicali italiani<br />
a Chianciano. “Alle elezioni hai scambiato<br />
la tua fretta con l’urgenza del Paese –<br />
ha detto Bonino rivolgendosi metaforicamente<br />
a Veltroni – Ammettilo, o ti troverai a<br />
rincorrere un populismo che non porta da<br />
nessuna parte”. Sul ruolo dei radicali nel<br />
Pd, Bonino ha aggiunto: “Non c’è un contatto<br />
di partito”. E sul referendum sul dl Gelmini:<br />
“Ci avete sempre detto che i referendum<br />
si fanno sulle grandi questioni di principio.<br />
E ora su cosa lo facciamo, sul grembiule?”.<br />
Su Alitalia: “Il governo ha detto bugie<br />
colossali. Non so come andrà a finire”<br />
Per Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione<br />
del Partito democratico, “i rapporti<br />
tra gli eletti radicali e il Pd sono improntati<br />
a una collaborazione positiva”.<br />
* * *<br />
“Prezzo della pasta troppo alto”. Il garante<br />
dei prezzi ha convocato i maggiori produttori:<br />
“Gli operatori adottino comportamenti<br />
virtuosi per ridurre i listini”, ha detto.<br />
* * *<br />
Quattro feriti a Pordenone per un’esplosione<br />
al poligono di tiro.<br />
Al direttore - E dopo i piloti kamikaze speriamo<br />
in un finale col botto.<br />
Maurizio Crippa<br />
Al direttore - Spero solo che tra quaranta anni<br />
non ci saranno articoli commemorativi del<br />
vergognoso 2007+1.<br />
Maurizio Genoese Zerbi, Roma<br />
Al direttore - Molti tra i critici della protesta<br />
di sinistra sui decreti Gelmini commentano che<br />
l’opposizione avrebbe invece potuto responsabilmente<br />
attaccare la formula indiscriminata dei<br />
tagli alle università. Siamo d’accordo. Il modello<br />
scelto dal governo è sempre quello frusto dell’egalitarismo,<br />
alla faccia delle chiacchiere sulla<br />
meritocrazia. Solo che è difficile trovare un<br />
esempio più clamoroso di suggerimento rivolto<br />
al soggetto sbagliato. Se il governo avesse mai<br />
distinto tra università virtuose e no, la protesta<br />
a sinistra si sarebbe arricchita di tutto il repertorio<br />
di allarmi contro la spirale discriminazione-razzismo.<br />
Con la benedizione del Pd. Di sicuro<br />
tra i 250 milioni di manifestanti al Circo Massimo<br />
avrebbero sfilato sotto il palco di Veltroni<br />
un po’ di professori e studenti, più qualche bambino,<br />
con appuntata la stella gialla. Così come<br />
ANNO XIII NUMERO 299 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />
Combattenti pro McCain, un appello fervoroso per voi tutti<br />
ra i pasticci di Alita-<br />
le elezioni ameri-<br />
Tlia,<br />
cane e una certa sconclusionatezza<br />
per il futuro<br />
non resta che rivolgersi a<br />
un esperto e sperare in bene,<br />
e cioè che l’esperto ri-<br />
L’AEROPLANINO DI CARTA<br />
DI EDOARDO CAMURRI<br />
sponda. Per i fatti miei, quando tento di<br />
stabilire uno scenario, mi lascio andare a<br />
fantasie speranzose tipo: per quanto riguarda<br />
il trasporto aereo, considerando<br />
anche la crisi di Alitalia, generalizzandola<br />
un po’, come sbloccare definitivamente la<br />
situazione? Ecco, a domande del genere,<br />
se mi si lascia solo, cioè senza l’esperto<br />
che risponde, immagino che il futuro non<br />
potrà che essere pneumatico, cioè volto all’esplorazione<br />
gnostica di nuovi sistemi di<br />
trasporto, privi di ali, ma ancor più veloci<br />
e efficaci. Penso infatti alla posta pneumatica<br />
su larga scala, a grandi capsule dentro<br />
le quali chiudere i passeggeri da spedire<br />
di qua e di là all’interno di tubazioni con<br />
basso attrito (la propulsione delle capsule<br />
potrebbe essere realizzata per mezzo di<br />
motori lineari sincroni, il sostentamento e<br />
la guida invece si realizzerebbero attraverso<br />
sistemi a sublimazione e levitazione<br />
magnetica). Faccio anche i miei calcoli: un<br />
sistema di questo tipo (che ovviamente, essendo<br />
quasi tutto automatizzato, farebbe a<br />
meno di molti rompiscatole come piloti e<br />
assistenti di volo) consentirebbe di percorrere<br />
la tratta New York-Los Angeles in<br />
INNAMORATO FISSO<br />
DI MAURIZIO MILANI<br />
già hanno manifestato qualche giorno fa i docenti<br />
del liceo Manini di Roma.<br />
Stefano Viale, Torino<br />
Mi sarei aspettato anch’io una manovra<br />
selettiva, e proteste favorevoli all’uniformità<br />
corporativa. E’ andata altrimenti. I tagli, si<br />
sa, non hanno anima.<br />
Al direttore - Penso, direttore, che Berlusconi<br />
debba rassegnarsi. O se ne va, scioglie il Pdl e,<br />
vista la maggioranza di cui dispone, fa votare<br />
un provvedimento con il quale i partiti del centrodestra<br />
vengono messi fuori legge (e quindi sono<br />
impediti dal partecipare alle elezioni) oppure<br />
deve mettere in conto e sopportare gli scioperi<br />
della Cgil.<br />
Giuliano Cazzola, deputato del Pdl<br />
Al direttore - Dopo sono tutti buoni. Io, invece,<br />
le dico prima che, secondo i miei personali<br />
sondaggi, è assolutamente certo che il prossimo<br />
presidente degli Stati Uniti sarà McCain (e, se<br />
Dio vuole, gli succederà Sarah Palin per otto<br />
anni, salvo imprevisti imprevedibili). Non può<br />
che essere così: solo una mutazione antropologica<br />
del popolo americano potrebbe indurlo, anche<br />
semplicemente disertando le urne (ed è invero<br />
questa l’unica chance di Obama), a bersi<br />
un altro “prodotto Carter”. E dei “Clinton” e dei<br />
clintonismi gli americani hanno fatto ormai<br />
esperienza. Cioè, né l’Obama visionario e sognatore,<br />
né quello calcolatore e opportunista,<br />
hanno la speranza di vincere. Certo, potrebbe<br />
perdere McCain. Ma poiché in tal caso vincerebbe<br />
Obama, non accadrà: il popolo americano<br />
– quello vero, non quello un po’ polverizzato<br />
e poi massificato che vive tra New York e Los<br />
Angeles – non può permetterlo. Perché non può<br />
permettere che venga confermata, o addirittura<br />
consolidata, per un decennio ancora, la maggioranza<br />
che volle la sentenza “Roe vs Wade”,<br />
