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Studia Moralia 46/2 Luglio -Dicembre 2008

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<strong>Studia</strong><br />

<strong>Moralia</strong><br />

Biannual Review<br />

published by the Alphonsian Academy<br />

Revista semestral<br />

publicada por la Academia Alfonsiana<br />

Rivista semestrale<br />

pubblicata dall’Accademia Alfonsiana<br />

<strong>46</strong>/2• <strong>2008</strong><br />

EDITIONES ACADEMIAE ALFONSIANAE


Pagina bianca


<strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> <strong>46</strong>/2<br />

<strong>Luglio</strong> -<strong>Dicembre</strong> <strong>2008</strong><br />

CONTENTS / ÍNDICE / INDICE<br />

Articles / Artículos / Articoli<br />

La legge naturale nella dottrina della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Zenon Grocholewski<br />

La luce della “Moral Insight” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Angelo Scola<br />

Contemplating the Life and Ministry of Christ<br />

Emerging Guidelines for Christian Living . . . . . . . . . . . . . .<br />

Dennis J. Billy<br />

Sequela et radicalisme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Réal Tremblay<br />

Dottrina cristiana alfonsiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Alfonso V. Amarante<br />

Padre Bernhard Häring. Un teologo “capace di futuro”? . . . . .<br />

Giuseppe Quaranta<br />

The Originality of Alasdair MacIntyre’s Reading<br />

of Aquinas on Justice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Martin McKeever<br />

“Doctrina – vida”: una postura dialéctica de frente a la Humanae<br />

vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

J. Silvio Botero Giraldo<br />

383<br />

413<br />

433<br />

455<br />

<strong>46</strong>9<br />

487<br />

501<br />

519<br />

Reviews / Recensiones / Recensioni<br />

FRATTICCI WALTER, Il bivio di Parmenide ovvero la gratuità della<br />

verità. Modalità di ricerca filosofica di inizio millennio (Raphael<br />

Gallagher) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

539


380 CONTENTS / ÍNDICE / INDICE<br />

JAN PAWEŁ II, Encyklopedia nauczania moralnego (JOHN PAUL II,<br />

Encyclopedia of Moral Teaching) (Jerzy Gocko) . . . . . . . . . . . . .<br />

MELINA LIVIO – NORIEGA JOSÉ – PÉREZ-SOBA JUAN JOSÉ, Camminare<br />

nella Luce dell’Amore. I fondamenti della morale cristiana<br />

(Gabriel Witaszek) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SCHALLENBERG PETER, Jenseits des Paradieses. Ethische Anstöße für<br />

den Alltag (Manuel Wluka) .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

VENDEMIATI ALDO, Universalismo e relativismo nell’etica contemporanea<br />

(Alberto Onofri) .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

WETTACH-ZEITZ TANIA, Ethnopolitische Konflikte und interreligiöser<br />

Dialog. Die Effektivität interreligiöser Konfliktmediationsprojekte<br />

analysiert am Beispiel der World Conference on Religion and<br />

Peace-Initiative in Bosnien-Herzegowina (Vincenzo Viva) . . . . .<br />

WOODS THOMAS E. JR., Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà<br />

occidentale (Domenico Santangelo) .. . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

543<br />

5<strong>46</strong><br />

551<br />

557<br />

562<br />

568<br />

Book Presentation / Presentación del libro<br />

Presentazione del libro<br />

TREMBLAY RÉAL – ZAMBONI STEFANO (a cura di), Figli nel Figlio.<br />

Una teologia morale fondamentale<br />

L’uso della Sacra Scrittura, Klemens Stock . . . . . . . . . . . . . .<br />

Aspetti etici, Angel Rodríguez Luño . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

L’impostazione filiale, Ignazio Sanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Epilogo. “Un Figlio ci è stato dato” (Is 9, 5), Réal Tremblay<br />

