L'Asia orientale tra leggende e storia - Sei
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L’Asia <strong>orientale</strong><br />
<strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
CULTURA,<br />
CIVILTÀ<br />
E RELIGIOSITÀ<br />
IPERTESTO<br />
Alessandroe il prete Gianni<br />
Nell’Europa cristiana medievale, fino alla metà del Duecento, nessuno possedeva informazioni<br />
corrette e veritiere sul mondo dell’Asia <strong>orientale</strong>; si sapeva solo che esistevano altre<br />
terre e altri popoli, situati a est o a sud-est rispetto alle regioni abitate dai musulmani<br />
e rispetto a Gerusalemme, spesso concepita come il centro del mondo. Nessun contemporaneo,<br />
però, aveva ancora visitato quelle terre e quei popoli, cosicché ci si doveva<br />
basare su antichi testi, che descrivevano l’Asia come una terra abitata innanzi tutto da mostri<br />
e da altre creature fantastiche.<br />
Secondo una <strong>tra</strong>dizione universalmente accettata, l’Oriente era la regione in cui – sia pure<br />
inaccessibile – si trovava il giardinodell’Eden, cioè il paradiso terrestre; inoltre, si credeva<br />
che l’Asia fosse la terra dei magi, venuti ad adorare il Cristo bambino, e che l’India<br />
(o almeno una parte di essa) fosse stata evangelizzata da san Tommaso. Sul luogo in cui<br />
questo apostolo era stato sepolto – si raccontava – era stata costruita una chiesa imponente<br />
e grandiosa, mentre la locale comunità cristiana era guidata da un misterioso e potente<br />
patriarca delle Indie.<br />
Negli anni Quaranta del XII secolo, i cristiani latini tenevano ancora Gerusalemme, ma si<br />
sentivano seriamente minacciati dal pericolo di una controffensiva islamica; in questi am-<br />
Il prete Gianni, al centro<br />
dell’immagine,<br />
raffigurato in una<br />
miniatura <strong>tra</strong>tta dal<br />
Livre des Merveilles<br />
du Monde, xv secolo<br />
(Parigi, Biblioteca<br />
Nazionale).<br />
IPERTESTO B<br />
1<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
2<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
Le meraviglie dell’Asia<br />
DOCUMENTI<br />
Il testo che riportiamo è <strong>tra</strong>dotto dal francese antico. Secondo alcuni studiosi, questa versione francese<br />
della Lettera del prete Gianni fu stesa nel XIII secolo; secondo altri, invece, è contemporanea al testo<br />
latino, che iniziò a circolare nel 1165.<br />
Sappiate poi che abbiamo un’al<strong>tra</strong> specie di bestie chiamate tigri, più piccole degli elefanti<br />
e che divorano una quantità di altri animali. E ancora che in una parte dell’India deserta<br />
abbiamo uomini con le corna e genti con un occhio solo e altre che hanno occhi davanti e<br />
di dietro. E si chiamano: Sanitturi, Senofali, Tigrolopi.<br />
Nell’al<strong>tra</strong> parte del deserto abbiamo popoli che vivono di carne cruda, tanto di uomo che<br />
di animale. Sappiate che non temono la morte, e quando un parente o un amico muore lo<br />
mangiano e dicono che quella è la carne migliore del mondo. E si chiamano: Gog e Magog<br />
e Anich, Acerivi, Farfo, Tenepi, Gogamati, Agrimodi. Queste razze, e molte altre ancora, Alessandro,<br />
figlio del gran re di Macedonia, rinchiuse <strong>tra</strong> le due alte montagne di Gog e Magog,<br />
verso settentrione, dove noi possediamo sessantadue castelli nei quali teniamo grandi guarnigioni<br />
sotto la guida di un re che è nostro alleato contro questi popoli, in una città chiamata<br />
Orionde. Queste razze non discendono dai figli di Israele, ma da Gog e Magog, e quando<br />
vogliamo portarle in battaglia, lo facciamo. E quando vogliamo vendicarci dei nostri nemici,<br />
esse li divorano tutti finché non ne resta nessuno e, dopo che li hanno divorati, le riportiamo<br />
nelle loro regioni, là dove le abbiamo prelevate. Se infatti le tenessimo <strong>tra</strong> di noi, divorerebbero<br />
la nos<strong>tra</strong> gente e le nostre bestie, tenetelo per certo.<br />
Queste razze malvagie non si libereranno prima della fine del mondo, al tempo dell’Anticristo,<br />
e allora si spanderanno per ogni dove. Sappiate che nessuno potrebbe contarle, più<br />
di quanto si possa contare la sabbia del mare, e che i popoli di tutta quanta la terra non potrebbero<br />
con<strong>tra</strong>starle.<br />
G. ZAGANELLI, La lettera del prete Gianni, Pratiche, Parma 1990, pp. 173-175<br />
Immagina di essere<br />
un lettore del<br />
Medioevo: quali<br />
elementi di questa<br />
descrizione ti<br />
avrebbero<br />
maggiormente<br />
colpito?<br />
Secondo te, nel<br />
lettore medievale,<br />
quale reazione<br />
suscitava questa<br />
descrizione?<br />
bienti, cominciò a circolare la diceria secondo cui il patriarca delle Indie stava preparando<br />
una grande operazione militare, che avrebbe colto alle spalle i musulmani e li avrebbe schiacciati.<br />
Inoltre, si prese ad affermare che quel vescovo guerriero, vero e proprio sovrano di un<br />
vastissimo e ricchissimo territorio, si chiamava Presbiter Iohannes, cioè “prete Gianni”. Il primo<br />
cronista a ricordare questa misteriosa figura è il tedesco Ottone di Frisinga, nel 1145.<br />
Nella sua cronaca, Ottone menziona anche Alessandro Magno, di cui si sapeva che – dopo<br />
la vittoria sui persiani – si era spinto ancora più a est, fino all’India. Nel Medioevo cristiano,<br />
però, l’accento era posto su una <strong>tra</strong>dizione particolare, secondo cui Alessandro, in<br />
Estremo Oriente, era riuscito a rinchiudere dietro un’invalicabile catena montuosa i terribili<br />
popoli di Gog e Magog. Secondo la stessa <strong>tra</strong>dizione, poi, essi sarebbero stati liberati<br />
poco tempo prima della fine del mondo: insieme all’Anticristo, si sarebbero scatenati<br />
su tutta la terra spargendo morte e violenza, prima di essere annientati dal Cristo glorioso,<br />
insieme a Satana e a tutte le forze del male.<br />
Intorno al 1165, cominciarono a circolare in Europa alcuni documenti che si presentavano<br />
come lettere del prete Gianni ai signori più potenti del mondo cristiano: l’imperatore<br />
di Costantinopoli, il re di Francia, l’imperatore, il papa. Non sappiamo con precisione chi<br />
abbia steso questi testi (che sono redatti in ebraico, in latino, in francese e in italiano) e con<br />
quali finalità; certamente l’autore – ammesso che fosse uno solo – si proponeva di stupire<br />
il suo pubblico, narrando le s<strong>tra</strong>ordinarie meraviglie dell’Asia, presentata come una regione<br />
in cui vivono gli animali più s<strong>tra</strong>ni (come gli unicorni, i grifoni e la fenice) e gli esseri<br />
più singolari: amazzoni (donne guerriere che usano solo armi d’argento), giganti, uomini<br />
con un occhio solo e uomini con le corna. Inoltre, il prete Gianni era presentato come un<br />
sovrano ricchissimo, nel cui regno trionfavano la virtù, la giustizia e la rettitudine. L’eresia,<br />
il furto, la cupidigia e la lussuria semplicemente non vi esistevano.<br />
L’accostamento di questi vari elementi finì per creare un mondo esotico (totalmente alieno,<br />
ma in fondo rassicurante, perché perfettamente cristiano), che diede al mito del prete Gianni<br />
una s<strong>tra</strong>ordinaria notorietà: solo del testo latino si sono conservati ben 93 manoscritti.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Gengis Khan<br />
Negli stessi decenni in cui l’Occidente sognava il prete Gianni e le meraviglie descritte<br />
nelle lettere che gli venivano attribuite, nel cuore dell’Asia iniziò il processo di formazione<br />
di uno degli imperi più vasti della <strong>storia</strong>. Protagonista di questa vicenda fu il popolo dei<br />
mongoli, che nell’impresa di conquistare gran parte del continente asiatico (e di una parte<br />
dell’Europa) fu inizialmente guidato da un condottiero dai contorni leggendari, noto<br />