Alta Società<br />
Weekend a Milano. Penna stilografica,<br />
inchiostro blu, calligrafia affettuosa,<br />
dediche mirate. Alberto Arbasino ha<br />
mandato agli amici il suo meraviglioso<br />
“La vita è bassa”. Da leggere, per rallegrarsi,<br />
in queste uggiose giornate<br />
novembrine.<br />
quarantacinque minuti, la tratta Washington-Pechino<br />
in due ore circa, eccetera. Così<br />
su due piedi mi sembrerebbe una soluzione<br />
efficace e insomma mi verrebbe da<br />
chiedere come mai pochi ci abbiano pensato<br />
mentre la maggior parte degli esperti<br />
s’incaponisce con le solite soluzioni. Penso,<br />
volendo tenere insieme i sempreverdi<br />
problemi di Alitalia, il trasporto aereo e<br />
anche le elezioni americane, a uno dei più<br />
famosi esperti aerei del pianeta, cioè a Patrick<br />
Smith, pilota e autore della fortunata<br />
rubrica “Ask the Pilot” della rivista americana<br />
Salon.com. Ecco, Smith è famoso<br />
per rispondere periodicamente a questioni<br />
piuttosto semplici come: “Quando un aereo<br />
atterra, sembra quasi che appena tocca<br />
la pista i motori vadano su di giri. Non<br />
è che per caso i motori vanno in retromarcia?”,<br />
oppure “Perché i voli transcontinentali<br />
notturni vanno solo<br />
verso est e non viceversa?”, oppure<br />
“E’ vero che il contenuto<br />
delle toilette viene scaricato<br />
durante il volo? Nessuno si è<br />
mai lamentato di essere stato investito<br />
dai liquami?”. Ecco, quando<br />
Smith affronta questi argomenti è<br />
bravo, sensibile e arguto. Diverso il<br />
caso, come anche insegna l’esperienza<br />
italiana, quando trasporto aereo<br />
e politica si intrecciano gordianamente.<br />
Nell’ultimo numero di Salon,<br />
Smith, discutendo del rapporto tra voli ae-<br />
Oggi lei mi ha lasciato<br />
perché le ho detto che<br />
ho fatto due anni in uno.<br />
Cioè terza e quarta geometra<br />
in un anno scolastico,<br />
per rimediare una<br />
bocciatura e tirarmi in<br />
pari. Lei: “Dovevi dirmelo<br />
la prima sera che ci<br />
siamo conosciuti, anzi<br />
era la prima notizia che<br />
dovevi darmi su di te”. Io: “Sì, sta attento<br />
che io adesso conosco una in spiaggia e<br />
la prima cosa che le dico non è il mio nome,<br />
non dove lavoro o in che albergo soggiorno,<br />
ma: ‘Senti bella, venticinque anni<br />
fa alle superiori sono stato bocciato in<br />
terza, per cui…”.<br />
Le donne in effetti sono un po’ strane.<br />
Nemmeno tanto. Il massimo è quando<br />
credono di essere originali e dicono: “A<br />
me quelli belli non piacciono”. Alcune<br />
arrivano al colmo di dire: “A me piacciono<br />
i brutti, sono sempre stata fidanzata<br />
con uomini bruttissimi”. Senti, donna<br />
che pensa di essere eccentrica, se ti<br />
passa di fianco George Clooney e per<br />
sbaglio ti invita a bere un aperitivo, portatelo<br />
a casa. Poi con le amiche discuti<br />
se pensavo meglio, peggio; ma intanto te<br />
lo blindi tu.<br />
ma anzi vuole che venga finalmente rovesciata,<br />
e quindi vuole McCain-Palin. E non può succedere<br />
nulla di diverso. E quando avrà vinto Mc-<br />
Cain, licenzierete finalmente quel disfattista alla<br />
Colin Powell di David Frum (un’altra Sua<br />
‘nziria alla Vito Mancuso), che sono almeno<br />
quattro anni che ci frantuma il frantumabile<br />
sulla crisi della right nation, sul declino dei social<br />
conservative, sulla perdita di peso delle issues<br />
antropologiche (vita, famiglia, matrimonio,<br />
libertà d’educazione), sui fallimenti di Bush e<br />
sul tramonto della coalizione reaganiana. Naturalmente,<br />
se a essere smentito, il 4 novembre,<br />
non sarà il disfattista – e con lui tutto l’obamismo<br />
planetario (godo già al solo pensiero, soprattutto<br />
se lo rivolgo a quello italico, e in particolare<br />
ai neo-obamisti di Alleanza nazionale)<br />
– ma il sottoscritto, allora sarò io ad aver meritato<br />
il licenziamento. Ma non credo.<br />
Cordialmente<br />
Giovanni Formicola, via Web<br />
Mi piace la sua combattività. In ogni combattente<br />
deve esserci una parte di immaginazione,<br />
di fervore, perfino di delirio. Diciamo<br />
che nella sua lettera questi ingredienti<br />
non mancano.<br />
Il nuovo idraulico Joe è un giornalista-pilota che non può che votare McCain<br />
rei e nuovo presidente degli Stati Uniti,<br />
prima spiega che per i piloti sarebbe auspicabile<br />
una vittoria di Obama, poi nota<br />
come invece molti piloti finiscano con il<br />
preferire McCain. Scrive: “I piloti appartengono<br />
a quel tipo di americani che si caratterizza<br />
per il fatto di votare<br />
contro i propri interessi. (…) Ho<br />
chiesto a un mio amico pilota,<br />
un conservatore evangelico, come<br />
fa a votare per un candidato<br />
che, molto più dell’altro, minaccia<br />
i suoi mezzi di sussistenza.<br />
‘Quello che i miei colleghi<br />
liberal non capiscono’ mi ha risposto<br />
‘è che io non voto contro quelli<br />
che considero i miei interessi più importanti.<br />
Gli interessi per la mia carriera non<br />
sono superiori alla mia fede conservatrice,<br />
al mio desiderio per un governo più leggero,<br />
per tasse più basse, per un esercito forte,<br />
eccetera”. Quasi come l’idraulico Joe,<br />
questo pilota è un uomo tutto d’un pezzo e<br />
Patrick Smith non riesce a farsene una ragione.<br />
Si capisce che ne rimane sconvolto.<br />
Al punto che, verso la fine del suo articolo,<br />
perdendo la calma, il bravo esperto smarrisce<br />
pure ogni residuo di buon senso. Diventa<br />
superstizioso. Ammette che tutti i<br />
candidati democratici alla presidenza che<br />
negli ultimi anni sono stati sconfitti, lui,<br />
Patrick Smith, li aveva incontrati poco prima<br />
di ogni elezione. Insomma, l’esperto teme<br />
di portare sfortuna. E scrive: “Mi chiedo<br />
se la cosa più sicura da fare non sia, in<br />
questi giorni, di barricarmi in cantina”.<br />
Per un pilota è il massimo.<br />
La Giornata<br />
* * *<br />
Nel mondo<br />
