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Recensione di Giovanni Sessa - Politicamente.Net

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POLITICAMENTE ANNO VIII, N. 78 – FEBBRAIO 2013<br />

Attorno alla Persuasione <strong>di</strong> Carlo Michelstaedter<br />

Un <strong>di</strong>scorso interminabile<br />

<strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>Sessa</strong><br />

La filosofia della persuasione <strong>di</strong> Carlo Michelstaedter, nel corso <strong>di</strong> un secolo, ha indubbiamente<br />

determinato un’eco significativa. Il centenario della tragica morte del pensatore, celebrato nel 2010,<br />

con convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e incontri culturali, ha prodotto una serie davvero significativa <strong>di</strong><br />

pubblicazioni, mirate a <strong>di</strong>scuterne il pensiero e a contestualizzarne criticamente la polimorfica<br />

produzione. La rivista telematica <strong>Politicamente</strong>, negli anni scorsi, ha già presentato <strong>di</strong>versi volumi<br />

relativi all’esegesi <strong>di</strong> Michelstaedter. In questa circostanza vogliamo occuparci del numero speciale<br />

che, al filosofo isontino, ha de<strong>di</strong>cato la rivista Humanitas (Anno LXVI, n. 5, Settembre/Ottobre<br />

2011, Morcelliana. Per or<strong>di</strong>ni: redazione@morcelliana.it; 03046451).<br />

Il volume, curato da Angela Michelis, nota stu<strong>di</strong>osa della persuasione, raccoglie <strong>di</strong>versi<br />

contributi, dovuti ad alcuni tra i più rappresentativi interpreti del pensatore mitteleuropeo ed è<br />

impreziosito dalla sezione Documenti, nella quale compaiono scritti <strong>di</strong> filosofi o storici del<br />

pensiero, che si sono occupati, a <strong>di</strong>verso titolo e secondo <strong>di</strong>fferenti prospettive, della persuasione<br />

michelstaedteriana: <strong>Giovanni</strong> Gentile, Eugenio Garin, Augusto Del Noce, Norberto Bobbio, Nicola<br />

Abbagnano. Le ragioni che hanno spinto a realizzare quest’opera, sono sintetizzate dalla curatrice<br />

nella Presentazione: “Michelstaedter rimane un cantore della tragicità del vivere, ma<br />

paradossalmente riesce a confortarci, anche nella sua sconfitta <strong>di</strong> vita, per la potenza catartica della<br />

bellezza acerba, integra e in qualche modo positiva del suo pensare e del suo comunicare, a fronte<br />

dell’in<strong>di</strong>fferente tramutar del tutto” (p. 725). Tale affermazione dà imme<strong>di</strong>ata contezza al lettore<br />

avveduto, che la <strong>di</strong>scussione interpretativa inerente la filosofia della persuasione ha il tratto dei<br />

<strong>di</strong>scorsi interminabili sui quali, a suo tempo, attirò l’attenzione Italo Calvino. Infatti, se l’aporeticità<br />

è il tratto rilevante dell’autentico filosofare, e quello michelstaedteriano lo fu senza alcun dubbio,<br />

anche l’esegesi della sua opera mostra il medesimo carattere.<br />

Gli interventi raccolti in volume sono <strong>di</strong>sparati: tra essi ricor<strong>di</strong>amo quello <strong>di</strong> Antonella Gallarotti,<br />

che presenta i dati biografici maggiormente significativi, che hanno più profondamente inciso sulla<br />

bildung del pensatore, inquadrandoli nel contesto stimolante della Gorizia mitteleuropea del primo<br />

Novecento. Lo scritto <strong>di</strong> Piero Pieri si riferisce, invece, alla particolare sintesi, realizzatosi nelle<br />

opere <strong>di</strong> Carlo, tra la cultura d’origine, quella ebraica, e quella <strong>di</strong> “formazione”, la cultura antica,<br />

greca in particolare. Va segnalato, altresì, il contributo <strong>di</strong> Sergio Campailla, teso ad analizzare i<br />

primi lavori critici de<strong>di</strong>cati a Michelstaedter tra il 1910 al 1916, a muovere da quello <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong><br />

Papini che, nel bene e nel male, pesò a lungo sulla collocazione del filosofo nel panorama culturale<br />

italiano. Clau<strong>di</strong>o La Rocca si occupa dei rapporti tra persuasione ed oratoria, rilevando la centralità<br />

delle problematiche linguistiche nel giovane goriziano. A Giorgio Brianese si deve l’esegesi dei<br />

rapporti che legano la filosofia michelstaedteriana al nichilismo. Il testo dello stu<strong>di</strong>oso si avvale<br />

degli strumenti ermeneutici che <strong>di</strong>scendono dalle posizioni neoeleatiche <strong>di</strong> Emanuele Severino.<br />

