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ORGANO DELLA<br />
PASTORALE SANITARIA<br />
DELLA DIOCESI<br />
DI ROMA<br />
POSTE ITALIANE S.P.A.<br />
SPEDIZIONE ABB. POSTALE<br />
DL 353/2003 (CONV.IN L. 27/02/2004 N° 46)<br />
ART. 1 COMMA 2 DCB ROMA<br />
N. <strong>59</strong> giugno <strong>2009</strong>
Organo<br />
della Pastorale<br />
Sanitaria<br />
della <strong>Diocesi</strong><br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
Direzione, Redazione<br />
e Amministrazione<br />
Vicariato <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/a<br />
00184 <strong>Roma</strong><br />
Tel. 06/69886227 - Fax 06/69886182<br />
E-mail:<br />
CentroPastoraleSanitaria@VicariatusUrbis.org<br />
Sito: www.vicariatusurbis.org/sanita<br />
Direttore:<br />
✠ Armando Brambilla<br />
Direttore Responsabile:<br />
Angelo Zema<br />
Coor<strong>di</strong>namento Redazionale:<br />
Dr. Sergio Mancinelli<br />
Comitato <strong>di</strong> Redazione:<br />
Don Sergio Mangiavacchi,<br />
Padre Carmelo Vitrugno,<br />
Elide Rosati<br />
Maria Adelaide Fioravanti<br />
Amministrazione:<br />
Dr. Vincenzo Galizia<br />
E<strong>di</strong>tore:<br />
<strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
Piazza S. Giovanni in Laterano, 6/a<br />
00184 <strong>Roma</strong><br />
Tel. 06/69886227 - FAX 06/69886182<br />
Versamenti sul conto corrente postale<br />
n. 31232002<br />
Specificando la causale:<br />
“Pastorale Sanitaria 54-5-6”<br />
Perio<strong>di</strong>co Trimestrale Registrato<br />
al Tribunale <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
Reg. Stampa n. 200 del 12.4.95<br />
Finito <strong>di</strong> stampare l’11 giugno <strong>2009</strong><br />
per i tipi della PrimeGraf<br />
Tel. 062428352 (r.a.) - Fax 062411356<br />
E-mail: grafica@primegraf.it<br />
N. <strong>59</strong> giugno <strong>2009</strong><br />
SOMMARIO<br />
Il cammino è nella speranza PAG 3<br />
Per non riportare in<strong>di</strong>etro le lancette della storia 5<br />
Far dormire non è far morire 9<br />
Visita pastorale a Villa Pia<br />
Dopo la visita del Vescovo alla clinica Guarnieri<br />
La mia vita appartiene a Dio 11<br />
12ª E<strong>di</strong>zione del Premio “Il Buon Samaritano” 12<br />
Il centro <strong>di</strong> aiuto alla vita<br />
Eur S. Eugenio compie 10 anni - Ecco la storia 14<br />
Che cosa è la pillola RU 486 e perché esserne<br />
contrari - La carità - La vita è come er sole 17<br />
Cenni sulle problematiche della bioetica 18<br />
Pagine <strong>di</strong> vita 19<br />
Amare la Vita, fino alla fine<br />
I due precetti dell’amore 20<br />
La carezza del Papa a «Capitan Uncino» 22<br />
Testimonianza - Divin Salvatore!<br />
Er succo der Vangelo 23<br />
Teresa Orsini Doria Pamphilj Lante 24<br />
Lettera a Gesù - Il meglio <strong>di</strong> te<br />
Le stagioni della vita 27<br />
«Una vita spesa per amare» Padre Livio Petroselli 28<br />
Vita umana 29<br />
25° anniversario della morte del prof. Antonio<br />
Mosca e <strong>di</strong> suor Luciana Iezzi all’ospedale CTO 30<br />
Il terremoto dell’Aquila 31<br />
Prendersi cura 32<br />
Etica e Sanità 33<br />
Un punto <strong>di</strong> vista 34<br />
Preghiera alla Madonna della Salute 35<br />
Una lettura, anche spirituale, per l’estate:<br />
i racconti <strong>di</strong> Karen Blixen 36<br />
Un «anno sacerdotale» 38<br />
Sotto il segno del curato d’Ars 40<br />
Pellegrini in Terra Santa 41<br />
Invocazione allo Spirito Santo 43<br />
Fede, carità e anziani malati 44<br />
L’ospedale delle Grazie a porta Angelica 47<br />
ABBONAMENTO ANNUO:<br />
Socio sostenitore: É 51,00<br />
Comunità o Istituti: É 26,00<br />
Or<strong>di</strong>nario: É 16,00<br />
Sono sottoscrivibili abbonamenti cumulativi.<br />
2
IL CAMMINO È<br />
NELLA SPERANZA<br />
Il cammino nella speranza ci ha accompagnati<br />
quest’anno pastorale in un modo<br />
speciale, gra zie al nostro Vescovo, il<br />
Papa Benedetto XVI, che ci ha invitati<br />
a «Educarci alla speranza nella pre -<br />
ghiera, nell’azione, nella sofferenza»<br />
guidati dalla sua enciclica Spe salvi.<br />
Siamo stati invitati a sentire il «gusto<br />
del futuro», impegnati a vivere il presente<br />
con corag gio, alla scuola <strong>di</strong> Gesù<br />
maestro <strong>di</strong> vita.<br />
Educarci alla speranza ci ha continuamente<br />
spronati a ricercare i valori fondativi<br />
che danno respiro alla vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />
Il Papa ci ha detto nella sua enciclica<br />
che sono da valorizzare tutte le<br />
speranze umane, ma che queste non sono<br />
il tutto. «L’uomo ha bisogno <strong>di</strong> una<br />
speranza che vada oltre» (Spe salvi<br />
30). Questa speranza non può che essere<br />
Dio, che abbraccia l’universo, e in<br />
primis 1’uomo amato da Lui.<br />
«Quando, però, queste speranze si realizzano,<br />
appare con chiarezza che ciò<br />
non era, in real tà, il tutto. Si rende evidente<br />
che l’uomo ha bisogno <strong>di</strong> una<br />
speranza che vada oltre. Si rende evidente<br />
che può bastargli solo qualcosa<br />
d’infinito, qualcosa che sarà sempre<br />
più <strong>di</strong> ciò che egli possa mai raggiungere...<br />
Noi abbiamo bisogno delle speranze<br />
– più piccole o più gran<strong>di</strong> – che,<br />
giorno per giorno, ci mantengono in<br />
cammino. Ma senza la grande speranza,<br />
che deve superare tutto il resto,<br />
esse non bastano. Questa grande<br />
speranza può essere solo Dio, che abbraccia<br />
l’universo e che può proporci<br />
e donarci ciò che, da soli, non possiamo<br />
raggiungere. Proprio l’essere gra-<br />
tificato <strong>di</strong> un dono fa parte della speranza.<br />
Dio è il fondamento della speranza<br />
– non un qualsiasi Dio, ma quel<br />
Dio che possiede un volto umano e che<br />
ci ha amati sino alla fine: ogni sin golo<br />
e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno<br />
non è un al<strong>di</strong>là immaginario, posto<br />
in un futuro che non arriva mai;<br />
il suo regno è presente là dove Egli è<br />
amato e dove il suo amore ci raggiunge.<br />
Solo il suo amore ci dà la possibilità<br />
<strong>di</strong> perseverare con ogni sobrietà<br />
giorno per giorno, senza perdere lo<br />
slancio della speranza, in un mondo<br />
che, per sua natura, è imperfetto. E il<br />
suo amore, allo stesso tempo, è per noi<br />
la garanzia che esiste ciò che solo vagamente<br />
intuiamo e, tuttavia, nell’intimo<br />
aspettiamo: la vita che è veramente<br />
vita» (Spe salvi, 30-31).<br />
Il regno <strong>di</strong> Dio è presente già fin d’ora<br />
li dove «Egli è amato e dove il suo<br />
amore ci rag giunge». L’impegno <strong>di</strong><br />
ogni anno pastorale è quello <strong>di</strong> crescere<br />
personalmente e comunitariamente<br />
nell’amore del Signore, e renderlo presente<br />
nei luoghi <strong>di</strong> sofferenza; questo<br />
significa vivere e, in qualche modo, anticipare<br />
la speranza futura.<br />
Dice ancora il Papa al n. 27 della Spe<br />
salvi: «Chi viene toccato dall’amore<br />
comincia a in tuire che cosa propriamente<br />
sarebbe “vita”».<br />
L’impegno a rendere gli ospedali e i luoghi<br />
<strong>di</strong> cura, più umani, più pieni <strong>di</strong> vita,<br />
per un cristia no, non è un <strong>di</strong>scorso puramente<br />
filantropico, ma un impegno <strong>di</strong><br />
testimonianza dell’amore <strong>di</strong> Dio Padre,<br />
del figlio suo Gesù, della potenza dello<br />
Spirito Santo operante in noi e nel mon-<br />
3
do con dolcezza ma anche con forza.<br />
Questa profonda umanizzazione nel mistero<br />
trinitario <strong>di</strong>viene il terreno ideale<br />
per quel rinno vamento che tutti si auspicano,<br />
ma che non si realizza mai. Ciascun<br />
battezzato, e la comunità cri stiana<br />
nel suo insieme, presente in ospedale e<br />
nelle cliniche, deve continuamente progre<strong>di</strong>re<br />
nella immedesimazione al mistero<br />
della salvezza, per assumere sempre<br />
più la chiamata a con<strong>di</strong>videre la vita<br />
nei luoghi <strong>di</strong> cura e portarvi la speranza<br />
cristiana. Aiutare a rendere più umani i<br />
luoghi <strong>di</strong> cura, per noi cristiani, non è una<br />
cosa facoltativa ma un obbligo morale.<br />
Il mistero eucaristico<br />
L’Eucaristia, pane <strong>di</strong> vita.<br />
È nel mistero eucaristico che il <strong>di</strong>scepolo<br />
del Signore riscopre continuamente<br />
il significato portante della propria esistenza<br />
e del proprio agire, perché in esso<br />
trova i parametri per la sua vita d’amore,<br />
<strong>di</strong> donazione, <strong>di</strong> morte e risurrezione.<br />
L’eucaristia è il Viatico che alimenta<br />
la vita dell’uomo, destinato ad<br />
andare al <strong>di</strong> là della morte.<br />
È nell’incontro con Cristo sacramentale<br />
che si attua la vera vita, che si riscopre<br />
la luce per trovare il significato evangelico<br />
dell’esistenza, del soffrire, del vivere<br />
e del morire. Allora la bel lezza creatrice<br />
dell’eucaristia si traduce in un canto<br />
<strong>di</strong> lode e <strong>di</strong> ringraziamento al Dio che<br />
si è fatto, in Gesù Cristo, uomo per noi,<br />
ha preso su <strong>di</strong> sé la nostra debolezza, il<br />
nostro peccato, per riscattarci dal male<br />
e donarci la vita nuova, la vita eterna.<br />
Chiunque, nella fede, accolga il messaggio<br />
evangelico e lo celebri nell’assemblea<br />
liturgica scopre un significato<br />
nuovo della sua vita sana ma anche della<br />
sua vita malata.<br />
L’incontro con Cristo porta una trasformazione<br />
<strong>di</strong> tutte le nostre speranze e ci<br />
apre alla spe ranza eterna, della gioia che<br />
non avrà mai fine.<br />
La vocazione dell’uomo è quella <strong>di</strong> essere<br />
felice e vivere nella gioia: lo Spirito<br />
Santo donatoci dal Padre, per mezzo<br />
del figlio suo Gesù Cristo, ci plasma<br />
per renderci capaci <strong>di</strong> accogliere i doni<br />
<strong>di</strong> Dio che ci comunicano la vera gioia<br />
e la felicità, che si può provare anche<br />
nella prova e nel dolore.<br />
La bellezza della rivelazione <strong>di</strong> Gesù si<br />
può cogliere anche accostandoci all’uomo<br />
malato, an ziano, han<strong>di</strong>cappato, perché<br />
Gesù ci ha detto: «Ero ammalato e<br />
tu ti sei preso cura <strong>di</strong> me». Perciò accostiamo<br />
il malato come un «sacramento»,<br />
cioè la presenza dolorante <strong>di</strong><br />
Gesù, che continua la sua opera <strong>di</strong> salvezza<br />
attraverso la debolezza umana dell’uomo<br />
sofferente. Non dobbiamo<br />
<strong>di</strong>menti care che Gesù ha salvato il mondo<br />
sul letto della croce. D’altra parte non<br />
lasciamo mai mancare ai malati il sostegno<br />
eucaristico, il viatico ai moribon<strong>di</strong>,<br />
sacramento <strong>di</strong> salvezza per i vivi.<br />
Accompagniamo sempre con grande<br />
amore e partecipazione i viandanti della<br />
vita che sono segnati nella carne dalla<br />
malattia, ma che a volte sono più segnati<br />
nello spirito, perché vivono la paura<br />
dell’abbandono, della fragilità, della<br />
<strong>di</strong>pendenza, della solitu<strong>di</strong>ne, del sentirsi<br />
un peso per la fami glia e la società.<br />
Il conforto <strong>di</strong> Gesù eucaristico, pane del<br />
pellegrino, e la nostra vicinanza otterranno<br />
i miracoli dell’amore.<br />
Armando Brambilla<br />
Vescovo Ausiliare <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
Delegato per la Pastorale Sanitaria<br />
4
S<br />
econdo una felice consuetu<strong>di</strong>ne i do -<br />
cumenti del magistero della Chiesa condensano<br />
nelle prime parole il loro contenuto.<br />
Dignitas personae non fa ec -<br />
cezione. I due termini che compongono<br />
l’ultima istruzione della Congrega zione<br />
per la Dottrina della Fede evi denziano<br />
imme<strong>di</strong>atamente l’obiettivo del documento.<br />
La <strong>di</strong>gnità della perso na non<br />
può essere un proclama astrat to che<br />
in <strong>di</strong>versi momenti della storia si sente<br />
il bisogno <strong>di</strong> riaffermare; è molto <strong>di</strong><br />
più. Esprime, infatti, un fon damento<br />
reale, inequivocabile e non in balia <strong>di</strong><br />
arbitrarie interpretazioni sog gette al<br />
sentire del tempo. Nel sessan tesimo anniversario<br />
della Dichiarazione universale<br />
dei <strong>di</strong>ritti dell’uomo, questa istruzione<br />
viene a riba<strong>di</strong>re alcuni prin cipi<br />
che sembrano sempre più oscurati<br />
per il sorgere<br />
<strong>di</strong> nuovi <strong>di</strong>ritti che<br />
manifestano spesso<br />
un’inspiegabile<br />
e ingiustificata<br />
pretesa<br />
in<strong>di</strong>viduale.<br />
La <strong>di</strong>gnità<br />
della persona costituisce la base su cui<br />
ognuno costruisce la propria identità,<br />
le relazioni interper sonali che segnano<br />
la vita e la solida rietà che forma le<br />
<strong>di</strong>verse società spar se per il mondo intero.<br />
La <strong>di</strong>gnità della persona è una conquista<br />
faticosa dell’umanità, non una palla<br />
al piede per il suo progresso. Dimenticare<br />
il grande <strong>di</strong>battito e le battaglie che<br />
hanno segnato le <strong>di</strong>verse epoche stori -<br />
che, portando alla co<strong>di</strong>ficazione del principio<br />
d’uguaglianza <strong>di</strong> ogni persona e<br />
della sua irrinunciabile <strong>di</strong>gnità, equivarrebbe<br />
a riportare in<strong>di</strong>etro le lancet te della<br />
storia <strong>di</strong> alcuni secoli. Nessu no, si spera,<br />
vorrà cadere in una simile trappola<br />
col negare il principio basila re del vivere<br />
personale e sociale; è un fatto <strong>di</strong> tale<br />
evidenza che per fortuna va al <strong>di</strong> là degli<br />
schieramenti politici e ideologici così<br />
da imporsi come una realtà profondamente<br />
naturale e per questo universale.<br />
In un suo saggio sull’etica, il grande me<strong>di</strong>co<br />
Albert Schweitzer scriveva co sì:<br />
«Chiunque s’imbarca sulla navicella<br />
del rispetto della vita non è un naufra -<br />
go che va alla deriva; è, piuttosto, un<br />
passeggero intrepido che sa dove deve<br />
andare e come mantenere fermo il ti -<br />
mone nella giusta <strong>di</strong>rezione». L’imma -<br />
gine colpisce per la sua attualità e per la<br />
carica <strong>di</strong> verità che vi è contenuta; occuparsi<br />
oggi del tema della vita, d’altronde,<br />
equivale a inserirsi in un cammino<br />
che richiede una buona dose <strong>di</strong> coraggio<br />
e, soprattutto, una visione lungimirante.<br />
Intorno a questo<br />
tema, infatti,<br />
si gioca il<br />
Per non<br />
riportare in<strong>di</strong>etro le<br />
lancette della storia<br />
futuro della società,<br />
delle giovani<br />
generazioni che<br />
in questo momento sono<br />
inconsapevoli spettatri ci<br />
<strong>di</strong> quanto stiamo preparando per<br />
il loro modo <strong>di</strong> pensare e <strong>di</strong> comportarsi<br />
e della stessa Chiesa che tocca con<br />
mano quanto la missione dell’evange -<br />
lizzazione sia sempre una sfida aperta sul<br />
terreno della storia. L’annuncio della vita<br />
appartiene al DNA della Chiesa perché<br />
è testimone <strong>di</strong>retta non solo del pieno valore<br />
che la vita perso nale possiede, ma<br />
soprattutto perché annuncia una vita che<br />
ha vinto il limite della morte. E intorno<br />
a questa <strong>di</strong> mensione che si incontrano e<br />
scontrano le varie visioni sulla vita umana,<br />
ma è anche questo lo spazio dove ven -<br />
gono a confluire le domande che ri -<br />
chiedono una risposta carica <strong>di</strong> senso,<br />
non più soggetta alle ipotesi o teorie <strong>di</strong><br />
lavoro, ma capace <strong>di</strong> dare certezza per<br />
permettere <strong>di</strong> costruire la vita <strong>di</strong> ognuno<br />
su un fondamento reale, stabi le e sicuro.<br />
La cultura contemporanea si evolve costantemente<br />
nella ricerca <strong>di</strong> nuove for-<br />
5
me sperimentali che consentano <strong>di</strong> esprimere<br />
al meglio la propria esisten za nonostante<br />
la spada <strong>di</strong> Damocle dell’imprevisto,<br />
della malattia non programmata<br />
e della morte inevitabi le. Ogni giorno il<br />
progresso della tec nica mentre, da una<br />
parte, spalanca nuovi orizzonti che permettono<br />
fortunatamente <strong>di</strong> superare la<br />
sofferenza e il dolore, dall’altra pone<br />
sempre nuovi interrogativi che si estendono<br />
inevita bilmente all’istanza etica<br />
per le impli canze che possiedono. Merito<br />
<strong>di</strong> Dignitas personae è quello <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re<br />
con forza e a più riprese il valore<br />
dell’etica nella scienza, nella sperimentazione<br />
e nelle<br />
varie tecnologie biome<strong>di</strong>che.<br />
Qualcuno,<br />
in nome del progresso,<br />
vor rebbe eliminare<br />
tout court<br />
l’etica da questi ambiti.<br />
Tentativo impossibile<br />
perché ciò<br />
che si vorrebbe far<br />
uscire dalla porta entrerebbe<br />
<strong>di</strong> nuovo<br />
con insistenza dalla<br />
finestra per rimanere<br />
in casa a <strong>di</strong>spetto<br />
<strong>di</strong> quanti ne vorreb bero l’eliminazione.<br />
L’etica appartiene all’uomo <strong>di</strong> ogni tempo<br />
e <strong>di</strong> ogni cul tura; è una con<strong>di</strong>zione<br />
car<strong>di</strong>ne dell’uo mo nella sua ricerca <strong>di</strong><br />
felicità. Porla fuori gioco equivarrebbe<br />
a imporre spazi in cui entra solo la regola<br />
del più forte <strong>di</strong> turno, per le ingenti<br />
risor se finanziarie che si sono investite<br />
in questi ampi spazi della nuova<br />
econo mia. Dignitas personae presenta<br />
molti degli interrogativi che tanti si pongono<br />
<strong>di</strong>nanzi al progresso delle tecnologie<br />
e che soprattutto nell’ingegneria<br />
geneti ca presentano tratti talmente nuovi<br />
da affascinare, ma non per questo da<br />
ap parire meno problematici. Il campo <strong>di</strong><br />
indagine è ampio e più si entra nel mistero<br />
della materia, per paradossale che<br />
possa sembrare, più l’enigma inve ce <strong>di</strong><br />
restringersi e condurre a soluzio ni si<br />
espande a <strong>di</strong>smisura e non smette <strong>di</strong> provocare<br />
meraviglia e stupore. I problemi<br />
etici intorno al tema della vi ta proprio<br />
per questo si moltiplicano e spesso sembrano<br />
entrare in conflitto realtà che sono<br />
chiamate invece a col laborare per una<br />
soluzione che trovi l’accordo della scienza<br />
con il principio etico.<br />
Non è necessario credere in Dio per sapere<br />
che la vita è un bene prezioso e un<br />
dono <strong>di</strong> cui dobbiamo essere grati e riconoscenti<br />
a qualcuno. La scoperta esistenziale<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere<br />
da qualcuno<br />
non è un dogma della<br />
Chiesa ma un<br />
principio filosofico<br />
ovvio e universal -<br />
mente accolto. E<br />
proprio nel riconoscimento<br />
<strong>di</strong> questa<br />
relazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>pen -<br />
denza che nasce la<br />
consapevolezza della<br />
gratuità e dell’enigmaticità<br />
dell’esi -<br />
La vita è un bene prezioso.<br />
stenza. Avrei potuto<br />
non essere, eppu re, non sono il frutto<br />
della casualità. Sono stato pensato, desiderato,<br />
voluto: questo è ciò che ogni<br />
uomo alla fine pensa <strong>di</strong> sé per non lasciare<br />
la propria . vita nel vago e nel<br />
vuoto dell’indeter minatezza. La vita<br />
umana non è un esperimento da laboratorio,<br />
ma un at to d’amore che segna<br />
per sempre l’esi stenza. Per questo è un<br />
bene inviolabi le e in<strong>di</strong>sponibile che<br />
ogni or<strong>di</strong>namen to giuri<strong>di</strong>co è costretto<br />
a porre a pro prio fondamento. Succede,<br />
purtroppo, che in alcuni casi questo<br />
principio venga violato e contraddetto.<br />
Ciò non costituisce una conquista che<br />
rende al cuni Paesi più evoluti <strong>di</strong> altri;<br />
al con trario, è ciò che rende evidente,<br />
6
purtroppo, la contrad<strong>di</strong>zione in cui cadono<br />
quando si pongono nel cono d’om -<br />
bra del relativismo.<br />
In questo contesto, una riflessione <strong>di</strong> particolare<br />
interesse merita il richiamo <strong>di</strong><br />
Dignitas personae al tema della scienza<br />
e della ricerca. L’istruzione fin dall’inizio<br />
della sua argomentazione esprime fiducia<br />
nella scienza, riconosce gli ingenti<br />
progressi che si sono verifi cati per la<br />
passione e la de<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> tanti scienziati<br />
ed esprime il suo giu<strong>di</strong> zio positivo per<br />
quanto l’ulteriore ri cerca potrà compiere<br />
a favore dell’u manità per debellare alcune<br />
malattie e ridurre il dolore e la sofferenza:<br />
«Negli ultimi decenni le scienze<br />
me<strong>di</strong>che hanno sviluppato in modo<br />
considerevole le loro conoscenze sulla<br />
vita umana negli sta<strong>di</strong> iniziali della sua<br />
esistenza. Esse sono giunte a conoscere<br />
meglio le strutture biologiche dell’uomo<br />
e il processo della sua generazione.<br />
Questi svi luppi sono certamente<br />
positivi e meri tano <strong>di</strong> essere sostenuti<br />
quando servono a superare o a<br />
correggere patologie e concorrono a<br />
ristabilire il normale svolgimento dei<br />
processi generativi» (Dignitas personae,<br />
n. 4). Sarebbe ingiusto che i commentatori<br />
<strong>di</strong> questo documento soprassedessero<br />
su queste riflessioni per procedere<br />
imme<strong>di</strong>atamente alla contestazione<br />
circa il giu<strong>di</strong> zio negativo dato su<br />
alcuni aspetti della sperimentazione. Non<br />
sarà da <strong>di</strong> menticare un principio fondamentale<br />
dell’ermeneutica, la quale richiede<br />
che un’espressione sia letta e interpretata<br />
all’interno del contesto e della<br />
globali tà del testo, non astraendola dal<br />
tutto e alterandone il significato. Se,<br />
comun que, il documento non ha remore<br />
nel riconoscere ed esprimere un giu<strong>di</strong>zio<br />
positivo sul progresso della scienza i vari<br />
ambiti della ricerca me<strong>di</strong>ca, non ha<br />
neppure timore nel dover constatare come<br />
la sperimentazione sull’embrione<br />
possa portare alla sua <strong>di</strong>struzione. Que-<br />
Soccorrere una vita umana è compiere un atto <strong>di</strong> amore.<br />
sto fatto, oltre a essere intrinsecamente<br />
male perché parte dal presupposto che in<br />
quell’embrione non vi sia vita veramente<br />
umana, contrad<strong>di</strong>ce ogni forma <strong>di</strong> rispetto<br />
dovuto alla <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> un essere<br />
umano vivente. Un passaggio importante<br />
viene richiamato dall’istruzione perché<br />
porta una novità, soprattutto se confrontata<br />
con il documento Donum vitae<br />