con il titolo di Gengis Khan.<br />
Il significato di questa espressione non è del tutto chiaro: la <strong>tra</strong>duzione più verosimile potrebbe<br />
essere “Oceanico signore”; si <strong>tra</strong>tta di un titolo imperiale, dunque, o per lo meno<br />
di una formula che vuole tributare a qualcuno il massimo degli onori, proclamandolo signore<br />
assoluto e capo supremo, dapprima di tutte le tribù mongole, e poi, in ultima analisi,<br />
del mondo intero.<br />
A fregiarsi di questo titolo eccezionale fu un uomo della cui esistenza ignoriamo tantissimi<br />
dettagli. Conosciamo il suo nome originario, Temujin, ma non l’esatta data di nascita;<br />
<strong>tra</strong>dizioni differenti e con<strong>tra</strong>stanti la collocano, infatti, nel 1155, nel 1162, oppure<br />
nel 1167. Sappiamo inoltre per certo che nacque presso le sorgenti del fiume Oron,<br />
nel nord dell’attuale Mongolia, e che morì nell’agosto 1227, in una regione ai margini<br />
settentrionali dell’Himalaya.<br />
Le sue prime imprese riguardarono la Mongolia, ove nel 1206 Temujin riuscì a imporsi come<br />
capo rispettato da tutte le tribù nomadi della steppa: popoli che abitavano in tende di feltro,<br />
praticavano come attività economica prevalente l’allevamento dei cavalli e combattevano<br />
(a cavallo) soprattutto con arco e frecce. Si <strong>tra</strong>ttava di gruppi umani in costante eccedenza<br />
demografica rispetto alle scarse risorse offerte dalla steppa e dall’allevamento equino. La principale<br />
risorsa militare dei mongoli era il loro numero, insieme a una notevole capacità organizzativa;<br />
l’esercito, infatti, era organizzato su base decimale, cioè per gruppi di 10, 100, 1000<br />
o 10 000 guerrieri. Ciascuna unità era guidata da un ufficiale responsabile, in una catena gerarchica<br />
che, ovviamente, culminava nel khan, il capo supremo. Anche le donne erano coinvolte<br />
attivamente nelle operazioni: spettava loro, ad esempio, il compito<br />
di curare le tende e l’accampamento, quando gli uomini erano lontani<br />
per combattere. Nella società mongola, vigeva la poligamia,<br />
ma le donne erano comunque dotate di ampia autonomia<br />
e godevano di notevole rispetto.<br />
Sotto il profilo religioso, Gengis Khan fu sempre rispettoso<br />
di tutti i culti; i suoi sudditi, pertanto, poterono<br />
essere indifferentemente buddisti, cristiani,<br />
musulmani o seguaci di riti <strong>tra</strong>dizionali, mongoli<br />
o cinesi, che veneravano le forze della natura<br />
e le potenze celesti. Viceversa, il signore oceanico<br />
non tollerò mai resistenze di tipo politico<br />
e militare; se un sovrano si sottometteva<br />
spontaneamente, poteva diventare vassallo, pagare<br />
un tributo o comunque non vedere il proprio<br />
territorio devastato e saccheggiato. In caso<br />
con<strong>tra</strong>rio, la popolazione era spesso trucidata,<br />
mentre le città venivano rase al suolo.<br />
Nei primi anni del XIII secolo, Gengis Khan fu<br />
impegnato a sottomettere i territori circostanti<br />
l’area abitata dalle tribù mongole di cui era signore;<br />
in un primo tempo, verso sud, trovò un efficace<br />
ostacolo nella Grande muraglia, l’imponente sistema<br />
di fortificazioni che, da secoli, i cinesi avevano costruito,<br />
proprio per tener lontani i barbari nomadi del Nord. Nel<br />
1215-1216, però, la muraglia fu oltrepassata, e la regione<br />
di Pechino (capitale della Cina del Nord) fu conquistata.<br />
Gengis Khan<br />
raffigurato in una<br />
miniatura della fine<br />
del xIv secolo (Londra,<br />
British Library).<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
3<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
4<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
Riferimento<br />
1 storiografico<br />
pag. 12<br />
Guerrieri mongoli<br />
impegnati in battaglia,<br />
miniatura<br />
del xIv secolo.<br />
I “tartari” all’attacco dell’Europa<br />
Dopo la morte di Gengis Khan (1227), il potere supremo fu assunto dai suoi figli (Tului,<br />
Joci e Ogodai), che proseguirono l’espansione dell’impero in tutte le direzioni e governarono<br />
l’impero suddividendolo in regioni amminis<strong>tra</strong>tivo-territoriali rette da un khan<br />
e pertanto dette khanati. A occidente, guidate da Batu (figlio di Joci e nipote del gran khan<br />
Ogodai, che dal 1229 esercitava il potere supremo), le armate mongole pene<strong>tra</strong>rono in<br />
Russia, conquistarono Kiev e sottomisero l’intero paese (1237-1240).<br />
Proseguendo nella loro offensiva, i cavalieri delle steppe conquistarono Cracovia (nell’attuale<br />
Polonia) e si scon<strong>tra</strong>rono con una grande armata composta da polacchi, cechi e<br />
tedeschi; la battaglia avvenne a Wahlstadt, vicino a Liegnitz, e i cristiani furono pesantemente<br />
battuti. Intanto, un’al<strong>tra</strong> armata mongola penetrò in Ungheria, si spinse fino a Pest<br />
e minacciò Vienna.<br />
Molti cristiani latini, terrorizzati, si convinsero che la fine del mondo fosse arrivata; ai loro occhi,<br />
le inarrestabili armate mongole erano i terribili popoli di Gog e Magog, liberati dall’Anticristo.<br />
Le misteriose con<strong>tra</strong>de asiatiche avevano lanciato i loro più terribili mostri contro la<br />
cristianità, nell’imminenza dello scontro finale <strong>tra</strong> Dio e Satana. È vero che, secondo le Scritture,<br />
Dio avrebbe trionfato, tutti i testi, però, assicuravano pure che gli ultimi tempi sarebbero<br />
stati dolorosi come le doglie del parto.<br />
Questa angoscia diffusa ha lasciato evidente <strong>tra</strong>ccia di sé in un<br />
singolare cambiamento linguistico. Una delle tribù che componevano<br />
l’esercito mongolo era nota con il nome di<br />
Tha-ta, da cui l’espressione tatari. In molte lingue europee,<br />
però, questo nome fu mutato in tartari,<br />
denominazione che mette in collegamento i<br />
mongoli con il tartaro, cioè con l’inferno, <strong>tra</strong>sformandoli<br />
in demoni scatenati, vomitati dal<br />
regno delle tenebre.<br />
Secondo alcuni studiosi di <strong>storia</strong> dell’arte, questa<br />
iniziale connessione con il mondo demoniaco<br />
non si è mai più cancellata. Nel momento<br />
in cui, con il passar del tempo, frati, viaggiatori<br />
e mercanti en<strong>tra</strong>rono in contatto sempre<br />
più stretto con i mongoli e con la civiltà cinese,<br />
il terrore iniziale spinse a conoscere nei dettagli il<br />
mondo dei demoni orientali, alcuni dei quali erano da<br />
tempo raffigurati con ali simili a quelle dei pipistrelli. Dalla<br />
metà del Duecento, questo attributo divenne una caratte-<br />
GENGIS KHAN E I SUOI SUCCESSORI<br />
Temujin<br />
1155-1162-1167:<br />
date presunte<br />
della nascita<br />
Figli<br />
(Negli anni indicati,<br />
esercitarono il governo<br />
supremo con il titolo<br />
di gran khan)<br />
Nipoti<br />
(Negli anni indicati,<br />
esercitarono il governo<br />
supremo con il titolo<br />
di gran khan)<br />
1206:<br />
diventa Gengis Khan<br />
Joci<br />
Batu Russia (Orda d’Oro)<br />
1215-1216: conquista<br />
la Cina del Nord<br />
Chagatai<br />
Tului 1227-1229<br />
Mangu 1251-1259<br />
Hulagu Persia e Iraq<br />
Qubilai 1260-1294<br />
Muore nel 1227 Ogodai 1229-1241<br />
Guyuk 1246-1248<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
L’IMPERO<br />
MONGOLO<br />
M ar<br />
M editerraneo<br />
M ar<br />
Costantinopoli<br />
N ero<br />
Novgorod<br />
PRINCIPATI<br />
RUSSI<br />
Kiev<br />
Bolgar<br />
1222<br />
Volga<br />
Ob<br />
Jenisej<br />
Lago<br />
Bajkal<br />
Lena<br />
Amur<br />
Mar<br />
di<br />
Ohotsk<br />
IPERTESTO<br />
Tabriz<br />
Baghdad<br />
Eufrate<br />
ARABIA<br />
Tigri<br />
Rey<br />
Mar Caspio<br />
Darband<br />
1221<br />
1223<br />
Merv<br />
Nishapur<br />
Lago<br />