Alessandro Arbo indaga l’importanza della musica in Michelstaedter, mentre Martino Della Valle si<br />

interroga, con accenti partecipati e convincenti, su assonanze e prossimità tra persuasione e filosofia<br />

orientale. Per non citare, naturalmente, che alcuni tra gli interessanti scritti che compaiono nel<br />

volume.<br />

Nel breve spazio concesso ad una recensione, ci pare comunque doveroso de<strong>di</strong>care la nostra<br />

attenzione a due tra i saggi che figurano nel testo. Il primo è lo scritto <strong>di</strong> Mario Perniola “Enigmi<br />

del sentire italiano”. Il noto stu<strong>di</strong>oso ricorda, dapprima attraverso la pittura <strong>di</strong> Giandomenico<br />

Tiepolo Il plotone <strong>di</strong> esecuzione, e successivamente richiamando il Leopar<strong>di</strong> del Discorso sopra lo<br />

stato presente dei costumi italiani del 1824, come la pulcinellità possa essere in<strong>di</strong>viduato quale


tratto caratterizzante, in profon<strong>di</strong>tà e dall’interno, il costume italiano. Esso, a parere <strong>di</strong> Charles<br />

No<strong>di</strong>er, sarebbe lo specifico esistenziale dell’homo naturalis e consisterebbe in un’inesausta<br />

pulsione <strong>di</strong> vita, capace <strong>di</strong> dar luogo a un’infinita molteplicità e contrad<strong>di</strong>ttorietà <strong>di</strong> manifestazioni.<br />

In una parola, Pulcinella in<strong>di</strong>cherebbe il tratto spettacolare, teatrale che la vita assume, da sempre,<br />

per <strong>di</strong>sparate ragioni, nel nostro paese. Ora, questo tendere a: “…liberarsi da ogni costrizione<br />

esteriore genera un misto <strong>di</strong> gaiezza, <strong>di</strong> superstizione e <strong>di</strong> sensualità, che si fa beffe a cuor leggero<br />

<strong>di</strong> tutto, da questa materia in continuo fermento non viene però fuori nulla!” (p. 803). Secondo<br />

Leopar<strong>di</strong>, a questa particolare situazione esistenziale, sarebbe correlato il “cinismo” degli italiani,<br />

che ci ha resi incapaci <strong>di</strong> qualsivoglia moralità collettiva e che ha prodotto, come colse von<br />

Humbolt, la nostra costitutiva instabilità interiore, intesa quale: “…transito continuo tra malinconia<br />

e l’allegrezza, un confine tra la vita e la morte, che consente <strong>di</strong> avanzare più facilmente nella vita e<br />

<strong>di</strong> piegarsi più facilmente alla morte” (p. 805). Se la causa fondamentale del nostro cinismo, come<br />

già rilevò il filosofo-poeta <strong>di</strong> Recanati, è da in<strong>di</strong>viduarsi nell’auto-<strong>di</strong>sprezzo, solo nell’interiorità<br />

del singolo è possibile trovare una via d’uscita da tale situazione paralizzante, una via “serissima”,<br />

quella tentata da Michelstaedter. Questi contrappose alla Rettorica, intesa come l’amore per la vita<br />

naturale potenziato al quadrato dagli artifici intellettuali e sociali, la via della Persuasione.<br />

L’origine etimologica greca della parola ci rende edotti del fatto che essa in<strong>di</strong>ca lo stato dello<br />

“aver fiducia”. La cosa è, per <strong>di</strong> più, confermata anche dalla ra<strong>di</strong>ce ebraica bth, utilizzata in quella<br />

lingua per in<strong>di</strong>care il “giusto”. Ma da cosa è tutelato il persuaso, colui che “fidandosi” è sicuro <strong>di</strong> sé<br />

e perciò giusto? Perniola sostiene: “La risposta è semplice: dalla paura della morte” (p. 808). Il<br />

persuaso è colui che guarda il nulla negli occhi senza arretrare, che accetta il limite, la morte e il<br />

dolore che ne consegue. Per questo, tale via, è conquista del presente, del “qui e ora”, in un<br />

orizzonte immanente che poca ha a che spartire con posizioni fideistiche. Infatti: “La fede implica il<br />

rinvio al futuro, l’attesa <strong>di</strong> una salvezza avvenire…la fiducia è invece qualcosa <strong>di</strong> già dato…lo stato<br />

<strong>di</strong> chi può fare assegnamento su una realtà piena” (p. 808). Perniola ritiene prossimo il senso della<br />

persuasione, a ciò che nell’Antico Egitto era significato dal termine Maat: la giustizia quale qualità<br />