della stessa Congregazione. Si legge infatti:<br />
«La realtà dell’essere umano per<br />
tutto il corso della sua vita, prima e dopo<br />
la nascita, non consente <strong>di</strong> affermare<br />
né un cambiamento <strong>di</strong> natura né<br />
una gradualità <strong>di</strong> valore morale poiché<br />
possiede una piena qualificazione<br />
antro pologica ed etica. L’embrione<br />
umano, quin<strong>di</strong>, ha fin dall’inizio la <strong>di</strong>gnità<br />
propria della persona» (Dignitas<br />
personae, n. 5). Come si nota non si affer -<br />
ma esplicitamente che l’embrione è «persona»<br />
per non entrare nel merito del complesso<br />
<strong>di</strong>battito filosofico e giu ri<strong>di</strong>co; in<br />
ogni caso, implicitamente si ammette che<br />
lo sia perché se ne rico nosce la «<strong>di</strong>gnità»<br />
dovuta alla perso na. La cosa non è <strong>di</strong> poco<br />
conto per il giu<strong>di</strong>zio morale e per la<br />
valutazione che si è chiamati a compiere<br />
nei confronti delle varie tecniche sperimentali.<br />
Dignitas personae si muove giustamente<br />
con prudenza quando si trova a dover<br />
7
Anche la persona malata ha la sua <strong>di</strong>gnità.<br />
giu<strong>di</strong>care sperimentazioni con fi nalità terapeutiche<br />
che ancora non hanno ottenuto<br />
il consenso della co munità scientifica<br />
e si muovono su un terreno che richiede<br />
ulteriore stu<strong>di</strong>o e riflessione (cfr. n. 26).<br />
Quando, invece, deve affrontare casi concreti<br />
che già permettono <strong>di</strong> verificare<br />
quanto avvie ne nell’abuso delle cellule<br />
embrionali o degli stessi embrioni allora<br />
il suo giu <strong>di</strong>zio si fa moralmente certo senza<br />
lasciare spazio a dubbi. Le parole del<br />
documento in questi casi riflettono non<br />
solo la giusta preoccupazione che la Chiesa<br />
manifesta in proposito, ma ri ba<strong>di</strong>scono<br />
giustamente anche il male intrinseco che<br />
queste azioni posseggono quando viene<br />
meno il principio fondamentale del rispetto<br />
della <strong>di</strong>gnità e dell’uguaglianza degli<br />
esseri umani. È bene, pertanto, che si<br />
possa <strong>di</strong>stin guere nell’argomentazione <strong>di</strong><br />
Dignitas personae quanto serve per una<br />
finalità terapeutica, che non solo viene<br />
appro vata moralmente come lecita ma an -<br />
che sostenuta perché possa produrre <strong>di</strong><br />
più; e quanto, invece, <strong>di</strong>venta arbitrio in<strong>di</strong>viduale<br />
che impone il sacrificio <strong>di</strong> essere<br />
umani oppure la loro selezione eugenetica.<br />
Dignitas personae si richiama ad alcuni<br />
principi fondamentali che, come s’è accennato,<br />
hanno il loro fondamento nella<br />
<strong>di</strong>gnità della persona, nell’uguaglianza<br />
tra tutti gli esseri umani e nella profes-<br />
sione <strong>di</strong> fede che attesta ogni persona essere<br />
«immagine <strong>di</strong> Dio» (cfr. n. 8). Come<br />
si nota, i primi sono principi che la ragione<br />
raggiunge nel suo riflettere sulla<br />
realtà, mentre l’essere immagine <strong>di</strong> Dio<br />
Trinità è frutto della fede. Proprio l’unità<br />
<strong>di</strong> questa prospettiva dovrebbe aiutare a<br />
comprendere meglio l’intrinseco valore<br />
che la vita umana possiede e come la sua<br />
e inviolabilità e sacralità non siano altro<br />
che due facce della stessa medaglia. Giustamente<br />
l’istruzione afferma: «Non c’è<br />
contrapposizione tra l’affermazione<br />
della <strong>di</strong>gnità e quella della sacralità della<br />
vita umana» (n. 7). È su questa strada<br />
che gli scienziati dovrebbero porsi perché<br />
la loro ricerca sia il più possibile<br />
conforme ai principi etici e capace <strong>di</strong> superare<br />
eventuali conflitti che potrebbero<br />
venire a crearsi con i giu<strong>di</strong>zi etici e morali<br />
presenti nei <strong>di</strong>versi contesti culturali,<br />
religiosi e sociali. Forse, potrebbe richiedere<br />
più tempo e investimenti maggiori,<br />
ma la certezza <strong>di</strong> compiere qualcosa<br />
<strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario che permette <strong>di</strong> collaborare<br />
con il Creatore <strong>di</strong> tutto l’universo<br />
non dovrebbe creare dubbi. La vera<br />
scienza si coniuga con l’umiltà non con<br />
l’arroganza; essa si nutre <strong>di</strong> gratuità<br />
non <strong>di</strong> facile guadagno. Il rispetto che<br />
si richiede per la propria persona e per il<br />
lavoro che si svolge a servizio <strong>di</strong> tutti invoca<br />
uguale consapevolezza che nella<br />
propria ricerca si sta toccando qualcosa<br />
che non è neutrale o generico, ma è vita<br />
umana che impone a tutti, nessuno escluso,<br />
il rispetto per la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> cui è rivestita.<br />
Dignitas personae, pertanto, viene<br />
a ricordare il carattere inviolabile<br />
della vita umana: un valore che si applica<br />
a tutti senza <strong>di</strong>stinzione alcuna.<br />
Una sfida che, se accolta, può rappresentare<br />
una tappa significativa per il progresso<br />
coerente dell’umanità.<br />
S. E. Mons. Rino Fisichella<br />
Arcivescovo presidente della<br />
Pontificia Accademia per la Vita<br />
8
«<br />
I<br />
La sedazione palliativa<br />
nei malati terminali<br />
Far dormire<br />
non è far morire<br />
o dormo ma il mio cuore veglia» (Cantico<br />
dei Cantici, 5, 2). L’uomo <strong>di</strong> ogni<br />
tempo ha sempre avvertito come strettamente<br />
imparentati il sonno e la morte.<br />
Una delle più evidenti <strong>di</strong>mostrazioni<br />
<strong>di</strong> ciò si ha nel pensiero mitologico<br />
greco: Hýpnos, il sonno, e Thànatos, la<br />
morte, sono <strong>di</strong> vinità figlie <strong>di</strong> un’unica<br />
madre, Nýx, la notte. Espressioni come<br />
«riposare», «dormire il sonno eterno»<br />
e altre simi li, frequentemente leggibili<br />
sulle lapi<strong>di</strong> dei nostri cimiteri, ci ricordano<br />
come anche nella tra<strong>di</strong>zione cristiana<br />
il var care la soglia della morte sia<br />
spesso stato visto come un riposare in<br />
attesa della resurrezione. Il Vangelo stesso<br />
riporta alcuni episo<strong>di</strong> della vita <strong>di</strong> Gesù<br />
in<strong>di</strong>cativi in tal senso, uno per tutti<br />
quello descritto in Matteo (9, 23-26),<br />
nel quale la protagonista è una fan ciulla<br />
che Gesù resuscita dopo aver detto «non<br />
è morta ma dorme».<br />
E forse per tali ragioni storiche e culturali<br />
che in campo me<strong>di</strong>co l’indu zione<br />
farmacologica del sonno allo scopo <strong>di</strong><br />
alleviare il dolore, ad esem pio durante<br />
pratiche chirurgiche, è sempre stata avvertita<br />
come una fase delicata e gravida<br />
<strong>di</strong> molti timori, pri mo fra tutti quello <strong>di</strong><br />
non riacquistare lo stato <strong>di</strong> coscienza al<br />
termine del trattamento; e questo parimenti<br />
po trebbe essere il terreno nel quale<br />
af fondano le ra<strong>di</strong>ci della paura con la<br />
quale i pazienti gravi e i loro familiari<br />
continuano, a livello conscio e incon -<br />
scio, a vivere la notte come ancora madre<br />
del sonno e della morte, mo mento <strong>di</strong><br />
solitu<strong>di</strong>ne, passaggio oscuro.<br />
La pratica <strong>di</strong> indurre il sonno profondo<br />
me<strong>di</strong>ante la somministrazione <strong>di</strong> farmaci<br />
non è esclusiva della chi rurgia; anche<br />
la me<strong>di</strong>cina palliativa, nelle fasi terminali<br />
<strong>di</strong> malattie degene rative croniche<br />
come i tumori, può farvi ricorso a<br />
precise con<strong>di</strong>zioni: si parla in tali casi<br />
<strong>di</strong> sedazione farma cologica o sedazione<br />
palliativa. A que sto proposito è stato<br />
qualche tempo fa pubblicato dall’agenzia<br />
Fides della Congregazione per<br />
l’evangelizzazione dei popoli un dossier<br />
che tra le altre problematiche <strong>di</strong> fine<br />
vita affronta an che quella della sedazione<br />
farmacolo gica nell’ambito appunto<br />
della me<strong>di</strong> cina palliativa. Il documento<br />
ci permette <strong>di</strong> fare alcune considerazioni<br />
su una questione tanto delicata<br />
dal pun to <strong>di</strong> vista bioetico quanto<br />
frequentemente bistrattata dai mass me<strong>di</strong>a<br />
in occasione <strong>di</strong> casi eclatanti finiti<br />
sulle prime pagine <strong>di</strong> giornali e notiziari<br />
te levisivi.<br />
La sedazione farmacologica, quan do è<br />
profonda, continua e intenziona le, consiste<br />
nella somministrazione <strong>di</strong> un farmaco<br />
con lo scopo <strong>di</strong> far perdere la coscienza<br />
a un malato in fase terminale<br />
gravato dalla presenza <strong>di</strong> uno o più sintomi<br />
refrattari. Tale de finizione permette<br />
<strong>di</strong> far emergere quelle precise con<strong>di</strong>zioni<br />
alle quali so pra ci riferivamo e che,<br />
allo scopo <strong>di</strong> fugare qualsiasi dubbio,<br />
possiamo esa minare con or<strong>di</strong>ne.<br />
Innanzitutto il nome: «sedazione farmacologica».<br />
Sarebbe bene non utilizzare<br />
l’espressione «sedazione ter -<br />
minale» dal momento che quest’ulti ma<br />
potrebbe indurre a pensare che la sedazione,<br />
in alcuni casi, rivesta il ruolo <strong>di</strong><br />
9
una pratica eutanasica volta ad abbreviare<br />
intenzionalmente la vi ta <strong>di</strong> un paziente.<br />
Un importante do cumento della<br />
European Association of Palliative Care<br />
del 2003 è chiarissi mo in proposito:<br />
a livello <strong>di</strong> intenzio ne, <strong>di</strong> procedura utilizzata<br />
e <strong>di</strong> risul tato ottenuto la sedazione<br />
è tutt’altra cosa rispetto all’eutanasia.<br />
L’intenzio ne è infatti quella <strong>di</strong> far<br />
fronte a sintomi refrattari e non <strong>di</strong> uccidere<br />
il malato, la procedura esclude la<br />
som ministrazione <strong>di</strong> farmaci letali e il<br />
ri sultato è quello <strong>di</strong> far dormire profon -<br />
damente il paziente, non <strong>di</strong> ucciderlo.<br />
Questo è talmente vero che gli stu<strong>di</strong> delle<br />
curve <strong>di</strong> sopravvivenza <strong>di</strong> malati sedati<br />
rispetto a quelli non sedati a parità<br />
<strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni cliniche iniziali mostrano<br />
una sopravvivenza maggiore nel primo<br />
gruppo, rendendo in tal modo perfino<br />
superfluo il ricorso al principio del doppio<br />
effetto per giusti ficare eticamente<br />
tale procedura.<br />
In secondo luogo i farmaci: le ben -<br />
zo<strong>di</strong>azepine sono i più frequentemente<br />
utilizzati per ottenere il sonno profon -<br />
do. Né la morfina – largamente usa ta<br />
per il controllo del dolore, della <strong>di</strong> spnea,<br />
cioè della sensazione <strong>di</strong> fame d’aria, e<br />
della tosse in fase avanzata <strong>di</strong> malattia<br />
– né i cocktail <strong>di</strong> più molecole dovrebbero<br />
trovare appli cazione in tal campo.<br />
Inoltre la definizione so pra fornita parla<br />
<strong>di</strong> «malato terminale»: la sedazio ne<br />
farmacologica è e deve restare pratica<br />
rara in cure palliative, riservata a quei<br />
casi che si trovano a po chissimi giorni<br />
dal naturale decesso, a volte a poche ore.<br />
I maggiori centri euro pei <strong>di</strong> cure palliative<br />
riferi scono <strong>di</strong> percentuali <strong>di</strong> malati<br />
sedati che in genere non superano il<br />
5 o 10 per cento del totale dei pazienti<br />
seguiti e ciò è ampiamente confermato<br />
anche dalla no stra esperienza degli ultimi<br />
<strong>di</strong>eci anni.<br />
Infine i sintomi per i quali si decide <strong>di</strong><br />
intervenire sedando il malato devono<br />
essere rigorosamente «refrattari»; devono<br />
cioè essere intrattabili con i comuni<br />
farmaci che non alterano lo stato<br />
<strong>di</strong> coscienza. Ci sentiamo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che oltre<br />
ai farmaci ogni misura terapeutica<br />
nel senso più pieno del termine deve essere<br />
tentata prima <strong>di</strong> considerare realmente<br />
«refrattario» un sintomo; se questo<br />
è vero per i sintomi fisici lo è ancora<br />
<strong>di</strong> più per quelli psi chici, originati o<br />
esacerbati dall’ab bandono terapeutico<br />
e umano nel quale si trovano spesso i<br />
malati in fin <strong>di</strong> vita. «La richiesta <strong>di</strong><br />
farla finita – scriveva Paolo Cattorini<br />
– è per lo più una travestita domanda<br />
<strong>di</strong> confor to: per l’incuria e il silenzio<br />
in cui mi avete confinato, chiedo<br />
<strong>di</strong> venir sot tratto a patimenti che,<br />
da solo, non riuscirei a sopportare».<br />
Il triste caso <strong>di</strong> Piergiorgio Welby ci permette<br />
infine <strong>di</strong> fare un esempio <strong>di</strong> quanto<br />
sia fondamentale l’esattezza terminologica<br />
nel trattare argomenti così<br />
complessi e ricchi <strong>di</strong> implicazioni etiche:<br />
si è letto più volte che la seda zione<br />
farmacologica sarebbe stata uti lizzata,<br />
nel caso in questione, come mezzo per<br />
ottenerne la morte. Le cose stanno <strong>di</strong>versamente;<br />
e ancora una volta «assolvono»<br />
la sedazione farma cologica:<br />
Welby è morto per l’insuffi cienza respiratoria<br />
provocata dalla so spensione<br />
della respirazione artificiale. Dal momento<br />
che tale manovra avrebbe inevitabilmente<br />
provocato l’atroce sofferenza<br />
<strong>di</strong> una morte ac compagnata dalla sensazione<br />
<strong>di</strong> soffo camento, il paziente è<br />
stato sedato profondamente prima del<br />
<strong>di</strong>stacco del respiratore.<br />
Il sonno ha preceduto la morte, non l’ha<br />
causata; solamente eliminan do i problemi<br />
che sempre derivano dalla coscienza<br />
ha fatto cadere con es sa le ultime<br />
primor<strong>di</strong>ali <strong>di</strong>fese oltre le quali è rimasto<br />
solo un volto da contemplare nella<br />
sua fragilità. Tornano alla mente le<br />
parole <strong>di</strong> Lévinas: «L’as soluta nu<strong>di</strong>tà<br />
del volto, questo volto assolutamente<br />
in<strong>di</strong>feso, senza schermo, senza abito,<br />
senza maschera, è tuttavia ciò che si<br />
oppone al mio potere su <strong>di</strong> esso».<br />
Fer<strong>di</strong>nando Cancelli<br />
10
Visita pastorale<br />
a Villa Pia<br />
Martedì 28 aprile scorso, accolto dalla<br />
squisita cortesia delle sorelle Bottari, titolari<br />
della Casa <strong>di</strong> Cura e dal Dr. Massimo<br />
Cicchinelli responsabile me<strong>di</strong>co,<br />
S. E. Mons. Armando Brambilla Vescovo<br />
Ausiliare <strong>di</strong> <strong>Roma</strong> e delegato per la<br />
Pastorale Sanitaria negli Ospedali, ha<br />
fatto visita alla clinica Villa Pia. Nella<br />
raccolta e suggestiva cappella, alla presenza<br />
del cappellano Don Luis Fernando<br />
Yepes Acevedo concelebrante e delle<br />
suore della Passione <strong>di</strong> Nostro Signore<br />
Gesù Cristo che prestano il loro servi-<br />
zio apostolico nella struttura, insieme ad<br />
alcune rappresentanze <strong>di</strong> operatori sanitari<br />
me<strong>di</strong>ci e parame<strong>di</strong>ci e <strong>di</strong> pazienti, ha<br />
avuto luogo la celebrazione della S. Messa.<br />
È seguita una lunga visita a tutti i reparti<br />
(me<strong>di</strong>cina, chirurgia, ginecologia e<br />
ostetricia, urologia) ove il Vescovo è sostato<br />
bene<strong>di</strong>cente avendo per ogni sofferente<br />
parole <strong>di</strong> conforto e <strong>di</strong> augurio.<br />
Dopo una breve pausa negli uffici della<br />
Direzione è seguito un rinfresco e la visita<br />
si è conclusa. Le nostre più vive congratulazioni<br />
alla proprietà per l’eccellenza<br />
delle strutture alberghiere e la ricca<br />
dotazione dei servizi. Grande la <strong>di</strong>sponibilità<br />
del personale che vi presta la<br />
sua opera. Ad maiora!<br />
Dr. Sergio Mancinelli<br />
Dopo la visita del Vescovo<br />
alla clinica Guarnieri<br />
Eccellenza Reveren<strong>di</strong>ssima non è solo<br />
il dovere la ragione <strong>di</strong> questa lettera<br />
<strong>di</strong> ringraziamento, ma è la certezza<br />
<strong>di</strong> averLa avuta come ospite illustre<br />
nella nostra comunità sanitaria, che<br />
per anni, unico presi<strong>di</strong>o ospedaliero<br />
nella parte sud orientale della città <strong>di</strong><br />
<strong>Roma</strong>, l’hanno contrad<strong>di</strong>stinta e caratterizzata.<br />
È a fianco <strong>di</strong> persone come Lei , che<br />
partecipano attivamente e <strong>di</strong>vulgano<br />
con la propria testimonianza «la presenza<br />
e l’azione della Chiesa per recare<br />
luce e la grazia del Signore a coloro<br />
che soffrono e a quanti ne prendono<br />
cura» che troviamo la forza per<br />
continuare nella nostra missione.<br />
È stata una bella esperienza che tutti<br />
hanno vissuto intensamente.<br />
La ringrazio sentitamente.<br />
dott. Domenico Zerella<br />
La mia vita<br />
appartiene a Dio<br />
Il 24 luglio voi mi deste la vita<br />
Io l’ho vissuta sempre<br />
In vostra compagnia<br />
E spero <strong>di</strong> finirla con voi<br />
E così sia.<br />
Gran<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazioni e gioie<br />
Mi avete concesso<br />
Anche se nel declino<br />
Ove mi trovo adesso<br />
Qualche affanno mi angustia<br />
Forse perché ho peccato<br />
E spesso son costretto<br />
Ad essere ammalato.<br />
Son contento lo stesso<br />
Perché so che il mio io<br />
Un giorno potrà essere<br />
Vicino a voi<br />
Mio Dio.<br />
Aldo Longo Bifano<br />
11
Anche quest’anno, così come ormai avviene da ben do<strong>di</strong>ci anni,<br />
dome nica 17 maggio la famiglia della Pastorale Sanitaria si è<br />
ritrovata, sempre numerosa, presso il teatro della parrocchia della<br />
Natività in Via Gallia per l’attribuzione del premio «Il Buon Samaritano».<br />
In apertura S.E. Mons. Armando Brambilla, ideatore del «Premio», ha<br />
rivolto il suo saluto ai presenti sottolineando che il riconoscimento del<br />
«Buon Samaritano», in questi 12 anni, ha premiato un folto numero <strong>di</strong><br />
persone appartenenti a <strong>di</strong>verse categorie (sacerdoti, suore, infermieri,<br />
volontari, gruppi ed associazioni, ammalati, familiari, alla memoria).<br />
In tutti i destinatari è stata evidenziata una innata<br />
vocazione a donarsi agli altri in silenzio,<br />
senza fare chiasso e soprattutto senza mai pubblicizzare<br />
il lo ro operato in favore dei più sfortunati,<br />
degli ultimi e degli infermi, sempre<br />
cercando <strong>di</strong> lenire ed alleviare i tanti mali che<br />
affliggono l’umanità.<br />
Per il rituale intrattenimento, padre Carmelo<br />
Vitrugno – cappellano dell’ospedale S.<br />
Pertini – ha invitato due giovani ricercatori<br />
dell’Istituto Superiore <strong>di</strong> Sanità, appassionati<br />
<strong>di</strong> musica: Giampaolo ed Antonella.<br />
Per oltre un’ora ci hanno allietato con<br />
belle melo<strong>di</strong>e esibendosi in vari brani <strong>di</strong><br />
musica sacra (una particolare «Ave Maria»)<br />
e <strong>di</strong> mu sica leggera con canzoni <strong>di</strong> Celentano, Matia Bazar,<br />
etc. Le ottime doti canore dei giovani artisti hanno riscosso il gra<strong>di</strong>mento<br />
del nu trito pubblico che ha tributato loro lunghi applausi.<br />
Dopo l’intervallo musicale si è entrati nel vivo della consegna dei riconoscimenti<br />
con la collaborazione della giornalista Maria Grazia Giordano,<br />
presidente dell’associazione S.O.S. Alzheimer, che si è gentilmente<br />
prestata al ruolo della «presentatrice».<br />
Per i cappellani è stato premiato Mons. Giacomino Feminò del com -<br />
plesso Columbus che si è sempre pro<strong>di</strong>gato senza risparmio per chiun -<br />
que fosse bisognoso <strong>di</strong> aiuto.<br />
Per i me<strong>di</strong>ci la targa è stata attribuita «alla memoria» al dr. Ste fano<br />
Ricciar<strong>di</strong> che visse sempre la sua professione con spirito missionario<br />
ed al dr. Michelangelo Malacrinis che nell’ambito della Caritas ha<br />
prestato le sue cure agli immigrati assumendo anche l’incarico <strong>di</strong> re-
sponsabile per l’assistenza ai malati <strong>di</strong> AIDS. Ora è <strong>di</strong>rettore del centro<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi e cura dell’ipertensione dell’ospedale S. Giovanni-Addolorata.<br />
È stata poi la volta dei volontari che si spendono per i malati assistendoli<br />
con <strong>di</strong>screzione, amorevolezza, costanza ed entusiasmo: Brixia Aprile<br />
(Arvas), Jole Cevoli, Adriana Rosini e Rossana Di Paolo (Arvas ospedale<br />
S. Giovanni-Addolorata), Maria <strong>Roma</strong>na Rinal<strong>di</strong> (Opera ospedaliera<br />
S. Vincenzo de’ Paoli), Iolanda Farina (ospedale S. Pertini), Gabriella<br />
Bossi e Lucia Ferretti (ospedale G. B. Grassi <strong>di</strong> Ostia), Nino Pinna<br />
(Mini stro della Comunione ospedale S. Eugenio), Maria Palumbo<br />
(Arvas e catechi sta parrocchia S. Monica <strong>di</strong> Ostia), Serena Pagliari (Arvas<br />
ospedale S. Eugenio) ed infine Antonio<br />
Grottoli, ex carabiniere che più volte<br />
si è fatto carico, con generosità, <strong>di</strong> varie<br />
problematiche inerenti la salute psico-fisica<br />
<strong>di</strong> persone ospiti <strong>di</strong> ospedali e<br />
case <strong>di</strong> cura.<br />
Anche gli infermieri Maria Antonietta<br />
Nardella (ospedale S. Eugenio) ed alcune<br />
appartenenti alla Scuola Convitto Regina<br />
Elena (SCRE) del Policli nico Umberto<br />
I, hanno ritirato la targa loro assegnata<br />
per l’impegnativo lavoro svolto<br />
con i malati svolgendo la loro professione<br />
con grande preparazione e generosità.<br />
Per i gruppi il premio è stato attribuito ai «volontari ed operatori per i malati<br />
<strong>di</strong> Alzheimer e <strong>di</strong> demenza» (O.M.A.) per 1’impegno, la de<strong>di</strong>zione e<br />
la competenza <strong>di</strong>mostrate. Questi operatori hanno po tuto svolgere la loro<br />
attività grazie all’iniziativa dell’associazione SOS Alzheimer ed alle<br />
suore del centro Sacro Cuore che mettono gentilmente a <strong>di</strong>sposizione i locali<br />
per l’intrattenimento dei pa zienti e dei loro familiari.<br />
In un clima festoso si è conclusa la cerimonia con la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> S.E.<br />
Mons. Brambilla e con il suo incitamento a rendere cre<strong>di</strong>bile la parola<br />
<strong>di</strong> Gesù con il nostro comportamento.<br />
Purtroppo non vi è stato il solito «rinfresco» delle suore. Crisi economica...<br />
docet!!! Speriamo che per riparare sia più consistente e fornito<br />
il prossimo anno.<br />
Maria Adelaide Fioravanti
I parte: anni 1998-2000<br />