573<br />

579<br />

586<br />

601<br />

International Conference / Congreso Internacional<br />

Congresso Internazionale<br />

Memorial Event on the Tenth Anniversary of the Death of Fr.<br />

Bernhard Häring (Gars am Inn, July 5th <strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . .<br />

Martin McKeever<br />

“Carità e giustizia per il bene comune”, Cronaca del XXII congresso<br />

nazionale dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio<br />

della Morale (Pescara, 8-11 settembre <strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . .<br />

Giuseppe Quaranta – Giovanni Del Missier<br />

603<br />

605


CONTENTS / ÍNDICE / INDICE 381<br />

Chronicle / Crónica / Cronaca<br />

Cronaca dell’Accademia Alfonsiana relativa all’Anno Accademico<br />

2007-<strong>2008</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Danielle Gros<br />

Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti . . . . . . . . . . .<br />

Index of volume <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) / Índice del volumen <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) /<br />

Indice del volume <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

613<br />

641<br />

644


LA LEGGE NATURALE<br />

NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA<br />

Zenon Grocholewski*<br />

Introduzione<br />

Vorrei affrontare una questione di estrema importanza ed attualità<br />

per il mondo contemporaneo. Infatti, la legge naturale – insita nel cuore<br />

degli uomini – appartiene al grande patrimonio della sapienza umana,<br />

ma nello stesso tempo è oggetto dell’insegnamento della Chiesa, in<br />

quanto, pur essendo una verità di ordine naturale, è stata illuminata<br />

dalla luce della Rivelazione. Essa, di conseguenza, offre il fondamento<br />

naturale, che permette al credente la possibilità di dialogare anche con<br />

le persone di altro orientamento e di altra formazione 1 .<br />

Davanti alle sfide moderne, va innanzi tutto riscoperto il valore essenziale<br />

della legge naturale; e, in questa prospettiva, va ribadita la<br />

percezione di tale legge da parte dell’insegnamento della Chiesa.<br />

Il Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II – forse, nel secolo XX, il<br />

più grande difensore della legge naturale e dei conseguenti diritti<br />

umani – quando si è rivolto per l’ultima volta ai Membri della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, ha invitato così ad una nuova<br />

riaffermazione della lex naturalis: “Quello della legge morale naturale<br />

è un argomento importante ed urgente che vorrei sottoporre alla vostra<br />

attenzione. [...] Sulla base di tale legge si può costruire una piattaforma<br />

di valori condivisi, intorno ai quali sviluppare un dialogo costruttivo<br />

con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con<br />

la società secolare. [...] Vi invito pertanto a promuovere opportune<br />

* Prefect of Congregation for Catholic Education<br />

* Prefecto de la Congregación para la Educación Católica<br />

1 Cf. J.-P. SCHOUPPE, Convergences et différences entre le droit divin des canonistes<br />

et le droit naturel des juristes, in Ius Ecclesiae 19 (2000) 29-67.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 383-412