d’Aral<br />
Lago<br />
Balkash<br />
Urgenc Otrãr<br />
Ghazni<br />
Tashkent<br />
Bukhara<br />
Samarcanda<br />
Kabul<br />
1221<br />
Lahore<br />
1219<br />
TIBET<br />
1226-27<br />
Ningxia<br />
CINA<br />
Yang Tze- kiang<br />
Mar<br />
del<br />
Giappone<br />
Khanbalik<br />
(Pechino)<br />
Hoang-ho<br />
Mar Rosso<br />
Indo<br />
Gange<br />
Regione d’origine di Gengis Khan<br />
Dominio mongolo nel 1206<br />
Itinerario delle armate di Gengis Khan<br />
Incursioni mongole<br />
Cittàdistrutte o saccheggiate<br />
ristica fissa e costante anche dei demoni occidentali, così come li raffigurarono i pittori cristiani,<br />
primo fra tutti Giotto. Dante stesso, quando nell’Inferno descrisse Lucifero, disse che<br />
le sue grandi ali «non avean penne, ma di vispistrello / era lor modo; e quelle svolazzava». In<br />
tal modo, ricorrendo a un modello <strong>orientale</strong>, l’iconografia cristiana cancellò dal diavolo anche<br />
l’ultimo residuo della sua originaria natura angelica. Il drago subì la stessa metamorfosi:<br />
<strong>tra</strong>fitta da san Michele o da san Giorgio, anche quest’al<strong>tra</strong> incarnazione del male, tipica<br />
dell’immaginario medievale, si arricchì, a partire dal tardo Duecento, di ali che assomigliano<br />
più a quelle dell’inquietante e notturno pipistrello, che a quelle piumate degli uccelli, che<br />
si librano nel cielo di Dio.<br />
La lotta <strong>tra</strong> mongoli e musulmani<br />
Nel 1241, i mongoli erano arrivati alla costa <strong>orientale</strong> del mar Adriatico; tuttavia, la morte<br />
del gran khan Ogodai suggerì a Batu di tornare indietro, per evitare di essere troppo<br />
lontano dal centro del potere mongolo. Batu fissò allora la sua capitale sul basso Volga,<br />
nella città di Saraj, e diede vita allo Stato che prese il nome di Orda d’Oro.<br />
Qualche anno più tardi, i mongoli si lanciarono contro le terre dell’islam. Il principe Hulagu,<br />
nipote di Gengis Khan, dapprima si impadronì della Persia, poi scagliò l’attacco finale<br />
contro la Mesopotamia musulmana: nel 1258, Baghdad fu conquistata e messa a<br />
ferro e fuoco. Già da molto tempo il califfo non era più l’autorità suprema del mondo<br />
islamico; l’aggressione mongola ne segnò il definitivo collasso. Il titolo di califfo avrebbe<br />
acquistato nuova consistenza e nuovo splendore solo nel XVI secolo, quando fu assunto<br />
dal sultano dell’impero turco, al vertice della sua potenza militare e del suo splendore.<br />
L’Iraq non si riprese più dai danni dell’invasione: il complesso sistema di irrigazione, irrimediabilmente<br />
danneggiato dagli invasori, non fu più ripristinato, sicché il paese si <strong>tra</strong>sformò<br />
in un immenso deserto.<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010<br />
Mare<br />
Arabico<br />
Impero mongolo alla morte di Gengis Khan (1227)<br />
INDIA<br />
Golfo<br />
del Bengala<br />
M ekong<br />
Mare<br />
Cinese<br />
In pochi decenni<br />
i mongoli, guidati da<br />
Gengis Khan e dai suoi<br />
discendenti, divennero<br />
padroni di quasi tutta<br />
l’Asia. I principati russi<br />
subirono incursioni<br />
e dovettero accettare<br />
il pagamento di tributi;<br />
Polonia, Ungheria,<br />
Medio Oriente, India<br />
e Indocina subirono<br />
incursioni e saccheggi.<br />
IPERTESTO B<br />
5<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong>
IPERTESTO<br />
L’IMPERO MONGOLO<br />
NEL XIII SECOLO<br />
Vienna POLONIA<br />
Cracovia<br />
Novgorod<br />
Buda PRINCIPATI<br />
RUSSI<br />
Pest<br />
R.D'UNGHERIA Kiev<br />
Mar Nero<br />
Costantinopoli<br />
Volga<br />
TERRA DI<br />
NOVGOROD<br />
Ob<br />
Bolgar<br />
KHANATO<br />
DELL’ORDA D'ORO<br />
Jenissej<br />
IMPERO<br />
Lena<br />
Lago<br />
Bajkal<br />
Spedizioni militari<br />
Territori sotto il<br />
controllo dei tartari<br />
Trebisonda<br />
Lago<br />
Lago<br />
Karakorum<br />
Aral Balkhash<br />
DEL<br />
Tabriz<br />
KHANATO<br />
Khan Balig<br />
Damasco<br />
DI CIAGHATAI<br />
(Pechino)<br />
Baghdad<br />
KHANATO<br />
DEGLI<br />
ILKHAN<br />
DI PERSIA<br />
Samarcanda<br />
Kabul<br />
Lahor<br />
GRAN KHAN<br />
TIBET<br />
Delhi<br />
Eufrate<br />
Tigri<br />
Mar Caspio<br />
Amu-Daria<br />
Gange<br />
Mekong<br />
Huang-Ho<br />
COREA<br />
GIAPPONE<br />
OCEANO<br />
PACIFICO<br />
OCEANO<br />
INDIANO<br />
IMPERO<br />
KHMER<br />
UNITÀ II<br />
6<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
I cristiani ancora residenti in Terra Santa guardarono con molto interesse all’invasione delle<br />
terre islamiche da parte dei mongoli. In molti progettarono un’alleanza con i nuovi dominatori,<br />
per infliggere all’islam – nemico comune – il colpo di grazia; altri si spinsero<br />
fino a sognare una conversione del khan al cristianesimo e una diffusione universale della<br />
fede di Cristo, fino agli estremi confini della terra.<br />
Gran parte di queste speranze svanirono in fretta. Nel 1260, l’esercito dei mamelucchi (guerrieri<br />
d’origine turca, al servizio dei sovrani d’Egitto) sconfisse i mongoli della battaglia di<br />
‘Ayn Jalut (la sorgente di Golia), bloccando la loro espansione. Infine, poco più tardi, sia<br />
i tatari dell’Orda d’Oro (dominatori della Russia) sia i conquistatori della Persia, invece<br />
di adottare il cristianesimo, aderirono all’islam.<br />
A più riprese, verso la fine del XIII secolo i khan di Persia tentarono di invadere e conquistare<br />
la Siria. L’aggressività e la spietatezza dei mongoli, dunque, non erano affatto diminuite,<br />
dopo la loro conversione all’islam. Eppure, all’interno del mondo musulmano, alcuni intellettuali<br />
e alcuni uomini di potere ipotizzarono di scendere a patti con loro.<br />
L’ESPANSIONE DELL’IMPERO MONGOLO<br />
Date Eventi Area geografica sottomessa<br />
1206 Temujin diventa Gengis Khan Mongolia<br />
1216 Conquista di Pechino Cina settentrionale<br />
1236-1240 Conquista di Kiev Russia occidentale (Ucraina)<br />
1258 Conquista di Baghdad Mesopotamia musulmana<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Ibn Taymiyya: la polemica contro i falsi<br />
musulmani<br />
Contro queste ipotesi di compromesso, alzò la propria autorevole voce Taqi al-Din Ahmad<br />
Ibn Taymiyya (1263-1328), che non si stancò di predicare, contro i mongoli, la jihad<br />
(guerra santa). Si <strong>tra</strong>tta di una posizione politica per molti versi nuova, all’interno del panorama<br />
culturale musulmano; la jihad, infatti, non poteva essere diretta contro un sovrano<br />
o una popolazione che credesse alla rivelazione coranica; <strong>tra</strong>dizionalmente, la guerra santa<br />
era lanciata contro avversari infedeli (pagani, idolatri o cristiani), per estendere l’islam.<br />
Ibn Taymiyya, dal canto suo, proclamava invece che i mongoli erano musulmani solo in<br />
apparenza, la loro conversione non aveva nulla di intimo, non era vera adesione allo spirito<br />
della religione predicata dal Profeta. Pertanto, contro di essi la jihad era non solo legittima,<br />
ma anzi doverosa, per difendere dalla distruzione sia il vero islam, sia gli Stati e<br />
i paesi autenticamente musulmani.<br />
Per moltissimo tempo, in Europa, la figura storica di Ibn Taymiyya è stata completamente<br />
ignorata; tuttavia, nel corso del Novecento, molto spesso il suo pensiero è stato invocato<br />
dagli integralisti islamici più radicali e in<strong>tra</strong>nsigenti, soprattutto in Egitto, per giustificare<br />
la loro lotta contro governanti che, in privato, erano musulmani, ma che ai loro occhi<br />
si erano allontanati dal vero islam, perché guardavano con interesse anche alla cultura<br />
occidentale e avevano introdotto nei loro paesi numerose riforme ispirate alla più avanzata<br />
legislazione europea.<br />
In linea di massima, la <strong>tra</strong>dizione islamica aveva sostenuto che i fedeli non dovevano ribellarsi<br />