Il Centro <strong>di</strong> aiuto alla vita Eur S. Eugenio<br />
compie 10 anni - Ecco la storia<br />
Al 31-12-08 risulta che il nostro CAV ha<br />
aiutato, seguito e salvato ben 220 bambini<br />
con le loro mamme. È un dato che<br />
ci riempie <strong>di</strong> gioia oggi, inimmaginabile<br />
all’atto della fondazione. Infatti basterebbe<br />
un solo bambino salvato dall’aborto<br />
per regalarci una gioia intramontabile,<br />
<strong>di</strong>rei eterna.<br />
Nel 1990 ebbi l’occasione <strong>di</strong> collaborare<br />
con il CAV <strong>di</strong> Palermo e rimasi colpito<br />
dal gran numero <strong>di</strong> volontari e dalla<br />
passione che animava quelle persone. A<br />
partire da quel momento la mia sensibilità<br />
restò «toccata» (per grazia <strong>di</strong> Dio)<br />
dall’insuperabile fascino del mistero della<br />
vita.<br />
I film che mi fecero vedere e poi il libretto<br />
«La vita umana prima meraviglia» risultarono<br />
per me come una impronta indelebile,<br />
un incontro tangibile con la<br />
straor<strong>di</strong>naria bellezza e grandezza <strong>di</strong> Dio<br />
presente nello sviluppo dell’embrione e<br />
del feto. Chi mai avrebbe potuto bloccare<br />
quel mirabile e formidabile sviluppo<br />
dell’embrione? Cioè quel pro<strong>di</strong>gio talmente<br />
grande che supera le nostre capacità<br />
ricettive e che già possiede l’infinita<br />
<strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> un essere umano.<br />
Chi mai (pensavo) avrebbe potuto bloccare<br />
Dio in persona che fa sviluppare un<br />
essere umano e irripetibile nell’arco dell’intera<br />
vita dell’Universo? Se Cristo Signore<br />
nostro ci ha comandato <strong>di</strong> aiutare<br />
i poveri, l’embrione e il feto sono in assoluto<br />
i più poveri e in<strong>di</strong>fesi <strong>di</strong> tutti, perché<br />
non possono neanche parlare.<br />
Operando come cappellano negli ospedali<br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong> fin dal 1994, mi ero chiesto<br />
ripetutamente, lungo gli anni, perché<br />
non si potesse fare nulla per salvare almeno<br />
qualcuna <strong>di</strong> quelle tre<strong>di</strong>cimila vite<br />
umane abortite ogni anno negli ospedali<br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong>.<br />
Davanti ad una trage<strong>di</strong>a così immane come<br />
posso io rassegnarmi alla passività<br />
totale? Non sono forse anch’io un essere<br />
umano chiamato per natura alla solidarietà?<br />
E la carità <strong>di</strong> Cristo forse non<br />
brucia? II mio essere sacerdote non mi<br />
dona, in aggiunta, nessuna spinta? Perché<br />
mai quei cappellani ospedalieri (con<br />
cui ne parlai) <strong>di</strong>ssero che non si può far<br />
niente? E come è possibile, allora, che<br />
già esistono CAV interni in tanti ospedali<br />
d’Italia? Perché solo a <strong>Roma</strong> sarebbe<br />
impossibile fare ciò che è stato fatto altrove?<br />
Proprio a <strong>Roma</strong>! <strong>Roma</strong> che è il<br />
centro della cristianità universale! Proprio<br />
a <strong>Roma</strong> dove c’è il Papa, suo Vescovo,<br />
che è così fortemente appassionato<br />
e martellante sul tema dell’aborto!<br />
Appena fui nominato dal Vescovo per<br />
la prima volta coor<strong>di</strong>natore della Cappellania<br />
<strong>di</strong> un ospedale romano imme<strong>di</strong>atamente<br />
mi misi all’opera per fondare<br />
un CAV interno all’ospedale. Tanto<br />
più che mi accorsi che a <strong>Roma</strong> mancava<br />
anche un sufficiente numero <strong>di</strong><br />
CAV sparsi sul territorio. Era il 28 settembre<br />
1998 quando con la prima volontaria<br />
andai a parlare con Olimpia Tarzia,<br />
segretaria nazionale del Movimento<br />
per la Vita, per chiedere a lei aiuto e<br />
consiglio. Non si può pensare che una<br />
città con più <strong>di</strong> tre milioni <strong>di</strong> abitanti<br />
possa essere servita sufficientemente da<br />
un solo CAV sul territorio, per quanto<br />
eroico e lodevole possa essere.<br />
14
In genere fa paura il pensiero <strong>di</strong> dover<br />
sfidare la legge sull’aborto all’interno<br />
proprio <strong>di</strong> un ospedale pubblico ove si<br />
praticano con <strong>di</strong>sinvoltura migliaia <strong>di</strong><br />
aborti l’anno.<br />
Per questo motivo si preferisce in genere<br />
non esporsi a rischi e pericoli. La<br />
realtà, invece, è per nostra fortuna opposta:<br />
è precisamente la legge dello Stato<br />
sull’aborto che prevede la collaborazione<br />
con associazioni <strong>di</strong> volontariato;<br />
allo scopo <strong>di</strong> tutelare la vita del nascituro<br />
e <strong>di</strong> evitare che l’aborto (I.V.G. ) <strong>di</strong>venti<br />
un mezzo anticoncezionale.<br />
Dunque non si deve<br />
avere nessun timore<br />
infondato, perché un<br />
piccolo CAV nascente<br />
può essere tutelato<br />
e favorito da<br />
una forte organizzazione<br />
che è il Movimento<br />
Nazionale<br />
per la Vita e la Federazione<br />
nazionale<br />
dei CAV.<br />
Come è nato il CAV<br />
nell’ospedale S. Eugenio<br />
La vita è un dono.<br />
La fondazione del CAV interno a un<br />
ospedale è sì impegnativa ma meno <strong>di</strong>fficile<br />
<strong>di</strong> quanto si possa immaginare. Lo<br />
<strong>di</strong>co per esperienza vissuta. Infatti è sicuro<br />
che in un ospedale vi sono molti me<strong>di</strong>ci,<br />
infermieri e <strong>di</strong>pendenti vari che sono<br />
obiettori e che in una qualche misura<br />
hanno sul problema dell’aborto una sensibilità<br />
più spiccata rispetto alla massa.<br />
È sufficiente iniziare, senza gran<strong>di</strong> pretese,<br />
con un non grande numero <strong>di</strong> volontari<br />
interni e anche <strong>di</strong> volontari esterni.<br />
Bisogna <strong>di</strong>ffondere la voce nei gruppi<br />
e movimenti delle parrocchie vicine<br />
all’ospedale.<br />
Un qualsiasi frequentatore <strong>di</strong> un gruppo<br />
può dare l’avviso a un loro incontro. Le<br />
donne più sensibili al problema si passano<br />
facilmente voce l’una con l’altra: è<br />
questo l’apporto più prezioso. Diffondere<br />
la voce anche presso tutti i volontari<br />
già presenti in ospedale affinché ognuno,<br />
a sua volta, possa <strong>di</strong>ffondere la voce<br />
presso amici e parenti. In questo modo<br />
sono arrivate a me decine <strong>di</strong> richieste <strong>di</strong><br />
adesione a causa del fatto che l’aborto è<br />
profondamente sentito, come una sconfitta,<br />
specie da chi lo ha subito sia spontaneamente<br />
che volontariamente.<br />
Il problema non è<br />
consistito nella scarsità<br />
delle adesioni,<br />
ma al contrario nell’abbondanza<br />
<strong>di</strong> esse<br />
e quin<strong>di</strong> nel sapere<br />
<strong>di</strong>scernere e accettare<br />
solo coloro<br />
che rifiutano l’aborto<br />
con decisione, anche<br />
nella eventualità<br />
<strong>di</strong> figli han<strong>di</strong>cappati<br />
e che, cosa per me<br />
importante, in aggiunta<br />
abbiano avuto<br />
una sufficiente militanza in qualche<br />
gruppo cattolico che abbia donato loro<br />
delle sicure basi <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> dottrina. Il<br />
campo <strong>di</strong> attività è delicato, e almeno alla<br />
partenza ho ritenuto necessario avere<br />
persone assolutamente sicure.<br />
In primo luogo dunque ho fatto un paziente<br />
lavoro <strong>di</strong> lungo colloquio con ogni<br />
singolo aspirante volontario. Raccolti i<br />
primi volontari affidabili ho iniziato a<br />
fare riunioni <strong>di</strong> formazione allo scopo<br />
anche <strong>di</strong> farli conoscere fra loro. Sia per<br />
i percorsi burocratici, sia per la formazione<br />
dei volontari, ci sono stati molto<br />
vicini e stupendamente premurosi il Movimento<br />
per la vita romano e la segreteria<br />
nazionale del Movimento. Come sede<br />
avemmo per circa un anno l’alloggio<br />
dei cappellani: si tratta <strong>di</strong> fare ogni due<br />
15
Ogni bimbo è un capolavoro <strong>di</strong> Dio.<br />
mesi l’incontro del Consiglio Direttivo;<br />
infatti non c’è assolutamente bisogno <strong>di</strong><br />
organizzare turni all’interno della sede:<br />
è sufficiente <strong>di</strong>ffondere il numero del<br />
cellulare del presidente e dei soci che sono<br />
<strong>di</strong>pendenti dell’ospedale e quin<strong>di</strong> reperibili<br />
imme<strong>di</strong>atamente per ogni urgenza.<br />
Inoltre ricevemmo dal parroco<br />
della parrocchia dello «Spirito Santo»<br />
il permesso <strong>di</strong> usare frequentemente i locali<br />
della parrocchia.<br />
Durante il 1999 venimmo a volte chiamati<br />
dai me<strong>di</strong>ci anestesisti che in ambulatorio<br />
fanno una visita a quelle donne<br />
che giorni dopo devono affrontare<br />
l’intervento <strong>di</strong> aborto. Scrivemmo lo statuto,<br />
l’Atto giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> fondazione dell’Associazione<br />
(il 31 maggio), la Convenzione<br />
tra il CAV e l’Azienda USL<br />
che permette il libero accesso in ospedale<br />
ai soci del CAV e ottenemmo la accettazione<br />
del nostro ingresso nella fondazione<br />
nazionale dei CAV.<br />
Tutti ci auguriamo, a partire dal Papa,<br />
anzi, a partire dal Signore e da Maria<br />
SS.ma Annunziata, che possa <strong>di</strong>ffondersi<br />
negli ospedali <strong>di</strong> <strong>Roma</strong> e sul territorio<br />
questo volontariato così prezioso.<br />
Successivamente sentimmo l’esigenza<br />
<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>care il CAV sul territorio dell’EUR<br />
coinvolgendo alcune parrocchie vicine,<br />
qualche Istituto religioso e altre realtà e<br />
aggregazioni laicali. Per questo motivo<br />
c’era assolutamente bisogno <strong>di</strong> avere una<br />
sede esterna all’ospedale, perché l’alloggio<br />
dei cappellani e la cappella ospedaliera<br />
erano inadeguate a ricevere gestanti<br />
per colloqui con psicologi o con<br />
le volontarie. Provammo pure a chiedere<br />
un locale interno all’Ospedale, ma i<br />
locali erano inesistenti e contesi ferocemente<br />
dai primari. Quin<strong>di</strong> iniziammo a<br />
spargere voce che cercavamo un appartamento<br />
gratuito (o quasi) all’Eur, ove i<br />
prezzi degli affitti sono alle stelle!<br />
La Provvidenza ci fece trovare un piano<br />
terra <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> un condominio<br />
<strong>di</strong> un palazzo, grazie al suggerimento <strong>di</strong><br />
un socio, Salvatore Terlizzi, che abitava<br />
proprio in quello stabile. E così si<br />
fortificò l’associazione con l’aiuto anche<br />
della parrocchia dello Spirito Santo<br />
e della bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> S.E. Mons. Rino<br />
Fisichella, vescovo ausiliare del Settore<br />
Sud <strong>di</strong> <strong>Roma</strong> che venne a inaugurare<br />
la nuova sede nell’anno duemila.<br />
Nel giugno del 2000 arrivò la bene<strong>di</strong>zione<br />
solenne non <strong>di</strong> un vescovo ma del<br />
Signore stesso in persona: fu eletta alla<br />
carica <strong>di</strong> presidente del CAV la dott. ssa<br />
Miranda Lucchini. Miranda era da poco<br />
andata in pensione e grazie al suo<br />
tempo libero e al suo enorme bagaglio<br />
<strong>di</strong> esperienze accumulate nella sua vita<br />
lavorativa <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigente amministrativo<br />
della ASL <strong>Roma</strong> C, trasformò in pochi<br />
anni il CAV nascente in una struttura <strong>di</strong><br />
grande serietà professionale nonché <strong>di</strong><br />
importanti collegamenti con molte strutture<br />
pubbliche e private <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, del<br />
Lazio e nazionali; e con le fondazioni<br />
bancarie. I bambini salvati sono <strong>di</strong>ventati<br />
centinaia, con la nostra gioia eterna.<br />
Ma a questo punto lascio la parola<br />
a Miranda nella prossima puntata.<br />
Don Nicola Mariangeloni<br />
Cappellano Coor<strong>di</strong>natore<br />
Ospedale S. Eugenio<br />
16
Che cosa è<br />
la pillola<br />
Ru 486<br />
e perché<br />
esserne<br />
contrari<br />
LaRu 486 non<br />
è una me<strong>di</strong>cina.<br />
Non cura alcuna<br />
malattia. Non aiuta la<br />
vita, la stronca sul nascere<br />
perché è una pillola abortiva. La Ru 486<br />
non è amichevole nei confronti delle<br />
donne. Non realizza in alcun modo un<br />
aborto indolore, posto che sia pos sibile<br />
realizzarlo.<br />
È al contrario un sistema abortivo al -<br />
tamente controverso anche dal punto <strong>di</strong><br />
vista della sua sicurez za ed efficienza clinica.<br />
Più importante ancora, la pillola abortiva<br />
tende a deresponsabilizzare il sistema<br />
me<strong>di</strong>co, e a ridurlo a <strong>di</strong>spensario <strong>di</strong><br />
veleni, e lascia sole le donne, inducendole<br />
a una sofferenza fisica e psichica prolungata<br />
e domestica, molto simile alle vecchie<br />
procedure dell’aborto clandestino.<br />
Per queste ragioni etiche siamo contrari<br />
alla pillola Ru 486 e alla sua introduzione<br />
in Italia, anche perché la sua<br />
utilizzazione è incompatibile con le norme<br />
della legge 194/1978.<br />
E pensiamo che occorra fare <strong>di</strong> tutto, ciascuno<br />
nelle forme pertinenti il proprio ruolo,<br />
per impe<strong>di</strong>rla. Jerome Lejeune, noto<br />
genetista scopritore della sindrome <strong>di</strong><br />
Down, definì la Ru 486 come un «pesticida<br />
umano».<br />
La carità<br />
La carità è come ‘na fiammella<br />
de ‘na cannela, a tutti da’ la luce<br />
senza <strong>di</strong>stingue er bono da chi è truce,<br />
è silenziosa e nun s’atteggia a stella,<br />
e nun pretenne manco d’esse amata<br />
fino a chè nun s’è tutta consumata.<br />
Elio Cesari<br />
(detto Cesaretto)<br />
La vita è come er sole<br />
Come er sole ci ha fatto er creatore,<br />
che quanno nasce all’arba è frizzantino,<br />
a mezzogiorno è er gran trionfatore,<br />
poi lemme lemme ariva er ponentino,<br />
quanno senti sonà l’Ave Maria<br />
ariva er bujo che te porta via.<br />
Elio Cesari<br />
(detto Cesaretto)<br />
17
Etica, bioetica e morale. Espressioni frequenti<br />
nelle tematiche comunicative mass<br />
me<strong>di</strong>ali, <strong>di</strong>rei quasi abusate, ma non tradotte<br />
spesso in comportamenti. Questi<br />
termini nella loro accezione, hanno significati<br />
<strong>di</strong>fferenti, essendo infatti «l’etica”<br />
una riflessione basata su motivi razionali<br />
e «la morale” una riflessione sostenuta<br />
da premesse <strong>di</strong> fede. Le etiche a<br />
cui noi dobbiamo fare riferimento sono<br />
«l’etica professionale» che esprime i<br />
comportamenti che caratterizzano una<br />
attività professionale e la «bioetica» che<br />
prende in considerazione «le questioni<br />
etiche, giuri<strong>di</strong>che, filosofiche e teologiche<br />
che sono poste o dovrebbero essere<br />
poste nella società per effetto dello<br />
sviluppo delle scienze biome<strong>di</strong>che».<br />
Il buon senso e la sapienza<br />
del cuore ci inducono<br />
a delle considerazioni<br />
<strong>di</strong> contenuto<br />
spirituale, morale<br />
e religioso. Il<br />
progre<strong>di</strong>re delle<br />
bioscienze, i<br />
progressi significativi<br />
delle<br />
biotecnologie,<br />
rendendo sempre<br />
più attuali e pressanti<br />
le responsabilità<br />
che investono la categoria professionale<br />
dei me<strong>di</strong>ci, dovrebbero suggerire<br />
una estrema prudenza affinché<br />
l’uomo non scada ad oggetto <strong>di</strong> ricerca,<br />
non corra pericoli <strong>di</strong> vita o peggiori il suo<br />
male e sia rispettato per quello che è, cioè<br />
«“persona” dal primo istante del suo<br />
concepimento fino all’ultimo istante<br />
del suo alito vitale». Questi motivi impongono<br />
l’attuazione <strong>di</strong> un co<strong>di</strong>ce etico<br />
rigoroso, affinché gli interessi particolari<br />
economici e ideologici non assumano<br />
un significato negativo e contrario alla<br />
sacralità dell’uomo.<br />
Diamo dunque spazio all’etica delle virtù,<br />
Cenni sulle<br />
problematiche<br />
della bioetica<br />
all’etica dei principi e dei valori. «Il male<br />
e il bene non sono problemi scientifici,<br />
ma resta il fatto che comunque l’etica<br />
occupa un posto ben preciso accanto,<br />
dentro e al <strong>di</strong> là dell’aspetto scientifico».<br />
«Corpore et anima unus». Questa<br />
la visione antropologica cui fare riferimento<br />
per fornire risposte cristiane alle<br />
problematiche poste dall’incedere tumultuoso<br />
e incontrollato delle conquiste biome<strong>di</strong>che.<br />
La supremazia morale che proviene<br />
dagli insegnamenti del Vangelo, abilita<br />
la Chiesa a compiere il suo dovere apostolico<br />
allorché si pone in coraggioso confronto<br />
con il tecnicismo laico e i pronunciamenti<br />
bioetici suggeriti da cre<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi,<br />
«promuovendo la “cultura della vita”»<br />
che si contrappone alla «cultura<br />
della morte».<br />
L’etica universale e<br />
il Magistero, sollecitano<br />
i me<strong>di</strong>ci e<br />
i ricercatori ad<br />
una visione olistica<br />
dell’uomo<br />
e li invitano ad<br />
acquisire un<br />
sempre più approfon<strong>di</strong>to<br />
sapere<br />
capace <strong>di</strong> esprimere<br />
una etica me<strong>di</strong>ca che<br />
consigli interventi terapeutici<br />
adatti a porre rime<strong>di</strong>o non<br />
solo ai danni fisici ma anche a quelli spirituali.<br />
Piena e ammirata accoglienza all’aggiornamento<br />
delle conoscenze cliniche,<br />
delle audaci esperienze della ricerca<br />
scientifica e tecnologica, ma anche assai<br />
auspicabile riappropriamento del senso<br />
morale e religioso della vita, perché il<br />
primato dell’etica possa sempre più imporsi<br />
alle coscienze in<strong>di</strong>viduali e collettive.<br />
Ancora una volta la saggezza e la<br />
elevata <strong>di</strong>mensione pastorale <strong>di</strong> Giovanni<br />
Paolo II «il grande» si esprimono attraverso<br />
la Lettera enciclica «Fides et<br />
ratio»: «La Chiesa, infatti, permane<br />
18
nella più profonda convinzione che Fede<br />
e Ragione si recano un aiuto scambievole<br />
esercitando l’una per l’altra<br />
una funzione sia <strong>di</strong> vaglio critico e purificatore,<br />
sia <strong>di</strong> stimolo a progre<strong>di</strong>re<br />
nella ricerca e nell’approfon<strong>di</strong>mento».<br />
E ancora rivolgendosi agli scienziati:<br />
«...il cammino da essi compiuto ha raggiunto,<br />
specialmente in questo secolo,<br />
traguar<strong>di</strong> che continuano a stupirci;<br />
nell’esprimere la mia ammirazione e<br />
il mio incoraggiamento a questi valorosi<br />
pionieri della ricerca scientifica,<br />
ai quali l’umanità tanto deve del suo<br />
presente sviluppo, sento il dovere <strong>di</strong><br />
esortarli a proseguire nei loro sforzi<br />
restando sempre in quell’orizzonte sapienziale<br />
in cui alle acquisizioni scientifiche<br />
e tecnologiche si affiancano i valori<br />
filosofici ed etici, che sono manifestazione<br />
caratteristica e imprescin<strong>di</strong>bile<br />
della persona umana».<br />
Dalla «Me<strong>di</strong>cina Pastoralis in usum<br />
Confessariorum» del 1891, attraverso<br />
deontologie me<strong>di</strong>che susseguitesi nel<br />
tempo, al concetto <strong>di</strong> bioetica chiusa al<br />
trascendente, che ha come espressione<br />
esplicativa «Il nuovo para<strong>di</strong>gma» accettato<br />
nell’ambito delle maggiori organizzazioni<br />
internazionali e che fa riferimento<br />
ad una nuova spiritualità senza<br />
Dio e tutta proiettata verso il benessere<br />
egoistico dell’uomo (lotta alla sovrappopolazione,<br />
al degrado ambientale, all’industrializzazione,<br />
agli integralismi<br />
ecc); e a quello <strong>di</strong> bioetica aperta «alla<br />
piena comunicazione <strong>di</strong> Dio, Padre<br />
Onnipotente che realizza in noi la verità<br />
<strong>di</strong> suo Figlio per la sua Incarnazione,<br />
Passione, Morte e Resurrezione.<br />
È la bioetica aperta che colma tutte<br />
le nostre aspirazioni portandoci per<br />
la via che è Cristo, nella pienezza dell’amore<br />
del Suo Spirito. L’Etica e la<br />
Bioetica cattoliche sono il camminare<br />
in noi <strong>di</strong> Cristo verso suo Padre attraverso<br />
la Sua morte e resurrezione, nell’amore<br />
dello Spirito Santo. La Bioetica<br />
sarà così il camminare in noi dello<br />
Spirito per le vie delle scienze della<br />
vita e della salute» (J.L. Barregan). Il<br />
nostro auspicio più convinto è che l’Etica<br />
e la Bioetica, in particolare le applicazioni<br />
pratiche biome<strong>di</strong>che, siano basate<br />
sui fondamenti intellegibili dell’or<strong>di</strong>ne<br />
morale e universale, scritto nel cuore<br />
dell’uomo da Dio stesso.<br />
Dr. Sergio Mancinelli<br />
Pagine <strong>di</strong> vita<br />
Ogni giorno è<br />
Una “Pagina nuova”<br />
Dove scorre<br />
Veloce la vita.<br />
Sono gioie, tristezze,<br />
Dolori…<br />
Emozioni, speranze<br />
Attese, illusioni…<br />
È una trama<br />
D’Amore…<br />
Un “Poema”<br />
Di storie infinite<br />
… la vita!<br />
Pur se brutta o bella<br />
O sbia<strong>di</strong>ta<br />
È un dono d’Amore<br />
La vita!<br />
Ogni vita è un libro stampato<br />
Un ricamo su<br />
“Pagine d’oro”<br />
che una mente <strong>di</strong>vina<br />
ha pensato,<br />
con cuore <strong>di</strong> Padre<br />
ha guidato!<br />
Beato chi l’ha capito<br />
E, serenamente,<br />
la sua vita<br />
a “LUI” ha affidato<br />
Santina Lamia<br />
19
È nata l’Associazione “Scienza & Vita”<br />
Alleati per il futuro dell’uomo<br />
Solo amando la vita <strong>di</strong> ciascuno fino alla fine<br />
c’è speranza <strong>di</strong> futuro per tutti.<br />
«Liberi per vivere»<br />
L’<br />
no nelle con<strong>di</strong>zioni più gravi ciò che la<br />
persona trasmette in termini affettivi,<br />
simbolici, spirituali ha una straor<strong>di</strong>naria<br />
importanza e tocca le corde più<br />
profonde del cuore umano.<br />
Certo, la possibilità <strong>di</strong> levar la mano<br />
contro <strong>di</strong> sé, <strong>di</strong> rinunciare intenzionalmente<br />
a vivere, c’è sempre stata nella<br />
storia dell’umanità: ma in nessun popolo<br />
è esistita la pretesa che questa tragica<br />
possibilità fosse elevata al rango <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ritto, <strong>di</strong> un «<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> morire», che<br />
il singolo potesse riven<strong>di</strong>care come proprio<br />
nei confronti della società.<br />
La persona umana, del resto, si sviuomo<br />
è per la vita. Tutto in noi spinge<br />
verso la vita, con<strong>di</strong>zione in<strong>di</strong>spensabile<br />
per amare, sperare e godere della libertà.<br />
Il dramma della sofferenza e la<br />
paura della morte non possono oscurare<br />
questa evidenza. Chi sta male, infatti,<br />