384 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

iniziative allo scopo di contribuire ad un rinnovamento costruttivo<br />

della dottrina sulla legge morale naturale, cercando anche convergenze<br />

con rappresentanti delle diverse confessioni, religioni e culture” 2 .<br />

Un forte incoraggiamento per intraprendere un tale cammino ci<br />

viene da parte di Benedetto XVI, il quale in un recente discorso ha<br />

ribadito che, nell’attuale momento storico, considerate le circostanze<br />

dello sviluppo delle scienze, “appare in tutta la sua urgenza la necessità<br />

di riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare la sua<br />

verità comune a tutti gli uomini” 3 .<br />

Nella mia presente relazione, intendo limitarmi semplicemente a<br />

riaffermare la dottrina della Chiesa concernente la legge naturale. Per<br />

affrontare tale tema, bisogna prima di tutto tener conto del momento<br />

presente che l’umanità sta vivendo, ossia del mondo davanti al<br />

quale la Chiesa proclama la propria visione della legge in parola.<br />

1. Il mondo di un pensiero metafisicamente debole<br />

Infatti, la riaffermazione dei principi della legge naturale si presenta<br />

in tutta la sua urgenza proprio in considerazione del pensiero<br />

contemporaneo, segnato della crisi della metafisica. In un pensiero<br />

debole, “allergico” al discorso metafisico, il concetto di legge naturale<br />

è incompreso, ignorato, oppure esplicitamente rifiutato, così da togliere<br />

ogni possibile fondamento per un dialogo comune al riguardo.<br />

Si nega infatti quella naturale tendenza del pensiero umano a cercare<br />

ed a scoprire un ordine morale oggettivo.<br />

Davanti a questo panorama, l’insegnamento della Chiesa costituisce<br />

indubbiamente un luogo eloquente e coraggioso dell’affermazio-<br />

2 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti della Plenaria della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004, n. 5, in AAS 96 (2004) 399-402 (il corsivo<br />

è nostro). Cf. anche ID., Discorso ai partecipanti della Plenaria della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, 18 gennaio 2002, n. 3, cpv. 2, in AAS 94 (2002) 332-335.<br />

3 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla legge<br />

morale naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio<br />

2007, cpv. 3, in AAS 109 (2007) 243-2<strong>46</strong>.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 385<br />

ne della legge naturale, paradigmatico per la difesa di ciò che è veramente<br />

umano. La Chiesa sembra essere oggi anche l’unica a proclamare<br />

con vigore in che cosa risiede la forza della legge naturale. Se<br />

tale impressione è vera, ciò dovrebbe destare molta preoccupazione,<br />

perché si tratta di un’inquietante trascuratezza di una realtà universale,<br />

iscritta in tutte le creature umane.<br />

La crisi del pensiero metafisico comporta, nei riguardi della legge<br />

naturale, due principali pericoli. Da una parte, il credente, trascurando<br />

l’ordine naturale creato da Dio, corre il rischio di aderire ad una morale<br />

di carattere fideista. Dall’altra parte, indipendentemente da qualsiasi<br />

convinzione religiosa, alla società intera, e in modo particolare ai<br />

legislatori, viene a mancare, trascurando la legge naturale, un riferimento<br />

oggettivo per qualsiasi altra legge; di conseguenza, queste spesso<br />

si basano soltanto sul consenso sociale, così da rendere sempre più<br />

difficile giungere ad un fondamento etico comune a tutta l’umanità 4 .<br />

Mi fa piacere ricordare al riguardo che l’allora Card. Joseph Ratzinger,<br />

in uno dei suoi ultimi interventi prima dell’elezione al soglio pontificio,<br />

con gli esponenti del cosiddetto “pensiero laico”, sintetizzava<br />

con chiarezza: “Quanto alla domanda se lo jus naturale sostenuto dalla<br />

Chiesa cattolica possa essere una risposta [universale], sappiamo che il<br />

mondo di oggi è convinto che non lo sia. Per la Chiesa il diritto naturale<br />

insito nella stessa creatura umana, è stato il mezzo per poter dialogare<br />

con quanti non condividevano la fede. Ma oggi lo stesso concetto<br />

di natura ha assunto un significato puramente empirico; è ridotto a<br />

quanto si può osservare con le scienze, con la biologia, a quanto è riscontrabile<br />

nella dottrina evoluzionistica. Quindi [per il mondo] il termine<br />

natura non indica più niente di umano in senso proprio e perciò<br />

[la stessa comprensione] del concetto del diritto naturale si riduce” 5 .<br />

4 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti della Plenaria della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004, n. 5, cpv. 2.<br />

5 «Dialogo del Card. Ratzinger con il Prof. Galli della Loggia, Roma, Palazzo<br />

Colonna, 25 ottobre 2004», in Atti del Convegno su Storia, Politica e Religione,<br />

Quaderno n. 7, Roma 2004, p. 16; cf. «Pensieri cardinali. Ratzinger e Galli della<br />

Loggia su storia, politica e religione», in Il Foglio Quotidiano, n. 297 (anno IX)<br />