al loro sovrano, se questi era un credente<br />
e permetteva ai suoi sudditi di praticare<br />
il culto musulmano. Stanti queste due<br />
condizioni, persino in caso di tirannia – si<br />
diceva – il malgoverno e l’ingiustizia erano<br />
comunque preferibili alla fitna, cioè al<br />
caos, all’anarchia e alla guerra civile, che<br />
avrebbero fatto seguito a un tentativo insurrezionale.<br />
Gli integralisti islamici di oggi guardano con<br />
estremo interesse a Ibn Taymiyya proprio<br />
perché questo insigne giurista e teologo<br />
– nemico giurato dei mongoli, accusati di<br />
essere dei musulmani fasulli – esigeva che<br />
i sovrani mos<strong>tra</strong>ssero con atti concreti la loro<br />
adesione alla fede del Profeta; anzi, a giudizio<br />
di Ibn Taymiyya, si doveva obbedienza<br />
ai governanti solo nella misura in cui essi<br />
applicavano davvero all’interno dei loro Stati<br />
le norme indicate dal Corano; in caso con<strong>tra</strong>rio,<br />
la ribellione era perfettamente legittima,<br />
né più né meno della guerra contro<br />
i mongoli o contro gli infedeli.<br />
Non ci meraviglia allora che i sovrani d’Egitto<br />
non gradirono affatto il sostegno<br />
ideologico che Ibn Taymiyya offrì alla loro<br />
lotta militare contro i khan della Persia; al<br />
con<strong>tra</strong>rio, Ibn Taymiyya passò gran parte<br />
della sua vita (e morì) in prigione, proprio<br />
a causa di questa sua costante pretesa di dare<br />
consigli religiosi e ordini a chi esercitava il<br />
potere politico.<br />
Riferimento<br />
storiografico 2<br />
pag. 14<br />
Un sovrano mongolo<br />
con figli e dignitari,<br />
miniatura del xIv secolo<br />
(Parigi, Biblioteca<br />
Nazionale).<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
7<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
8<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
Ibn Taymiyya contro i mongoli<br />
DOCUMENTI<br />
Taqi al-Din Ahmad Ibn Taymiyya nacque in Mesopotamia, nel 1263. Nel 1269, i mongoli assalirono Harran,<br />
la sua città natale, deportando e uccidendo migliaia di persone. Il giovane Ibn Taymiyya riuscì a fuggire<br />
col padre, e a rifugiarsi a Damasco. Quella fuga fu per lui un’esperienza <strong>tra</strong>umatica: per il resto della sua<br />
vita, egli avrebbe continuamente esortato i sovrani d’Egitto a combattere senza tregua i mongoli, anche dopo<br />
che questi, in Persia, si convertirono all’islam. Il testo che riportiamo è <strong>tra</strong>tto da una lettera che Ibn Taymiyya<br />
scrisse nel 1304 a un sovrano cristiano (forse il Gran maestro dei cavalieri di San Giovanni, noti anche come<br />
ospitalieri), per dimos<strong>tra</strong>re la superiorità dell’islam rispetto all’ebraismo e al cristianesimo.<br />
Quando Ghazan, il capo dei Mongoli [Ghazan Mahmud, khan del regno mongolo di Persia,<br />
n.d.r.], e quelli che lo seguivano avanzavano su Damasco, ed egli aveva aderito all’Islam,<br />
ma né Dio né il Suo messaggero né i credenti erano soddisfatti di ciò che quelli facevano, dato<br />
che non seguivano la religione di Dio, io ebbi un incontro con lui e con i suoi emiri, e rivolsi loro<br />
discorsi perentori, che sarebbe lungo riferire, ma dei quali il sovrano [il destinatario cristiano<br />
della lettera, n.d.r.] sarà necessariamente venuto a conoscenza. […] Quando i Tatari si sono<br />
sottomessi alla nos<strong>tra</strong> religione e si sono uniti alla nos<strong>tra</strong> nazione, noi non li abbiamo ingannati<br />
e non siamo stati ipocriti con loro; al con<strong>tra</strong>rio, abbiamo loro spiegato quali fossero gli errori<br />
che li mettevano fuori dall’Islam e rendevano obbligatorio lottare contro di loro.<br />
I soldati di Dio, che hanno il Suo appoggio, e le Sue armate vittoriose stabilitesi in Siria<br />
e in Egitto non hanno cessato di essere vittoriosi contro coloro che si oppongono a essi e<br />
di trionfare su coloro che sono loro ostili. In questo periodo, quando si diffuse fra la gente<br />
la notizia che i Tatari erano musulmani, la maggioranza dell’esercito rifiutò di combatterli e<br />
solo un piccolo gruppo li combatté: nello scontro furono uccisi dagli undicimila ai diciannovemila<br />
Mongoli e nemmeno duecento musulmani.<br />
Quando l’esercito si ritirò in Egitto e seppe in quale corruzione e negazione della religione<br />
viveva quella maledetta banda, i soldati di Dio scesero in guerra: la terra risuonò dei loro passi;<br />
essi riempirono le pianure e i monti; per moltitudine, potenza, preparazione, fede e sincerità<br />
abbagliarono le intelligenze e gli spiriti, giacché erano circondati dagli angeli di Dio, at<strong>tra</strong>verso<br />
i quali Egli non cessa di soccorrere la nazione seguace del culto puro, consacrata al suo Creatore.<br />
Il nemico dunque fuggì davanti a loro e non si fermò per affrontarli. In seguito, il nemico<br />
si presentò una seconda volta, ma gli fu inviato un tormento che fece perire uomini e cavalli,<br />
ed esso si ritirò affaticato, stancato: «Dio fu veridico nella Sua promessa e aiutò a vincere il<br />
Suo servo». E ora ecco che conosce una profonda sventura e un grave rovescio: l’infelicità<br />
l’avvolge, mentre l’Islam vede aumentare la sua forza e crescere il suo successo.<br />
TAQI AL-DIN AHMAD IBN TAYMIYYA, Lettera a un sovrano crociato. Sui fondamenti della “vera religione”,<br />
Biblioteca di via Senato Edizioni, Milano 2004, pp. 46-48, <strong>tra</strong>d. it. M. DI BRANCO<br />
Quale comunità è<br />
definita mediante<br />
l’espressione «la<br />
nazione seguace<br />
del culto puro,<br />
consacrata al suo<br />
Creatore»?<br />
Individua nel testo<br />
le espressioni usate<br />
dall’autore per<br />
ribadire che i veri<br />
musulmani godono<br />
del sostegno<br />
divino.<br />
Un accampamento<br />
di mongoli,<br />
miniatura persiana<br />
del xIII secolo<br />
(Parigi, Biblioteca<br />
Nazionale).<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
La dinastia Yuan in Cina<br />
In un primo tempo, sia l’Orda d’Oro sia il khanato di Persia furono governati da sovrani<br />
che si riconoscevano come subordinati del gran khan, che risiedeva in Cina. Tuttavia,<br />
nel 1260, quando a Pechino si proclamò signore supremo Qubilai (fratello di Hulagu),<br />
i dominatori della Persia e della Russia non lo riconobbero. In pratica, a partire dal 1260,<br />
l’impero mongolo non era più unitario, ma si era frammentato in diversi Stati, dei quali<br />
il più vasto e prestigioso era, ovviamente, l’impero cinese.<br />
Nel corso degli anni Settanta, Qubilai sconfisse il regno dei Song, che detenevano il potere<br />
nella Cina meridionale. Nel 1280, il gran khan mongolo assunse il titolo di signore<br />
di tutta la Cina e dichiarò che, con lui, iniziava una nuova dinastia imperiale, denominata<br />
Yuan. La capitale venne definitivamente fissata nel Nord del paese, nella zona di Pechino,<br />
e ricevette il nome mongolo di Khanbalik (o Cambaluc, nei testi medievali europei).<br />
Sul piano militare, vari tentativi di espandere ulteriormente l’impero fallirono. Verso Sud,<br />
in Vietnam e in Indocina, i mongoli incon<strong>tra</strong>rono un clima tropicale, cui non erano abituati,<br />
mentre la presenza della giungla impediva alla cavalleria di schierarsi e di manovrare.<br />
Nel 1274 e nel 1281, i mongoli provarono a invadere il<br />
Giappone; furono costruite flotte imponenti (di 900 navi,<br />
nel 1274; di 4400 navi, nel 1281) e mobilitati eserciti enormi:<br />
40 000 uomini, nel primo caso, 140 000, sette anni<br />
più tardi. En<strong>tra</strong>mbe le spedizioni, tuttavia, furono vanificate<br />
da impetuosi cicloni, che dispersero le forze degli<br />
invasori. I giapponesi <strong>tra</strong>sformarono quegli eventi in una<br />
