"Il Re dell'Aria" di Emilio Salgari

ed i pochi villaggi, rappresentati da gruppetti di casupole fatte
per lo più di tronchi d'albero, erano quasi interamente sepolti
sotto la neve.
Alcuni mugik stavano attraversando il ghiaccio, spingendo
innanzi a loro delle prame, ossia delle grosse barche, le quali
forse erano state sorprese al largo dal gelo ed imprigionate,
prima che avessero potuto raggiungere le rive.
Erano però tanto occupati in quel faticoso lavoro che non
s'accorsero nemmeno del passaggio dell'aerotreno, anche perché
questo si teneva già ad un'altezza di cinquecento metri, e la
neve, che cadeva sempre, abbondantissima, lo rendeva poco
visibile.
Alla sera anche il Baikal non era più visibile. Lo Sparviero,
che procedeva sempre colla massima velocità, ridiscendeva
verso le grandi pianure dell'ovest, coperte da sconfinate foreste,
forse non ancora esplorate da alcun essere umano.
Essendosi il tempo rischiarato ed essendo comparsa una
splendida luna, il capitano stava per cercare un posto ove
passare la notte, non volendo stremare completamente il suo
piccolo equipaggio, quando una detonazione, seguita poco dopo
da un'altra, echeggiò verso il margine d'un bosco di betulle e di
pini.
– Che sparino contro di noi? – chiesero Wassili e Boris, che
stavano in quel momento fumando presso la macchina.
– No – rispose Ranzoff, il quale si era curvato subito sul
parapetto di prora.
– Che sia stato qualche cacciatore? – chiese Wassili.
– Quelle detonazioni erano troppo deboli per essere state
prodotte da una carabina, è vero, signor Boris?
– Sono stati due colpi di rivoltella o di pistola – rispose
l'ex-comandante della Pobieda, il quale si intendeva di armi
meglio di qualunque altro. – Ma... toh!... Questo è il campanello
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