chiede soprattutto <strong>di</strong> non essere lasciato<br />
solo, <strong>di</strong> essere curato e accu<strong>di</strong>to<br />
con benevolenza, <strong>di</strong> essere amato fino<br />
alla fine. Anche in situazioni drammatiche,<br />
chiedere la morte è sempre l’espressione<br />
<strong>di</strong> un bisogno estremo d’amore;<br />
solo uno sguardo parziale può interpretare<br />
il <strong>di</strong>sagio dei malati e dei <strong>di</strong>sabili<br />
come un rifiuto della vita. Persi-<br />
I due precetti dell’amore<br />
È venuto il Signore, maestro <strong>di</strong> carità,<br />
pieno egli stesso <strong>di</strong> carità, a ricapitolare<br />
la parola sulla terra (cfr. Rm 9, 28), come<br />
<strong>di</strong> lui fu predetto, e ha mostrato che<br />
la Legge e i Profeti si fondano sui due<br />
precetti dell’amore. Ricor<strong>di</strong>amo insieme,<br />
fratelli quali sono questi due precetti<br />
dell’amore. Essi devono esservi ben noti<br />
e non solo venirvi in mente quando ve<br />
li richiamiamo: non si devono mai cancellare<br />
dai vostri cuori. Sempre in ogni<br />
istante abbiate presente che bisogna amare<br />
Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore,<br />
con tutta l’anima, con tutta la mente;<br />
e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22,<br />
37. 39). Questo dovete sempre pensare,<br />
me<strong>di</strong>tare e ricordare, praticare e attuare.<br />
L’amore <strong>di</strong> Dio è il primo come comandamento,<br />
ma l’amore del prossimo è primo<br />
come attuazione pratica. Colui che<br />
ti dà il comandamento dell’amore in questi<br />
due precetti, non ti insegna prima l’amore<br />
del prossimo, poi quello <strong>di</strong> Dio,<br />
ma viceversa.<br />
Siccome però Dio tu non lo ve<strong>di</strong> ancora,<br />
amando il prossimo ti acquisti il<br />
merito <strong>di</strong> vederlo; amando il prossimo<br />
purifichi l’occhio per poter vedere<br />
Dio, come chiaramente afferma Giovanni:<br />
Se non ami il fratello che ve<strong>di</strong>,<br />
come potrai amare Dio che non ve<strong>di</strong>?<br />
(cfr. 1 Gv 4, 20). Se sentendoti esor-<br />
20
luppa in una fitta rete <strong>di</strong> relazioni personali<br />
che contribuiscono a costruire<br />
la sua identità unica e la sua irripetibile<br />
biografia. Troncare tale rete è<br />
un’ingiustizia verso tutti e un danno<br />
per tutti. Teorizzare la morte come «<strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong> libertà» finisce inevitabilmente<br />
per ferire la libertà degli altri e<br />
ancor più il senso della comunità umana.<br />
Per chi crede, poi, la vita è un dono<br />
<strong>di</strong> Dio che precede ogni altro suo<br />
dono e supera l’esistenza umana; come<br />
tale non è <strong>di</strong>sponibile, e va custo<strong>di</strong>to<br />
fino alla fine. Esistono malattie<br />
inguaribili, ma non esistono malattie<br />
incurabili: la con<strong>di</strong>visione della fragilità<br />
restituisce a chi soffre la fiducia e<br />
il coraggio a chi si prende cura dei sofferenti.<br />
La vera libertà per tutti, credenti e non<br />
credenti, è quella <strong>di</strong> scegliere a favore<br />
della vita, perché solo così è possibile<br />
costruire il vero bene delle persone e<br />
della società. Per questo sentiamo <strong>di</strong> dover<br />
<strong>di</strong>re con chiarezza:<br />
tre gran<strong>di</strong> SÌ:<br />
• SÌ alla vita<br />
• SÌ alla me<strong>di</strong>cina palliativa<br />
• SÌ ad accrescere e umanizzare l’assistenza<br />
ai malati e agli anziani<br />
e tre gran<strong>di</strong> NO:<br />
• NO all’eutanasia<br />
• NO all’accanimento terapeutico<br />
• NO all’abbandono <strong>di</strong> chi è più fragile<br />
Come citta<strong>di</strong>ni sappiamo che la nostra<br />
Costituzione <strong>di</strong>fende i <strong>di</strong>ritti umani non<br />
già come principi astratti, ma come il presupposto<br />
concreto della nostra vita che è<br />
nello stesso tempo fisica e psichica, privata<br />
e pubblica. Mai come oggi la civiltà<br />
si misura dalla cura che, senza <strong>di</strong>fferenze<br />
tra persone, viene riservata a quanti<br />
sono anziani, malati o non autosufficienti.<br />
Occorre in ogni modo evitare <strong>di</strong> aggiungere<br />
pena a pena, ma anche insicurezza<br />
ad insicurezza. Chie<strong>di</strong>amo che le persone<br />
più deboli siano efficacemente aiutate<br />
a vivere e non a morire, a vivere con<br />
<strong>di</strong>gnità, non a morire per falsa pietà.<br />
tare ad amare Dio, tu <strong>di</strong>cessi: Mostrami<br />
colui che devo amare, io non potrei<br />
che risponderti con Giovanni: Nessuno<br />
mai vide Dio (cfr. Gv 1, 18). Ma<br />
perché tu non ti creda escluso totalmente<br />
dalla possibilità <strong>di</strong> vedere Dio,<br />
lo stesso Giovanni <strong>di</strong>ce: «Dio è amore;<br />
chi sta nell’amore <strong>di</strong>mora in Dio»<br />
(1 Gv 4, 16). Tu dunque ama il prossimo<br />
e guardando dentro <strong>di</strong> te donde<br />
nasca quest’amore, vedrai, per quanto<br />
ti è possibile, Dio.<br />
Comincia quin<strong>di</strong> ad amare il prossimo.<br />
Spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci<br />
in casa i miseri senza tetto, vesti<br />
chi ve<strong>di</strong> ignudo e non <strong>di</strong>sprezzare<br />
quelli della tua stirpe (cfr. Is 58, 7). Facendo<br />
questo che cosa otterrai? «Allora<br />
la tua luce sorgerà come l’aurora»<br />
(Is 58, 8). La tua luce è il tuo Dio, egli<br />
è per te la luce mattutina perché verrà<br />
dopo la notte <strong>di</strong> questo mondo: egli non<br />
sorge né tramonta, risplende sempre.<br />
Amando il prossimo e prendendoti cura<br />
<strong>di</strong> lui, tu cammini. E dove ti conduce<br />
il cammino se non al Signore, a colui<br />
che dobbiamo amare con tutto il cuore,<br />
con tutta l’anima, con tutta la mente?<br />
Al Signore non siamo ancora arrivati,<br />
ma il prossimo l’abbiamo sempre<br />
con noi. Aiuta, dunque il prossimo con<br />
il quale cammini, per poter giungere a<br />
colui con il quale desideri rimanere.<br />
Dai “Trattati su Giovanni”<br />
<strong>di</strong> sant’Agostino, vescovo<br />
(Tratt. 17, 7-9: CCL 36, 174-175)<br />
21
Capitano Uncino – è stato lui con straor<strong>di</strong>naria<br />
ironia a battezzarsi così – non<br />
s’a spettava che il Santo Padre si avvici -<br />
nasse, ma quando la moglie gli ha detto:<br />
«Giampiero, è il Papa che ti sta accarezzando»,<br />
lui ha sorriso come solo<br />
sa fare, muovendo metà della bocca. La<br />
sindrome <strong>di</strong> Locked-in consente a Giampiero<br />
Steccato soltanto <strong>di</strong> muovere il mignolo<br />
della mano sinistra e un po’ le labbra,<br />
e non lascia speranze. «Santità – ha<br />
detto la moglie Lucia – mio marito non<br />
può vederla, ma sente e capi sce», allora<br />
il Papa ha assicurato che lo affiderà<br />
nella sua preghiera alla Madonna e pregherà<br />
per<br />
tutta la sua<br />
famiglia, per<br />
la moglie e<br />
per i figli<br />
influen za possa permettere all’umanità<br />
un futuro migliore, la pace per chi<br />
vive in guerra, un po’ <strong>di</strong> pane per coloro<br />
che hanno fame e un po’ <strong>di</strong> solida -<br />
rietà in una società troppo in<strong>di</strong>vi -<br />
dualista». Giampiero Steccato, o Ca -<br />
pitan Uncino per quell’occhio che il morbo<br />
gli ha chiuso, è fatto così: «Non chiede<br />
mai per sé», come <strong>di</strong>cono pure gli<br />
amici che lo hanno ac compagnato a <strong>Roma</strong>.<br />
Gli sta vicino l’amico <strong>di</strong> sempre,<br />
Giovanni Ba<strong>di</strong>ni, e il car<strong>di</strong>ologo Ugo<br />
Gazzola, ex pri mario a Piacenza e adesso<br />
volonta rio con la Croce Rossa Italiana.<br />
Ad accompagnarlo in questo viaggio,<br />
che nelle sue<br />
con<strong>di</strong>zioni<br />
La carezza del Papa<br />
a «Capitan Uncino»<br />
Da niele e<br />
Silvia che negli<br />
occhi portano scritto un amore straor<strong>di</strong>nario<br />
per il loro papà a cui resta soltanto<br />
un mignolo per ricambiare questo af -<br />
fetto. Giampiero Steccato ritorna a <strong>Roma</strong><br />
dopo <strong>di</strong>eci anni. Proprio a Ro ma fu<br />
colpito dal male. Ma quando il Papa ha<br />
chiesto alla signora Lucia cosa li abbia<br />
spinti a venire, lei ha ri sposto: «Per festeggiare<br />
in modo de gno i nostri 35 anni<br />
<strong>di</strong> matrimonio». Il Papa lo ha accarezzato<br />
ancora poi ha preso la lettera che<br />
quest’uomo ha dettato servendosi <strong>di</strong> un<br />
linguag gio fatto <strong>di</strong> gesti. Muovendo metà<br />
bocca e sfiorando con il mignolo della<br />
mano sinistra un sensore laser, Ca pitan<br />
Uncino ha scritto queste pa role al Papa:<br />
«Con queste poche ri ghe, vorrei trasmetterle<br />
quello che il mio corpo rischia<br />
<strong>di</strong> celare: ho vo glia <strong>di</strong> vivere, sono<br />
entusiasta e cu rioso, amo la natura<br />
e il mondo in cui ho la fortuna e il<br />
privilegio <strong>di</strong> e sistere. Sono consapevole<br />
– <strong>di</strong>ce an cora nella lettera – che la<br />
mia fortu na è frutto della volontà del<br />
Signore e ringrazio infinite volte per<br />
quanto mi viene concesso, confido proprio<br />
nel Signore e anche nella Sua<br />
perso na, perché spero che la Sua<br />
gli è spesso<br />
sembrato irrealizzabile<br />
come un so -<br />
gno, anche il<br />
vescovo <strong>di</strong> Piacenza monsignor Gianni<br />
Ambrosio. Giampiero Steccato non può<br />
muo versi senza una se<strong>di</strong>a a rotelle parti -<br />
colarmente attrezzata ed ha bisogno costante<br />
<strong>di</strong> alcune apparecchiature. Anche<br />
il figlio è raggiante: «A papà non è parso<br />
vero finché non ci sia mo imbarcati<br />
su una aereo messo a <strong>di</strong>sposizione<br />
dall’Aeronautica Mili tare». L’Arma<br />
Azzurra non è nuova a queste iniziative<br />
umanitarie. Lo ha preso in cura l’equipaggio<br />
<strong>di</strong> un C-27J della 46esima Brigata<br />
Aerea <strong>di</strong> Pisa: «Sono stati straor<strong>di</strong>nari<br />
– <strong>di</strong>ce il ragazzo –. Siamo commossi<br />
per quanto hanno fatto per noi.<br />
La gen te quando vede il mio papà, per<br />
le con<strong>di</strong>zioni in cui si trova <strong>di</strong>mostra<br />
compassione e spesso guarda dall’altra<br />
parte. Sull’aereo, invece, hanno <strong>di</strong>mostrato<br />
affetto». Giampiero sullo<br />
scialle <strong>di</strong> lana che lo protegge porta due<br />
<strong>di</strong>stintivi dell’Aeronautica, dono dell’equipaggio.<br />
Quando il Pa pa lo ha lasciato,<br />
ha detto alla moglie: «Non pensavo<br />
che mi accarezzasse». Con il mignolo<br />
e metà bocca, ma si è fatto capire.<br />
Gianni Ruggiero<br />
22
TESTIMONIANZA<br />
Testimonianza<br />
Ecco, nella sua visita alle stanze degli ammalati<br />
don Edward è giunto alla porta <strong>di</strong><br />
papà. Entra da benvenuto e subito domanda:<br />
«Quanti anni ha?» «Novantanove. È<br />
entrato nel suo centesimo anno». «Che<br />
Dio lo bene<strong>di</strong>ca! E la mamma? Da quanto<br />
tempo l’avete persa?» «La mamma?<br />
Ha novantasei anni ed è ancora molto attiva<br />
e <strong>di</strong>namica». A questo punto il volto<br />
<strong>di</strong> don Edward esprime vera meraviglia,<br />
quasi una beata costernazione, e lui m’invita<br />
a scrivere su papà un breve contributo<br />
per Diaconia.<br />
Non posso raccontare avventure fantastiche<br />
a tinte sgargianti, ma certo è stata una grande<br />
avventura, una lotta fra la vita e la morte,<br />
quella che papà ha combattuto e vinto,<br />
operato con protesi all’anca alla sua ragguardevole<br />
età. Lo vedo paziente nel letto.<br />
Tutte le infermiere lo vezzeggiano: «È un<br />
amore», <strong>di</strong>cono, mentre lui porge le <strong>di</strong>ta per<br />
farsi misurare la glicemia, si lascia cercare<br />
le vene indurite per le flebo, collabora a rigirarsi<br />
nel letto <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là, accetta con<br />
sopportazione <strong>di</strong> deglutire una pasticca dopo<br />
l’altra.<br />
Lo ricordo giovane, attraente, pieno <strong>di</strong> vita.<br />
I colleghi avvocati gli chiedevano consiglio<br />
per le loro cause, la mamma lo reclamava<br />
con affetto imperioso: «Carlo,<br />
Carlo!».<br />
Er succo<br />
der Vangelo<br />
uanno è l’ora d’anna dar Padreterno<br />
nun ci annà tutt’ignudo senza gnente,<br />
cor rischio de finì drento l’inferno,<br />
ma portete ‘n bagajo consistente<br />
pieno d’opere bone a li cristiani,<br />
ai poveri, ai drogati, ai musurmani.<br />
Elio Cesari<br />
(detto Cesaretto)<br />
esù, Nostro Divin Salvatore,<br />
che bene<strong>di</strong>cente accogli coloro<br />
che varcano la nostra soglia<br />
per chiedere aiuto:<br />
Fai che i nostri cuori siano sempre<br />
Pronti ad accoglierli,<br />
la nostra mente illuminata per capirli,<br />
le nostre mani capaci <strong>di</strong> aiutarli.<br />
Fai che in ognuno <strong>di</strong> loro<br />
ve<strong>di</strong>amo il tuo volto<br />
Sofferente rivolto a noi <strong>di</strong>cendo:<br />
«Ho sete».<br />
Fai che alla fine delle nostre fatiche<br />
Possiamo accettare la tua volontà<br />
senza esaltarci ne deprimere.<br />
Fai che nei momenti <strong>di</strong> sconforto sappiamo<br />
Chinare la testa e ripetere con Te<br />
«Abba, Padre mio!<br />
Non ciò che io voglio,<br />
ma quello che tu vuoi».<br />
Vincenzo Giulio Bilotta MEDICO<br />
È stato l’atteggiamento <strong>di</strong> papà che mi ha<br />
reso intimamente forte, capace <strong>di</strong> sopportare<br />
le vicissitu<strong>di</strong>ni dell’esistenza, perché papà<br />
mi ha fatto capire e sentire che ero protetta,<br />
che ero molto amata. Quest’affetto che<br />
ha accompagnato la mia infanzia, espresso<br />
in gesti e in parole piene <strong>di</strong> tenerezza, ma<br />
prive <strong>di</strong> permissività mi ha dato quella sicurezza<br />
in me stessa, quella fiducia nel mondo<br />
che permette <strong>di</strong> superare anche delusioni<br />
molto gravi.<br />
Papà mi leggeva la Bibbia, da bambina,<br />
quando non andavo ancora a scuola, e anche<br />
così ha gettato delle basi, importanti per<br />
il mio futuro.<br />
Ora è là, a letto, e nessuno sa quanto potrà<br />
recuperare della sua in<strong>di</strong>pendenza. Oggi<br />
però, quando gli ho chiesto se aveva bisogno<br />
<strong>di</strong> qualcosa, mi ha risposto:<br />
«Ho bisogno solo del tuo amore».<br />
Maria Aurora Salto von Hase<br />
TESTIMONIANZA<br />
23
Tribunale<br />
Diocesano<br />
del Teresa O rsini<br />
Vicariato<br />
D oria P amphilj L ante<br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
15 Maggio <strong>2009</strong><br />
Sessione <strong>di</strong> chiusura<br />
dell’inchiesta <strong>di</strong>ocesana nel Processo <strong>di</strong> Beatificazione e Canonizzazione della Serva <strong>di</strong> Dio<br />
Fondatrice delle Suore Ospedaliere della Misericor<strong>di</strong>a<br />
Altezze, Eccellenze, Distinte Autorità, Signore<br />
e Signori!<br />
Il mio cor<strong>di</strong>ale saluto agli Eccellentissimi<br />
membri del Sovrano Militare Or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong> Malta e del Corpo <strong>di</strong>plomatico, agli eccellentissimi<br />
familiari della Serva <strong>di</strong> Dio<br />
delle famiglie dei Principi Orsini e Doria<br />
Pamphilj, alle carissime suore ospedaliere<br />
della Misericor<strong>di</strong>a. Il mio vivo ringraziamento<br />
va al reverendo Mons. Gianfranco<br />
Bella, Vicario Giu<strong>di</strong>ziale del Tribunale<br />
<strong>di</strong>ocesano del Vicariato <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
e a tutti i rev.mi e Ill.mi Officiali del medesimo<br />
tribunale, che hanno lavorato alla<br />
causa ed oggi ci permettono <strong>di</strong> condurla<br />
a compimento.<br />
Infatti si conclude oggi l’inchiesta <strong>di</strong>ocesana<br />
del processo <strong>di</strong> Beatificazione e Canonizzazione<br />
della Serva <strong>di</strong> Dio Teresa<br />
Orsini Doria Pamphilj, fondatrice delle<br />
suore ospedaliere della Misericor<strong>di</strong>a.<br />
L’indagine canonica, condotta secondo la<br />
speciale normativa della chiesa, ha rivelato<br />
– dall’esame della vita e delle opere<br />
della Serva <strong>di</strong> Dio – il suo luminoso cammino<br />
spirituale <strong>di</strong> grande donna cristiana,<br />
sposa, madre, fondatrice, testimone e operatrice<br />
<strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a sulle orme <strong>di</strong> Cristo,<br />
che a <strong>Roma</strong> ha consumato la sua esistenza<br />
terrena.<br />
La Serva <strong>di</strong> Dio Teresa Orsini Doria<br />
Pamphilj è una figura straor<strong>di</strong>naria ed originale<br />
nell’agiografia cristiana, che, in<br />
certo modo, può essere avvicinata a santa<br />
Elisabetta d’Ungheria e a santa Francesca<br />
<strong>Roma</strong>na.<br />
Perdurando la fama della sua santità e la<br />
cre<strong>di</strong>bilità della sua opera, che continua<br />
e si sviluppa nel mondo, fondata nell’alto<br />
valore della sua testimonianza evangelica,<br />
le sue figlie spirituali, le suore ospedaliere<br />
della Misericor<strong>di</strong>a, hanno raccolto<br />
l’ere<strong>di</strong>tà della Serva <strong>di</strong> Dio, affinché<br />
l’eroismo e il fascino della loro madre rifulgessero<br />
anche attraverso la testimonianza<br />
della loro vita, impegnate ad incarnarne<br />
il carisma spirituale.<br />
La Serva <strong>di</strong> Dio Teresa Orsini nacque a<br />
Gravina in Puglia, il 23 marzo 1788, giorno<br />
<strong>di</strong> Pasqua <strong>di</strong> Resurrezione, primogenita<br />
<strong>di</strong> Domenico, principe <strong>di</strong> Solofra, e<br />
della principessa Faustina Caracciolo. Fu<br />
battezzata lo stesso giorno al medesimo<br />
fonte battesimale della cattedrale <strong>di</strong> Gravina,<br />
dove più <strong>di</strong> cento anni prima era stato<br />
battezzato un suo prozio, Vincenzo Maria<br />
Orsini, il futuro Papa Benedetto XIII.<br />
All’età <strong>di</strong> due anni, Teresa rimase orfana<br />
<strong>di</strong> padre, mentre sua madre Faustina era<br />
in attesa del secondo figlio.<br />
Per ricevere una preparazione adeguata al<br />
suo stato aristocratico e al suo rango <strong>di</strong><br />
principessa, ben presto la piccola Teresa<br />
venne inviata a Napoli, capitale del Regno,<br />
al fine <strong>di</strong> consentirle <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are nel<br />
collegio annesso al monastero della Sapienza.<br />
La presenza a Napoli dei nonni<br />
materni poteva garantire alla bambina un<br />
ambiente ricco <strong>di</strong> affetto e soprattutto sicuro,<br />
nella <strong>di</strong>fficile congiuntura politica<br />
del momento, a motivo dei rivolgimenti<br />
europei che seguirono alla rivoluzione<br />
francese e in concomitanza con l’avvento<br />
al potere <strong>di</strong> Napoleone.<br />
Il 15 maggio 1801 Teresa ricevette il sacramento<br />
della Confermazione, e nei primi<br />
mesi del 1802 i suoi parenti pensarono<br />
all’opportunità <strong>di</strong> un trasferimento del-<br />
24
la fanciulla a <strong>Roma</strong>.<br />
Teresa arrivò a <strong>Roma</strong> a do<strong>di</strong>ci anni per<br />
terminare il corso degli stu<strong>di</strong>, prima dalle<br />
Orsoline, poi dalle Benedettine <strong>di</strong> Tor<br />
de’ Specchi.<br />
Ne uscì ben formata, preparandosi culturalmente<br />
ed umanamente ad essere una<br />
buona sposa del giovane principe Luigi<br />
Andrea Doria Pamphilj, al quale era già<br />
stata promessa.<br />
Il principe l’aveva conosciuta in occasione<br />
<strong>di</strong> vari ricevimenti ed aveva provato<br />
per lei un profondo sentimento <strong>di</strong> affetto<br />
che <strong>di</strong>ventò amore intenso, affascinato<br />
dalla grazia e della vivacità della Serva <strong>di</strong><br />
Dio, per cui, quando si decise a sposarla,<br />
lo fece con piena consapevolezza e con<br />
tutto l’entusiasmo della sua giovinezza.<br />
Espletate le formalità giuri<strong>di</strong>che e stabilite<br />
le modalità tra le due nobili famiglie,<br />
il matrimonio fu celebrato il 2 ottobre<br />
1808, a <strong>Roma</strong>, nella chiesa <strong>di</strong> Santa Maria<br />
in Via Lata.<br />
Dal matrimonio, il 13 <strong>di</strong>cembre 1810 nacque<br />
un primo figliolo, che fu chiamato<br />
Andrea, seguito a breve <strong>di</strong>stanza da altri<br />
tre fratelli.<br />
Teresa poteva certamente vantare l’avvenenza<br />
fisica, come ben risulta dai ritratti<br />
<strong>di</strong> lei ancora conservati. Ma una bellezza<br />
più grande Ella rivelava per quell’aureola<br />
<strong>di</strong> doti morali e spirituali, che la rendevano<br />
una donna ammiratissima e molto<br />
stimata.<br />
Nel 1820 Teresa si ammalò gravemente;<br />
ebbe una crisi <strong>di</strong> «umori del corpo» – come<br />
venne <strong>di</strong>agnosticato dalla me<strong>di</strong>cina del<br />
tempo – che la tenne a letto per oltre sei<br />
mesi con fortissimi dolori <strong>di</strong> reumatismo.<br />
In quella dolorosa circostanza, oltre alle<br />
premure dei suoi familiari, ricevette l’assistenza<br />
della Pia Unione delle sorelle della<br />
carità <strong>di</strong> S. Maria ai Monti. Fu per lei<br />
un’esperienza preziosa, che le fece nascere<br />
nell’animo il desiderio <strong>di</strong> mettersi<br />
al servizio degli altri.<br />
Dio le aveva donato tutte le virtù fisiche<br />
e morali: era una vera nobildonna, una<br />
sposa felice, una madre affettuosa, una<br />
donna <strong>di</strong> carità, impegnata nel sociale, al<br />
servizio dei malati, dei <strong>di</strong>seredati e degli<br />
emarginati della società del suo tempo.<br />
Pur appartenendo ad una delle più nobili<br />
famiglie romane, non <strong>di</strong>menticò la gente<br />
semplice, armonizzando i suoi impegni<br />
sociali con la premurosa carità verso i bisognosi.<br />
Molte furono le iniziative caritatevoli da<br />
lei promosse a favore dei più <strong>di</strong>seredati:<br />
ammalati, abbandonati, donne in <strong>di</strong>fficoltà<br />
e pellegrini. Teresa era sempre presente<br />
in ogni ambiente <strong>di</strong> dolore, pronta nel curare<br />
con le sue stesse mani le piaghe del<br />
corpo e, con la sua comprensione, i <strong>di</strong>sagi<br />
dello spirito.<br />
Perché la fiaccola <strong>di</strong> carità da lei accesa<br />
non si estinguesse, pensò ed attuò un suo<br />
progetto <strong>di</strong> carità: radunò attorno a sé delle<br />
giovani donne che, senza interesse, potessero<br />
donare la vita a sollievo dei malati<br />
negli ospedali, dove spesso giacevano<br />
abbandonati.<br />
Nacque così, il 16 maggio 1821, all’interno<br />
dell’ospedale San Giovanni in <strong>Roma</strong>,<br />
con regole proprie, la Congregazione delle<br />
Suore Ospedaliere della Misericor<strong>di</strong>a.<br />
Nel 1825 la principessa era in piena attività<br />
benefica e, del tutto immersa nelle<br />
opere <strong>di</strong> carità, correva in modo instancabile<br />
