Medicina Preventiva Riabilitativa e Sociale Prof. Fabrizio Iecher ...

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opportuno, gli interessati. Nella relazione dovranno essere forniti ragguagli sulla domanda di interruzione e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento assunto dalla donna, sul suo stato di infermità mentale, nonché in merito al parere del tutore, se espresso. e) Dovere del medico ed obiezione di coscienza L’art. 9 della Legge 194 prevede per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie all’interruzione, la possibilità, per ragioni etiche e di coscienza, di sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di svolgere le proprie funzioni. La dichiarazione di sollevare obiezione di coscienza ovvero di non voler prendere parte alle procedure preliminari all’interruzione ed agli interventi, deve essere comunicata preventivamente al medico provinciale ed al direttore sanitario, in caso di personale dipendente dell’ospedale o della casa di cura. La dichiarazione di obiezione deve essere preventiva in quanto, per ragioni organizzative ed al fine di assicurare alle donne che lo richiedano l’esercizio di un diritto quale è quello di interrompere la gravidanza, la struttura sanitaria deve avere contezza del personale che non intende prendere parte alle procedure previste dalla Legge 194. Tale dichiarazione va espressa una sola volta, entro un mese dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione e può essere sempre revocata. In ogni caso, la legge stabilisce che l’obiezione esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie “… dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”, ma non dall’ “assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Al fine di punire severamente le condotte del personale sanitario che, dichiaratosi obiettore, pratichi dietro compenso interruzioni gravidanza in strutture privare o per conto proprio, l’art. 20 prevede un aumento della pena rispetto alle sanzioni previste per chi pratica l’aborto illegale, come verrà evidenziato nel successivo paragrafo. Secondo i dati contenuti nella Relazione del Ministero della Salute del 2008 in merito all’attuazione della Legge 194, a livello nazionale, l’obiezione di coscienza viene dichiarata dal 69,2% dei ginecologi, dal 50,4% degli anestetisti e dal 42,6% del personale non medico. A seguito di un puntuale intervento della Corte costituzionale, l’obiezione di coscienza non può estendersi al giudice tutelare che, come abbiamo precisato, svolge un’importante funzione in caso di richiesta di interruzione di gravidanza di una minorenne o di una donna interdetta. Secondo la Corte, infatti, l’autorizzazione all’interruzione data dal Giudice tutelare riveste il solo scopo di integrare la volontà della minorenne e, pertanto, l’autorizzazione da parte del magistrato non potrà essere negata per motivi di coscienza (Sentenza Corte cost. n. 196/1987). 88

f) Aborto illegale Come già rilevato, con l’entrata in vigore della legge 194 è stato abrogato il titolo del codice penale che prevedeva la normativa relativa ai reati d’aborto sopra specificati. Sono state inoltre introdotte dagli artt. 17, 18 e 19 particolari ipotesi di reato nel caso in cui l’aborto venga effettuato senza tener conto della procedura prevista dalla legge. In particolare, l’art. 19 prevede che chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità e dei limiti imposti dalla legge o al di fuori delle sedi autorizzate è punito con la reclusione sino a tre anni (la pena è da uno a quattro anni se l’interruzione avviene oltre il novantesimo giorno). Minori sono, invece, le pene previste per la donna consenziente, per la quale è prevista solo una multa, nel caso in cui l’interruzione avvenga entro i primi tre mesi e la reclusione sino a sei mesi nel caso in cui siano trascorsi i primi novanta giorni. Nel caso in cui l’interruzione al di fuori delle modalità previste intervenga su una donna minore o interdetta sono previste pene maggiorate ed, in ogni caso, la donna non è punibile. Sono altresì previste pene più severe nel caso in cui dall’interruzione di gravidanza intervenuta al di fuori del dettato normativo siano derivate alla donna lesioni personali o la morte della stessa. Da ultimo, l’art. 17 punisce chiunque cagioni ad una donna con colpa (ovvero senza dolo) l’interruzione della gravidanza o un parto prematuro, mentre l’art. 18 prevede che chiunque cagioni l’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna (o estorcendo il consenso con violenza, minaccia o inganno) o l’interruzione della gravidanza sia conseguenza delle lesioni dolose o colpose è punto con pene severissime (sino a 12 anni di reclusione o sino a 16 anni se si verifica la morte della donna). Brevi cenni di giurisprudenza Come si evince dalla normativa appena richiamata, la normativa sull’interruzione di gravidanza ha gravato il medico di notevoli responsabilità, in particolare, con riferimento alla fase preliminare in cui raccoglie la volontà della donna e valuta con la stessa i presupposti e le conseguenze dell’atto interruttivo. In tale fase, infatti, incombe sul medico uno specifico dovere di informazione al fine di rendere la gestante partecipe del procedimento interruttivo. A tale riguardo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che l’omessa informazione della gestante circa i rischi alla sua salute conseguenti ad una mancata interruzione di gravidanza rappresentino una lesione del diritto della donna di abortire e, perciò, determinino in capo al medico una responsabilità civile, che obbliga lo 89