27 ottobre 2005, p. 1. Al riguardo si veda anche: J. RATZINGER – J. HABERMAS,


386 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

La stessa osservazione, in modo ancor più perspicace, egli l’ha<br />

espressa da Pontefice, segnalando un pericolo inquietante: “Il metodo<br />

che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali<br />

della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte<br />

di questa razionalità, la Ragione creatrice. La capacità di vedere le<br />

leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio<br />

etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex<br />

naturalis, legge morale naturale. Una parola, questa, per molti oggi<br />

quasi incomprensibile a causa di un concetto di natura non più metafisico,<br />

ma solamente empirico” 6 .<br />

Nel contempo, nonostante queste fratture nei percorsi razionali<br />

diagnosticate nel mondo d’oggi, il Cardinale Ratzinger costatava con<br />

grande speranza e fiducia nella persona umana: “Penso che, nonostante<br />

tutte le riserve nei confronti della metafisica che ben conosciamo,<br />

non dovrebbe essere così impossibile capire che non si tratta<br />

di un’invenzione cattolica, ma di una risposta alle sfide dell’essere<br />

umano: il riconoscere che l’uomo è soggetto di diritti ancora prima<br />

di qualsiasi Costituzione. Tutte le leggi debbono [infatti] conformarsi<br />

a quei diritti e non questi alla Costituzione” 7 .<br />

2. La forza della legge naturale<br />

a. La questione della legge naturale, e dei diritti naturali che da essa<br />

scaturiscono, come pure dei doveri essenziali dell’uomo, non è solo<br />

una nozione cattolica, ma è l’espressione delle inclinazioni innate<br />

dell’uomo verso la verità ed il bene. In questo senso, essa costituisce<br />

la profonda sorgente dell’ispirazione e l’impulso di tutto l’agire uma-<br />

Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005, oppure il relativo contributo<br />

anche in J. RATZINGER, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Edizioni<br />

San Paolo, Milano 2005.<br />

6 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sul diritto<br />

naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio 2007,<br />

cpv. 2, in AAS 109 (2007) 243-2<strong>46</strong>.<br />

7 «Dialogo del Card. Ratzinger con il Prof. Galli della Loggia», p. 17.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 387<br />

no. Appartenente alla struttura spirituale dell’uomo, essa è il suo genio<br />

morale, ovvero il primo e naturale principio d’ispirazione. Pur non<br />

essendo una legge scritta, essa però è “iscritta” in modo da non poter<br />

essere cancellata, anzi è “scolpita nell’anima di ogni uomo” 8 e come<br />

tale risponde alle sue sfide più profonde, precede qualsiasi legge positiva,<br />

determinando i diritti dell’uomo e gli imperativi etici che è doveroso<br />

onorare.<br />

b. Ai credenti, una lectio doctrinae sulla legge naturale viene offerta<br />

dalla Sacra Scrittura. La Rivelazione indica che la legge eterna di<br />

Dio si manifesta all’uomo per due vie: per primo, attraverso le opere<br />

del Creatore (Rm 1, 18-21 9 ), in cui è impressa la luce della legge naturale;<br />

e poi, nella pienezza dei tempi, nella Persona del Verbo incarnato,<br />

“il Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1, 6-7 10 ), essendo Egli<br />

stesso la Legge nuova.<br />

La dottrina della Chiesa esprime e rende sempre attuale quello<br />

che Dio rivela nelle Scritture e quello che già prima aveva manifestato<br />

tramite la creazione dell’uomo. I Padri della Chiesa erano soliti<br />

chiamarlo scintilla animae, la scintilla che illumina la coscienza. Tra i<br />

primi autori cristiani, Tertulliano (II/III sec.) parlava del “diritto di<br />

8 LEONE XIII, Lettera Enciclica Libertas, 20 giugno 1888, cpv. 9, in Leonis<br />

XIII P. M. Acta, VIII, Romae 1889, 219. Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO<br />

II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et<br />

spes, 7 dicembre 1965, n. 16; e Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae,<br />

7 dicembre 1965, n. 3 cpv. 1 e 3.<br />

9 “In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia<br />

di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si<br />

può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla<br />

creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate<br />

con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e<br />

divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli<br />

hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato<br />

nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa”.<br />

10 “La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, che<br />

nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore<br />

nostro Gesù Cristo”.