vera epopea nazionale e proclamarono che, in quella occasione,<br />
i nemici erano stati sconfitti da un Vento degli dei<br />
(Kamikaze, in lingua giapponese); com’è noto, durante la<br />
seconda guerra mondiale, il termine Kamikaze sarebbe stato<br />
ripreso e rilanciato, per designare i piloti suicidi che si<br />
scagliavano contro le navi statunitensi, quando la sconfitta<br />
del Giappone era ormai inevitabile.<br />
Dopo questi scacchi, i nuovi signori della Cina decisero<br />
di abbandonare le loro bellicose <strong>tra</strong>dizioni di guerrieri conquistatori<br />
e di amminis<strong>tra</strong>re saggiamente i loro possedimenti.<br />
Iniziò allora, verso la fine del XIII secolo, una fitta<br />
rete di relazioni e di <strong>tra</strong>ffici con l’Europa. Protette dalla<br />
cosiddetta pax mongolica, le carovane potevano <strong>tra</strong>nquillamente<br />
percorrere le piste dell’Asia e <strong>tra</strong>sportare verso<br />
Occidente grandi quantità di sete, di pietre preziose e<br />
di altre pregiate merci orientali.<br />
Passato il primo momento di terrore, i mercanti italiani si resero conto ben presto che si<br />
era aperta una nuova ed eccezionale via commerciale: at<strong>tra</strong>versando tutta l’Asia continentale,<br />
da Khanbalik era possibile arrivare fino al Mar Nero in nove mesi. I primi a cogliere<br />
la nuova opportunità furono i genovesi, che fondarono in Crimea la base di Caffa.<br />
I mercanti veneziani, però, recuperarono in fretta, tant’è vero che monete della Serenissima<br />
sono state trovate persino a Canton, nella Cina meridionale.<br />
Per più di mezzo secolo, <strong>tra</strong> il 1260 e il 1320, le carovane percorsero senza sosta le piste<br />
della steppa dell’Asia cen<strong>tra</strong>le, in direzione delle basi commerciali sulle coste del Mar Nero.<br />
Intorno al 1340, Francesco Balducci Pegolotti, un agente commerciale dei Bardi – la più<br />
potente compagnia finanziaria del tempo – arrivò a scrivere che l’itinerario dal Mar Nero<br />
alla Cina era uno dei più vantaggiosi. Soprattutto, scriveva Pegolotti, quella via era «sicurissima,<br />
sia di giorno che di notte».<br />
Insieme alle merci, tuttavia, si spostarono anche i batteri della peste, capaci di <strong>tra</strong>smettersi<br />
sia per mezzo delle pulci dei ratti che direttamente, da uomo a uomo. Così, nel 1346,<br />
la peste si propagò all’interno della base commerciale genovese di Caffa, in Crimea, e da<br />
lì si sarebbe poi diffusa nel resto d’Europa.<br />
Una carovana di<br />
mercanti in viaggio<br />
verso l’Oriente,<br />
particolare dell’Atlante<br />
catalano del 1375<br />
(Parigi, Biblioteca<br />
Nazionale).<br />
Riferimento<br />
storiografico 3<br />
pag. 15<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
9<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
10<br />
Venezia<br />
MarcoPoloe Il Milione<br />
Tra i veneziani che presero la via dell’Oriente mongolo, la figura più celebre è sicuramente<br />
quella di Marco Polo, che giunse in Cina con il padre e uno zio nel 1275, e poi rimase<br />
alla corte dell’imperatore Qubilai Khan fino al 1292.<br />
Dopo il suo ritorno a Venezia, Marco venne catturato dai genovesi e, in prigione, dettò<br />
le sue memorie a Rustichello da Pisa, che le stese in lingua d’oil, cioè in antico francese.<br />
Nacque così, intorno al 1298, Il libro delle meraviglie del mondo, che narra il viaggio dei<br />
Polo fino alla capitale del khan, in Cina (denominata Catai), e offre un quadro ampio e<br />
dettagliato dell’impero di Qubilai. Alcuni storici moderni hanno osservato che Marco,<br />
in realtà, descrive più il mondo e le usanze dei mongoli, che gli usi e i costumi dei cinesi<br />
(di cui Polo, in effetti, non imparò mai la lingua). Della Cina, comunque, Marco comprese<br />
la vitalità commerciale e le s<strong>tra</strong>ordinarie opportunità che il regolare contatto con<br />
quel mondo avrebbe offerto a chi ne avesse saputo approfittare.<br />
Tradotto in volgare toscano, il libro di Marco e Rustichello si affermò e si diffuse con il titolo<br />
di Il Milione. Forse, in origine, questa espressione derivava dal fatto che i Polo, da tempo,<br />
erano noti a Venezia con il nomignolo di Emilione; tuttavia, è possibile che il nuovo titolo<br />
si sia imposto anche perché Marco, nella sua opera, descriveva un mondo vastissimo, in<br />
cui tutto (gli abitanti delle città e delle campagne cinesi, i soldati del khan, le miglia di cammino<br />
percorso…) si contava appunto in milioni. E pertanto non sappiamo fino a che punto<br />
i contemporanei di Marco (morto nel 1324) abbiano preso davvero sul serio il suo racconto;<br />
probabilmente, a eccezione di un pugno di mercanti che, come lui, conoscevano direttamente<br />
l’Oriente, le sue storie sembravano favole affascinanti quanto incredibili.<br />
Lo stesso Marco Polo, a volte, non esita a riprendere le <strong>leggende</strong> che da molto tempo<br />
circolavano in Europa sull’India e sull’Asia; pertanto, anche Marco parlò del prete Gian-<br />
IL VIAGGIO<br />
DI MARCO POLO<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
M ar Me diterraneo<br />
Nilo<br />
Mar Rosso<br />
M ar<br />
Costantinopoli<br />
Gerusalemme<br />
N ero<br />
ARMENIA<br />
Baghdad<br />
Eufrate<br />
ARABIA<br />
Tigri<br />
Erzincan<br />
GEORGIA<br />
Mar Caspio<br />
Volga<br />
Hormuz<br />
Lago<br />
d’Aral<br />
AFGHANISTAN<br />
Indo<br />
Kabul<br />
INDIA<br />
Mumbay<br />
Lagoˇ<br />
Balhas<br />
Gange<br />
Pagan<br />
Lago<br />
Bajkal<br />
MONGOLIA<br />
Karakorum<br />
Hoang-ho<br />
Xl’an<br />
Pechino<br />
CINA<br />
(Catai)<br />
Yang tze-kiang<br />
Quanzhou<br />
MANGI<br />
Canton<br />
GIAPPONE<br />
COREA<br />
Huanzhou<br />
Formosa<br />
OCEANO<br />
PACIFICO<br />
INDOCINA<br />
Filippine<br />
Percorso di Marco Polo<br />
Andamane<br />
Impero mongolo<br />
Stati vassalli<br />
OCEANO<br />
INDIANO<br />
Suma<strong>tra</strong><br />
Borneo<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
ni. Tuttavia, poiché aveva sperimentato a Khanbalik, che la vera superpotenza dell’Oriente<br />
era il gran khan, e non il misterioso re cristiano, il giovane veneziano precisò<br />
che il prete Gianni era stato sconfitto anch’egli dai mongoli, e quindi il suo regno era<br />
diventato un loro possedimento.<br />
Malgrado questo sano realismo di Marco Polo, il mito del prete Gianni non si esaurì.<br />
La sede del suo regno, nel XV secolo, venne sempre più frequentemente spostata in<br />
Africa e di fatto confusa con l’Etiopia. In effetti, fino al XIX secolo, fu il continente<br />
nero la vera distesa bianca sulle carte geografiche europee: per molti altri secoli, fu ancora<br />
possibile collocare in quelle remote con<strong>tra</strong>de un mondo alieno, selvaggio o meraviglioso,<br />
orrendo o paradisiaco, a seconda degli intenti di chi lo immaginava e lo<br />
descriveva.<br />
La ricchezza del gran khan<br />
DOCUMENTI<br />
Marco Polo dedica la prima parte del suo racconto al suo avventuroso viaggio, durato circa tre anni e<br />
mezzo. In seguito, descrive la <strong>storia</strong> dei mongoli dal tempo di Gengis Khan, il gran khan Qubilai e le sue favolose<br />
ricchezze. Essendo un mercante, Marco rimase particolarmente colpito dal fatto che, all’intero dell’impero<br />
mongolo, si usava la cartamoneta, al posto dell’oro, per i <strong>tra</strong>ffici e gli scambi commerciali.<br />
Questo libro vi narrerà ora i fatti s<strong>tra</strong>ordinari e le cose meravigliose del Gran Kan oggi regnante<br />
col nome di Kublai Kan [Qubilai n.d.r.] che nella lingua nos<strong>tra</strong> vuol dire «Kublai il Gran<br />
Signore dei Signori». E certo ha diritto di essere chiamato così perché è verità universale che<br />
da Adamo nostro progenitore fino ad ora non è mai esistito un principe che per la quantità<br />