L’IRAQ HA DESTINATO 15 MILIARDI<br />
DI DOLLARI ALLA RICOSTRUZIONE.<br />
Il ministro delle Finanze di Baghdad,<br />
Bayan Jabr, ha annunciato ieri che il 25 per<br />
cento della Finanziaria del 2009 (che è ancora<br />
una bozza) è destinato alle infrastrutture.<br />
Secondo uno studio del governo, l’Iraq<br />
ha bisogno di 400 miliardi di dollari per la<br />
ricostruzione. “Ecco perché abbiamo bisogno<br />
di investimenti nel paese, in molti settori,<br />
inclusi quello dell’elettricità, della raffineria,<br />
del petrolio, delle case e delle banche”,<br />
ha detto Jabr. I trenta istituti di credito<br />
del paese sono a corto di capitale a<br />
causa della crisi e il governo segnala che,<br />
dipendendo al 90 per cento dal petrolio, l’economia<br />
irachena è in un periodo delicato.<br />
Il Times ha rivelato ieri che Saddam<br />
Hussein sarebbe stato accoltellato sei volte<br />
prima dell’impiccagione. La fonte è il capo<br />
delle guardie alla tomba dell’ex rais. Il governo<br />
ha smentito.<br />
* * *<br />
La tenda di Gheddafi al Cremlino. Il leader<br />
libico Gheddafi si è recato ieri a Mosca,<br />
dove ha incontrato il presidente russo Medvedev.<br />
Al centro dell’incontro la cooperazione<br />
energetica per gas e petrolio. Secondo<br />
una fonte vicina agli ambienti della Difesa<br />
russa, citata da Interfax, saranno anche<br />
discusse vendite di armamenti per oltre<br />
1,5 miliardi di euro.<br />
Medvedev ha nominato Yunus-Bek<br />
Yevkurov, un paracadutista, come presidente<br />
dell’Inguscezia a sostituzione di Zyazikov,<br />
fedele a Mosca. La nomina segnala<br />
la difficoltà della Russia a controllare i ribelli<br />
di tutto il Caucaso del nord.<br />
* * *<br />
Scissione dell’Anc in Sudafrica. I dissidenti<br />
dell’Anc, fedeli all’ex presidente<br />
Mbeki, sono pronti a lanciare un nuovo partito<br />
per opporsi a Zuma e hanno aperto una<br />
convention a Johannesburg. La nuova formazione<br />
sarà lanciata il 16 dicembre.<br />
* * *<br />
Aveva 13 anni la ragazza lapidata in Somalia<br />
ed era stata violentata. Amnesty ha rivelato<br />
che è questa l’età della ragazza uccisa<br />
a pietrate a Chisimaio, la settimana scorsa,<br />
con l’accusa di adulterio.<br />
E’ rientrato in Somalia un capo delle<br />
Corti islamiche, Sheik Ahmed. Aveva trovato<br />
asilo politico in Yemen.<br />
* * *<br />
Morales sospende le attività della Dea. Il<br />
presidente boliviano si è mosso contro ll’agenzia<br />
antidroga statunitense, accusandola<br />
di aver fomentato la rivolta civile nel paese.<br />
* * *<br />
Thaksin telefona alla folla in uno stadio a<br />
Bangkok. Novantamila sostenitori dell’ex<br />
premier thailandese hanno applaudito contro<br />
“la sentenza politica” di due settimane<br />
fa: “Non posso tornare a casa perché mi<br />
hanno condannato a due anni di prigione”.
ANNO XIII NUMERO 299 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />
UNA CHIESA MALATA DI BIOLOGISMO<br />
Mancuso vede “una strana convergenza” tra neodarwinisti e gerarchie ecclesiastiche, a scapito della libertà<br />
di Vito Mancuso<br />
empre più mi vado convincendo di<br />
Suna strana convergenza, l’esposizione<br />
della quale costituisce la tesi di<br />
questo articolo. Si tratta di qualcosa<br />
di inaspettato e di sorprendente che<br />
riguarda due attori molto distanti l’uno<br />
dall’altro, anzi in continua reciproca<br />
polemica: mi riferisco al pensiero<br />
neodarwinista ortodosso da un lato e<br />
alle prese di posizione della gerarchia<br />
cattolica in tema di bioetica dall’altro.<br />
A prima vista sembra non ci debba essere<br />
nulla di più distante, ma le cose,<br />
forse, non stanno così.<br />
Martedì scorso, 28 ottobre, ho assistito<br />
all’inaugurazione dell’anno accademico<br />
della mia università, l’Università<br />
Vita Salute San Raffaele di Milano,<br />
ascoltando nell’occasione la lectio<br />
magistralis che il rettore don Luigi<br />
Verzé aveva affidato per quest’anno al<br />
genetista di fama internazionale Luca<br />
Cavalli Sforza, professore emerito nell’Università<br />
americana di Stanford e<br />
docente presso la mia stessa facoltà di<br />
Filosofia.<br />
L’aula era gremita da studenti, docenti,<br />
autorità. Benché arrivato in<br />
orario, a me è toccato assistere in piedi<br />
all’intera celebrazione, avendo<br />
però la fortuna di condividere la non<br />
Se per la vita biologica siamo quasi<br />
identici alla scimmia, per la nostra<br />
vita spirituale non abbiamo nessuna<br />
analogia con il mondo animale<br />
comoda posizione con il collega Andrea<br />
Tagliapietra, insigne filosofo e<br />
vulcanico creatore di motti di spirito.<br />
Cavalli Sforza ha esordito dicendo<br />
che la vita “non è più un mistero”<br />
perché ora noi sappiamo bene che cosa<br />
essa è, sappiamo che è Dna, cioè<br />
una molecola in grado di replicare se<br />
stessa. Sappiamo anche, ha continuato<br />
Cavalli Sforza, come la vita si evolve:<br />
si evolve mediante errori di copiatura<br />
che avvengono casualmente nella<br />
replicazione del Dna. Senza errori,<br />
niente evoluzione. Ma grazie agli errori<br />
l’evoluzione si mette in moto, essendo<br />
l’evoluzione nient’altro che il<br />
progressivo adattamento degli organismi<br />
mutanti e mutati all’ambiente circostante.<br />
Nulla di nuovo in tutto ciò,<br />
sia chiaro, solo una brillante riproposizione<br />
del paradigma ortodosso del<br />
neodarwinismo. Ciò che a me qui preme<br />
sottolineare è il fatto che la tesi<br />
naturalista colloca la verità di noi<br />
stessi nelle molecole di Dna del nostro<br />
patrimonio genetico. Ovvero: l’uomo<br />
è definito dalla sua biologia, l’uomo<br />
è bios.<br />
A Cavalli Sforza, e in genere al pensiero<br />
che lui rappresenta (che nella<br />
nostra facoltà è portato avanti anche<br />
da Edoardo Boncinelli), non è difficile<br />
replicare che è evidente che l’uomo<br />
è vita biologica, ma che è altrettanto<br />
evidente che l’uomo non è solo<br />
vita biologica. Il contesto stesso nel<br />