f) Aborto illegale<br />

Come già rilevato, con l’entrata in vigore della legge 194 è stato abrogato il titolo del codice penale<br />

che prevedeva la normativa relativa ai reati d’aborto sopra specificati. Sono state inoltre introdotte<br />

dagli artt. 17, 18 e 19 particolari ipotesi di reato nel caso in cui l’aborto venga effettuato senza tener<br />

conto della procedura prevista dalla legge.<br />

In particolare, l’art. 19 prevede che chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza<br />

senza l’osservanza delle modalità e dei limiti imposti dalla legge o al di fuori delle sedi autorizzate<br />

è punito con la reclusione sino a tre anni (la pena è da uno a quattro anni se l’interruzione avviene<br />

oltre il novantesimo giorno). Minori sono, invece, le pene previste per la donna consenziente, per la<br />

quale è prevista solo una multa, nel caso in cui l’interruzione avvenga entro i primi tre mesi e la<br />

reclusione sino a sei mesi nel caso in cui siano trascorsi i primi novanta giorni.<br />

Nel caso in cui l’interruzione al di fuori delle modalità previste intervenga su una donna minore o<br />

interdetta sono previste pene maggiorate ed, in ogni caso, la donna non è punibile.<br />

Sono altresì previste pene più severe nel caso in cui dall’interruzione di gravidanza intervenuta al di<br />

fuori del dettato normativo siano derivate alla donna lesioni personali o la morte della stessa.<br />

Da ultimo, l’art. 17 punisce chiunque cagioni ad una donna con colpa (ovvero senza dolo)<br />

l’interruzione della gravidanza o un parto prematuro, mentre l’art. 18 prevede che chiunque cagioni<br />

l’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna (o estorcendo il consenso con violenza,<br />

minaccia o inganno) o l’interruzione della gravidanza sia conseguenza delle lesioni dolose o<br />

colpose è punto con pene severissime (sino a 12 anni di reclusione o sino a 16 anni se si verifica la<br />

morte della donna).<br />

Brevi cenni di giurisprudenza<br />

Come si evince dalla normativa appena richiamata, la normativa sull’interruzione di gravidanza ha<br />

gravato il medico di notevoli responsabilità, in particolare, con riferimento alla fase preliminare in<br />

cui raccoglie la volontà della donna e valuta con la stessa i presupposti e le conseguenze dell’atto<br />

interruttivo.<br />

In tale fase, infatti, incombe sul medico uno specifico dovere di informazione al fine di rendere la<br />

gestante partecipe del procedimento interruttivo. A tale riguardo, la giurisprudenza della Corte di<br />

Cassazione ha affermato che l’omessa informazione della gestante circa i rischi alla sua salute<br />

conseguenti ad una mancata interruzione di gravidanza rappresentino una lesione del diritto della<br />

donna di abortire e, perciò, determinino in capo al medico una responsabilità civile, che obbliga lo<br />

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