dei sudditi, per l’immenso territorio e l’immenso tesoro abbia avuto od abbia potenza simile<br />
alla sua. E quanto ciò sia vero vi mostrerò chiaramente in questo libro perché a nessuno resti<br />
il minimo dubbio che egli sia il maggiore signore che sia stato al mondo e oggi porti la<br />
corona. Vi dimostrerò perché.<br />
Kublai, dovete saperlo, discende in linea diretta dall’imperatore<br />
Cinghiscan [Gengis Khan, n.d.r.]; perché ogni Signore di tutti i Tartari<br />
deve discendere da lui per linea diretta. È il quinto Gran Kan e prese<br />
il potere circa nell’anno 1256. Deve il trono al suo grande animo, al<br />
suo valore e al suo senno superiore. A lui fratelli e parenti hanno cercato<br />
di contendere il regno, ma di tutti egli ha trionfato e per legge gli<br />
spettava di diritto la signoria. […]<br />
Egli fa fabbricare la seguente moneta: fa prendere scorza d’albero<br />
o per meglio dire corteccia di gelso, l’albero di cui mangiano<br />
le foglie i bachi da seta; e fa togliere la pellicola sottile che è <strong>tra</strong> la<br />
corteccia e il fusto; queste pellicole sono tutte nere: le frantumano,<br />
le pestano e poi le impastano con la colla in modo che ne risulti una<br />
specie di carta bambagina, sottile come quella dei papiri. Quando<br />
la carta è pronta la fa tagliare in parti grandi o piccole, foglietti in forma quadrata o più lunghi<br />
che larghi. […] Ogni foglietto porta il sigillo del Gran Signore. E questa moneta è fatta<br />
con tanta autorità e solennità come se fosse d’oro o d’argento: […] e se qualcuno osasse<br />
falsificarla sarebbe punito con la morte; e questi foglietti il Gran Kan li fa fabbricare in tale<br />
numero che potrebbe pagare con essi tutta la moneta del mondo.<br />
Fabbricata così la moneta, il Signore fa fare con essa ogni pagamento e la fa spendere<br />
per tutte le province dove egli tiene signoria: e nessuno osa rifiutare per paura di perdere la<br />
vita. Ma è vero che tutte le genti e le razze di uomini, sudditi del Gran Kan, prendono volentieri<br />
queste carte in pagamento perché alla loro volta le danno in pagamento di mercanzia,<br />
come perle, pietre preziose, oro e argento. Si può così comprare tutto ciò che si vuole<br />
e pagare con la moneta di carta; e pensate che una carta del valore di dieci bisanti non arriva<br />
a pesare quanto un bisante [la prestigiosa moneta d’oro bizantina, n.d.r.]. […]<br />
Vale la pena di raccontarvi un’al<strong>tra</strong> cosa. Quando per l’eccessivo passaggio di mano in<br />
mano i foglietti si rompono o si sciupano, si portano alla zecca e si prendono in cambio biglietti<br />
nuovi e freschi lasciandone però tre per ogni cento. E c’è anche un altro fatto importante<br />
da ricordare. Perché, se qualcuno vuole acquistare oro o argento per il suo vasellame,<br />
per le sue cinture o per altre cose, va alla zecca, porta con sé i foglietti e prende in cambio<br />
l’oro e l’argento che gli serve.<br />
M. POLO, Il Milione scritto in italiano da Maria Bellonci, Mondadori, Milano 1983, pp. 98, 131-132<br />
Marco Polo, con<br />
il padre e lo zio,<br />
parte da venezia<br />
per l’Oriente,<br />
miniatura del<br />
xv secolo.<br />
Che effetto faceva,<br />
secondo te, nel<br />
Duecento, il<br />
racconto di Marco<br />
Polo?<br />
Fino a pochi anni fa,<br />
sulla nos<strong>tra</strong><br />
cartamoneta era<br />
stampata la<br />
seguente scritta:<br />
«Pagabili a vista al<br />
portatore». Spiega<br />
il significato di tale<br />
espressione, alla<br />
luce del racconto<br />
di Marco Polo.<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
11<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
12<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
Duccio da Buoninsegna,<br />
La tentazione di Cristo<br />
sul monte, 1308-1311<br />
(Siena, Museo<br />
dell’Opera del Duomo).<br />
Il diavolo, come si può<br />
vedere, è raffigurato con<br />
le ali da pipistrello.<br />
Riferimenti storiografici<br />
1<br />
I “tartari” e le ali del diavolo<br />
Gli storici dell’arte hanno notato che, a partire dalla fine del Duecento, l’immagine del diavolo cambia:<br />
al posto delle ali da angelo, suben<strong>tra</strong>no ali da pipistrello, molto simili a quelle tipiche dei demoni<br />
cinesi. Forse, l’attenzione ai mostri orientali è da mettere in collegamento con il fatto che, in un primo<br />
tempo, i mongoli che invasero l’Europa apparvero proprio come diavoli vomitati dal tartaro, cioè dalle<br />
profondità dell’inferno.<br />
Per molto e molto tempo, l’immagine del diavolo è stata segnata da una con<strong>tra</strong>ddizione:<br />
maschera animalesca sogghignante, tronco disseccato di abitante del regno della Morte,<br />
zampe villose armate d’artigli, e ali d’uccello, simili cioè a quelle degli angeli. L’arte romanica<br />
ha più volte raffigurato questi demoni. Sui capitelli di Saulieu, di Vézelay, a Moissac, a<br />
Souillac [edifici romanici in Francia, n.d.r.], le loro spalle cadaveriche portano ali d’angelo.<br />
Spesso s’è tentato di rendere al genio del Male tutto il suo orrore sopprimendo quest’ultimo<br />
segno di Dio, ma egli perdeva la dignità di principe dell’aria che, secondo san Paolo, gli spettava.<br />
Sui timpani di Autun e di Conques, in numerose figurazioni romaniche scolpite e dipinte,<br />
i diavoli sono creature striscianti, inette al volo, e non fanno più parte dell’ordine degli<br />
spiriti. Solo quando riceve ali di pipistrello la loro immagine si conforma alle convenzioni<br />
dell’apparenza fisica e, al tempo stesso, alle esigenze della religione: ali d’uccello notturno<br />
con la membrana tesa sull’ossatura, che non evocano il Paradiso, ma diffondono l’ombra<br />
di sinistre regioni.<br />
Alcune miniature del periodo 1210-1225 ne mos<strong>tra</strong>no i primi abbozzi, ma le membrane<br />
sono ancora mal formate e sui medesimi corpi si notano ancora, quasi fossero state di-<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
menticate, ali di uccello. A quanto pare, sono esempi isolati. Né le prime Apocalissi anglo-normanne<br />
né gli Inferni inglesi del primo quarto del Duecento utilizzano ancora questa<br />
tipologia, che si cristallizza soltanto nella seconda metà del secolo. In questa epoca<br />
la si trova dappertutto, in Inghilterra, in Francia, in Spagna. L’intero Occidente gotico adotta<br />
la moda delle ali notturne; ormai i diavoli sono concepiti come esseri che abitano dirupi<br />
scoscesi e si librano nelle caverne. La stessa <strong>tra</strong>sformazione ha luogo in Italia. In Giotto,<br />
nella chiesa superiore di Assisi, i demoni scacciati dalla città di Arezzo per opera di san<br />
Francesco, salgono, come tenebre, al di sopra della città. Il Cristo di Duccio (predella della<br />
Maestà), è tentato da un diavolo con le ali di pipistrello. Nel Camposanto di Pisa la nuvola<br />
oscura dei demoni esplode nel battito di queste vele maledette. […] Alla fine del Medioevo<br />
il mondo è invaso da questi diavoli. […] Da dove vengono questi nuovi attributi del diavolo?<br />
[…]<br />
La diffusione delle forme cinesi si intensifica dalla metà del Duecento sia in Asia sia in<br />
Europa. Verso il 1256, Hülëgü conduce in Persia molti artisti e ingegneri. D’al<strong>tra</strong> parte è ormai<br />
noto quanto la miniatura persiana debba all’influsso della dominazione dei khan. […] In<br />
Europa, lo stesso elemento generatore mongolo <strong>tra</strong>smette, in primo luogo, le ali di pipistrello<br />
e tutta una stirpe di diavoli. L’impronta lasciata da queste forme nei diversi centri artistici non<br />
è sempre la stessa; anzi, il loro contributo varia secondo il luogo e il momento, il carattere<br />
particolare della loro azione è stato determinato da un singolare concorso di circostanze.<br />