<strong>di</strong> un uomo che: “…si giustificherà per la propria affidabilità”. (p. 809). Cre<strong>di</strong>amo che lo stu<strong>di</strong>oso,<br />

abbia pienamente colto il senso ultimo del Tragico, <strong>di</strong> cui il goriziano si fece latore e testimone in<br />

prima persona. Pensiamo, anzi, che questa esegesi michelstaedteriana, sia in grado <strong>di</strong> spiegare<br />

anche la valorizzazione che Perniola ha recentemente compiuto del pensiero <strong>di</strong> Andrea Emo. Vero<br />

terminale, il filosofo veneto, della crisi cui giunsero, a metà del secolo XX, le categorie<br />

ottocentesche e primo novecentesche del pensiero europeo.<br />

Il secondo saggio che vogliamo brevemente <strong>di</strong>scutere, è quello <strong>di</strong> Angela Michelis, C.<br />

Michelstaedter. Pensare a partire dai frantumi dell’universalità mitteleuropea. Esso ci pare, da un<br />

lato, la sintesi delle precedenti fatiche che la stu<strong>di</strong>osa ha de<strong>di</strong>cato a temi michelstaedteriani e, al<br />

medesimo tempo, <strong>di</strong>scussione esaustivamente conclusiva del <strong>di</strong>battito teoretico che emerge nelle<br />

pagine del libro. Lo scritto non ripercorre solo la formazione del giovane, soffermandosi sui suoi<br />

“autori”, ma rileva, in particolare, come: “I se<strong>di</strong>menti storici e culturali dell’ebraismo spiegano<br />

l’originalità dell’opera <strong>di</strong> Michelstaedter…mentre l’appartenenza mitteleuropea spiega il suo<br />

anticipo rispetto alla cultura contemporanea italiana” (p. 901). L’opera del goriziano è internamente<br />

sospinta dal tentativo <strong>di</strong> ritrovare l’umanità più autentica, per cui l’intelligenza trova: “…il suo<br />

ruolo precipuo nel rimuovere il non <strong>di</strong>scernimento che oscura la visione dell’Io <strong>di</strong>vino” (p. 907).<br />

L’oscurità è il risultato <strong>di</strong> un non-sapere consistente nella polverizzazione della vita indotta dalla<br />

volontà che insegue, vanamente, proiettandosi verso il futuro, il baluginare ingannevole del<br />

desiderio. Il singolo non “è” mai veramente, non possiede il presente, è costantemente fuori <strong>di</strong> sé. A<br />

giu<strong>di</strong>zio della stu<strong>di</strong>osa, il tentativo speculativo e pratico della persuasione consisterebbe nel<br />

conciliare Parmenide ed Eraclito. Alla luce <strong>di</strong> tale conciliazione anche Platone, assunse per<br />

l’intellettuale goriziano, un tratto marcatamente socratico : “…che narra….della possibilità che il<br />

Permanere irrompa nel Mutevole nell’attimo del desiderio <strong>di</strong> colui che faccia <strong>di</strong> se stesso fiamma”<br />

(p. 910). Con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo questa lettura. Anzi! Con Heidegger e soprattutto con il suo <strong>di</strong>scepolo<br />

francese Jean Beaufret, riteniamo che una corretta lettura <strong>di</strong> Parmenide e <strong>di</strong> Eraclito, metta in luce la


loro complementarità-unità. In essi, alla luce della lezione <strong>di</strong> Colli, torna a mostrarsi la Sapienza<br />

Originaria. La stessa esemplarmente testimoniata da Michelstaedter, nel suo inesausto sentirsi<br />

vocato al Bene. Angela Michelis, nella chiusa del suo scritto, rileva: “La tensione al Bene, tuttavia,<br />

al <strong>di</strong> là della sua riuscita, è <strong>di</strong> per sé liberante nel suo aprirsi a ciò che trascende, al trascendente” (p.<br />

912). Certamente la periagoghé, il cambio <strong>di</strong> cuore, che la persuasione, quale sguardo sul Bene<br />

induce, apre al Reale. Ma, nella nostra prospettiva, esso è esperibile in una vita condotta<br />

“rettamente” (in senso etimologico greco) nella <strong>di</strong>mensione del “qui e ora”, della Città-Cosmo della<br />

Tra<strong>di</strong>zione Eterna, accomunante in un abbraccio virtuoso i morti e i viventi: la realtà che Mario<br />

Untersteiner e con lui Gian Franco Lami, erano soliti chiamare “Tutte-Cose”. Solo muovendo da<br />

questo snodo teoretico ed esistenziale, la persuasione svela il volto <strong>di</strong> effettiva filosofia dello<br />

“eterno presente”.<br />

POLITICAMENTE ANNO VIII, N. 78 – FEBBRAIO 2013

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