da un ospedale all’altro <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>.<br />
Si rendeva conto che le esigenze dei poveri<br />
ricoverati negli ospedali <strong>di</strong> San Giovanni,<br />
<strong>di</strong> San Giacomo in Augusta e <strong>di</strong> San<br />
Gallicano erano molteplici e che le autorità<br />
preposte non riuscivano a sod<strong>di</strong>sfarle.<br />
Non esitò così, con il pieno consenso del<br />
marito, a usare parte delle sue ren<strong>di</strong>te per<br />
le opere <strong>di</strong> carità.<br />
Le volontarie che si strinsero intorno a lei<br />
si erano ormai ben inserite negli ospedali,<br />
in particolare in quello <strong>di</strong> S. Giovanni,<br />
ma era necessario dare un’organizzazione<br />
precisa e delle norme adeguate a quel<br />
gruppo <strong>di</strong> donne generose, che tanto si<br />
pro<strong>di</strong>gavano nell’assistere gli infermi.<br />
Nonostante ciò, Ella non ebbe mai a trascurare<br />
la propria famiglia, seguendo con<br />
premura materna e tenerissimo affetto i<br />
figli nella loro crescita. Ne sono testimonianza<br />
le tante lettere che Teresa in<strong>di</strong>rizzò<br />
a loro.<br />
Un tale sforzo fisico con l’andare del tem-<br />
25
po peggiorò le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute.<br />
Leggiamo nella cronaca, lasciata dai contemporanei:<br />
«La sera del 12 giugno [1829]<br />
a causa <strong>di</strong> una forte per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sangue<br />
per lesioni interne, la principessa era costretta<br />
ad allettarsi e parve che la morte<br />
fosse imminente. Nella sera stessa volle<br />
essere munita <strong>di</strong> Gesù Eucarestia... la<br />
mattina del 3 luglio sopraggiunse una<br />
febbre altissima e i me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>ssero che<br />
era l’inizio della fine».<br />
Teresa comprese che era giunta l’ora del<br />
supremo sacrificio e consapevolmente<br />
volle prepararsi all’incontro con l’Amore<br />
Eterno.<br />
Il Papa le aveva inviato la sua speciale bene<strong>di</strong>zione<br />
apostolica e alla presenza del<br />
Card. Zurla, Vicario <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, la Serva <strong>di</strong><br />
Dio ricevette con profonda pietà gli ultimi<br />
sacramenti.<br />
La medesima cronaca continua: «Con serena<br />
tranquillità, con umile fiducia in<br />
Dio, con voce <strong>di</strong> speranza e <strong>di</strong> amore<br />
rese la sua bell’anima al Creatore in un<br />
amplesso <strong>di</strong> amore. Erano le ore 01.00<br />
del 3 luglio 1829. Aveva 41 anni <strong>di</strong> età».<br />
La nobiltà e il popolo romano la piansero<br />
e unanimemente <strong>di</strong>ssero: è morta una<br />
santa. La sua salma fu sepolta nella cripta<br />
della chiesa <strong>di</strong> S. Agnese in Agone a<br />
piazza Navona.<br />
La fiaccola <strong>di</strong> carità cristiana passò dalla<br />
mano <strong>di</strong> Teresa a quella delle suore ospedaliere<br />
della Misericor<strong>di</strong>a, nate dal grande<br />
cuore della Serva <strong>di</strong> Dio, le quali resero vivo<br />
il carisma specifico della Misericor<strong>di</strong>a.<br />
Nel 1834, a cinque anni dalla morte della<br />
fondatrice, le suore erano già trentotto<br />
e, in pochi anni, la congregazione religiosa<br />
<strong>di</strong>ffuse la sua presenza, oltre alla<br />
città <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, anche in altri ospedali dello<br />
Stato Pontificio (Alatri, Frosinone, Sezze<br />
<strong>Roma</strong>no, Civitavecchia, Velletri, Tolfa,<br />
Umbertide, Urbino, Marsciano, Abba<strong>di</strong>a<br />
San Salvatore).<br />
Per meglio vivere e conformarsi al carisma<br />
della fondatrice, le suore ospedaliere della<br />
Misericor<strong>di</strong>a professano un quarto voto:<br />
quello dell’ospitalità (Cost. Art. 22).<br />
Cari amici, è opinione con<strong>di</strong>visa da tutti<br />
i teologi e gli autori spirituali che la santità<br />
cristiana consiste nell’unione con Cristo,<br />
Verbo incarnato e nostro redentore,<br />
unico me<strong>di</strong>atore tra Dio e gli uomini e fonte<br />
<strong>di</strong> ogni grazia e santificazione. L’obbligo<br />
morale <strong>di</strong> tendere alla santità è <strong>di</strong><br />
tutti i membri della chiesa, «per fede creduta<br />
indefettibilmente santa... Infatti<br />
Cristo, ... proclamato “il solo santo”,<br />
amò la Chiesa come sua sposa e <strong>di</strong>ede<br />
se stesso per essa, al fine <strong>di</strong> santificarla»<br />
(L.G., 39). Di qui l’obbligo morale <strong>di</strong><br />
tutti i battezzati <strong>di</strong> tendere alla santità, in<br />
ragione della loro ontologica appartenenza<br />
e unione alla chiesa. La santità della<br />
chiesa dunque deriva totalmente dalla santità<br />
<strong>di</strong> Cristo e dal suo amore per essa. Lo<br />
Spirito Santo – principio e origine della<br />
santità della chiesa – è l’anima del corpo<br />
mistico, che permeandolo tutto lo vivifica<br />
e lo unisce a Cristo e in lui rende partecipi<br />
della vita <strong>di</strong>vina. «Nei vari generi<br />
<strong>di</strong> vita – ha insegnato il Concilio Vaticano<br />
II – ... una unica santità è coltivata<br />
da quanti sono mossi dallo Spirito <strong>di</strong><br />
Dio e, obbe<strong>di</strong>enti alla voce del Padre,...<br />
seguono Cristo povero, umile e carico<br />
della croce per meritare <strong>di</strong> essere partecipi<br />
della sua gloria. Ognuno secondo<br />
i propri doni ... deve senza indugi<br />
avanzare per la via della fede viva, la<br />
quale accende la speranza e opera per<br />
mezzo della carità» (L.G., 41).<br />
La Serva <strong>di</strong> Dio Teresa Orsini Doria<br />
Pamphilj è certamente un esempio <strong>di</strong> questa<br />
vita cristiana vissuta in pienezza. E noi<br />
auspichiamo che la Chiesa, dopo un attento<br />
esame della sua vita e verificata la<br />
pratica delle virtù cristiane in grado eroico,<br />
– se così piacerà al Signore – possa<br />
iscriverla nell’albo dei Beati.<br />
Alle sue figlie, le Suore Ospedaliere della<br />
Misericor<strong>di</strong>a, auguriamo che sull’esempio<br />
della loro fondatrice possano continuare<br />
il cammino <strong>di</strong> de<strong>di</strong>zione incon<strong>di</strong>zionata<br />
ai malati e, come il Buon Samaritano,<br />
versare sull’umanità sofferente<br />
«l’olio della consolazione e il vino<br />
della speranza».<br />
Agostino Card. Vallini<br />
Vicario della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Roma</strong><br />
26
Lettera a Gesù<br />
Forse eri Tu che passavi vicino,<br />
sorridendo sereno,<br />
la schiena un po’ curva,<br />
quasi a farmi un inchino.<br />
O forse eri Tu, l’uomo straniero<br />
che parlava con gli occhi<br />
rimanendo a <strong>di</strong>stanza,<br />
con lo guardo severo.<br />
Quanta strada nel mio lungo passato<br />
io chiedevo a chiunque…<br />
come faccio a trovarti?<br />
…Quanto tempo ho bruciato.<br />
Mi fermavo talvolta a pensare<br />
Chi sei? Dove sei?<br />
Sei dentro <strong>di</strong> me?<br />
O sei nel vento <strong>di</strong> mare?<br />
Sei nell’acqua? Nel cuore?<br />
Nella luce <strong>di</strong> stelle?<br />
Nella mano <strong>di</strong> un figlio?<br />
O sei in questo fiore?<br />
Dolcemente ed in modo pacato,<br />
ricordo, mi rispose una voce:<br />
“Non appena mi cercherai, ecco,<br />
in quel momento tu… mi avrai trovato”.<br />
Sergio Martinola<br />
Le stagioni della vita<br />
C’è la stagione della giovinezza<br />
Quando il mondo lo ve<strong>di</strong> tutto rosa,<br />
quando dell’aria ne senti gusto ed ebbrezza<br />
e lo spirito e l’anima si ristora.<br />
Ti senti felice, forse non sai perché<br />
Ma, se ti pren<strong>di</strong> un attimo <strong>di</strong> sosta,<br />
ascolta, e senti una voce che ti <strong>di</strong>ce:<br />
“Se vuoi essere felice? Segui Me!”<br />
Ora ecco il tempo della maturità;<br />
sei molto stanco la sera,<br />
non puoi pensare a Me…<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Il meglio <strong>di</strong> te<br />
<br />
<br />
<br />
L’uomo è irragionevole,<br />
illogico, egocentrico:<br />
non importa, amalo.<br />
Se fai il bene,<br />
<strong>di</strong>ranno che lo fai<br />
per secon<strong>di</strong> fini egoistici:<br />
non importa, fà il bene.<br />
Se realizzi i tuoi obbiettivi,<br />
incontrerai chi ti ostacola:<br />
non importa, realizzali.<br />
Il bene che fai<br />
forse domani verrà <strong>di</strong>menticato:<br />
non importa, fà il bene.<br />
L’onestà e la sincerità<br />
ti rendono vulnerabile:<br />
non importa, sii onesto e sincero.<br />
Quello che hai costruito<br />
può essere <strong>di</strong>strutto:<br />
non importa, costruisci.<br />
La gente che hai aiutato,<br />
forse non te ne sarà grata:<br />
non importa, aiutala.<br />
Dà al mondo il meglio <strong>di</strong> te,<br />
e forse sarai preso a pedate:<br />
non importa, dà il meglio, <strong>di</strong> te.<br />
Così ti addormenti ma, nell’oscurità<br />
ti sono sempre accanto, veglio su <strong>di</strong> te.<br />
Quando poi il mattino ti risveglierai<br />
<strong>di</strong> nuovo accanto a te mi troverai.<br />
Corre il tempo! Eccomi all’età matura.<br />
Tempo <strong>di</strong> dolci ricor<strong>di</strong> e <strong>di</strong> sconfitte amare.<br />
Non c’è però tristezza nel mio cuore e c’è un perché:<br />
perché nella mia vita ho saputo amare!<br />
Ti ho seguito Signore.<br />
Ho inteso su <strong>di</strong> me il tuo sguardo.<br />
Ora però ti prego: fai ancora uno sforzo Gesù<br />
e… accompagnami al traguardo!<br />
Iva Girelli<br />
27
«Una vita spesa per amare»<br />
Padre Livio Petroselli<br />
tipicamente «francescani» ricordando l’amicizia<br />
che da tempo li aveva uniti.<br />
Suor Carla Fiammeni anche in rappresentanza<br />
delle altre suore della carità del<br />
Policlinico, ha ringraziato padre Livio<br />
per il bene e la stima donati, ricordandolo<br />
per la sua personalità carismatica,<br />
per la sua totale de<strong>di</strong>zione ai malati, per<br />
la sua infaticabile operosità, per la sua<br />
<strong>di</strong>sponibilità rispettosa verso i più deboli<br />
e bisognosi, per il suo costante sostegno<br />
ed incoraggiamento; concludendo<br />
che padre Livio ha inciso questo te-<br />
Il giorno 16 aprile <strong>2009</strong>, alle ore 3,30<br />
del mattino, presso l’infermeria provinciale<br />
Regina Apostulorum <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>,<br />
padre Livio Petroselli è tornato alla casa<br />
del Padre.<br />
Aveva 88 anni <strong>di</strong> cui 71 <strong>di</strong> professione<br />
religiosa e 65 <strong>di</strong> ministero sacerdotale.<br />
Era nato a Valentano (Viterbo), il 28<br />
aprile 1921. Il 25 agosto 1937, nel ritiro<br />
«San Francesco» <strong>di</strong> Bellegra, emise<br />
la prima professione temporanea e ricevette<br />
i panni della<br />
prova. Il 1° gennaio<br />
1943, si consacrò al<br />
Signore, nell’or<strong>di</strong>ne<br />
Francescano dei frati<br />
minori. Il 16 luglio <strong>di</strong><br />
quello stesso anno fu<br />
or<strong>di</strong>nato presbitero.<br />
Dal 1967 e per il resto<br />
della sua vita fu<br />
cappellano ospedaliero<br />
al Policlinico<br />
«Agostino Gemelli»<br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong>.<br />
Nei lunghi anni trascorsi<br />
al Policlinico<br />
ha fasciato le piaghe<br />
<strong>di</strong> tanti cuori provati dalla sofferenza;<br />
ha consolato con parole <strong>di</strong> conforto i familiari<br />
che erano in lutto per la per<strong>di</strong>ta<br />
dei loro cari; ha ravvivato la speranza<br />
in coloro che avevano smarrito la luce<br />
della fede; ha esercitato con particolare<br />
de<strong>di</strong>zione il ministero della riconciliazione<br />
trascorrendo molto tempo in<br />
confessionale.<br />
L’icona che meglio potrebbe riassumere<br />
la vita consacrata <strong>di</strong> padre Livio è quella<br />
del «buon samaritano». Caratteristica<br />
della sua sequela a Cristo, per la qua-<br />
le padre Livio ha, peraltro, ricevuto un<br />
riconoscimento da parte <strong>di</strong> Sua Ecc.za<br />
Mons. Armando Brambilla, in occasione<br />
della quinta e<strong>di</strong>zione del premio «Il<br />
Buon Samaritano», il 26 maggio 2002.<br />
Il suo funerale ha avuto luogo il giorno<br />
17 aprile c.a. nella chiesa del «Sacro<br />
Cuore», al Policlinico Gemelli ed è stato<br />
officiato da Sua Ecc.za Mons. Elio<br />
Sgreccia con la concelebrazione <strong>di</strong> molti<br />
frati minori francescani e sacerdoti<br />
<strong>di</strong>ocesani. Alla presenza<br />
del <strong>di</strong>rettore generale<br />
del Policlinico<br />
«Agostino Gemelli»<br />
<strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, con una viva<br />
e commossa partecipazione<br />
del personale<br />
me<strong>di</strong>co, infermieristico<br />
e delle suore<br />
della carità dei reparti<br />
ospedalieri visitati<br />
da padre Livio.<br />
Nell’omelia Sua Ecc.za<br />
Mons. Elio Sgreccia,<br />
ha definito i tratti della<br />
P. Livio Petroselli.<br />
spiritualità <strong>di</strong> padre Livio,<br />
come idealmente e<br />
28
stamento spirituale nei loro cuori.<br />
Personalmente ho conosciuto padre Livio<br />
tre anni fa quando il suo male incurabile<br />
l’aveva già colpito e reso debole.<br />
Ho notato da subito che si trattava<br />
<strong>di</strong> un uomo dalla personalità forte e<br />
determinata, nonostante la malattia. La<br />
sua spiritualità francescana era improntata<br />
alla sobrietà, alla semplicità e<br />
alla umiltà.<br />
Padre Livio viveva la sua missione con<br />
coraggio spendendosi con generosità.<br />
Era indubbiamente un frate saggio la cui<br />
forza spirituale e la cui determinazione<br />
lo spingevano a condannare le iniquità,<br />
le incoerenze e gli egoismi umani.<br />
La sua figura spirituale in<strong>di</strong>cava il Cristo:<br />
«via, verità e vita».<br />
Padre Livio mi ha trasmesso soprattutto<br />
umiltà quale importante valore spirituale,<br />
principale fondamento per una<br />
crescita umana ed intellettuale.<br />
Egli, infatti, sosteneva che tutte le azioni<br />
umane che facevano emergere le<br />
gran<strong>di</strong> capacità intellettuali dell’uomo,<br />
portandolo al successo, avrebbero dovuto<br />
considerarsi una manifestazione<br />
del <strong>di</strong>vino e non un modo per accrescere<br />
il proprio senso <strong>di</strong> onnipotenza e <strong>di</strong><br />
onniscienza. Erano la misura <strong>di</strong> quanto<br />
fossimo simili a Dio e <strong>di</strong> quanto dovessimo<br />
amarlo e non piuttosto <strong>di</strong>menticarlo<br />
o ignorarlo.<br />
L’umiltà è quella ricchezza spirituale<br />
che fa superare le barriere delle <strong>di</strong>suguaglianze<br />
umane e apre il cuore dell’uomo.<br />
Grazie padre Livio!<br />
Angela G. Colicchio<br />
Vita umana<br />
Vita umana <strong>di</strong>ventata spazzatura<br />
Vita umana buttata nel cassonetto<br />
Come un cartone vuoto, per la<br />
riciclatura.<br />
Che bontà che accoglienza<br />
così si <strong>di</strong>mostra<br />
Se l’essere umano per<br />
ripararsi da questo<br />
mondo muore stritolato<br />
nel secchione<br />
della strada nostra?<br />
In mezzo all’in<strong>di</strong>fferenza<br />
della gente frettolosa<br />
che appena sa, si in<strong>di</strong>gna<br />
con il mondo e punta il <strong>di</strong>to<br />
contro chi e che cosa?<br />
Criticare, si sa, è un nostro vecchio vizio,<br />
ad<strong>di</strong>tare chi secondo noi, dovrebbe<br />
Feto<br />
a<br />
far qualcosa ma saremo tutti chiamati a<br />
giu<strong>di</strong>zio.<br />
Poi non parliamo <strong>di</strong> quei poveri bambini<br />
nati da madri, non mamme per davvero<br />
che vengono abbandonati come teneri<br />
gattini.<br />
Buttati sulla strada a tutte le intemperie<br />
con un gesto incomprensibile e tremendo<br />
gesti, ripetuti ormai in una<br />
lunga serie…<br />
Poveri piccoli, generati non nell’amore,<br />
ma nel vizio<br />
e nel sesso <strong>di</strong>chiarato,<br />
però della<br />
madre sentivano il<br />
battito del cuore!<br />
Battito, in un muscolo privo<br />
<strong>di</strong> sentimento, in un cuore<br />
che non fa rima con l’amore,<br />
cuore, in cui abbiamo<br />
messo un paravento.<br />
3 mesi.<br />
Fiorina Filippi<br />
29
Testimonianza per la morte <strong>di</strong> due brave persone<br />
25° anniversario della morte<br />
del prof. Antonio Mosca e <strong>di</strong><br />
suor Luciana Iezzi all’ospedale CTO<br />
Sono trascorsi 25 anni dalla tragica<br />
morte del prof. Antonio Mosca e <strong>di</strong> suor<br />
Luciana Iezzi ma il ricordo <strong>di</strong> quel tragico<br />
evento è ancora molto vivo all’ospedale<br />
CTO.<br />
Il 2 Marzo 1984 alle ore 11,30 circa,<br />
suor Luciana si recò in farmacia, al 2°<br />
sotterraneo, per ritirare un me<strong>di</strong>cinale<br />
urgente. Quin<strong>di</strong> riprese l’ascensore per<br />
ritornare in reparto e incontrò il primario<br />
prof. Mosca. Insieme scesero al 3°<br />
sotterraneo non sapendo nulla dell’incen<strong>di</strong>o<br />
scoppiato qualche secondo prima.<br />
Muoiono entrambi nell’ascensore<br />
avvolti dal fuoco e dal fumo.<br />
La triste notizia della loro morte si<br />
<strong>di</strong>ffonde rapidamente nell’ospedale recando<br />
in tutti sconcerto e profondo dolore,<br />
presenti nel ricordo <strong>di</strong> tante persone<br />
fino ad oggi.<br />
Il 6 Marzo 1984, nell’atrio dell’ospedale,<br />
furono celebrati con molta solennità<br />
i funerali, presieduti dal Car<strong>di</strong>nale Angelini,<br />
alla presenza dei familiari delle<br />
vittime, delle autorità e <strong>di</strong> una grande<br />
folla <strong>di</strong> persone riunite a dare l’ultimo<br />
saluto a quelle due carissime creature.<br />
Da quel giorno il C.T.O. è cambiato, non<br />
è stato più lo stesso. Si è avverata l’esortazione<br />
del Car<strong>di</strong>nale Angelini: «Amici<br />
carissimi, me<strong>di</strong>ci, parame<strong>di</strong>ci, personale<br />
tutto: davanti a queste due bare<br />
promettiamo <strong>di</strong> farci coraggio, <strong>di</strong><br />
farci migliori nella vita personale e<br />
professionale, <strong>di</strong> elevare le con<strong>di</strong>zioni<br />
sanitarie dei luoghi in cui operiamo,<br />
<strong>di</strong> intraprendere un cammino <strong>di</strong> responsabile<br />
laboriosità...».<br />
Abbiamo avvertito quin<strong>di</strong> l’esigenza <strong>di</strong><br />
commemorare in modo particolare un<br />
evento che ha segnato profondamente<br />
la vita della nostra comunità ospedaliera.<br />
Il 2 marzo u.s. alle ore 12 è stata celebrata<br />
la S. Messa dal cappellano don<br />
Martino. Erano presenti: la moglie del<br />
prof. Mosca, visibilmente commossa,<br />
malati, suore, me<strong>di</strong>ci, in particolare un<br />
folto gruppo <strong>di</strong> anestetisti, infermieri e<br />
<strong>di</strong>pendenti.<br />
Il celebrante, durante l’omelia, ha citato<br />
alcuni passi del <strong>di</strong>scorso pronunciato<br />
dal Car<strong>di</strong>nale Angelini durante il rito<br />
delle esequie: «Oggi stiamo dando<br />
il nostro saluto a due carissime creature:<br />
un me<strong>di</strong>co e una infermiera capo-sala.<br />
Due persone che hanno consacrato<br />
la loro esistenza a servizio dei<br />
fratelli infermi.<br />
In questi giorni ho sentito espressioni<br />
all’in<strong>di</strong>rizzo del prof. Antonio Mosca<br />
e della carissima suor Luciana Iezzi<br />
equivalenti al riconoscimento <strong>di</strong><br />
esemplarità umana e cristiana e, perché<br />
no?, <strong>di</strong> santità. Un collega del<br />
prof. Mosca <strong>di</strong>ceva: “Avevamo tra noi<br />
un altro Giuseppe Moscati!” Un santo<br />
tra noi.<br />
Il ricordo <strong>di</strong> queste due stimatissime<br />
creature deve restare tra noi a conforto<br />
ed incoraggiamento per continuare<br />
a lavorare con motivato e intelligente<br />
ottimismo, con molta speranza,<br />
contro le <strong>di</strong>fficoltà vere e false, contro<br />
tutti coloro che non hanno senso<br />
<strong>di</strong> responsabilità».<br />
L’omelia continuava illustrando la figura<br />
del prof. Mosca, <strong>di</strong> cui venivano<br />
messe in evidenza sia l’elevatissima preparazione<br />
professionale, sia le doti uma-<br />
30
ne. È stato ricordato che il prof. Mosca<br />
era per i suoi collaboratori non solo il<br />
primario, ma anche un grande maestro<br />
e padre. Era l’uomo <strong>di</strong> un profondo<br />
amore ai malati, l’uomo <strong>di</strong> una de<strong>di</strong>zione<br />
illimitata, l’uomo <strong>di</strong> profonda fede.<br />
Ogni mattina, prima <strong>di</strong> iniziare il servizio,<br />
egli trascorreva qualche tempo in<br />
cappella, in ginocchio, in silenziosa preghiera.<br />
Invece suor Luciana, delle suore Minime<br />
dell’Addolorata, era la più giovane<br />
suora della comunità religiosa che operava<br />
in ospedale, sempre piena <strong>di</strong> entusiasmo,<br />
gioiosa, attenta a tutte le necessità<br />
dei suoi pazienti, che curava con<br />
amore e professionalità. Durante la me<strong>di</strong>tazione<br />
del mattino, poche ore prima<br />
<strong>di</strong> morire, scrisse in un bigliettino: «Signore,<br />
tu sei sempre tra noi, ravviva<br />
la mia fede perché io possa metterti<br />
al centro della mia vita. Gesù la tua<br />
morte <strong>di</strong>a significato alla mia morte,<br />
la tua risurrezione <strong>di</strong>a significato alla<br />
mia vita».<br />
Questo ci ha fatto comprendere che la<br />
morte del prof. Mosca e <strong>di</strong> suor Luciana<br />
non era stato solo un evento tragico<br />
e assurdo, ma un sacrificio gra<strong>di</strong>to a Dio<br />
e fecondo <strong>di</strong> bene.<br />
Il ricordo esemplare del prof. Mosca e<br />
<strong>di</strong> suor Luciana, la loro figura che ancora<br />
sembra aleggiare nelle corsie <strong>di</strong><br />
questo ospedale sono anche oggi <strong>di</strong> monito,<br />
<strong>di</strong> incoraggiamento, <strong>di</strong> sostegno.<br />
Per questo fatto alla memoria del prof.<br />
Mosca e <strong>di</strong> suor Luciana, in data 4 luglio<br />
2000, è stato assegnato il «Premio<br />
del Buon Samaritano».<br />
Oggi, nel momento <strong>di</strong> importanti trasformazioni,<br />
affi<strong>di</strong>amo alla loro preghiera<br />
e alla loro intercessione il nostro<br />
C.T.O. perché in ogni scelta prevalga il<br />
vero bene dei malati e <strong>di</strong> tutto il personale<br />
ospedaliero.<br />
Suor Dolores<br />
Ospedale C.T.O.<br />
Il terremoto<br />
dell’Aquila<br />
Il Sig. Giuseppe Maria Lotano – volontario<br />
ARVAS presso il Policlinico<br />
Umberto I <strong>di</strong> <strong>Roma</strong> ha inviato una poesia<br />
– L’Aquila (6 aprile <strong>2009</strong>) – scritta<br />
sulla emozione dei gravi fatti a carico<br />
della popolazione dell’Abruzzo, fatti<br />
analoghi da cui fu lui <strong>di</strong>rettamente interessato<br />
durante il terremoto del 1980<br />
a Castelgrande (PZ).<br />
La poesia vuole essere una testimonianza<br />