Un mito nuovo nacque in Occidente verso la metà del Duecento, frutto di una consonanza<br />
di nomi e del terrore che l’universo provò di fronte all’invasione dei Mongoli: gli invasori<br />
furono scambiati per demoni o in ogni caso per loro accoliti [servitori, agenti al servizio<br />
di qualcuno, n.d.r.], annuncianti la fine del mondo. Riaffiorarono così gli incubi millenaristi.<br />
La leggenda fu diffusa dalle comunità cristiane orientali che, per prime, subirono il flagello<br />
giallo. Tutta la Cronaca di Kiracos, storico armeno del Duecento, lo stesso che affermava<br />
che i Mongoli rispettavano la Croce, è percorsa da quest’idea: l’ora dell’Anticristo si avvicina;<br />
una nazione si leva già contro un’al<strong>tra</strong> nazione, un regno contro un altro regno (Matteo,<br />
XXIV, 7). La predizione divina, secondo la quale «all’epoca della consumazione [la fine<br />
del mondo, n.d.r.], sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che compiranno segni e prodigi diabolici»,<br />
si verificava alla lettera. Ecco un impostore chiamato David, agitato dallo spirito del<br />
demonio e da altri sinistri fenomeni: la grandine è caduta nel paese di Khatchen e sul suolo,<br />
in mezzo ai chicchi, vi erano molti pesci. Sulla riva del mare di Gegham s’è trovato un gigante<br />
morto, interrato per metà, con un buco all’altezza del cuore, e di là usciva ancora sangue.<br />
Del resto, Nerses, uomo di Dio (morto nel 383) non ha forse detto che l’Armenia sarebbe<br />
stata distrutta da un popolo di arcieri? «Ora è questa la causa della venuta dei<br />
Thathari». La descrizione del cataclisma rievoca, a ogni istante, l’Apocalisse: «I Thathari dilagavano<br />
sulla faccia delle pianure, delle montagne e delle valli come legioni di cavallette,<br />
come gocce di una pioggia torrenziale che inonda la terra… Nessun luogo offriva rifugio…<br />
Si vedeva la spada mietere senza pietà gli uomini e le donne, gli adolescenti e i bambini…<br />
L’universo avvolto in una calotta di tenebra e la coppa della collera divina si spandeva sul<br />
mondo…».<br />
L’Europa è ancora lontana, certo, ma ha raccolto l’eco di questi racconti; d’altro canto,<br />
una confusione di parole ha ridato nuova forza alla leggenda: il nome Tatar è divenuto Tartar,<br />
il Tartatos. All’inizio fu una battuta di spirito. Il gioco di parole, attribuito a san Luigi da<br />
Matthieu Paris, cronachista e capo dello scriptorium [il luogo in cui, all’interno di un monastero,<br />
erano ricopiati i testi manoscritti; il termine può indicare sia il locale, sia i monaci amanuensi,<br />
n.d.r.] di Saint-Albans, non ha ancora altro significato: «E se essi verranno da noi,<br />
noi invieremo questi Tartari nel Tartaro stesso, da cui sono usciti». Ma, nell’appello lanciato<br />
da Federico II il 3 luglio luglio 1241, le parole sono gravi e solenni: «Speriamo che i Tartari,<br />
venuti dal Tartaro, siano rigettati nel Tartaro (cioè nell’Inferno). Essi sono stati spinti da Satana<br />
stesso. E quando tutti i popoli dell’Occidente vorranno inviare di buon accordo i loro<br />
soldati, questi non dovranno combattere contro uomini, ma contro demoni». […]<br />
Il mito sopravvive alla propria epoca, e continua a diffondersi dopo la fine degli sconvolgimenti<br />
ai quali si ricollega. L’avvenimento è aggiornato, ma i suoi elementi sussistono:<br />
essi restano chiusi nella sonorità dei nomi che continuano a ossessionare il Medioevo. Le<br />
parole tartare, mongol evocano il Tartaro e le ultime convulsioni del mondo. Si spiega così<br />
il carattere del prestito che l’Occidente ha mutuato dall’arte dell’Asia Orientale: scoprendone<br />
i vasti repertori, l’Occidente ha innanzitutto cercato di conoscere le potenze di cui i suoi propagatori<br />
portavano il nome. L’immagine del diavolo viene quindi rettificata e arricchita con<br />
la mediazione del popolo di Satana.<br />
J. BALTRUSAITIS, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, Adelphi,<br />
Milano 1993, pp. 176-177, 206-210, <strong>tra</strong>d. it. F. ZULIANI, F.BOVOLI<br />
Per quale motivo<br />
le ali di pipistrello<br />
erano più adatte a<br />
esprimere la natura<br />
del diavolo, rispetto<br />
alle ali di uccello?<br />
Di quale evento<br />
sembrava che i<br />
mongoli fossero gli<br />
annunciatori? Quale<br />
terribile evento<br />
sarebbe iniziato<br />
– si credeva – dopo<br />
la loro invasione?<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
13<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO<br />
UNITÀ II<br />
14<br />
L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO<br />
Quando i mongoli<br />
tentarono di invadere<br />
la Siria, nel 1299, che<br />
novità fondamentale<br />
era suben<strong>tra</strong>ta,<br />
rispetto al 1260?<br />
Perché i mongoli,<br />
secondo Ibn Taymiyya,<br />
dovevano essere<br />
combattuti con<br />
un’intensità ancora<br />
maggiore, rispetto agli<br />
altri infedeli? Sotto<br />
quale profilo la<br />
posizione di Ibn<br />
Taymiyya è davvero<br />
senza precedenti?<br />
L’esercito mongolo alla<br />
conquista di Baghdad,<br />
miniatura del xv secolo.<br />
2<br />
Il giurista islamico Ibn Taymiyya<br />
La figura di Ibn Taymiyya è diventata famosa anche in Occidente a partire dal 1981, allorché un gruppo<br />
di terroristi islamici proclamò di seguire il suo pensiero, nel momento in cui uccise in un attentato<br />
il presidente dell’Egitto Anwar Sadat. Ibn Taymiyya, infatti, sosteneva che era un dovere dei credenti combattere<br />
contro tutti i nemici dell’islam: anche quelli che – in apparenza, come facevano i mongoli – si<br />
dichiaravano musulmani.<br />
Ibn Taymiyya (m. 1328), teologo e polemista musulmano decisamente anticonformista,<br />
occupa una posizione a parte nella giurisprudenza musulmana. Era un profugo proveniente<br />
dalle terre orientali del mondo musulmano, dalle quali era fuggito assieme alla famiglia per<br />
sot<strong>tra</strong>rsi ai mongoli invasori, stabilendosi in Egitto. Terra del regno mamelucco, l’Egitto era<br />
l’ultimo potente bastione dell’islam sannita. Secondo la visione di Ibn Taymiyya, disastri e<br />
sconfitte della comunità musulmana dovevano essere affrontati sia sul piano militare, dove i<br />
mamelucchi erano risultati vittoriosi, sia su quello della religione. I suoi scritti offrono, pertanto,<br />
una visione più cruda, e decisamente in bianco e nero, dell’islam e delle sue relazioni con il<br />
mondo non musulmano di quella fornita da altri scritti sul tema jihad, e riflettono l’impegno<br />
diretto e fortemente partecipato di Ibn Taymiyya nel jihad. Gli scritti degli stessi musulmani<br />
di Spagna, che pur stavano gradatamente perdendo la loro terra in seguito alla riscossa cristiana,<br />
non veicolano un senso altrettanto assoluto di urgenza. Le questioni che pone Ibn Taymiyya<br />
non sono di carattere accademico, ma si rapportano immediatamente alla realtà. […]<br />
Ibn Taymiyya si spinse molto più avanti dei commentatori precedenti nella considerazione<br />
delle ripercussioni sul piano giuridico dell’invasione della Siria, nel 1299, da parte di Ghazan<br />
Khan, il primo sovrano ilkhanide [mongolo-persiano, n.d.r.] a convertirsi all’islam, sicché la differenza<br />
<strong>tra</strong> armate mongole e mamelucche diventò assai meno netta rispetto a una quarantina<br />
d’anni prima sul campo di battaglia di ‘Ayn Jalut (1260). Ibn Taymiyya stabilì, tuttavia, una distinzione<br />
<strong>tra</strong> le due parti in campo precisando che la parte musulmana è quella che si attiene<br />
alle leggi dell’islam e combatte per la sua vittoria. Poiché i mongoli erano alla guida di una<br />
coalizione militare composta di armeni (cristiani), georgiani, mongoli rimasti pagani, sciiti, oltre<br />
che di sanniti, non si poteva dire che combattessero per l’islam.<br />