quale Cavalli Sforza affermava l’equivalenza<br />
dell’uomo a mero bios, cioè<br />
ra scienza e fede è in corso un duello appas-<br />
In palio nientemeno che la parola<br />
Tsionante.<br />
definitiva sull’uomo e il mondo. Gli spettatori sono<br />
pregati di schierarsi per l’una o per l’altra<br />
squadra, senza farsi distrarre da alcunché. Stando<br />
a certe cronache, all’assemblea plenaria della<br />
Pontificia Accademia delle Scienze, l’altroieri,<br />
è accaduto qualcosa del genere. Finalmente<br />
scienziati e uomini di chiesa si sono messi gli uni<br />
di fronte agli altri, ognuno con la propria verità<br />
ben scolpita ma in qualche modo da condividere<br />
dal momento che l’epoca delle contrapposizioni<br />
sanguinose, grazie al cielo, è finita. Purché, da<br />
una parte e dall’altra, non ci si scambi colpi bassi<br />
e nessuno si azzardi a invasioni di campo.<br />
In questo senso c’è da registrare la strana convergenza<br />
tra Repubblica e Osservatore Romano<br />
nel mettere fuori gioco l’Intelligent Design (ID)<br />
come elemento di disturbo di un dialogo-serio-ecostruttivo.<br />
La fretta con cui si vuole sgombrare<br />
il campo dai guastatori d’Oltreoceano insinua<br />
però qualche dubbio. Forse le esigenze del religiosamente<br />
corretto impongono una politica della<br />
distensione nei confronti dell’establishment<br />
scientifico, e di conseguenza un aggiustamento<br />
delle posizioni espresse anche da autorevoli<br />
esponenti ecclesiastici. Come il cardinale di<br />
Vienna, Cristoph Schoenborn, teologo di vaglia<br />
(è stato uno dei più brillanti allievi del professor<br />
Ratzinger), che nel luglio del 2005 scrisse un editoriale<br />
sul New York Times, intitolato “Scoprire<br />
un’aula universitaria, così come la<br />
musica del grande Händel che aveva<br />
accompagnato l’ingresso del senato<br />
accademico, sono una prova del suo<br />
contrario, una prova cioè che l’uomo,<br />
oltre a essere bios, è anche psyché e<br />
pneuma, vita dell’anima e dello spirito.<br />
Senza il Dna, niente anima e niente<br />
spirito, è chiaro. Ma siccome l’anima<br />
e lo spirito si danno (oltre all’università<br />
e alla musica, prova ne sia il<br />
giornale che ora tenete in mano e il<br />
desiderio di conoscere che vi porta a<br />
leggerlo, e centomila altre cose che è<br />
sufficiente alzare la testa per individuare)<br />
ne viene che l’essere umano è<br />
maggiore del suo patrimonio<br />
genetico,<br />
non è riducile alla<br />
vita biologica.<br />
I genetisti<br />
dicono che<br />
condividiamo<br />
con lo<br />
scimpanzé<br />
il 98,5 per<br />
cento del<br />
dna. Bene. Essendo<br />
sotto gli<br />
occhi di tutti che<br />
(con tutto il rispetto<br />
per lo scimpanzé) la storia e la civiltà<br />
dell’essere umano sono abbastanza<br />
diverse da quella dello scimpanzé,<br />
molto probabilmente non è il nostro<br />
Dna con quel suo piccolo 1,5 per cento<br />
di differenza a spiegare l’evoluzione<br />
che ci ha differenziato, e ci differenzierà<br />
sempre più, dallo scimpanzé.<br />
Il Dna è la base necessaria da<br />
cui emergono livelli superiori dell’essere-energia<br />
che ci costituisce, per<br />
designare i quali la filosofia classica<br />
ha coniato altri termini oltre a<br />
“bios”: ha parlato di “zoé”, “psyché”,<br />
“pneuma”, “nous”. La<br />
tradizione cristiana e anche<br />
quella ebraica (Tommaso d’Aquino<br />
per la prima, Mosè Maimonide<br />
per la seconda) hanno<br />
accolto totalmente questa visione antropologica,<br />
ponendo la verità ultima<br />
dell’uomo non in basso, cioè nella sua<br />
vita biologica, ma in alto, cioè nella<br />
sua vita spirituale. Se infatti per la vita<br />
biologica siamo quasi identici allo<br />
scimpanzé, per la nostra vita spirituale<br />
non abbiamo nessuna, non<br />
dico identità, ma neppure<br />
analogia, col resto del<br />
mondo animale. E’<br />
questo più alto<br />
livello dell’essere<br />
a fare<br />
dell’essere<br />
umano qualcosa<br />
di unico,<br />
qualcosa di<br />
così stupefacente<br />
nel mondo dei<br />
viventi davanti a cui la mente<br />
umana di tutti i tempi e di tutti i<br />
luoghi, per poterne dare conto, ha inferito<br />
un suo legame con una sfera<br />
del tutto particolare dell’essere, non<br />
rintracciabile nella dimensione naturale,<br />
e chiamata convenzionalmente<br />
“Dio” (termine che deriva dalla realtà<br />
più pura di cui abbiamo esperienza,<br />
il progetto nella natura”, in cui sosteneva che “i<br />
difensori del dogma neodarwiniano hanno spesso<br />
invocato la supposta accettazione – o almeno<br />
acquiescenza – del cattolicesimo romano quando<br />
essi difendono la loro teoria come fosse compatibile<br />
con la fede cristiana. Ma questo non è<br />
vero. La chiesa cattolica, mentre lascia alla<br />
scienza molti dettagli circa la storia della vita<br />
sulla terra, proclama che con la luce della ragione<br />
l’intelletto umano può chiaramente discernere<br />
uno scopo e un progetto nel mondo naturale e<br />
negli esseri viventi. Potrebbe essere fondata<br />
un’evoluzione intesa come discendenza comune;<br />
ma non un’evoluzione concepita in senso neodarwiniano,<br />
come processo non guidato, che non<br />
risponde a un progetto, ed è mossa soltanto dalla<br />
selezione naturale e dalle variazioni casuali.<br />
Ogni sistema di pensiero che neghi o cerchi di rifiutare<br />
l’imponente evidenza di progetto in biologia<br />
è ideologia non scienza. (…) Ora all’inizio<br />
del XXI secolo, in contrapposizione a posizioni<br />
scientifiche come il neo-darwinismo e l’ipotesi<br />
del multiverso in cosmologia inventato per evitare<br />
la sovrabbondante evidenza di scopo e progetto<br />
che si trova nella scienza moderna, la chiesa<br />
cattolica difenderà di nuovo la ragione umana<br />
proclamando che il progetto immanente che<br />
è evidente nella natura è reale. Teorie scientifiche<br />
che cercano di negare l’evidenza di progetto<br />