e considerazione sulla vanità delle<br />
cose terrene ed un invito ad un costante<br />
impegno per potere essere sempre<br />
capaci <strong>di</strong> vivere l’insegnamento della<br />
parola <strong>di</strong> Dio e fortificarci per non essere<br />
colti impreparati.<br />
«Penso che il manifestarsi <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>sastri<br />
confermi, usando la misura<br />
umana delle cose, inequivocabilmente,<br />
il senso del legame dell’uomo alle<br />
cose terrene e, contemporaneamente<br />
testimoni il valore della solidarietà e<br />
con<strong>di</strong>visione delle necessità <strong>di</strong> tutti i<br />
fratelli forza della nostra fede e missione<br />
<strong>di</strong> cristiani contro ogni senso <strong>di</strong><br />
sfiducia e <strong>di</strong> risentimento».<br />
L’Aquila (6 aprile <strong>2009</strong>)<br />
Irrompi cupo tremore<br />
<strong>di</strong> viscere della terra<br />
a dare dolore e colori<br />
sconosciuti al tempo<br />
della vita dei sapori<br />
a chiedere <strong>di</strong> scavare<br />
con strette <strong>di</strong> mani<br />
tra pietre confuse<br />
ultimo segno<br />
<strong>di</strong> calore.<br />
Grato per l’attenzione.<br />
Giuseppe Maria Lotano<br />
31
Prendersi cura<br />
Prendersi cura<br />
Ogni anno l’U S M I (unione superiore<br />
maggiori d’Italia) organizza un convegno<br />
<strong>di</strong> pastorale sanitaria a Rocca <strong>di</strong> Papa<br />
ed io ho partecipato dal 2 al 7 Marzo.<br />
I temi sono sempre utili ed importanti per<br />
dare un aiuto alle suore e anche agli operatori<br />
sanitari laici nell’assistenza alle<br />
persone che soffrono.<br />
Tema <strong>di</strong> quest’anno: «L’Oncologia oggi<br />
nei suoi aspetti sanitari, etici, legislativi<br />
psicologici». Ai nostri giorni dopo<br />
la morte per cause car<strong>di</strong>ovascolari<br />
c’è la morte per tumore, per questo è<br />
bene essere preparati a questo grande<br />
evento. I relatori <strong>di</strong> questo convegno si<br />
sono <strong>di</strong>mostrati ben preparati e ricchi<br />
<strong>di</strong> contenuti per una formazione umana,<br />
spirituale e psicologica.<br />
Essi ci hanno guidato<br />
nel prendere<br />
coscienza che per<br />
questi malati oncologici<br />
è bene passare<br />
dal curare al<br />
prendersi cura rimanendo<br />
vicino a<br />
queste persone con<br />
la sapienza del<br />
cuore.<br />
Questi malati si trovano<br />
a vivere come dentro uno tsunami,<br />
oppure in mezzo a un deserto. Per<br />
loro noi dobbiamo essere delle Oasi nelle<br />
quali esiste una fonte <strong>di</strong> acqua che<br />
<strong>di</strong>sseta e che può dare speranza <strong>di</strong> vita<br />
aiutando queste persone nella lotta per<br />
vivere con coraggio e forza superando<br />
paure e depressioni.<br />
È importante per gli operatori sanitari<br />
offrire adeguate e tempestive informazioni<br />
sulla malattia e sul trattamento lasciando<br />
che il malato esprima le sue<br />
emozioni anche piangendo senza che si<br />
senta giu<strong>di</strong>cato. I meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />
che questi in<strong>di</strong>vidui provano sono necessari:<br />
la negazione, la proiezione, la<br />
regressione, la sublimazione. Per poter<br />
sedere tranquillamente vicino ad un malato<br />
inguaribile e comunicare con lui<br />
senza angoscia dobbiamo prima considerare<br />
molto seriamente il nostro atteggiamento<br />
verso la morte e il morire, essere<br />
consapevoli dei nostri limiti ed avere<br />
una forte maturità personale.<br />
Verità e speranza<br />
possono convivere<br />
Suor Cristina in visita agli ammalati.<br />
La speranza è il sentimento confortante<br />
che proviamo<br />
quando scorgiamo<br />
con l’occhio della<br />
mente il cammino<br />
che può condurci a<br />
una con<strong>di</strong>zione migliore.<br />
C’è un modo<br />
<strong>di</strong> comunicare<br />
la <strong>di</strong>agnosi che veicola<br />
speranza, piccole<br />
realizzazioni<br />
possibili. La sicurezza<br />
<strong>di</strong> non essere<br />
abbandonati gli<br />
rende più sopportabile la malattia.<br />
A confrontarsi con la malattia non è solo<br />
il malato, sono i familiari e gli amici<br />
più intimi.<br />
Gli atteggiamenti della famiglia si riflettono<br />
sempre vantaggiosamente o meno<br />
sul malato stesso. Un atteggiamento<br />
<strong>di</strong> fiducia nella famiglia crea ad esempio,<br />
un clima che si riflette positivamente<br />
sul malato. Lo sconforto del famigliare<br />
<strong>di</strong>venta un messaggio <strong>di</strong>struttivo.<br />
Le emozioni entrano in un circui-<br />
32
to relazionale in cui famiglia e malato<br />
si rinforzano reciprocamente. La malattia<br />
che dura nel tempo è come un filo<br />
rosso che colora le varie relazioni e<br />
collega i vari momenti della storia personale<br />
e famigliare.<br />
Una grossa parte <strong>di</strong> tensione e <strong>di</strong> sofferenza<br />
che le famiglie vivono nel caso<br />
della malattia <strong>di</strong> un loro membro potrebbe<br />
essere evitata o per lo meno <strong>di</strong>minuita<br />
se ci fosse più attenzione, una<br />
buona relazione <strong>di</strong> aiuto e un adeguato<br />
sostegno, a livello psicologico, sociale,<br />
economico e spirituale da parte <strong>di</strong> chi<br />
cura il malato e della comunità civile e<br />
religiosa.<br />
Vorrei terminare queste mie brevi riflessioni<br />
su questo grande convegno con<br />
una preghiera del Car<strong>di</strong>nale Angelo Comastri<br />
a Maria addolorata: «O Madre,<br />
tu hai conosciuto il dolore, ma l’hai<br />
vissuto riempiendolo d’amore. Tu hai<br />
camminato sulle orme <strong>di</strong> Gesù e non<br />
ti sei fermata quando hai visto che andavano<br />
verso la croce. Tu hai creduto<br />
che l’amore è onnipotente, tu hai<br />
creduto che la bontà, quando è crocifissa,<br />
vince e risorge». Amen<br />
Suor Cristina Fantin<br />
Etica e Sanità<br />
L’attuale tempo «moderno» porta ad aver un’eccessiva fede nella tecnologia e nella scienza:<br />
pare quasi che la «scienza» sia <strong>di</strong>ventata oggi l’unica fonte <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> certezza e che da sola<br />
sia capace <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare l’animo dell’uomo e che ne migliori la qualità <strong>di</strong> vita.<br />
Anche il settore sanitario è oggi tanto permeato <strong>di</strong> tecnologia che il paziente e gli stessi me<strong>di</strong>ci<br />
sembrano essere sod<strong>di</strong>sfatti e sicuri della strada terapeutica intrapresa soltanto quando la tecnologia<br />
supporta e conferma la loro certezza <strong>di</strong>agnostica.<br />
Sembra <strong>di</strong>ventato ad<strong>di</strong>rittura obsoleto ricercare il «contatto» umano, fisico con il malato perché<br />
l’interfaccia con la macchina farebbe sembrare tutto l’atto sanitario più semplice e sod<strong>di</strong>sfacente,<br />
quasi più «sterile»! Niente <strong>di</strong> più falso ed ai fini <strong>di</strong>agnostici persino ingannevole!<br />
Infatti anche in questi tempi «moderni» la sicurezza <strong>di</strong>agnostica e quin<strong>di</strong> il successivo percorso<br />
terapeutico si ricava dall’in<strong>di</strong>spensabile contatto fisico con il malato fondato sui sempre<br />
vali<strong>di</strong> ed eterni caratteri semiologici già anticamente descritti da Celso, enciclope<strong>di</strong>sta e me<strong>di</strong>co<br />
romano nato nel 14 a.C., consistenti dalla ispezione – palpazione – percussione ed ascoltazione;<br />
questi elementi associati all’anamnesi, ancor oggi, in<strong>di</strong>rizzano verso l’esatta <strong>di</strong>agnosi<br />
meglio <strong>di</strong> ogni sofisticato macchinario (TC e RM), prima <strong>di</strong> qualsiasi avanzata tecnologia<br />
che comunque risulta utile solo in una seconda battuta come conferma del sospetto ipotizzato.<br />
Inoltre il rapporto «umano» col malato permette, ove sia stato sincero e interessato, <strong>di</strong><br />
com patirne la sofferenza nel senso più profondo per meglio così capire quale sia la causa<br />
della sintomatologia presentata, il sanitario deve avere particolare interesse per l’anamnesi<br />
del paziente e saper coglierne tutti i sintomi per poi giungere, attraverso lo strumento<br />
della semiotica fisica, alla corretta <strong>di</strong>agnosi, <strong>di</strong>agnosi che altrimenti sarebbe ben<br />
arduo anche solo ipotizzare.<br />
Se vi è una certezza nella scienza me<strong>di</strong>ca, scienza tanto lontana dalla matematica in quanto materia<br />
biologica, scienza tanto mutevole e tanto singolare come singolari e mutevoli sono i <strong>di</strong>versi<br />
in<strong>di</strong>vidui, questa certezza sanitaria deriva prevalentemente dall’aver messo «le mani addosso»<br />
al paziente e dall’aver tratto certezze dal concreto contatto fisico con l’altro uomo per<br />
poi trarne il più preciso sospetto <strong>di</strong>agnostico.<br />
Il sanitario deve quin<strong>di</strong> far suo il problema del malato, lo deve vivere e così col suo personale<br />
compatimento troverà la strada ideale per giungere alla <strong>di</strong>agnosi ed alla terapia, aiutato<br />
poi anche dalla moderna tecnologia che, soltanto in seconda battuta, confermerà o meno<br />
quanto ha ipotizzato.<br />
Solo questo sforzo umano e scientifico congiunto darà piena sod<strong>di</strong>sfazione al me<strong>di</strong>co ed al malato<br />
e sarà anche un ottimo metodo per esprimersi al meglio nella pratica pastorale sanitaria.<br />
Dr. Luciano Pagliari<br />
33
I<br />
l Servizio Sanitario Nazionale Italiano è<br />
universale e garantisce a tutti l’assistenza<br />
sanitaria gratuita, fondandosi sulla me<strong>di</strong>cina<br />
<strong>di</strong> famiglia, sulla continuità assistenziale<br />
territoriale, sul pronto soccorso,<br />
sulla specialistica ambulatoriale e sulla<br />
rete ospedaliera.<br />
La spesa per il Servizio Sanitario Regionale<br />
supera generalmente il 50% del<br />
bilancio complessivo <strong>di</strong> una Regione fino<br />
a raggiungere punte dell’80% in qualche<br />
Regione.<br />
L’aumento progressivo dell’età me<strong>di</strong>a<br />
della popolazione italiana, con un’aspettativa<br />
<strong>di</strong> vita <strong>di</strong> 79 anni per gli uomini<br />
e <strong>di</strong> 84 per le donne, ha condotto<br />
l’Italia ad essere il paese più longevo<br />
d’Europa, concorrendo peraltro ad aumentare<br />
anche la spesa sanitaria.<br />
Il carattere universale della sanità pubblica<br />
italiana ha meritato all’Italia il 2°<br />
posto, subito dopo la Francia, nella classifica<br />
OMS su 196 paesi, ma se il bene<br />
salute non ha prezzo, la sanità ha un costo<br />
elevato e le risorse <strong>di</strong>sponibili devono<br />
essere ben spese, secondo i principi<br />
dell’economicità <strong>di</strong> gestione.<br />
In alcune Regioni, soprattutto<br />
del centro-sud d’Italia, ci<br />
sono troppi ospedali generalisti<br />
in rapporto<br />
alla popolazione<br />
residente:<br />
molti comu- ni hanno<br />
voluto il proprio ospe- dale, per dare<br />
ai citta<strong>di</strong>ni la possibilità <strong>di</strong> essere ricoverati<br />
vicino casa, senza doversi allontanare<br />
e, con essi, i loro familiari. È<br />
una idea sbagliata e pericolosa: oggi non<br />
ha più senso mantenere <strong>di</strong>visioni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina<br />
e <strong>di</strong> chirurgia generale dei numerosi<br />
ospedali nelle Regioni, perché è <strong>di</strong>mostrato<br />
che migliori risultati terapeutici<br />
sono raggiunti dalle “equipe”<br />
altamente specializzate in una o più<br />
specialità me<strong>di</strong>co-chirurgiche.<br />
Ad esempio, un’equipe chirurgica è altamente<br />
specializzata in chirurgia tiroidea<br />
se esegue più <strong>di</strong> 30 tiroidectomie totali<br />
all’anno, un’altra è altamente specializzata<br />
in chirurgia gastrica se esegue<br />
più <strong>di</strong> 30 gastrectomie totali all’anno e<br />
così via. Oggi la scienza me<strong>di</strong>ca progre<strong>di</strong>sce<br />
così rapidamente che un me<strong>di</strong>co<br />
non può garantire ad un paziente il miglior<br />
trattamento possibile se non in uno<br />
o due capitoli della me<strong>di</strong>cina e chirurgia.<br />
Ad esempio, un me<strong>di</strong>co sarà tra i migliori<br />
specialisti per il trattamento del <strong>di</strong>abete,<br />
un altro per l’ipertensione arteriosa, un<br />
altro ancora per l’osteoporosi, mentre un<br />
chirurgo sarà tra i migliori per la chirurgia<br />
della tiroide, un altro per la chirurgia<br />
della mammella, un altro ancora per la<br />
chirurgia gastrica e così via. Gli ospedali<br />
generalisti <strong>di</strong> zona dovranno essere<br />
sostituiti dai centri <strong>di</strong> eccellenza,<br />
do-<br />
tati <strong>di</strong> strutture<br />
recet-<br />
tive a<strong>di</strong>ac<br />
e n t i<br />
per l’ospitalità<br />
dei<br />
familiari. Il passaggio<br />
dalla cultura<br />
dell’«Ospedale vicino<br />
casa» alla cultura dell’ospedale<br />
d’eccellenza ci consentirà<br />
<strong>di</strong> migliorare i risultati terapeutici e<br />
<strong>di</strong> risparmiare risorse preziose.<br />
Ancora oggi la spesa sanitaria privata<br />
delle famiglie italiane è valutabile in 25<br />
miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Euro all’anno, pari al 2% del<br />
PIL ed al 20% della spesa sanitaria totale.<br />
Il 57% <strong>di</strong> tutte le visite specialistiche<br />
è pagato <strong>di</strong> tasca propria dai citta<strong>di</strong>ni, i<br />
quali pagano le tasse per l’assistenza sanitaria<br />
pubblica e pagano <strong>di</strong> nuovo per le<br />
visite specialistiche: il pagamento plurimo<br />
per le stesse prestazioni è assolutamente<br />
da ban<strong>di</strong>re.<br />
I citta<strong>di</strong>ni hanno però il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> scegliere<br />
lo specialista <strong>di</strong> propria fiducia e<br />
<strong>di</strong> essere curati oppure operati da quello<br />
specialità. Non sempre la scelta del paziente<br />
è fondata su criteri oggettivi <strong>di</strong><br />
qualità e professionalità dello specialista<br />
prescelto, perché spesso il paziente as-<br />
Un punto <strong>di</strong> vista<br />
34
sume informazioni parziali e giu<strong>di</strong>zi soggettivi<br />
che possono non corrispondere alla<br />
realtà. Ai fini della trasparenza e del<br />
controllo <strong>di</strong> qualità delle prestazioni, è<br />
in<strong>di</strong>spensabile controllare tutte le cartelle<br />
cliniche (e non soltanto il 2% <strong>di</strong> essere<br />
come succede adesso) e pubblicare in<br />
Internet i risultati ottenuti da tutte le unità<br />
operative operanti in Italia.<br />
Al fine <strong>di</strong> rendere più efficiente il servizio<br />
sanitario pubblico, ben venga l’integrazione<br />
con il privato e con l’attività libero-professionale<br />
intramoenia, purché<br />
i citta<strong>di</strong>ni non debbano pagare <strong>di</strong> tasca<br />
propria le prestazioni ma siano garantiti<br />
dalle Assicurazioni oppure dai Fon<strong>di</strong> Sanitari<br />
Integrativi.<br />
Con il decreto del Ministero della Salute<br />
del 17/03/2008 è stata istituita l’anagrafe<br />
dei fon<strong>di</strong> e ne sono stati già censiti<br />
più <strong>di</strong> 500.<br />
In sede <strong>di</strong> contrattazione collettiva, è<br />
auspicabile che le aziende assicurino a<br />
tutti i lavoratori ed alle loro famiglie<br />
l’attivazione dei Fon<strong>di</strong> Sanitari Integrativi<br />
per le prestazioni sanitarie non<br />
incluse nei L.E.A. ed anche per quelle<br />
incluse nei L.E.A. ma per le quali i lavoratori<br />
ed i propri familiari vogliano<br />
avvalersi del <strong>di</strong>ritto della libera scelta<br />
del me<strong>di</strong>co.<br />
Per i lavoratori autonomi ed i loro familiari,<br />
è auspicabile agevolare la stipula <strong>di</strong><br />
un’assicurazione privata, grazie al sistema<br />
delle deduzioni fiscali, già previste<br />
fino ad un massimale <strong>di</strong> Euro 3.615 all’anno.<br />
I professionisti, accre<strong>di</strong>tati presso il Servizio<br />
Sanitario Nazionale, potranno convenzionarsi<br />
con le assicurazioni e con i<br />
Fon<strong>di</strong> Sanitari Integrativi al fine <strong>di</strong> offrire<br />
a tariffe agevolate le prestazioni sanitarie<br />
comprese nella propria specializzazione<br />
o, meglio, superspecializzazione.<br />
Prof. Vito D’Andrea<br />
Docente <strong>di</strong> Chirurgia Generale<br />
all’Univesità della Sapienza<br />
Preghiera alla<br />
Madonna<br />
della Salute<br />
O vera sorgente <strong>di</strong> vita, o fonte perenne<br />
<strong>di</strong> ogni nostra salute, gran Regina dei<br />
cieli, Maria, rivolgi, Ti prego, verso <strong>di</strong><br />
me l’occhio benigno della tua misericor<strong>di</strong>a.<br />
Sollevami dal peso delle mie colpe, e col<br />
favore della tua potente intercessione, e<br />
per i meriti <strong>di</strong> San Giuseppe e <strong>di</strong> San Camillo<br />
de Lellis, fa’ che io ottenga da Dio,<br />
con la sal vezza dell’anima, la salute del<br />
corpo, e quella grazia <strong>di</strong> cui ho tanto bisogno<br />
e che ti rac comando affinché, potendo<br />
meglio ser vire e lodare Dio in questa<br />
vita, venga poi un giorno ad amar-<br />
Lo e ringraziarLo con Te, per tutta l’eternità,<br />
beato nel cielo.<br />
O Maria, salute degli infermi, proteggi<br />
i malati che giacciono negli ospedali<br />
o nelle loro case, specialmente quelli<br />
più provati dal dolore nell’anima e<br />
nel corpo.<br />
Non abbandonarli!<br />
Io ti offro tutta questa umana sofferen -<br />
za per ottenere da Te il perdono, la pace<br />
e la salvezza per tutta l’umanità.<br />
O Madre della salute, non <strong>di</strong>sprezzare<br />
la mia voce, ma benigna ascoltami, esau<strong>di</strong>scimi,<br />
salvami. Amen<br />
Con approvazione ecclesiastica<br />
35
A<br />
Una lettura,<br />
anche spirituale,<br />
per l’estate:<br />
i racconti <strong>di</strong><br />
Karen Blixen<br />
Gli anni <strong>di</strong> Gesù a Nazaret:<br />
lo straor<strong>di</strong>nario dell’or<strong>di</strong>nario<br />
Nazaret Gesù è vissuto trenta’anni: la<br />
maggior parte della sua storia terrena.<br />
Confuso nell’anonimato, come quasi<br />
tutti gli uomini, con<strong>di</strong>vide con essi una<br />
genuina umanità che, proprio così,<br />
esprime il suo essere eguale al Padre<br />
(Fil 2,6), maturando nella or<strong>di</strong>narietà<br />
della esistenza quoti<strong>di</strong>ana. La sua pre<strong>di</strong>cazione<br />
– appena due anni e mezzo –<br />
non farà altro che svelare il tesoro nascosto<br />
nella «terra degli uomini»: la<br />
perla preziosa racchiusa in questa or<strong>di</strong>narietà<br />
senza clamore. La morte e risurrezione<br />
non sarà altro che portare a<br />
compimento quell’amore che egli ha<br />
«imparato» (Eb 5,8) e testimoniato con<br />
semplicità negli incre<strong>di</strong>bili lunghi anni<br />
<strong>di</strong> Nazaret.<br />
Alla luce tenue e <strong>di</strong>screta del «<strong>di</strong>ventare»<br />
uomo, giorno dopo giorno, <strong>di</strong> Dio<br />
nel villaggio <strong>di</strong> Nazaret, va compresa e<br />
vissuta la chiamata della comunità cristiana<br />
alla nuova evangelizzazione. Si<br />
tratta non <strong>di</strong> dare spettacolo, <strong>di</strong> far sentire<br />
che siamo forti, ma <strong>di</strong> seguire l’esempio<br />
<strong>di</strong> Gesù che ha rivelato la realtà<br />
e il vero senso del suo essere Dio attraverso<br />
la genuinità del suo essere uomo.<br />
È uno stile, un modo <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong><br />
agire con la forza dell’umile amore, che<br />
possiamo apprendere dalla me<strong>di</strong>tazione<br />
del Vangelo – specialmente esistenzialmente<br />
a partire dal «libro aperto»<br />
della quoti<strong>di</strong>anità vissuta.<br />
«Raccontare la quoti<strong>di</strong>anità»<br />
come storia sacra<br />
In questo contesto ci sembra <strong>di</strong> stimolo e<br />
<strong>di</strong> aiuto, a livello spirituale, pastorale e<br />
anche teologico, fare riferimento ad alcune<br />
profonde intuizioni espresse con l’eloquente<br />
linguaggio simbolico della comunicazione<br />
artistica. Ricor<strong>di</strong>amo il bellissimo<br />
film <strong>di</strong> Ermanno Olmi «Centochio<strong>di</strong>»<br />
(marzo 2007). È la rappresentazione<br />
<strong>di</strong> una parabola esistenziale che,<br />
dalle rive del Pò, allude poeticamente alla<br />
vita <strong>di</strong> Gesù – specialmente al suo stile<br />
<strong>di</strong> amicizia – attraverso la figura del<br />
professore. Questi, inchiodando letteralmente<br />
i libri anche preziosi, scende dalle<br />
presunzioni della sua cattedra, fugge<br />
via dalla università. Va a con<strong>di</strong>videre senza<br />
demagogia, nell’amicizia e nel lavorare<br />
insieme, la vita dei semplici, fino a<br />
rischiare in prima persona.<br />
Cor<strong>di</strong>ale e affascinante è il recentissimo<br />
libro del teologo Enzo Bianchi, proprio<br />
della comunità laica monastica <strong>di</strong> Bose:<br />
«Il pane <strong>di</strong> ieri» (Einau<strong>di</strong>, Torino 2008,<br />
pp. 114). È uno spaccato <strong>di</strong> teologia esistenziale<br />
vissuta che racconta storie, rievoca<br />
volti e momenti <strong>di</strong> vita familiare, religiosa<br />
e paesana: in modo umanissimo,<br />
con sorridente, calda e realistica saggezza.<br />
«Il pane <strong>di</strong> ieri» rimasto sulla tavola,<br />
luogo <strong>di</strong> incontro e <strong>di</strong> festa, «è buono<br />
anche domani»: perché il sapore più vero<br />
della vita e della fede quoti<strong>di</strong>ane – che<br />
le pagine del libro ci fanno assaggiare –<br />
è sempre nuovo e insieme antico.<br />
Karen Blixen «trasformare la<br />
propria vita in racconto»<br />
Per scoprire meglio e quasi assaporare il<br />
valore strao<strong>di</strong>nario dell'or<strong>di</strong>nario – nella<br />
vita <strong>di</strong> Gesù a Nazaret e nella nostra – ci<br />
è <strong>di</strong> stimolo una grande scrittrice dei nostri<br />
tempi, la danese Karen Blixen (1885-<br />
1962). È una maestra dell’arte <strong>di</strong> «narrare<br />
storie». In esse sono frequenti i riferimenti<br />
<strong>di</strong> tipo religioso. Critica verso il<br />
36
dualismo <strong>di</strong> quella tra<strong>di</strong>zione cristiana che<br />
oppone fra loro terra e cielo, appartiene<br />
per origine al cristianesimo evangelico<br />
ma, specialmente nella corrispondenza<br />
con il fratello Thomas, riconosce <strong>di</strong> essere<br />
quasi una cattolica, anzi un prete cattolico.<br />
Ha soggiornato più volte a <strong>Roma</strong>,<br />
nel 1912, nel 1952 (incontrando anche Pio<br />
XII) e nel 1956. La sua fedele segretaria<br />
Clara Svendsen era cattolica e buona conoscitrice<br />
della teologia cattolica.<br />
La Blixen è conosciuta specialmente per<br />