In ogni caso, Ibn Taymiyya si spinse ancora più in là affermando che i mongoli, oltre che<br />
infedeli e falsi musulmani, erano più pericolosi degli infedeli dichiarati, quali ad esempio i cristiani,<br />
sicché dovevano essere combattuti con veemenza<br />
addirittura maggiore. Una posizione davvero<br />
senza precedenti, poiché, <strong>tra</strong>dizionalmente, i musulmani<br />
non en<strong>tra</strong>vano nel merito dell’adesione all’islam<br />
degli altri musulmani. Bastava che una persona<br />
dichiarasse di essere musulmana perché fosse ritenuta<br />
tale; salvo, s’intende, il comportamento non la<br />
escludesse in maniera plateale e incontrovertibile<br />
dalla comunità. Come risulta dalla <strong>tra</strong>dizione […], al<br />
profeta Muhammad era stato comandato di combattere<br />
finché l’infedele non dichiarasse che esiste un<br />
unico Dio. La valutazione delle motivazioni e dell’effettività<br />
della sua conversione spettava a Dio. Ibn Taymiyya<br />
volle, invece, identificare l’effettiva adesione all’islam<br />
di una persona con la sua volontà di<br />
combattere per l’islam. Poiché i musulmani mongoli<br />
erano in primo luogo fedeli al grande regno mongolo,<br />
e non allo stato musulmano, secondo la formulazione<br />
di Ibn Taymiyya non erano da ritenersi musulmani.<br />
[…]<br />
L’influenza di Ibn Taymiyya è indubitabile, soprattutto<br />
allo stato attuale. Il suo prestigio morale, la<br />
sua volontà di passare al vaglio e giudicare l’establishment<br />
[il gruppo dirigente, n.d.r.] musulmano, le sue<br />
analisi uniche e di grande interesse, le sue denunce<br />
dirette e senza mezzi termini di infedeli e devianti<br />
dalla retta via dell’islam, hanno reso i suoi scritti popolarissimi<br />
presso i musulmani radicali odierni.<br />
D. COOK, Storia del jihad. Da Maometto ai nostri giorni,<br />
Einaudi, Torino 2007, pp. 91-94, <strong>tra</strong>d. it. P. ARLORIO<br />
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
3<br />
Missionari e mercanti europei nell’impero<br />
mongolo<br />
Marco Polo non fu l’unico europeo a recarsi presso i mongoli, ma fu uno di quelli che soggiornarono<br />
maggiormente in Cina. La sua attenzione si rivolse sia allo splendore dei palazzi del Gran Khan sia<br />
alla ricchezza del suo impero.<br />
Quando il grande Mangu Khan morì nel 1259, un unico impero<br />
si stendeva at<strong>tra</strong>verso l’Asia e l’Europa, dal Fiume Giallo<br />
al Danubio. Non c’era stato nel mondo nulla di simile prima, né<br />
ci fu mai nulla di simile dopo, fino all’impero russo dei tempi<br />
moderni. Verso il 1268 i Tartari avevano cominciato a dividersi<br />
nei quattro regni della Cina, dell’Asia cen<strong>tra</strong>le, della Russia e<br />
della Persia, ma erano ancora un popolo solo. L’atteggiamento<br />
dell’Occidente verso i Tartari, a quel tempo, è molto interessante.<br />
Sulle prime ne ebbe paura come di un nuovo flagello<br />
di Dio, come di Attila e degli Unni. I Tartari avevano<br />
invaso la Polonia e saccheggiato l’Ungheria, e sembravano sul<br />
punto di abbattersi sull’Occidente come un’immensa ondata<br />
che lo avrebbe completamente <strong>tra</strong>volto. Poi la marea si ritirò.<br />
L’Occidente si rimise a poco a poco dallo sbalordimento e dal<br />
terrore iniziali, e cominciò a guardare ai Tartari con un senso di<br />
speranza, come a possibili alleati contro il suo antico avversario:<br />
l’Islam. L’Occidente cristiano sapeva che i Tartari avevano<br />
molto indebolito il potere mussulmano in tutta l’Asia, e sapeva<br />
inoltre che essi non avevano una fede religiosa chiaramente<br />
definita, ed erano curiosi di tutte le religioni che scoprivano sul<br />
loro cammino. A poco a poco, l’Occidente si convinse che i<br />
Tartari avrebbero potuto convertirsi al cristianesimo, e combattere<br />
al suo fianco sotto il segno della Croce, contro l’odiata Mezzaluna. […]<br />
Tra i khan tartari e i sovrani occidentali incominciò uno scambio di ambascerie, e incominciarono<br />
a partire verso la Tartaria innumerevoli missioni di frati francescani, uomini con<br />
interessi etnologici [interessati alla conoscenza dei diversi popoli, n.d.r.] e geografici non<br />
meno forti di quelli religiosi, che hanno lasciato preziose relazioni sulle terre da loro visitate.<br />
Nell’anno di grazia 1268 si conosceva già molto sull’Asia cen<strong>tra</strong>le, poiché fin dal 1245 il papa<br />
aveva mandato laggiù il frate italiano Giovanni dal Piano dei Carpini; ed un altro frate, Guglielmo<br />
di Rubruck, fiammingo, era stato inviato da Luigi il Santo, re di Francia, nel 1251.<br />
Avevano en<strong>tra</strong>mbi raggiunto il Karakorum, avamposto tartaro ai confini della Cina settentrionale,<br />
ma in Cina non erano en<strong>tra</strong>ti. […]<br />
[Al con<strong>tra</strong>rio,] Marco Polo at<strong>tra</strong>versò le province di Shansi, Shensi e Szechuen, viaggiò<br />
lungo i confini del Tibet fino a Yunnan, e penetrò nella Birmania settentrionale: terre che rimasero<br />
ancora sconosciute all’Occidente fino al 1860. […] Egli descrive la grande capitale<br />
Cambaluc (Pechino) nel Nord, e la bella Kinsai (Hangchow) nel Sud. Descrive il Palazzo<br />
d’Estate del khan a Shandu, con i boschi e i giardini, l’edificio principale di marmo e il padiglione<br />
di bambù fissato al terreno, come una tenda, da duecento corde d’argento; la scuderia<br />
delle cavalle bianche, e i prodigi compiuti dai negromanti. […] Marco Polo, però, non<br />
descrive soltanto i palazzi: parla anche del grande canale e del commercio fluviale all’interno<br />
della Cina, delle importazioni e delle esportazioni che avvenivano nei suoi porti, della carta<br />
moneta, del sistema di stazioni di posta e di carovane che la tenevano unita. Lascia un’insuperabile<br />
descrizione di quell’impero, prospero e pacifico, in cui abbondavano la ricchezza,<br />
il commercio, gli uomini istruiti e le cose belle […].<br />
Queste nuove conoscenze che Marco Polo aveva portato in Europa e i rapporti fra Oriente<br />
e Occidente, che at<strong>tra</strong>verso la sua esperienza si erano dimos<strong>tra</strong>ti così auspicabili, continuarono<br />
a svilupparsi dopo di lui. Mercanti e missionari viaggiarono per terra e per mare verso<br />
oriente, diretti al Catai. […] Più importante di tutti, c’è Francesco Balducci Pegolotti, intrepido<br />
agente commerciale della grande Casa dei Bardi, di Firenze, che scrisse un prezioso manuale<br />
ad uso dei mercanti, verso il 1340. In esso dà particolareggiate istruzioni per guidare un mercante<br />
che vuol recarsi da Tana sul Mar Nero, at<strong>tra</strong>versando l’Asia per via di terra, fino al Catai,<br />
e tornare indietro con una carovana che porti un valore di 12 000 sterline di seta, e osserva<br />
incidentalmente, mentre scrive: «La s<strong>tra</strong>da che devi percorrere da Tana al Catai e<br />
sicurissima, sia di giorno che di notte, a quanto dicono i mercanti che l’hanno fatta».<br />
E. POWER, Vita nel Medioevo, Einaudi, Torino 1966, pp. 50-51, 59-61, 73, <strong>tra</strong>d. it. L. TERZI<br />
Il papà e lo zio di<br />
Marco Polo ricevono<br />
da un dignitario di<br />
corte il lasciapassare<br />
che consentirà loro<br />
di at<strong>tra</strong>versare l’Asia<br />
per ritornare in patria,<br />
mentre il gran khan<br />
osserva la scena.<br />
Con quali speranze<br />
i sovrani europei<br />
e il papa inviarono<br />
dei frati alla corte<br />
del gran khan?<br />
Come veniva<br />
considerato<br />
investire capitali<br />
nel commercio con<br />
l’Estremo Oriente<br />
dai mercanti del<br />
XIV secolo?<br />
IPERTESTO<br />
IPERTESTO B<br />
15<br />
L’Asia <strong>orientale</strong> <strong>tra</strong> <strong>leggende</strong> e <strong>storia</strong><br />
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