come il risultato di caso e necessità non sono per<br />
niente scientifiche, ma, come affermato da Giovanni<br />
Paolo II, un’abdicazione dell’intelligenza<br />
umana”.<br />
Lo stesso Joseph Ratzinger nel 1969 tenne su<br />
questo tema una lezione, “Fede nella creazione<br />
e teoria dell’evoluzione”, in cui osservava che<br />
“effettivamente il passaggio alla contemplazione<br />
evolutiva del mondo rappresenta il passo verso<br />
quella forma positiva della scienza che si limita<br />
consapevolmente a ciò che è dato, concreto, dimostrabile<br />
all’uomo ed esclude dalla sfera della<br />
scienza la riflessione sulle vere ragioni del reale<br />
come una riflessione sterile. In questo, fede<br />
nella creazione e idea dell’evoluzione indicano<br />
non appena due diverse dimensioni di ricerca,<br />
ma due diverse forme di pensiero”. Più nello<br />
specifico, il professor Ratzinger formulava una<br />
diagnosi sull’“umanazione”, cioè il momento in<br />
cui l’uomo diventa tale: “Il primo tu che fu pronunciato<br />
– balbettando come sempre – nei confronti<br />
di Dio dalle labbra dell’uomo, indica l’istante<br />
in cui lo spirito era nato nel mondo. Qui<br />
fu attraversato il Rubicone dell’umanazione. (…)<br />
Questo stabilisce la dottrina della particolare<br />
creazione dell’uomo. Soprattutto qui sta il centro<br />
della fede nella creazione. Sta qui anche la<br />
ragione per cui l’istante dell’umanazione non<br />
può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione<br />
è l’insorgenza dello spirito, che non si può<br />
dissotterrare con la vanga”.<br />
Sull’Osservatore Romano dell’altro giorno, invece,<br />
dettava la linea proprio un paleontologo,<br />
don Fiorenzo Facchini dell’Università di Bologna,<br />
nemico dichiarato dell’ID che vede come un<br />
intralcio al dialogo serio tra addetti ai lavori, addirittura<br />
una minaccia al bene supremo dell’“armonia<br />
delle conoscenze”. Repubblica coglieva al<br />
volo l’assist e sentenziava la fine di nocive “invenzioni”<br />
come l’ID. Scongiurate le “invasioni di<br />
campo autoritarie”, finalmente si può celebrare<br />
la lezione sull’origine dell’universo gentilmente<br />
impartita da Hawking e soci agli alti prelati. Il<br />
giorno dopo uno di loro, monsignor Sanchez Sorondo,<br />
cancelliere della Pontificia Accademia<br />
delle Scienze, si è spinto a dire che “la teoria dell’evoluzione<br />
non solo non è incompatibile con il<br />
progetto di Dio, ma è più vicina a quanto leggiamo<br />
nella Bibbia di tante altre teorie”.<br />
Eppure la molteplicità delle immagini del<br />
mondo, catalogo di cui la stessa Bibbia è ben fornita,<br />
sconsiglierebbe di escluderne qualcuna, anche<br />
la più eterodossa e inclassificabile. Qualcuno<br />
ha notato l’ironia di un manipolo di scientisti,<br />
quali in fondo sono i sostenitori duri e puri dell’ID,<br />
che corrode dall’interno i precetti dell’evoluzionismo.<br />
Prendendo più o meno alla lettera alcuni<br />
passi della Bibbia, hanno voluto vedere un<br />
intervento diretto e puntuale del divino nel corso<br />
dell’evoluzione. Forse non ci sono riusciti, ma<br />
intanto hanno ottenuto molto di più incrinando i<br />
due pilastri del darwinismo: la modificazione genetica<br />
frutto del puro caso e la selezione naturale<br />
con il suo corollario di ingegneria genetica.<br />
la luce). Qualunque realtà si nomini<br />
dicendo “Dio” o “divino”, l’intuizione<br />
esistenziale cui questa categoria rimanda<br />
è la libertà spirituale dell’uomo<br />
rispetto alla sua biologia e alla<br />
sua socialità. Noi siamo bios, noi siamo<br />
relazioni sociali, è evidente; ma<br />
né il bios né le relazioni sociali ci definiscono<br />
ultimamente: ognuno di noi,<br />
ultimamente, è la sua libertà, la sua<br />
anima spirituale, la sua irripetibile<br />
individualità. E’ per questo ed è in<br />
questo che siamo, come dice il libro<br />
biblico della Genesi, “a immagine e<br />
somiglianza di Dio”. Dio infatti è spirito,<br />
insegna il Vangelo, e noi siamo a<br />
sua immagine non in quanto bios, ma<br />
in quanto pneuma, in quanto spirito,<br />
cioè libertà.<br />
Le occasioni della vita hanno voluto<br />
che il giorno prima di sentire Cavalli<br />
Sforza al San Raffaele io partecipassi<br />
alla nota trasmissione televisiva<br />
di Gad Lerner, “L’Infedele”, dedicata<br />
al caso di Eluana Englaro. Questa volta<br />
ero seduto, ma devo confessare che<br />
il giorno dopo in piedi accanto a Tagliapietra<br />
mi sarei sentito più comodo<br />
che non lì, su una poltroncina rossa<br />
accanto a Beppino Englaro, straordinario<br />
esempio di dedizione paterna,<br />
e all’onorevole Eugenia Roccella<br />
sottosegretario con delega alla Salute.<br />
Quali esponenti della dottrina cattolica<br />
ufficiale in tema di bioetica vi<br />
erano Marina Casini e Gian Luigi Gigli,<br />
autorevoli esponenti di “Scienza<br />
e vita”, l’organismo emanazione<br />
della Conferenza episcopale<br />
italiana. In quella occasione<br />
mi sono ritrovato ad ascoltare<br />
argomentazioni che, nella sostanza<br />
antropologica, il giorno<br />
dopo avrei ritrovato nella lectio<br />
magistralis di Cavalli Sforza.<br />
Per Marina Casini e il professor Gigli,<br />
e in genere per l’impostazione<br />
bioetica assunta in questi anni dalla<br />
gerarchia cattolica, la dignità dell’uomo<br />
è altra cosa dalla sua libertà, nel<br />
senso che tale dignità non consiste<br />
nell’esercizio della libertà ma nella<br />
sua dimensione biologica. La vita<br />
umana è sacra non in quanto spirito<br />
libero, ma in quanto vita<br />
biologica. Per questo, si sostiene,<br />
all’uomo non spetta<br />
l’ultima parola sulla sua vita.<br />
“Non spetta alla persona decidere”,<br />
ha dichiarato mons.<br />
Giuseppe Betori il 30 settembre<br />
scorso nel suo ultimo intervento<br />
da segretario della Cei,<br />
specificando di parlare “con il<br />
pieno consenso del presidente Bagnasco”.<br />
Dire questo equivale a sostenere<br />
che la verità dell’uomo non<br />