gli stupen<strong>di</strong> film che traducono in linguaggio<br />
cinematografico due fra i suoi libri:<br />
«La mia Africa» (Feltrinelli) e «Il<br />
pranzo <strong>di</strong> Babette» (in «Capricci del<br />
destino») (Feltrinelli). Quest’ultimo è una<br />
limpida intensa parabola che, con una delicata<br />
vena <strong>di</strong> humour, racconta la vita <strong>di</strong><br />
una comunità <strong>di</strong> pescatori. Babette, una<br />
ex-partigiana <strong>di</strong> Parigi, <strong>di</strong>venuta un’ottima<br />
domestica, sacrifica tutta la sua fortuna<br />
economica (sopraggiunta all’improvviso)<br />
offrendo una cena favolosa, che<br />
lei stessa prepara come una grande artista.<br />
Intorno alla tavola in festa la litigiosa<br />
religiosità degli invitati si scioglie,<br />
aprendosi (con una risonanza quasi «eucaristica»)<br />
ad una vita nuova che è capacità<br />
<strong>di</strong> una gioiosa umiltà e fraternità.<br />
Gli scritti della Blixen, quasi tutti racconti,<br />
narrano come ognuno con la sua vita quoti<strong>di</strong>ana<br />
va scrivendo la «sua» storia. Alla<br />
base c’è sempre la domanda, il grido,<br />
il desiderio profondo <strong>di</strong> conoscere : «Chi<br />
sono io?» La risposta sta proprio nella<br />
concretezza della mia storia dove «gli<br />
eventi traggono il loro significato dal<br />
nostro stato d’animo» per cui «agli occhi<br />
<strong>di</strong> due uomini nessun evento è il medesimo».<br />
Il senso <strong>di</strong> tale storia è dare risposta<br />
(quasi «artistica») all’idea che Dio<br />
ha avuto su <strong>di</strong> me quando sono uscito dalle<br />
sue mani. È un’idea, un «destino» (un<br />
concetto caro agli in<strong>di</strong>geni de «La mia<br />
Africa»), un <strong>di</strong>segno provvidenziale (secondo<br />
il linguaggio cristiano) in cui tutto,<br />
«guardato dall’Alto» – come nei voli<br />
<strong>di</strong> aereo con Denys – ha un posto: gioie<br />
e sofferenze (le «per<strong>di</strong>te»), libertà e necessità.<br />
Il vero «orgoglio» (o fierezza)<br />
dell’uomo è condurre a termine responsabilmente<br />
il proprio destino provvidenziale,<br />
aver fede nell'idea che Dio ha avuto<br />
su <strong>di</strong> lui creandolo.<br />
Per vivere la nostra quoti<strong>di</strong>anità che <strong>di</strong>viene<br />
storia è necessario fermarsi per raccontarla<br />
a noi stessi, anche più volte. Scrive<br />
la Blixen: «Riuscire a trasformare le<br />
vicende della propria vita in racconto<br />
è una grande gioia: forse l’unica felicità<br />
che un essere umano possa trovare<br />
in questa terra... L’arte <strong>di</strong>vina è la<br />
storia: in principio era la storia. Alla<br />
fine avremo il privilegio <strong>di</strong> vederla, e<br />
<strong>di</strong> rivederla, nel suo insieme – e questo<br />
è ciò che viene chiamato il giorno del<br />
giu<strong>di</strong>zio». Secondo lei la storia dell’umanità<br />
nel suo insieme assomiglia in certo<br />
modo ad un romanzo composto <strong>di</strong> numerevoli<br />
racconti intrecciati. In questo<br />
intreccio «visto dall’Altro» è possibile<br />
respirare una certa aria <strong>di</strong> famiglia: quella<br />
somiglianza (non... uguaglianza) fra<br />
tutte le persone umane che, quando c’è<br />
genuina umanità, amore, non <strong>di</strong>sprezza<br />
ma valorizza l’identità <strong>di</strong> ognuno, la originalità<br />
delle singole storie.<br />
La genuina umanità:<br />
rivelazione <strong>di</strong> Dio<br />
La scrittrice danese – soprannominata dagli<br />
in<strong>di</strong>geni «colei che presta attenzione»<br />
(Jerie) – con i suoi numerosi racconti<br />
pubblicati in Italia da Adelphy e da Feltrinelli,<br />
ci rivela che «nella vita ci sono<br />
molte cose che un essere umano... non<br />
può raggiungere con i propri sforzi. Ma<br />
esiste una umanità genuina che resterà<br />
sempre un dono, e che un essere umano<br />
deve accettare da un altro essere<br />
umano così come egli glielo offre. Colui<br />
che dona ha a sua volta ricevuto. In<br />
questo modo, un anello per volta, si forma<br />
una catena da una terra all’altra,<br />
e da una generazione all’altra» («Ultimi<br />
racconti», Adelphy, p. 102). A noi<br />
37
Un «anno sacerdotale»<br />
Nel 150 ° della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney,<br />
«vero esempio <strong>di</strong> Pastore a servizio del gregge <strong>di</strong> Cristo»,<br />
Benedetto XVI ha deciso <strong>di</strong> in<strong>di</strong>re uno speciale «anno sacerdotale»,<br />
dal 19 giugno prossimo fino al 19 giugno 2010.<br />
Lo ha annunciato durante l’u<strong>di</strong>enza alla plenaria della Congregazione<br />
per il Clero, ricevuta nella Sala del Concistoro<br />
lunedì mattina, 16 marzo<br />
sembra che, alla luce della fede nella incarnazione<br />
salvifica <strong>di</strong> Dio in Cristo, dobbiamo<br />
riconoscere la centralità <strong>di</strong> questa<br />
genuina umanità che gli uomini vivono,<br />
anche se spesso inconsapevolmente<br />
(«non sappia la tua sinistra quello che<br />
fa la tua destra»: Mt 6,3). Ed è proprio<br />
questa la via fondamentale della rivelazione<br />
<strong>di</strong> Dio avvenuta in «tutta» la storia<br />
terrena <strong>di</strong> Cristo, nei lunghi anni <strong>di</strong> Nazaret,<br />
culminate nella sua morte e risurrezione<br />
e prolungata nelle membra del<br />
Cristo «totale». «Chi ha visto me ha visto<br />
il Padre» (Gv 14,9). «Tutto quello<br />
che avete fatto a uno solo <strong>di</strong> questi miei<br />
fratelli più piccoli l’avete fatto a me»<br />
(Mt 25,40).<br />
Attraverso la via della umanità (del Cristo<br />
«totale») zampilla e scorre il dono della<br />
Grazia infinita <strong>di</strong> cui parla il generale<br />
Loewenhielm nel meraviglioso <strong>di</strong>scorso<br />
che tiene nel «Pranzo <strong>di</strong> Babette».<br />
«...tanta è la nostra umana stoltezza e<br />
imprevidenza che immaginiamo la grazia<br />
<strong>di</strong>vina essere finita. E perciò tremiamo...<br />
Ma viene il giorno in cui i nostri<br />
occhi si aprono e ve<strong>di</strong>amo e capiamo<br />
che la grazia è invece infinita. La<br />
grazia, amici miei, ci chiede soltanto <strong>di</strong><br />
aspettarla con fiducia e <strong>di</strong> accoglierla<br />
con riconoscenza... Perché la misericor<strong>di</strong>a<br />
e la verità si sono incontrate, la<br />
rettitu<strong>di</strong>ne e la felicità si sono baciate!»<br />
Don Carmelo Nigro<br />
Cappellano dell’Ospedale<br />
Fondazione S. Lucia<br />
Signori Car<strong>di</strong>nali, Venerati Fratelli nell’Episcopato<br />
e nel Sacerdozio!<br />
Il tema che avete scelto per que sta Plenaria<br />
– «L’identità missio naria del presbitero<br />
nella Chiesa, quale <strong>di</strong>mensione<br />
intrinseca dell’e sercizio dei tria munera»<br />
– consen te alcune riflessioni per il lavoro<br />
<strong>di</strong> questi giorni e per i frutti abbon -<br />
danti che certamente esso porterà. Se l’intera<br />
Chiesa è missionaria e se ogni cristiano,<br />
in forza del Battesi mo e della Confermazione,<br />
quasi ex officio (cfr. CCC,<br />
1305) riceve il mandato <strong>di</strong> professare<br />
pubblicamen te la fede, il sacerdozio ministeriale,<br />
anche da questo punto <strong>di</strong> vista,<br />
si <strong>di</strong>stingue ontologicamente, e non solo<br />
per grado, dal sacerdozio batte simale, detto<br />
anche sacerdozio co mune. Del primo,<br />
infatti, è costituti vo il mandato apostolico:<br />
«Andate in tutto il mondo e pre<strong>di</strong>cate<br />
il Vangelo ad ogni creatura» (Mc<br />
16, 15). Tale mandato non è, lo sappia -<br />
mo, un semplice incarico affidato a collaboratori;<br />
le sue ra<strong>di</strong>ci sono più profonde<br />
e vanno ricercate molto più lontano.<br />
La <strong>di</strong>mensione missionaria del presbitero<br />
nasce dalla sua configu razione sacramentale<br />
a Cristo Capo: essa porta con sé,<br />
come conseguen za, un’adesione cor<strong>di</strong>ale<br />
e totale a quella che la tra<strong>di</strong>zione ecclesiale<br />
ha in<strong>di</strong>viduato come l’apostolica<br />
viven<strong>di</strong> forma. Questa consiste nella<br />
partecipazione ad una «vita nuova» spiritualmente<br />
intesa, a quel «nuovo stile <strong>di</strong><br />
vita» che è stato inaugurato dal Signore<br />
Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli.<br />
Per l’imposi zione delle mani del Vescovo<br />
e la preghiera consacratoria della<br />
38
Chie sa, i can<strong>di</strong>dati <strong>di</strong>vengono uomini<br />
nuovi, <strong>di</strong>vengono «presbiteri». In questa<br />
luce appare chiaro come i tria munera<br />
siano prima un dono e solo conseguentemente<br />
un ufficio, prima una partecipazione<br />
ad una vita, e perciò una potestas.<br />
Certamente, la grande tra<strong>di</strong>zione<br />
eccle siale ha giustamente svincolato l’ef -<br />
ficacia sacramentale dalla concreta situazione<br />
esistenziale del singolo sa -<br />
cerdote, e così le legittime attese dei fedeli<br />
sono adeguatamente salvaguardate.<br />
Ma questa giusta precisa zione dottrinale<br />
nulla toglie alla ne cessaria, anzi in<strong>di</strong>spensabile,<br />
tensio ne verso la perfezione<br />
morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente<br />
sacerdotale.<br />
Proprio per favorire<br />
questa ten -<br />
sione dei sacerdoti<br />
verso la<br />
perfezione spirituale<br />
dalla quale<br />
soprattutto <strong>di</strong>pende<br />
l’efficacia del<br />
loro ministero, ho<br />
deciso <strong>di</strong> in<strong>di</strong>re<br />
uno speciale<br />
«Anno Sacerdotale»,<br />
che andrà dal 19 giugno prossimo<br />
fino al 19 giu gno 2010. Ricorre infatti il<br />
150° an niversario della morte del Santo<br />
Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney,<br />
vero esempio <strong>di</strong> pastore a servizio del<br />
gregge <strong>di</strong> Cristo. Sarà cura della vostra<br />
Congregazione, d’intesa con gli Or<strong>di</strong>nari<br />
<strong>di</strong>ocesani e con i superiori degli Istituti<br />
religio si, promuovere e coor<strong>di</strong>nare le<br />
varie iniziative spirituali e pastorali che<br />
appariranno utili a far percepire sempre<br />
più l’importanza del ruolo e della missione<br />
del sacerdote nella chiesa e nella<br />
società contempora nea.<br />
La missione del presbitero, come evidenzia<br />
il tema della plenaria, si svolge<br />
«nella Chiesa». Una tale <strong>di</strong>mensione ecclesiale,<br />
comunionale, gerarchica e dottrinale<br />
è assolutamente in<strong>di</strong>spensabile<br />
Sua Ecc. Mons. Brambilla con i cappellani del<br />
Policlinico Umberto I.<br />
ad ogni auten tica missione e, sola, ne garantisce<br />
la spirituale efficacia. I quattro<br />
aspetti menzionati devono essere sempre<br />
riconosciuti come intimamente correlati:<br />
la missione è «ecclesiale» perché<br />
nessuno annuncia o porta se stesso, ma<br />
dentro ed attra verso la propria umanità<br />
ogni sacer dote deve essere ben consapevole<br />
<strong>di</strong> portare un Altro, Dio stesso,<br />
al mondo. Dio è la sola ricchezza che,<br />
in definitiva, gli uomini desiderano trovare<br />
in un sacerdote. La missione è «comunionale»,<br />
perché si svolge in un’unità<br />
e comunione che solo secondariamente<br />
ha anche aspetti rilevanti <strong>di</strong> visibilità<br />
sociale. Questi, d’altra parte, derivano<br />
essenzial -<br />
mente da quell’intimità<br />
<strong>di</strong>vina della<br />
quale il sacerdote<br />
è chiamato ad es -<br />
sere esperto, per<br />
poter condurre,<br />
con umiltà e fiducia,<br />
le anime a lui<br />
affidate al medesimo<br />
incontro con il<br />
Signore. Infine le<br />
<strong>di</strong>mensioni «ge-<br />
rarchica» e «dottrinale»<br />
suggeriscono <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re l’importanza<br />
della <strong>di</strong> sciplina (il termine si<br />
collega con «<strong>di</strong>scepolo») ecclesiastica<br />
e della for mazione dottrinale, e non solo<br />
teo logica, iniziale e permanente.<br />
La consapevolezza dei ra<strong>di</strong>cali cambiamenti<br />
sociali degli ultimi decenni deve<br />
muovere le migliori energie ecclesiali a<br />
curare la forma zione dei can<strong>di</strong>dati al ministero.<br />
In particolare, deve stimolare la<br />
co stante sollecitu<strong>di</strong>ne dei pastori verso i<br />
loro primi collaboratori, sia colti vando<br />
relazioni umane veramente paterne, sia<br />
preoccupandosi della loro formazione<br />
permanente, soprat tutto sotto il profilo<br />
dottrinale e spi rituale. La missione ha le<br />
sue ra<strong>di</strong>ci in special modo in una buona<br />
for mazione, sviluppata in comunione con<br />
l’ininterrotta tra<strong>di</strong>zione eccle siale, senza<br />
39
cesure né tentazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità. In<br />
tal senso, è importante favorire nei sacerdoti,<br />
soprat tutto nelle giovani generazioni,<br />
una corretta ricezione dei testi del<br />
Con cilio Ecumenico Vaticano II, inter -<br />
pretati alla luce <strong>di</strong> tutto il bagaglio dottrinale<br />
della Chiesa. Urgente ap pare anche<br />
il recupero <strong>di</strong> quella consapevolezza<br />
che spinge i sacer doti ad essere presenti,<br />
identificabili e riconoscibili sia per il giu<strong>di</strong>zio<br />
<strong>di</strong> fede, sia per le virtù personali sia<br />
anche per l’abito, negli ambiti della cultura<br />
e della carità, da sempre al cuore della<br />
missione della Chiesa.<br />
Come chiesa e come sacerdoti annunciamo<br />
Gesù <strong>di</strong> Nazaret Si gnore e Cristo, crocifisso<br />
e risorto, sovrano del tempo e della<br />
storia, nella lieta certezza che tale verità<br />
coincide con le attese più profonde<br />
del cuore umano. Nel mistero dell’incarnazione<br />
del Verbo, nel fatto cioè che Dio<br />
si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto<br />
che il meto do dell’annuncio cristiano.<br />
La mis sione ha qui il suo vero centro<br />
pro pulsore: in Gesù Cristo, appunto.<br />
La centralità <strong>di</strong> Cristo porta con sé la giusta<br />
valorizzazione del sacerdo zio ministeriale,<br />
senza il quale non ci sarebbe né<br />
l’Eucaristia, né, tanto meno, la missione<br />
e la stessa chiesa. In tal senso è necessario<br />
vigilare af finché le «nuove strutture»<br />
od orga nizzazioni pastorali non siano<br />
pen sate per un tempo nel quale si do -<br />
vrebbe «fare a meno» del ministero or<strong>di</strong>nato,<br />
partendo da un’erronea interpretazione<br />
della giusta promo zione dei laici,<br />
perché in tal caso si porrebbero i presupposti<br />
per l’ulte riore <strong>di</strong>luizione del sacerdozio<br />
mini steriale e le eventuali presunte<br />
«soluzioni» verrebbero drammaticamente<br />
a coincidere con le reali cau se<br />
delle problematiche contempora nee legate<br />
al ministero.<br />
Sono certo che in questi giorni il lavoro<br />
dell’Assemblea plenaria, sot to la protezione<br />
della Mater Eccle siae, potrà approfon<strong>di</strong>re<br />
questi brevi spunti che mi permetto<br />
<strong>di</strong> sottoporre all’attenzione dei signori<br />
Car<strong>di</strong> nali e degli Arcivescovi e Vescovi,<br />
invocando su tutti la copiosa ab -<br />
bondanza dei doni celesti, in pegno dei<br />
quali imparto a voi e alle persone a voi<br />
care una speciale, affettuo sa Bene<strong>di</strong>zione<br />
Apostolica.<br />
Sotto l segno del curato d’Ars<br />
Avrà come tema «Fedeltà <strong>di</strong> Cristo, fedeltà<br />
del sacerdote» lo speciale anno sacerdotale<br />
in programma dal 19 giugno<br />
<strong>2009</strong> al 19 giugno 2010. Il Pon tefice lo<br />
aprirà presiedendo la celebrazione dei<br />
Vespri il prossimo 19 giu gno, solennità<br />
del sacratissimo Cuore <strong>di</strong> Gesù e giornata<br />
della santificazione sacerdotale, <strong>di</strong>nanzi<br />
alla reliquia <strong>di</strong> san Giovanni Maria<br />
Vianney, che sarà portata dal vescovo<br />
<strong>di</strong> Belley-Ars. Lo stesso Benedetto<br />
XVI lo chiuderà dopo un anno prendendo<br />
parte a un incontro mon<strong>di</strong>ale sacerdotale<br />
in piazza San Pietro.<br />
Durante questo anno giubilare il Papa<br />
proclamerà san Giovanni Maria Vianney<br />
«patrono <strong>di</strong> tutti i sacerdoti del mondo».<br />
Sarà inoltre pubblicato il Direttorio<br />
per i confessori e <strong>di</strong>rettori spirituali, insieme<br />
a una raccolta <strong>di</strong> te sti del Pontefice<br />
sui temi essenziali della vita e della<br />
missione sacerdotale nell’epoca attuale.<br />
La Congregazione per il clero, d’intesa<br />
con gli or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong>ocesani e i su periori<br />
degli istituti religiosi, si preoccuperà <strong>di</strong><br />
promuovere e coor<strong>di</strong>nare le varie iniziative<br />
spirituali e pastorali che saranno poste<br />
in essere per far per cepire sempre più<br />
l’importanza del ruolo e della missione<br />
del sacerdote nella chiesa e nella società<br />
contemporanea, come pure la necessità<br />
<strong>di</strong> po tenziare la formazione permanente<br />
dei sacerdoti legandola a quella dei se -<br />
minaristi.<br />
40
Pellegrinaggio<br />
in Terra Santa<br />
i<br />
l 29 aprile <strong>2009</strong> è iniziato il pellegrinaggio<br />
in Terra Santa e Giordania guidato da<br />
S. E. Mons. Armando Brambilla, che ha<br />
alternato la sua preziosa presenza per<br />
«par con<strong>di</strong>tio» tra i due gruppi «bianco»<br />
e «arancione»: il gruppo bianco costituito<br />
prevalentemente dai farmacisti<br />
cattolici (gruppo organizzato dal dott. Eugenio<br />
Dragoni) e il gruppo arancione costituito<br />
prevalentemente da me<strong>di</strong>ci e operatori<br />
sanitari dell’ospedale «Columbus».<br />
Dopo un volo tranquillo <strong>di</strong> tre ore circa<br />
dall’aeroporto <strong>di</strong> Fiumicino siamo<br />
arrivati a Tel Aviv e dopo un breve percorso<br />
in pulman abbiamo raggiunto il<br />
monte Carmelo, dove, secondo la tra<strong>di</strong>zione,<br />
il Profeta Elia, su un carro <strong>di</strong><br />
fuoco, fu trasportato in cielo. Nel convento<br />
delle Carmelitane è stata concelebrata<br />
la S. Messa.<br />
Non senza significato la prima tappa al<br />
Carmelo. Il nostro viaggio inziava con la<br />
bene<strong>di</strong>zione della Vergine Maria. Il salmo<br />
responsoriale del giorno recitava: «Ti<br />
seguiremo ovunque ci condurrai Vergine<br />
Maria».<br />
Abbiamo poi raggiunto Nazareth.<br />
ll secondo giorno è stato in<strong>di</strong>menticabile,<br />
in un certo senso il fulcro del nostro<br />
pellegrinaggio, la visita dei luoghi in cui<br />
Gesù ha iniziato la sua missione con la<br />
scelta dei suoi <strong>di</strong>scepoli.<br />
È stato molto emozionante vedere e calpestare<br />
i luoghi in cui Gesù ammaestrava<br />
e compiva miracoli: Tabgha (miracolo<br />
della moltiplicazione dei pani e dei pesci);<br />
la Sinagoga <strong>di</strong> Cafarnao, il primato<br />
<strong>di</strong> Pietro; il Monte delle Beatitu<strong>di</strong>ni. Attraversare<br />
il lago <strong>di</strong> Tiberiade è stata poi<br />
un’esperienza unica.<br />
La mente riandava ai passi del Vangelo<br />
riguardanti la pesca miracolosa e la<br />
tempesta che molto aveva fatto dubitare<br />
Pietro.<br />
Momenti toccanti sono stati anche quelli<br />
vissuti nella chiesa dell’Annunciazione<br />
a Nazareth: il Sì, senza riserve, <strong>di</strong><br />
un’umile fanciulla ha dato inizio al <strong>di</strong>segno<br />
<strong>di</strong> Dio per la salvezza dell’umanità.<br />
Interessanti sono stati i due giorni trascorsi<br />
in Giordania: Madaba, Jerash,<br />
Petra ed Amman.<br />
Notevoli a Jerash i resti della presenza<br />
romana; l’arco <strong>di</strong> Adriano e le rovine della<br />
città. Affascinante il sito dell’antica<br />
Petra con il suo capolavoro scolpito nella<br />
roccia dalle sfumature rosa e la città<br />
<strong>di</strong> Amman veramente moderna ed elegante<br />
nella zona residenziale.<br />
Ma nel nostro pellegrinaggio in Giordania<br />
i luoghi più significativi sono stati: il<br />
Monte Nebo, dove Mosè intravide la terra<br />
promessa, portando a termine il compito<br />
assegnatogli da Dio e il sito del battesimo<br />
<strong>di</strong> Gesù, dove tutti insieme ab-<br />
41
Terra Santa: S. Messa nel deserto.<br />
biamo rinnovato le promesse battesimali<br />
e siamo stati benedetti con l’acqua del<br />
Giordano da S. E. Mons. Armando Brambilla.<br />
La sosta nel deserto <strong>di</strong> Giuda per la celebrazione<br />
della S. Messa <strong>di</strong> domenica 3<br />
maggio è stato un altro momento molto<br />
coinvolgente, con la mente pensavo all’esperienza<br />
<strong>di</strong> Gesù nel deserto: i quaranta<br />
giorni che hanno preceduto il suo<br />
«Sacrificio».<br />
La grotta dei pastori e la chiesa della<br />
Natività a Bethlemme hanno fatto rivivere<br />
nei nostri cuori la nascita <strong>di</strong> Gesù,<br />
la sosta poi al santuario della Visitazione<br />
ad Ain Karem ci ha fatto riflettere sullo<br />
spirito <strong>di</strong> servizio che ogni cristiano<br />
Il Crocifisso sul Monte Calvario.<br />
dovrebbe avere. L’ultima tappa del pellegrinaggio<br />
è stata Gerusalemme. Il passaggio<br />
quoti<strong>di</strong>ano da Bethlemme (dove<br />
abbiamo alloggiato dal 4 maggio) a Gerusalemme<br />
ci ha fatto toccare con mano<br />
la <strong>di</strong>fficile coesistenza tra Israeliani e Palestinesi;<br />
il muro eretto tra la zona israeliana<br />
e i territori palestinesi è una ferita<br />
inferta, che soltanto una grande volontà<br />
<strong>di</strong> pace tra i due popoli potrà sanare.<br />
I due giorni de<strong>di</strong>cati a Gerusalemme<br />
sono stati molto intensi.<br />
Tutti i luoghi che hanno visto la presenza<br />
<strong>di</strong> Gesù sono stati visitati: il Monte<br />
Sion, il Cenacolo, S. Pietro in Gallicantu,<br />
il Monte degli Ulivi, il Getsemani, la<br />
chiesa del Pater Noster, la Basilica dell’agonia<br />
e il Dominus flevit.<br />
La Via Crucis, per le vie della città vecchia,<br />
la visita al S. Sepolcro e la celebrazione<br />
della S. Messa «in Resurrectione<br />
Domini», nella cappella antistante<br />
il S. Sepolcro, hanno dato il sigillo finale<br />
al nostro pellegrinaggio.<br />
Il 6 maggio, dopo una sosta ad Emmaus,<br />
per la celebrazione della S. Messa, abbiamo<br />
raggiunto l’aereoporto <strong>di</strong> Tel Aviv<br />
per il ritorno a <strong>Roma</strong>.<br />
Posso concludere che il pellegrinaggio<br />
in Terra Santa dovrebbe essere fatto da<br />
ogni credente per rinsaldare la propria<br />
fede, in quanto il nostro Credo è proprio<br />
in quei luoghi che può essere confermato<br />
e rinvigorito.<br />
Una pellegrina<br />
42
Invocazione allo S pirito Santo<br />
Una preghiera del Vescovo <strong>di</strong> Molfetta<br />
don Tonino Bello defunto nel 1993<br />
Spirito <strong>di</strong> Dio, che presso le rive del Giordano<br />
sei sceso in pienezza sul capo <strong>di</strong> Gesù<br />
e l’hai proclamato Messia, <strong>di</strong>laga su questo<br />
