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12<br />

Le ragazze<br />

di Edoarda Grego Pozza<br />

di Trieste<br />

Il 26 ottobre scorso mi sono<br />

trovata in Piazza dell’Unità<br />

– per caso, lo confesso – ad<br />

assistere alla cerimonia dell’alzabandiera<br />

in occasione del 57°<br />

anniversario del ritorno di Trieste<br />

all’Italia.<br />

Nonostante la grigia tristezza<br />

della pioggia battente, della<br />

piazza semideserta, del momento<br />

economico non proprio felice,<br />

l’evento, l’Inno a San Giusto,<br />

e specialmente il ritornello<br />

“Le ragazze di Trieste…” mi<br />

hanno travolto con una valanga<br />

di - più o meno lieti – ricordi,<br />

e di riflessioni sia personali che<br />

storiche.<br />

Perché “le ragazze di Trieste”<br />

e non “i ragazzi” o “la gente”?,<br />

o “il popolo”…?<br />

Ed ecco farsi vivo nella memoria<br />

un fatto lontano. Correva<br />

l’anno 1960, mi trovavo, per ragioni<br />

di famiglia, a Valdagno, in<br />

provincia di Vicenza, avevo già<br />

due figli, ero in attesa del terzo,<br />

e insegnavo materie letterarie<br />

alla Scuola Media Statale, quando<br />

ricevetti una nomina triennale<br />

dal Provveditore agli Studi<br />

di Vicenza per l’insegnamento<br />

di italiano e storia all’Istituto<br />

Tecnico Industriale V.E. Marzotto.<br />

Mi recai immediatamente<br />

dal Preside, un gentiluomo<br />

vecchio stampo, e gli chiesi, a<br />

bruciapelo, se fosse possibile<br />

per lui concedermi un orario<br />

<strong>com</strong>patibile con la mia situazione<br />

familiare, in particolare con<br />

l’ac<strong>com</strong>pagnamento dei bambini<br />

all’asilo-nido. In caso con-<br />

trario, avrei dovuto rinunciare a<br />

quella nomina, pur così ambita,<br />

e restare alle Medie, dove, appunto,<br />

quell’orario mi era stato<br />

concesso. Non avevo intenzione<br />

di venir meno ai miei doveri<br />

di madre, né di rinunciare al<br />

mio diritto ad una carriera faticosamente<br />

iniziata a prezzo di<br />

molti sacrifici e lunghi anni di<br />

studio. Avevo bisogno di <strong>com</strong>prensione<br />

e di collaborazione,<br />

non di privilegi. Mi serviva in<br />

quel momento quella che oggi<br />

si chiama politica di “conciliazione”<br />

tra lavoro di cura e professione.<br />

Il Preside, piuttosto<br />

perplesso, ma molto sensibile<br />

e intelligente, interpellò un tecnico<br />

e mi rassicurò: avrei avuto<br />

l’orario richiesto.<br />

Qualche tempo dopo, durante<br />

una conversazione informale,<br />

ci fu tra noi una proficua chiarificazione,<br />

quella che le parole<br />

del ritornello dell’Inno a San<br />

Giusto, “Le ragazze di Trieste”,<br />

mi avevano fatto tornare alla<br />

mente. “Una collega del luogo,<br />

nella sua stessa situazione e con<br />

le sue stesse esigenze, prima<br />

di farmi le sue stesse richieste,<br />

mi avrebbe blandito con mille<br />

moine, mi avrebbe mandato<br />

dei fiori, mi avrebbe invitato a<br />

cena… Lei, Signora, avrebbe<br />

dovuto dirmi subito, invece,<br />

al momento della presentazione:<br />

‘Sono triestina’, e io avrei<br />

capito <strong>tutto</strong>. Voi triestine siete<br />

indipendenti, automome, dirette.<br />

Siete donne speciali”. Le<br />

considerazioni di quell’ottimo<br />

Preside mi spinsero a fare delle<br />

ricerche per meglio <strong>com</strong>prendere<br />

le ragioni storiche di questo<br />

fenomeno. Scoprii ben presto<br />

che queste esplorazioni storicosociologiche<br />

erano già state fatte<br />

da insigni studiosi del lontano,<br />

ma anche del recente, passato.<br />

Eccone qualche esempio:<br />

Un famoso bibliografo veneziano,<br />

Bartolomeo Gamba, nelle<br />

sue note di viaggio, agli inizi<br />

dell’Ottocento, a proposito delle<br />

donne di Trieste, scriveva:<br />

“Piace al forestiero […] il<br />

vedere le donne Triestine di<br />

qualunque rango portarsi sole<br />

dove meglio lor piace, e fermarsi<br />

in abito signorile a far<br />

contratto di un pollo o di frutta<br />

con una villanella craniolina, la<br />

quale non ha le sue belle forme<br />

coperte che da una camicia stretta<br />

alle reni da una cintura”. “Le<br />

osservazioni sull’abbigliamento<br />

servono a far risaltare la libertà<br />

di cui godono le triestine, e<br />

richiamano alla mente certe notazioni<br />

di Alexis de Tocqueville<br />

sulle giovani statunitensi (Finzi,<br />

“Gli ultimi”, 428)”.<br />

Sì, in effetti le triestine, già<br />

allora, tra Sette e Ottocento,<br />

erano un po’ speciali.<br />

Secondo Giani Stuparich,<br />

alla nascita improvvisa e tumultuosa<br />

della città, e a <strong>tutto</strong> ciò<br />

che ne seguì, va il merito della<br />

“mancanza di vere barriere<br />

fra popolo e borghesia”, uniti<br />

anche dal dialetto <strong>com</strong>une,<br />

“ed è la donna che specialmente<br />

acquista, nell’essere e

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