sta in alto, cioè nella libertà descritta<br />
classicamente con i termini di anima<br />
e di spirito, ma in basso, cioè nella<br />
sua biologia. I vertici della Cei negano<br />
alla libertà potere sulla biologia, e<br />
affermano che è piuttosto la biologia<br />
a vincolare la libertà: infatti “non<br />
spetta alla persona decidere”. A chi<br />
spetta allora? Ai medici, risponde la<br />
gerarchia. Ma qual è il criterio in base<br />
al quale i medici decidono? La biologia,<br />
è evidente, e non può che essere<br />
così, se i medici fanno il loro mestiere.<br />
Negare il principio di autodeterminazione<br />
della persona suppone<br />
quindi un’antropologia che, al pari<br />
del paradigma naturalistico, pone lo<br />
specifico umano nella biologia. Questa<br />
è la strana convergenza antropologica<br />
che riscontro tra l’attuale vertice<br />
della chiesa cattolica italiana e il più<br />
agguerrito naturalismo neodarwinista.<br />
E’ chiaro che poi se ne traggono<br />
conseguenze opposte, perché per gli<br />
uni la natura non ha altra logica che<br />
non sia quella che consegue dagli errori<br />
di copiatura e dall’adattamento<br />
all’ambiente, mentre per gli altri la<br />
natura è lo strumento tramite cui Dio<br />
esercita direttamente la sua sovranità;<br />
la base antropologica però (ovvero:<br />
uomo = bios) è la medesima. Il che<br />
un po’ mi inquieta e mi porta a chiedere<br />
come mai il pensiero cattolico<br />
ufficiale si stia tanto pericolosamente<br />
trasformando all’insegna di un biologismo<br />
che la tradizione non ha mai<br />
conosciuto – prova ne sia che l’affermazione<br />
di monsignor Betori con il<br />
consenso del cardinal Bagnasco, secondo<br />
cui “non spetta alla persona<br />
decidere”, è contraria rispetto all’articolo<br />
2278 del Catechismo (“le decisioni<br />
devono essere prese dal paziente”);<br />
è contraria rispetto al documento<br />
“Iura et bona” della Congregazione<br />
per la dottrina della fede (“prendere<br />
Questa bioetica ecclesiastica<br />
conosce solo il corpo e la sua<br />
necessità, e ignora l’anima e la sua<br />
libertà. Contro Vangelo e tradizione<br />
delle decisioni spetterà in ultima<br />
istanza alla coscienza del malato o<br />
delle persone qualificate per parlare<br />
a nome suo, oppure anche dei medici”,<br />
laddove tutti vedono chi viene al<br />
primo posto per il documento magisteriale<br />
del 1980); è contraria rispetto<br />
al fondamento della coscienza morale<br />
delineato dal Vaticano II in “Gaudium<br />
et spes” 16-17 (“L’uomo può volgersi<br />
al bene soltanto nella libertà”),<br />
è contraria all’architettura del giudizio<br />
morale elaborata da Tommaso<br />
d’Aquino, ed è soprattutto contraria<br />
all’immenso rispetto per la libertà<br />
umana da parte di Dio come emerge<br />
dalla Bibbia: “Egli da principio creò<br />
l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio<br />
volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti;<br />
l’essere fedele dipenderà<br />
dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto<br />
davanti il fuoco e l’acqua; la dove<br />
vuoi, stenderai la tua mano” (Siracide<br />
15,14-16). Mi chiedo il motivo di questa<br />
scivolosa trasformazione dell’antropologia<br />
sottesa alla bioetica oggi<br />
maggioritaria nella chiesa cattolica, e<br />
non so rispondere. Vedo solo una<br />
chiesa la cui bioetica è sempre meno<br />
capace di rendere conto delle parole<br />
di Gesù: “Non abbiate paura di quelli<br />
che uccidono il corpo, ma non hanno<br />
potere di uccidere l’anima” (Matteo<br />
10,28). Questa bioetica ecclesiastica,<br />
in singolare armonia con il neodarwinismo,<br />
conosce solo il corpo e la<br />
sua necessità, e ignora l’anima e la<br />
sua libertà.<br />
L’Osservatore non lo sa, ma l’ID è un parente abbastanza stretto della Provvidenza<br />
Con l’ID gli americani, pragmatici anche nelle loro<br />
investigazioni epistemologiche, hanno senza<br />
dubbio smosso le acque di un sapere scientifico<br />
spesso arroccato in pseudodogmi che l’informazione<br />
provvede poi a rivendere.<br />
In realtà, le continue e inevitabili pretese di<br />
senso che gli scienziati avanzano non possono<br />
essere ignorate dai credenti in nome del fair<br />
play o del quieto convivere, a tal punto che l’incontro<br />
tra il Papa e Stephen Hawking si riduce<br />
a una photo op. Eppure su Repubblica si legge<br />
che “Hawking nel suo discorso non entra in<br />
queste questioni. Non fa ideologia né filosofia,<br />
neanche di tipo scientista. Traccia socraticamente<br />
il percorso delle scoperte, delle ipotesi,<br />
degli errori, dei risultati aggiunti. Evidenzia ciò<br />
che si sa e ciò che si ignora”. Socrate, però, ci<br />
porta nei pressi della filosofia e la frase successiva<br />
dell’astrofisico inglese è illuminante: “Il<br />
mio è un approccio positivista”. Positivista, dice,<br />
e non positivo. C’è quindi tutta una teoria<br />
dietro, una visione del mondo – e non delle più<br />
brillanti. La chiesa ha uno sguardo più ampio,<br />
e lo chiama Provvidenza. Se lo dimentica scivola<br />
nella retorica del dialogo, dove i contendenti<br />
si pongono in maniera così perfettamente<br />
speculare che il rischio di confonderli è altissimo.<br />
Il che spiega il vantaggio argomentativo che<br />
si prende la tesi del professor Vito Mancuso sul<br />
biologismo che accomuna chiesa e scienza.<br />
Marco Burini
ANNO XIII NUMERO 299 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008<br />
LA GRANDE CRISI MONDIALE DEI FUMETTI<br />
Weeklypedia. Dove si parla delle strisce americane, del più bel disco della stagione, di Maus e delle migliori cento meteore<br />
Il fumetto Opus è stato disegnato da Berkeley Breathed tra il 2003 e il 2008<br />
di Luca Sofri<br />
Opus era il titolo di una tavola domenicale<br />
disegnata da Berkeley Breathed<br />
per circa cinque anni tra il 2003 e il<br />
2008. Fu la quarta striscia di Breathed,<br />
dopo Academia Waltz, Bloom County e<br />