corpo sacerdotale raccolto davanti a te. Adornalo<br />
<strong>di</strong> una veste <strong>di</strong> grazia. Consacralo con<br />
l’unzione e invialo a portare il lieto annunzio<br />
ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori<br />
spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi,<br />
la scarcerazione dei prigionieri e a promulgare<br />
l’anno <strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a del Signore.<br />
Se Gesù ha usato queste parole <strong>di</strong> Isaia per<br />
la sua autopresentazione nella sinagoga <strong>di</strong><br />
Nazareth e per la stesura del suo manifesto<br />
programmatico, vuol <strong>di</strong>re che anche la chiesa<br />
oggi deve farsi solidale con i sofferenti,<br />
con i poveri, con gli oppressi, con i deboli,<br />
con gli affamati e con tutte le vittime della<br />
violenza.<br />
Facci capire che i poveri sono i «punti <strong>di</strong> entrata»<br />
attraverso i quali tu, Spirito <strong>di</strong> Dio,<br />
irrompi in tutte le realtà umane e le ricrei.<br />
Preserva, perciò, la tua sposa dal sacrilegio<br />
<strong>di</strong> pensare che la scelta degli ultimi sia l’indulgenza<br />
alle mode <strong>di</strong> turno e non invece la<br />
feritoia attraverso la quale la forza <strong>di</strong> Dio penetra<br />
nel mondo e comincia la sua opera <strong>di</strong><br />
salvezza.<br />
Spirito Santo, dono del Cristo morente, fa’<br />
che la Chiesa <strong>di</strong>mostri <strong>di</strong> averti ere<strong>di</strong>tato davvero.<br />
Trattienila ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutte le croci. Quelle<br />
dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale parole<br />
e silenzi, perché sappia dare significato<br />
al dolore degli uomini. Così che ogni povero<br />
comprenda che non è vano il suo pianto e<br />
ripeta col salmo: «Le mie lacrime, Signore,<br />
nell’otre tuo raccogli».<br />
Ren<strong>di</strong>la protagonista infaticabile <strong>di</strong> deposizioni<br />
dal patibolo, perché i corpi schiodati<br />
dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia<br />
<strong>di</strong> madre. In quei momenti poni sulle<br />
sue labbra canzoni <strong>di</strong> speranza. E donale <strong>di</strong><br />
non arrossire mai della croce, ma <strong>di</strong> guardare<br />
ad essa come all’ antenna della sua nave,<br />
le cui vele tu gonfi <strong>di</strong> brezza e spingi con fiducia<br />
lontano.<br />
Spirito Santo, luce che rischiari la notte.<br />
Spirito <strong>di</strong> Pentecoste, ridestaci all’ antico<br />
mandato <strong>di</strong> profeti. Dissigilla le nostre labbra,<br />
contratte dalle prudenze carnali. Introduci<br />
nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso.<br />
E donaci la nausea <strong>di</strong> lusingare i<br />
detentori del potere per trarne vantaggio.<br />
Trattienici dalle ambiguità. Facci la grazia<br />
del voltastomaco per i nostri peccati. Poni il<br />
tuo marchio <strong>di</strong> origine controllata sulle nostre<br />
testimonianze. E facci aborrire dalle parole,<br />
quando esse non trovano puntuale verifica<br />
nei fatti.<br />
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci<br />
a vedere i riverberi delle tue fiamme nei<br />
processi <strong>di</strong> purificazione che avvengono in<br />
tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie ecumeniche.<br />
E, in ogni uomo <strong>di</strong> buona volontà<br />
facci scorgere le orme del tuo passaggio.<br />
Spirito del Signore, dono del Risorto agli<br />
apostoli nel cenacolo, gonfia <strong>di</strong> passione la<br />
vita dei tuoi presbiteri. Riempi <strong>di</strong> amicizie<br />
<strong>di</strong>screte la loro solitu<strong>di</strong>ne. Ren<strong>di</strong>li innamorati<br />
della terra e capaci <strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a per<br />
tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitu<strong>di</strong>ne<br />
della gente e con l’olio della comunione<br />
fraterna. Ristora la loro stanchezza,<br />
perché non trovino appoggio più dolce per il<br />
loro riposo se non sulla spalla del Maestro.<br />
Liberali dalla paura <strong>di</strong> non farcela più. Dai<br />
loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze.<br />
Dal loro cuore si sprigioni audacia<br />
mista a tenerezza. Dalle loro mani gron<strong>di</strong> il<br />
crisma su tutto ciò che accarezzano. Fa risplendere<br />
<strong>di</strong> gioia i loro corpi. Rivestili <strong>di</strong><br />
abiti nuziali. E cingili con cinture <strong>di</strong> luce.<br />
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.<br />
Don Tonino Bello<br />
43
FEDE, CARITÀ E ANZIANI MALATI<br />
Introduzione<br />
La morte <strong>di</strong> Cristo<br />
In questo intervento non intendo parlare<br />
<strong>di</strong> fede e carità <strong>di</strong> coloro che si prendono<br />
cura degli anziani malati. Preferisco invece<br />
focalizzare la mia riflessione sulla<br />
questione relativa alla crescita, in fede e<br />
carità, <strong>di</strong> coloro che, a motivo della tarda<br />
età e della malattia, si avvicinano al<br />
termine della vita. Mentre la morte si profila<br />
minacciosamente <strong>di</strong>nanzi a tutti noi,<br />
questioni riguardanti il suo mistero, il suo<br />
significato teologico e la preparazione imme<strong>di</strong>ata<br />
al passaggio finale <strong>di</strong>ventano più<br />
acute negli sta<strong>di</strong> finali della vita, anche<br />
quando in questi ultimi momenti competenza<br />
intellettuale e consapevolezza psichica<br />
possono essere ridotte o seriamente<br />
compromesse. Quali conoscenze ci può<br />
offrire la riflessione teologica, illuminando<br />
l’esperienza spirituale del viaggio<br />
finale? In che modo i cambiamenti causati<br />
dallo sviluppo delle tecniche me<strong>di</strong>che,<br />
possono influenzare questa esperienza<br />
spirituale? Come sempre, gli interrogativi<br />
teologici devono guardare verso<br />
Cristo per trovare la risposta. Gesù<br />
Cristo, Figlio del Padre eterno, passò<br />
per la morte e la resurrezione. Il mistero<br />
pasquale, pertanto, deve essere<br />
compreso, alla ricerca del significato<br />
per il passaggio finale dei cristiani.<br />
L’amore del Padre sorregge il figlio crocifisso.<br />
Nella sua me<strong>di</strong>tazione sulla passione <strong>di</strong><br />
Cristo come la presenta il Vangelo <strong>di</strong><br />
San Matteo, il teologo belga, padre Servais<br />
Pinckaers OP, si è concentrato principalmente<br />
sul dono <strong>di</strong> sé <strong>di</strong> Gesù. Nella<br />
pietà popolare, a volte in tali me<strong>di</strong>tazioni<br />
predomina un accento doloroso<br />
sui vari aspetti della sofferenza <strong>di</strong> Gesù.<br />
Una lettura attenta del Vangelo, tuttavia,<br />
mostra che non è la sofferenza a<br />
essere al centro del dramma. Le donne<br />
che guardavano la croce da lontano non<br />
stavano semplicemente piangendo <strong>di</strong><br />
fronte alla brutalità. Nel loro sguardo<br />
contemplativo esse vedevano Gesù donarsi<br />
totalmente al Padre e all’ umanità.<br />
Il Car<strong>di</strong>nale Albert Vanhoye afferma<br />
che il sacrificio <strong>di</strong> Cristo non consiste<br />
unicamente nella Sua morte, ma nella<br />
trasformazione <strong>di</strong> quella morte in fonte<br />
<strong>di</strong> nuova vita. Nella comprensione<br />
moderna delle parole “espiazione” e<br />
“sacrificio”, noi pensiamo a punizione<br />
e sofferenza. Ma così come “semplificare”<br />
significa “rendere semplice una<br />
cosa”, e “santificare” significa “rendere<br />
santo qualcosa”, anche “sacrificare”<br />
vuol <strong>di</strong>re “rendere sacro qualcosa”. Il<br />
sacrificium <strong>di</strong> Gesù, il suo sacrificio, è<br />
rendere la sua volontà umana supremamente<br />
santa in quanto essa è piena<br />
dell’amore che è lo Spirito Santo. Donandosi<br />
totalmente, in completa apertura<br />
al Padre, Gesù ci ha mostrato come<br />
la volontà dell’uomo possa essere<br />
pienamente arricchita e ampliata oltre<br />
i suoi limiti naturali dall’amore che scaturisce<br />
dalla Trinità. Nella passione <strong>di</strong><br />
Cristo il ruolo dello Spirito Santo consistette<br />
nel colmare il cuore umano <strong>di</strong><br />
Gesù con tutta la forza dell’amore <strong>di</strong>vino,<br />
in modo tale che in quella morte,
Il Cristo nella gloria.<br />
sofferta contro ogni giustizia, fu stretta<br />
un’alleanza ultima tra Dio e l’umanità.<br />
Il fuoco dello Spirito Santo trasformò<br />
quella morte in sacrificio <strong>di</strong><br />
unione, in strumento per rendere santo<br />
il cuore umano <strong>di</strong> Gesù e i nostri cuori<br />
che si uniscono a Lui. Attraverso il dono<br />
totale <strong>di</strong> sé, nella sua solidarietà con<br />
i peccatori, Gesù ha dato accesso a questo<br />
amore <strong>di</strong>vino, che scaturisce per noi<br />
dal suo cuore aperto. Nel mistero pasquale<br />
noi me<strong>di</strong>tiamo il cambiamento<br />
della morte <strong>di</strong> un uomo, trattato come<br />
criminale e punito con<br />
morte crudele, in uno<br />
strumento <strong>di</strong> comunione<br />
suprema con Dio e con<br />
l’umanità. Questa trasformazione<br />
è <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima<br />
importanza e<br />
fonte ultima <strong>di</strong> quell’ulteriore<br />
cambiamento che<br />
è poi la transustanziazione<br />
del pane e del vino<br />
nel corpo e nel sangue<br />
<strong>di</strong> Cristo.<br />
Nella Lettera Apostolica Salvifici doloris,<br />
del 1984, Giovanni Paolo II riflette<br />
sulla sofferenza umana con un’attenzione<br />
analoga al mistero pasquale inteso<br />
come mistero <strong>di</strong> amore <strong>di</strong>vino, che<br />
re<strong>di</strong>me il peccato dell’uomo me<strong>di</strong>ante<br />
il potere <strong>di</strong> quell’amore. Nella sofferenza<br />
<strong>di</strong> Gesù i peccati vengono cancellati<br />
proprio perché egli solo, come<br />
Figlio unigenito, poté prenderli su <strong>di</strong> sé,<br />
assumerli con quell’amore verso il Padre<br />
che supera il male <strong>di</strong> ogni peccato;<br />
in un certo senso annienta questo male<br />
nello spazio spirituale dei rapporti tra<br />
Dio e l’umanità, e riempie questo spazio<br />
col bene.... Le parole della preghiera<br />
<strong>di</strong> Cristo al Getsemani provano la verità<br />
dell’amore me<strong>di</strong>ante la verità della<br />
sofferenza [...]. L’umana sofferenza<br />
ha raggiunto il suo culmine nella passione<br />
<strong>di</strong> Cristo. E contemporaneamente<br />
essa è entrata in una <strong>di</strong>mensione<br />
completamente nuova e in un<br />
nuovo or<strong>di</strong>ne: è stata legata all’amore,<br />
a quell’amore [...] che crea il bene<br />
ricavandolo anche dal male, ricavandolo<br />
per mezzo della sofferenza, così<br />
come il bene supremo della redenzione<br />
del mondo è stato tratto dalla Croce<br />
<strong>di</strong> Cristo, e costantemente prende<br />
da essa il suo avvio.<br />
Gesù avrebbe potuto salvarci infondendo<br />
amore <strong>di</strong>vino supremo al suo sorriso<br />
nella grotta <strong>di</strong> Bethlemme. Poiché<br />
ogni atto umano può essere<br />
nutrito dal <strong>di</strong> dentro<br />
dall’amore <strong>di</strong> Dio, e in<br />
Gesù il suo amore <strong>di</strong>vino<br />
era supremo e infinito,<br />
benché anche soggetto a<br />
crescita umana, teoricamente<br />
Egli avrebbe potuto<br />
manifestare quell’amore<br />
supremo in maniera<br />
più semplice della<br />
morte <strong>di</strong> croce, anche se<br />
avremmo avuto maggiore <strong>di</strong>fficoltà a riconoscerlo.<br />
Continuando a dare se stesso<br />
nella morte, nonostante il suo rifiuto<br />
e la persecuzione, nel pieno controllo<br />
<strong>di</strong> sé, anche se negli eventi della sua<br />
passione e morte sembra che Gesù fosse<br />
condotto da altri e costretto nella sua<br />
libertà, <strong>di</strong>cendo solo cosa voleva <strong>di</strong>re e<br />
quando voleva e rifiutando <strong>di</strong> usare il<br />
suo potere <strong>di</strong>vino per fermare i suoi persecutori,<br />
Gesù ha mostrato la pienezza<br />
dell’amore <strong>di</strong>vino, più potente della sofferenza<br />
e della morte. Nella sua morte<br />
e resurrezione, come espresso dalla sua<br />
preghiera sul Getsemani, noi ve<strong>di</strong>amo<br />
il suo do-no, il suo arrendersi totalmente<br />
al Padre e la sua totale apertura al dono<br />
ricevuto, in cui consiste la sua obbe<strong>di</strong>enza.<br />
La sofferenza <strong>di</strong> Gesù nella morte<br />
rese la sua trasparenza al Padre e al<br />
potere dello Spirito più visibile.<br />
Possiamo provare a far comprendere<br />
45
Mons. Brambilla in visita ad una anziana.<br />
questo mistero con un semplice paragone.<br />
Un me<strong>di</strong>co che va a lavorare in<br />
un paese lontano dove contrae una malattia<br />
grave e muore, o un sacerdote che<br />
va come missionario in un paese straniero<br />
e vi viene ucciso, manifestano la<br />
potenza del loro amore. I genitori del<br />
me<strong>di</strong>co o del missionario proveranno<br />
grande dolore per il fatto che il proprio<br />
figlio sia morto o sia stato ucciso. Ma<br />
a un livello spirituale più profondo, essi<br />
si rallegreranno del fatto che nel cuore<br />
del figlio l’amore che gli avevano insegnato<br />
ha vinto, che nella sua morte,<br />
che umanamente sembra inutile, la potenza<br />
dell’amore ha mostrato la sua forza<br />
più completa, generando una suprema<br />
generosità che si dona sino alla fine.<br />
Naturalmente il figlio avrebbe potuto<br />
esprimere il proprio amore senza<br />
morire come missionario in terra straniera,<br />
ma la sua morte ha manifestato<br />
senza nessun offuscamento la qualità<br />
del suo amore. Allo stesso modo, possiamo<br />
presumere una gioia simile nel<br />
cuore del Padre eterno, che vede la vittoria<br />
dell’amore che anima la Trinità resa<br />
manifesta nel dono ultimo <strong>di</strong> sé del<br />
Figlio. “Questo è il mio <strong>di</strong>letto Figlio,<br />
nel quale mi sono compiaciuto” (cfr.<br />
Mt 3,17; 17,5; Mc 1,11; Lc 3,22). Il Padre<br />
eterno, mosso dall’amore della sua<br />
grazia originale che ha preceduto la<br />
creazione del mondo e i peccati dell’umanità<br />
(Ef 1, 4), si compiace della potenza<br />
dell’amore, che il Figlio non solo<br />
ha manifestato ma esteso nella sua<br />
morte verso l’umanità ferita.<br />
La percezione del significato profondo<br />
del mistero pasquale può gettare luce sugli<br />
sta<strong>di</strong> finali del viaggio spirituale dell’uomo<br />
in cui le persone anziane si preparano<br />
per il passaggio ultimo. Dopo il<br />
mistero pasquale, la morte non è più solo<br />
un momento orribile della separazione<br />
finale <strong>di</strong> corpo e anima, della persona<br />
e della sua famiglia e comunità. La<br />
morte cristiana è una conquista, un’unione<br />
suprema con Dio (Fil 1,21) da vivere<br />
in amore, e non in paura (Eb 2,15)<br />
sulla base <strong>di</strong> quell’amore supremamente<br />
<strong>di</strong>vino che ci è stato liberamente offerto.<br />
La questione tuttavia non è come<br />
sfuggire alla morte, (cosa che non possiamo<br />
fare), ma come entrare nella morte<br />
in modo tale che la ricchezza spirituale<br />
<strong>di</strong> questo passaggio, in unione con il<br />
passaggio <strong>di</strong> Cristo attraverso la morte e<br />
la resurrezione nella gloria, sia occasione<br />
<strong>di</strong> apertura suprema alla vita <strong>di</strong>vina liberamente<br />
data. Per questo San Paolo<br />
scrive: “Perché se noi viviamo, viviamo<br />
per il Signore, se noi moriamo, moriamo<br />
per il Signore. Sia che viviamo,<br />
sia che moriamo, siamo dunque del Signore”<br />
(Rm 14,8) e noi “sappiamo infatti<br />
che quando verrà <strong>di</strong>sfatto questo<br />
corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo<br />
un’abitazione da Dio, una<br />
<strong>di</strong>mora eterna, non costruita da mani<br />
<strong>di</strong> uomo, nei cieli” (2Cor 5,1), e anche:<br />
«Quando poi questo corpo corruttibile<br />
si sarà vestito d’incorruttibilità e<br />
questo corpo mortale d’immortalità,<br />
si compirà la parola della Scrittura:<br />
“La morte è stata ingoiata per la vittoria”»<br />
(1 Cor 15,54).<br />
P. Wojciech Giertych OP<br />
Teologo della Casa Pontificia<br />
(Continua)<br />
Santa Sede<br />
46
Antichi ospedali romani minori<br />
L’OSPEDALE DELLE<br />
GRAZIE A PORTA ANGELICA<br />
Prima <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> quello che fu un minuscolo<br />
ma preziosissimo luogo <strong>di</strong> cura<br />
e pietà cristiana, occorre anzitutto <strong>di</strong>segnare<br />
- sia pure sinteticamente - la formidabile<br />
figura <strong>di</strong> colui che ne fu l’ideatore<br />
e l’instancabile guida: il Ven. fra’ Albenzio<br />
De Rossi (Cetraro, Cosenza, 1542<br />
– <strong>Roma</strong> 1606), un sant’uomo praticamente<br />
sconosciuto ai più ma che meriterebbe<br />
invece grande onore e devozione.<br />
Sull’esempio del suo gran<strong>di</strong>ssimo conterraneo<br />
Francesco da Paola, Albenzio<br />
era un frate eremita in cui fede e carità<br />
ardevano come fuoco inestinguibile. Pre<strong>di</strong>cava<br />
incessantemente la penitenza, vestendo<br />
un poverissimo saio e portando<br />
un teschio legato alla cintola, pellegrinando<br />
ovunque lo portasse il suo desiderio<br />
<strong>di</strong> ammaestrare i fedeli. Era rimasto<br />
molto colpito da alcune parole <strong>di</strong> S.<br />
Paolo (Galati VI, 7-10) e ne aveva tratto<br />
un motto che <strong>di</strong>venne poi - se ci si consente<br />
una espressione profana ma efficace<br />
- lo “slogan” più efficace del suo<br />
apostolato: “facemo bene adesso che havemo<br />
tempo”. E fu tanto valido che lo<br />
E<strong>di</strong>cola in memoria dell’antica Chiesa demolita.<br />
stesso <strong>di</strong>venne un nome esemplare e popolare,<br />
un po’ come quel famoso “Fatebene-fratelli”<br />
che fu assunto come denominazione<br />
ufficiale dell’or<strong>di</strong>ne ospedaliero<br />
<strong>di</strong> S. Giovanni <strong>di</strong> Dio.<br />
Raggiunta dopo vari viaggi anche Gerusalemme,<br />
Albenzio ne era ritornato recando<br />
con sé una bella icona mariana.<br />
Durante il viaggio una furiosa tempesta<br />
minacciò <strong>di</strong> far naufragare il vascello ma<br />
Albenzio, recatosi a prua, protese l’immagine<br />
verso i marosi invocando l’aiuto<br />
della Vergine e subito il mare si calmò,<br />
assicurando la salvezza. Albenzio ne fu<br />
sempre molto geloso, tanto da custo<strong>di</strong>rla<br />
esclusivamente nella propria cella e<br />
mostrarla raramente solo a qualche confratello,<br />
comunque mai in pubblico. In<br />
punto <strong>di</strong> morte, stremato dalle dure penitenze,<br />
si fece portare la tanto amata icona<br />
e raccomandò ai suoi <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong><br />
esporla in permanenza, annunciando che<br />
essa sarebbe stata assai venerata con il<br />
titolo <strong>di</strong> «Santa Maria delle Grazie».<br />
Nel suo pellegrinare Albenzio era giunto<br />
dunque a <strong>Roma</strong>, dove rimase fortemente<br />
colpito dalla gran quantità <strong>di</strong> poveri<br />
ma soprattutto <strong>di</strong> pellegrini che, provenienti<br />
da terre anche lontanissime, arrivavano<br />
a San Pietro ormai stanchi e malati.<br />
Chiese allora a papa Sisto V un ricovero<br />
per quel popolo dolente e ne ottenne<br />
il permesso (1587) <strong>di</strong> chiedere al<br />
Car<strong>di</strong>nale Vicario un terreno ove costruire<br />
una casa d’accoglienza per gli eremiti, i<br />
pellegrini ed i forestieri.<br />
Il terreno fu in<strong>di</strong>viduato nel rione Borgo,<br />
47
S. Maria delle Grazie con annesso ospizio (G. Vasi 1761).<br />
più o meno in un’area che oggi sarebbe<br />
compresa tra via <strong>di</strong> Porta Angelica, via<br />
del Mascherino e Borgo Angelico, dove<br />
peraltro ancora esiste una “Via delle Grazie”.<br />
La generosità <strong>di</strong> tanti benefattori<br />
consentì, in soli quattro anni, <strong>di</strong> costruire<br />
la casa con annessa chiesetta, che volle<br />
de<strong>di</strong>care all’Ascensione <strong>di</strong> Nostro Signore<br />
ma che dopo la morte <strong>di</strong> fra’ Albenzio<br />
fu chiamata correntemente S. Maria<br />
delle Grazie. Come in molti altri casi<br />
simili, l’istituzione pur nella sua sobrietà<br />
era complessa, nel senso che era<br />
un ospedale ma nel contempo anche un<br />
ospizio per i pellegrini, ricovero per gli<br />
eremiti e mensa per i poveri.<br />
Il comprensorio era piccolo ma molto<br />
ben organizzato. Disponeva <strong>di</strong> una cucina<br />
con <strong>di</strong>spensa e <strong>di</strong> un refettorio; gli ortaggi<br />
per la mensa venivano coltivati in<br />
un orticello interno. Ben presto, come era<br />
consuetu<strong>di</strong>ne, fu ricavato in loco anche<br />
un piccolo cimitero. Non è noto <strong>di</strong> quanti<br />
letti <strong>di</strong>sponesse in via or<strong>di</strong>naria, ma si<br />
sa che le poche stanze all’uopo a<strong>di</strong>bite si<br />
rivelarono ben presto insufficienti. Per i<br />
soccorsi urgenti funzionava invece un<br />
apposito locale con sei letti. I trattamenti<br />
terapeutici si limitavano comunque a<br />
pochi protocolli essenziali. Mariano Armellini,<br />
citando gli Acta Visitationis redatti<br />
al tempo <strong>di</strong> papa Alessandro VII<br />
Chigi (1655 - 1667), riporta che qualora<br />
tra i poveri a cui tutte le sere si dava da<br />
mangiare e da dormire ci fossero degli<br />
infermi, questi venivano all’istante messi<br />
a letto “facendoli subito confessare”.<br />
La mattina seguente, “ricevuto il SS. Sacramento”,<br />
venivano in<strong>di</strong>rizzati agli<br />
ospedali <strong>di</strong> maggiore importanza onde<br />
ricevere le cure più appropriate. Succedeva<br />
tuttavia per vari motivi che tali malati<br />
“talvolta erano ributtati da quegli<br />
ospitali”, sicché ai poveretti non restava<br />
che tornare all’ospizio <strong>di</strong> provenienza,<br />
dove però “con carità erano accettati et<br />
rimessi a letto sin tanto che il Sig. Id<strong>di</strong>o<br />
provvedesse al loro bisogno”. Non abbiamo<br />
notizie certe circa la fine dell’attività<br />
del piccolo ricovero, ma sappiamo<br />
che nel 1806 esso era certamente ancora<br />
in esercizio. Da alcuni documenti si<br />
può comunque desumere che la cessazione<br />
definitiva debba essere avvenuta<br />
non oltre la metà dell’Ottocento. Quanto<br />
all’e<strong>di</strong>ficio, dopo varie vicende - culminate<br />
nel 1936 con la demolizione dell’intero<br />
complesso ormai fatiscente - <strong>di</strong><br />
esso rimane solo la bella immagine miracolosa<br />
della Madonna delle Grazie, che<br />
dal 1941 è custo<strong>di</strong>ta presso l’omonima<br />
parrocchia al Trionfale.<br />
Domenico Rotella<br />
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