La signora delle vigne

DI PINO PIGNATTA
[ITALIA DA SCOPRIRE]
LA SIGNORA
DELLE VIGNE
La storia di Marta
Mondonico, da astemia
a vignaiola d’eccellenza
per amore del marito
Gli americani impazzirebbero in
una cantina così. C’è la filodiffusione
che suona dalle 7 del mattino
a mezzanotte, anche se tra le botti non
c’è anima viva: la musica accarezza il mosto,
ne accompagna la fermentazione, in pratica
l’uva diventa vino ascoltando Bach o
Beethoven. Poi lo assaggi e, di là dalle “note”
di legno e di frutti di bosco, ti sembra
d’ascoltare una Suite per violoncello solo, o
il Concerto per clarinetto di Mozart. L’idea
è venuta a Marta Mondonico, 53 anni, lombarda
di Carugate, sposata, madre di due
figli, Miriam e Daniele. Sino a tre anni fa
era astemia e adesso produce un vino rosso,
il Valcalepio, che ha vinto nettamente
la prima edizione del Premio “Le signore
delle vigne”, riservato alle donne titolari di
aziende vitivinicole: una sfida tra 200 imprenditrici
da tutta Italia, la maggior parte
dal Piemonte e dalla Lombardia, ma anche
sarde, pugliesi e toscane.
Donna Marta, che è anche il nome del vino,
ha cambiato vita a 50 anni: da casalinga a
vignaiola, da maestra elementare (per qualche
tempo) a esperta di agronomia e di enologia.
Adesso cura ogni grappolo della sua vigna
e sta alla pari con i più quotati produttori.
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CLUB3 NOVEMBRE 2005

[ITALIA DA SCOPRIRE]
“
Al primo assaggio
del “Donna Marta” ho
capito che avevo fatto
un gran “rosso”.
L’ho chiamato come
me, volevo che mi
assomigliasse,
che fosse elegante
e non aggressivo
”
Uno scorcio della tenuta “Le
Mojole”, al confine con la
Franciacorta, con le vigne di
Marta Mondonico pettinate a
Merlot e a Cabernet Sauvignon
Il vino Valcalepio “Donna
Marta” che ha vinto il primo
premio “Le signore delle
vigne” è un rosso intenso
e persistente, etereo e
penetrante, che restituisce
un leggero profumo di
vaniglia, di legno aromatico
e un sentore di sottobosco.
L’etichetta che ha scelto
la sua produttrice, Marta
Mondonico, è una sintesi di
arte e lavoro, di amore per
la cultura e di passione per
il vino. «Ho raffigurato sulle
mie bottiglie una creazione
dell’artista Lucio Fontana,
Guardare oltre il vino, per scoprire la fatica che c’è dietro
che arrivava a tagliare le tele
per comunicare quello che
va oltre la pittura, oltre
l’arte. E quel taglio verticale
sulle etichette del mio
“Donna Marta” è un invito
a guardare oltre il vino:
a scoprire la fatica che c’è
dietro, il lavoro duro della
vendemmia, la passione con
la quale curiamo la cantina».
Un amore che comincia
da lontano, nelle vigne.
Nella tenuta di Donna Marta,
in punta a ogni filare
c’è un arbusto di rose.
«Ne abbiamo piantati 700,
non solo perché sono
piacevoli alla vista, ma
perché attirano gli insetti
utili all’impollinazione dei
fiori dell’uva. E poi le rose
soffrono degli stessi
parassiti della vite, ma
si ammalano prima, e così
sappiamo in tempo quand’è
ora di intervenire».
È anche una storia d’amore. Il più bel regalo
che la signora Mondonico potesse fare al marito,
da sempre cultore di vini di qualità: diventare
lei stessa produttrice di un “rosso” da
applausi. Accogliere, all’inizio con diffidenza
e timore, una passione che non è tua, lontana
dai tuoi pensieri, quasi estranea, e restituirla a
piene mani, come un dono, all’uomo della
tua vita: non so neppure da dove cominciare,
ma per te io farò il miglior vino che ci sia. C’è
riuscita, perché le sue bottiglie, e ovviamente
la sua “arte”, per espressa volontà del ministro
delle Politiche agricole e
forestali, Gianni Alemanno,
il prossimo gennaio onoreranno
l’Italia negli Usa alla
Fiera mondiale di Boston, in
rappresentanza del vino italiano.