Outland. Ambientata nella Bloom<br />
County, la striscia raccontava le avventure<br />
del popolare pinguino Opus, prendendo<br />
in giro parallelamente temi della<br />
cultura pop e della politica. All’inizio di<br />
ottobre 2008 l’autore ha dichiarato che<br />
avrebbe chiuso la serie in seguito ai suoi<br />
timori di tempi duri in arrivo per gli<br />
Stati Uniti e al suo desiderio di separarsi<br />
dal suo personaggio più famoso “con<br />
leggerezza”.<br />
Dice Berkeley Breathed che sono<br />
tempi grami per le strisce a fumetti.<br />
Berkeley Breathed dice che il<br />
momento così così dei giornali<br />
rappresenta la principale minaccia<br />
per il mondo dei fumetti<br />
Anche in America, dove lo spazio offerto<br />
ai comics è una tradizone dei<br />
quotidiani, di tutti i quotidiani. Dice<br />
Berkeley Breathed che la crisi dei<br />
giornali di carta travolge le strisce,<br />
che sono difficilmente convertibili<br />
alle abitudini di lettura sul Web. Dice<br />
Berkeley Breathed che è da un<br />
quarto di secolo – ovvero dalla nascita<br />
di Calvin & Hobbes – che il fumetto<br />
a strisce non crea qualcosa di “storico”,<br />
che rimane. Dice Berkeley<br />
Breathed che poi si annunciano tempi<br />
grami in generale, e allora meglio<br />
andarsene prima di doverli raccontare:<br />
“Ho una parte Michael Moore di<br />
me che mi fa diventare cattivo”. E insomma,<br />
Opus, l’ultima serie delle<br />
strisce di Breathed col pinguino omonimo<br />
chiude oggi. Oggi esce l’ultima<br />
tavola domenicale sui quotidiani che<br />
lo pubblicano. In Italia arrivò tramite<br />
Linus, come tutte le grandi strisce<br />
americane. Opus deve il suo nome a<br />
una canzone dei Kansas: “E se siete<br />
troppo giovani per sapere chi fossero<br />
i Kansas, beh, peggio per voi”, ha detto<br />
Breathed.<br />
Ivor Churchill Guest, primo Visconte<br />
di Wimborne (16 gennaio 1873 – 14 giugno<br />
1939) fu un politico britannico e<br />
uno degli ultimi Lords Luogotenenti di<br />
Irlanda, titolare della carica ai tempi<br />
della Rivolta di Pasqua.<br />
In realtà io non cercavo questo<br />
Ivor Guest: quello che cercavo io è il<br />
produttore del nuovo disco di Grace<br />
Jones e suo fidanzato (per quanto si<br />
possa essere “fidanzati” con Grace<br />
Jones). Ma non ha una <strong>pagina</strong> su<br />
Wikipedia, e su di lui ho trovato poco.<br />
Se non che dev’essere un aristocratico<br />
discendente di questo Ivor Guest<br />
(è quarto Visconte di Wimborne), oltreché<br />
imparentato con la famiglia<br />
reale. Però, siccome tutto si tiene, il<br />
fu Ivor Churchill Guest è risultato essere<br />
il terzultimo rappresentante della<br />
Corona sul Regno d’Irlanda prima<br />
dell’indipendenza, ovvero quello in<br />
carica all’inizio del film Michael Collins,<br />
che già fu raccontato in una <strong>pagina</strong><br />
di Weeklypedia, ad agosto.<br />
“What I am” è una canzone scritta<br />
da Edie Brickell e Kenny Withrow e<br />
incisa da Edie Brickell & the New<br />
Bohemians nel loro primo disco,<br />
Shooting rubberbands at the stars<br />
(1988). Arrivò al numero trentuno in<br />
Inghilterra e al settimo posto nella<br />
classifica di Billboard negli Stati<br />
Uniti. Fu classificata al settantunesimo<br />
posto nella lista delle migliori 100<br />
Meteore della rete VH1, ed era stata<br />
usata in un episodio del 1989 di Miami<br />
Vice. Edie Brickell fece un bel<br />
colpo con “What I am” e con un’altra<br />
bella canzone in quel disco: “Circles”.<br />
E poi, meteora appunto, scomparve.<br />
Aveva ventidue anni ed era di<br />
Dallas. Quest’anno ha pubblicato un<br />
nuovo disco con il suo figliastro, ma<br />
non se n’è accorto nessuno.<br />
Comunque, capita a molte coppie<br />
di avere una canzone con la quale ci<br />
si è innamorati. Ma la canzone con<br />
sui si innamorò Edie Brickell era<br />
sua, e la stava cantando lei: e questo<br />
non capita a molti. Successe che l’avevano<br />
invitata a cantare “What I<br />
am” al Saturday Night Live, in televisione.<br />
Quando venne il loro momento,<br />
lei e la band attaccarono la canzone:<br />
ma a un certo punto fu distratta<br />
da una faccia, un uomo in piedi davanti<br />
a un cameraman, e quasi sbagliò<br />
le parole. Quell’uomo era un altro<br />
ospite dello show, Paul Simon.<br />
Paul Simon di Simon & Garfunkel, insomma.<br />
Aveva venticinque anni più<br />
di lei. Si sposarono quattro anni dopo<br />
e stanno ancora assieme.<br />
Cesare Cardini (24 febbraio 1896 – 3<br />
novembre 1956) era un ristoratore e albergatore<br />
di origine italiana a cui è attribuita<br />
l’invenzione della Caesar Salad.<br />
Era nato sul lago Maggiore e aveva almeno<br />
quattro fratelli: Alessandro, Carlotta,<br />
Caudencio e Maria. Mentre le sorelle<br />
rimasero in Italia, i tre fratelli emigrarono<br />
in America. Alessandro e Caudencio<br />
entrarono nella ristorazione a<br />
Città del Messico. Alessandro poi divenne<br />
socio di Cesare a Tijuana. Cesare aveva<br />
lavorato in Europa e si era trasferito<br />
negli Stati Uniti a vent’anni. Aprì un ristorante<br />
a Sacramento, e poi si spostò a il nome cerca di proporre il piatto ai<br />
storante di Tijuana che ha ereditato<br />
San Diego. Contemporaneamente aprì clienti che arrivano dall’altra parte<br />
anche a Tijuana, dove si poteva sfuggire del confine, ma loro sono diffidenti. Il<br />
alle regole del proibizionismo.<br />
cronista del New York Times si è fidato<br />
e l’ha trovata buonissima (adesso<br />
ha dentro anche parmigiano, ace-<br />
Dice il New York Times che il ristorante<br />
di Tijuana fa fatica a vendere<br />
le sue leggendarie insalate. La<br />
to, salsa Worcester, uova e senape).<br />
Caesar Salad sarebbe stata inventata Nessuna corrispondenza nei titoli delle<br />
pagine. La <strong>pagina</strong> “Gabriel Kahane”<br />
da Cardini una sera del 1924 che non<br />
c’era più niente da dare ai clienti: così<br />
aveva preso quel che c’era – insalatenzione!<br />
