Ksenia Elisseeva - Bruno Osimo, traduzioni, semiotica della ...
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Se la mossa 2.12. nella partita a scacchi è paragonata a un morfema lessicale,<br />
unità minima <strong>della</strong> proposizione significativa, lo si fa non perché una<br />
proposizione sia considerata un accumulo graduale, “mossa per mossa”, di<br />
morfemi che chiarificano o cancellano il senso <strong>della</strong> proposizione precedente<br />
(Hockett 1961: 220-236) – un’opinione molto diffusa – ma perché questi<br />
elementi occupano posizioni vicine nella struttura dell’insieme.<br />
1.3. Il confronto di una partita di scacchi con il dialogo è utile solo se<br />
disponiamo in entrambi i casi di due partecipanti passivi e attivi a rotazione e<br />
che perseguono uno scopo preciso: vincere nel gioco e farsi comprendere<br />
nell’atto di comunicazione. Farsi comprendere è considerato un fattore<br />
evidente; in realtà i partecipanti devono superare una considerevole quantità di<br />
“rumore” causato dalla divergenza tra le loro abitudini semantiche e,<br />
teoricamente è possibile, grammaticali e fonologiche 1 . Inoltre, possono esservi<br />
casi in cui un parlante nasconda di proposito le proprie intenzioni. Tale<br />
atteggiamento si avvicina a quello dello scacchista che cerca di solito di<br />
mascherare il senso di una mossa, nonostante negli scacchi vi siano molte<br />
mosse il cui significato è ovvio all’altro giocatore. In entrambi gli oggetti di studio<br />
dunque siamo di fronte a un’attività finalizzata; cerchiamo ora di esaminarne gli<br />
strumenti per raggiungere lo scopo.<br />
2.0. Prenderemo in considerazione entrambi gli oggetti di studio come<br />
strutture, insiemi di elementi con interrelazioni fisse.<br />
1 Si veda le pagine successive.<br />
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