Vuoi mettere per una
donna che a 50 anni beveva
ancora solo acqua!
Marta sorride e si commuove:
«Sì, ero astemia, un
malanno che ho lasciato in
fretta alle spalle. Ho girato per anni le migliori
cantine d’Italia. Mica tanto convinta. Un
giorno mio marito ha fatto una proposta:
“Compriamo una tenuta, però te ne occupi
personalmente”. Vignaiola io, che non assaggiavo
neppure il vino? Mi sono buttata: ho
studiato manuali, letto libri, frequentato
esperti, ho assunto un agronomo per rifare il
vigneto che era lì da dodici anni, e un enologo
per ribaltare la cantina. Ero curiosa, determinata.
Il mio vino l’ho voluto come un figlio,
l’ho aspettato, coccolato nelle botti. E
al primo assaggio, fine novembre 2004, ho
capito che avevo fatto un gran “rosso”. L’ho
chiamato come me, volevo che mi somigliasse,
che fosse educato, elegante, non aggressivo,
e per niente “ruffiano”, come certi vini
che si fanno piacere per forza».
La tenuta di Donna Marta, “Le Mojole”
(cioè le fragole, che crescono spontaneamente
intorno all’area e a un’attenta degustazione
si percepiscono anche nel suo vino) sta
tra la bergamasca e la provincia di Brescia, al
confine con la Franciacorta: 32.000 metri
quadrati in tutto, due ettari di superficie pettinata
a vigneto. Il resto boschi di castagni,
funghi, caprioli e cinghiali. La vigna è a 300
metri sul livello del mare, adagiata in una
conca con un microclima particolarmente favorevole,
il sole che batte dal mattino al tramonto.
È coltivata per il 60 per cento a Merlot
e per il 40 per cento a Cabernet Sauvignon:
ogni tralcio di vite genera otto gemme,
ogni gemma due grappoli, raccolti e selezionati
esclusivamente a mano. Se ne ricavano
circa 60 quintali per ettaro, pressapoco
9.000 bottiglie l’anno, vendute direttamente
in cantina, oppure nelle migliori enoteche e,
ora che Donna Marta è famosa, anche nei
più quotati ristoranti.
Il suo vino invecchia 18 mesi in botti di rovere
francese, di gran lunga migliore rispetto
al rovere americano o sloveno, e anche parecchio
più costoso, circa 700 euro a botte, e
ognuna non può essere utilizzata per più di
due vendemmie: un notevole investimento
in qualità, dunque, certo preso in considerazione,
insieme con tutte le altre caratteristiche
del “Donna Marta”, dalla giuria che ha
assegnato i premi alle signore delle vigne.
Spiega la Mondonico: «I mastri bottai francesi
lavorano ancora le doghe delle loro botti
con l’ascia, e non con la sega elettrica, perché
la lama brucerebbe i pori del legno. E le
incurvano con il fuoco».
All’invecchiamento nel rovere seguono almeno
sei mesi di affinamento in bottiglia.
Ne nasce un vino rosso Valcalepio Igt, cioè
Indicazione geografica tipica, che per la precisione
si chiama “Igt della bergamasca”,
quindi neppure un Doc. «Ma non c’è nulla
di strano che sia stato premiato un vino Igt,
perché il Doc non certifica la qualità ma solo
la provenienza. Io volevo fare un rosso eccellente,
e ho dimostrato che si può fare anche
senza farlo pagare 35 euro a bottiglia. E
soprattutto mi rende felice far conoscere il
Valcalepio fuori dai confini nazionali, un
prodotto che andrebbe valorizzato di più a
livello di immagine, come hanno saputo fare
in Franciacorta, o come sanno fare molto
bene i francesi».
Ma ciò che più è straordinario è che il
“Donna Marta” ha vinto la gara tra i vini prodotti
da 200 donne vignaiole alla prima vendemmia,
meritandosi 100 centesimi, il punteggio
in assoluto più alto. Ora che la raccolta
2005 è terminata, resta il fascino, e il mistero,
di un vino nato quasi dal nulla, dalle mani di
una donna tenace e coraggiosa. Che a 50 anni
ha imparato dagli aborigeni ad ascoltare la natura
e i suoi ritmi, a non avere fretta, a leggere
i messaggi che comunicano i grappoli, a parlare
con le foglie e con le botti. E a scarpinare
su e giù per vigne scoscese, che tagliano le
gambe ma scaldano il cuore e la vita.
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