L’indice del database viene ag-<br />
non esiste. E’ possibile crearla ora. Atta,<br />
pezzi di pane, aglio – e l’aveva buttato<br />
in una scodella. Le acciughe le scritte recentemente potrebbero non<br />
giornato ogni 40 ore circa: le pagine<br />
avrebbe aggiunte Alessandro, secondo<br />
una versione. Il problema è che cerca.<br />
comparire ancora tra i risultati della ri-<br />
oggi ai turisti americani è sconsigliato<br />
di mangiare verdure crude in Messico,<br />
per timore che l’acqua con cui ne non c’è. Eppure a me il suo sem-<br />
Niente: la <strong>pagina</strong> su Gabriel Kaha-<br />
sono lavate non sia sufficientemente bra il più bel disco di questa stagione.<br />
Ho dovuto fare senza Wikipedia:<br />
pulita. E così l’attuale gestore del ri-<br />
Il musicista americano Gabriel Kahane è stato elogiato la scorsa settimana dal Wsj<br />
esperienza straniante. Ho scoperto<br />
che vive a Brooklyn, fa anche l’attore<br />
e l’autore teatrale, si attacca a ricche<br />
e colte citazioni letterarie, ma prima<br />
aveva anche messo in musica degli<br />
annunci trovati sul sito web Craigslist.<br />
Aveva suonato il piano e cantato<br />
con Sufjan Stevens, genio creativo<br />
musicale di gran culto in questi anni,<br />
e un po’ si sente. Il Wall Street Journal<br />
gli ha fatto un sacco di complimenti,<br />
due settimane fa, ricordando<br />
che è figlio di un grande pianista<br />
classico e direttore dell’Orchestra<br />
Sinfonica del Colorado. Io intanto sono<br />
diventato suo fan su Facebook:<br />
siamo ottantadue.<br />
Art Spiegelman (Stoccolma, 1948) è<br />
un autore di fumetti statunitense. Spiegelman<br />
è codirettore della rivista di fumetti<br />
e grafica Raw, di cui è stato uno<br />
dei fondatori, ed è tra gli artisti che hanno<br />
compilato e illustrato graficamente i<br />
lemmi del Futuro dizionario d’America<br />
(The Future Dictionary of America, pubblicato<br />
da McSweeney’s nel 2005). Ha<br />
pubblicato svariati lavori su riviste statunitensi<br />
come New York Times, Village<br />
Voice e New Yorker. In Italia le sue storie<br />
sono pubblicate dal settimanale Internazionale.<br />
Nel 1982 ha ricevuto il<br />
Premio Yellow Kid a Lucca. Attualmente<br />
insegna alla School of Visual Arts di<br />
New York. Art Spiegelman deve la sua<br />
fama principalmente ad un’unica opera,<br />
Maus, un romanzo (auto)biografico<br />
in fumetti pubblicato tra il 1973 ed il<br />
1991, dove si narra la storia del padre,<br />
Vladek Spiegelman, un ebreo polacco<br />
sopravvissuto alla Shoah.<br />
Maus, appunto. Qualche giorno fa<br />
Slate, il giornale online, ha analizzato<br />
la sua opera per cercare di capire<br />
se sia possibile per Spiegelman disegnare<br />
qualcos’altro di valido dopo<br />
Maus (che vinse un Pulitzer nel 1992).<br />
Di recente è stata ripubblicata una<br />
sua vecchia raccolta di storie, Breakdowns.<br />
Secondo Slate la metà della<br />
storia mancante in Maus (il diario di<br />
sua madre, bruciato da suo padre) è<br />
anche la metà della storia che manca<br />
a Spiegelman: Anja si suicidò nel<br />
1968. Spiegelman ne parla nell’introduzione<br />
a Breakdowns, e racconta di<br />
come lei gli comprò la sua prima rivista<br />
a fumetti (era Mad): “Ma non dirlo<br />
a tuo padre”. Nella postfazione,<br />
Spiegelman dice di avere nostalgia<br />
per quel disegnatore più eclettico e<br />
arrogante che era ai tempi delle storie<br />
di Breakdowns, prima di Maus.<br />
Secondo l’articolo di Slate è un’invidia<br />
che cela un senso di colpa, quello<br />
di ogni grande artista che ha creato<br />
una grande opera raccontando le<br />
sofferenze dei suoi cari. E gli schizzi<br />
che aveva dato al penultimo numero<br />
di McSweeney’s, la rivista di Dave Eggers,<br />
sembrano raccontare un uomo<br />
pieno di ansie e consapevolezza di sé<br />
e delle sue inadeguatezze. “Se la tua<br />
opera è l’Olocausto”, dice Slate, “dopo<br />
che fai?”.<br />
Fiorenzo Bava Beccaris (Fossano, 17<br />
marzo 1831 – Roma, 8 aprile 1924) è stato<br />
un generale italiano, noto soprattutto<br />
per la feroce repressione dei moti milanesi<br />
da lui guidata nel 1898. Dopo<br />
aver partecipato alla Guerra di Crimea<br />
e alle Guerre d’Indipendenza del 1859 e<br />
del 1866 (ottenendo il 6 dicembre 1866 il<br />
Cavalierato dell’Ordine Militare d’Italia),<br />
divenne Direttore generale d’artiglieria<br />
e genio al ministero della Guerra,<br />
e tenne il comando del VII° e del III°<br />
Corpo d’Armata.<br />
Nel maggio 1898, in occasione dei<br />
Art Spiegelman è un disegnatore<br />
americano, ha vinto il Pulitzer e la<br />
rivista Slate si chiede se sarà in<br />
grado di creare un nuovo Maus<br />
gravi tumulti milanesi – passati alla storia<br />
come la “Protesta dello stomaco” – il<br />
governo guidato da Antonio di Rudinì<br />
proclamò lo Stato d’Assedio e il generale,<br />
in qualità di Regio Commissario<br />
Straordinario, ordinò di sparare cannonate<br />
sulla folla provocando una strage.<br />
In segno di riconoscimento per quella<br />
che dalla monarchia fu giudicata una<br />
brillante azione militare, Bava-Beccaris<br />
ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto<br />
I la Gran Croce dell’Ordine Militare di<br />
Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un<br />
seggio al Senato. Il 29 luglio del 1900, a<br />
Monza, Umberto I venne assassinato<br />
dall’anarchico Gaetano Bresci, che dichiarò<br />
esplicitamente di aver voluto vendicare<br />
i morti del maggio 1898 e l’offesa<br />
della decorazione a Bava Beccaris, il<br />
quale definì il regicida “Un folle che meriterebbe<br />
di subire lo squartamento”. Fu<br />
collocato a riposo nel 1902.<br />
Bava Beccaris almeno lo collocarono<br />
a riposo, mica lo fecero senatore a<br />
vita.<br />
Altre voci che ho cercato questa settimana<br />
Lala.com<br />
Songs of faith and devotion<br />
Filippo Turati<br />
Apollo 11<br />
Prima Base<br />
Judith Miller<br />
Ascensori<br />
ANSA<br />
Gipi<br />
Tampa Bay