388 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

natura” 11 e della “disciplina naturale” 12 . Lattanzio (250 ca-325 ca)<br />

sviluppava ancora più spiccatamente i termini di questo linguaggio,<br />

parlando, nelle Istituzioni divine, della “hominis ratio” o “humanitatis<br />

ratio”, come anche della “vitae ratio”, identificandola con la “vera justitia”,<br />

che è fondata sulla natura 13 . San Girolamo (347 ca-419), poi,<br />

sottolineava l’universalità della conoscenza della legge naturale 14 . Per<br />

Sant’Ambrogio (339-397) essa è una vera e propria rivelazione naturale<br />

15 . Anche per Sant’Agostino (354-430) l’idea della legge eterna è<br />

naturalmente riflessa nell’uomo 16 . La lex naturalis, secondo il suo<br />

pensiero, è un’“impronta” di Dio e della sua lex aeterna, cioè del suo<br />

stesso pensiero divino, nell’animo umano 17 .<br />

L’espressione dottrinale matura sulla legge naturale ci viene offerta<br />

da San Tommaso d’Aquino (1124/1125-1274) 18 che l’ha anche ap-<br />

11 Cf. TERTULIANO, De spectaculis, II: PL 1, 705; Apologeticus, c. 39: PL 1, 534.<br />

12 Cf. TERTULIANO, De corona, c. 7: PL 2, 84.<br />

13 Cf. LATTANZIO, rispettivamente Divinarum institutionum, II, 1: PL 6, 255-<br />

257; IV, 1: PL 6, 449; VI, 8: PL 6, 365; VI, 9: PL 6, 663-664.<br />

14 Cf. S. GIROLAMO, Epistola 121: PL 22, 1025.<br />

15 Cf. B. MAES, La loi naturelle selon Ambroise de Milan, Analecta Gregoriana<br />

Presses de l’Université Grégorienne, Roma 1967.<br />

16 Cf. SANT’AGOSTINO, Confessiones, II, 4, 9: PL 32, 678.<br />

17 Cf. SANT’AGOSTINO, De libero arbitrio, I, 6, 15.<br />

18 Cf. SAN TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, q. 94: De lege naturali, aa. 1-<br />

6. Esiste un’ampia bibliografia al riguardo della concezione tomista, di cui si ricordano<br />

solo alcuni esempi tra i più significativi: M. RHONHEIMER, Natur als<br />

Grundlage der Moral. Die personale Struktur des Naturgesetzes bei Thomas von<br />

Aquin. Eine Auseinandersetzung mit autonomer und theologischer Ethik, Tyrolia,<br />

Innsbruck – Wien 1987 (tr. sp. Ley natural y razón práctica. Una visión tomista de<br />

la autonomía moral, Colección teológica 101, EUNSA, Pamplona 2000; tr. ingl.<br />

Natural law and practical reason: a Thomist view of moral autonomy, Moral philosophy<br />

and moral theology 1, Fordham University Press, New York 2000; tr. it.<br />

Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell’autonomia morale, Studi<br />

di filosofia, A. Armando, Roma 2001); R. BAGNULO, Il concetto di diritto naturale<br />

in san Tommaso d’Aquino, A. Giuffrè, Milano 1983; R. PIZZORNI, Diritto naturale<br />

e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Civis 15, Edizioni Studio Domenicano,<br />

Bologna 1999 3 . Si vedano anche: A. SCOLA, La fondazione teologica della<br />

legge naturale nello Scriptum super Sententiis di san Tommaso d’Aquino, <strong>Studia</strong>


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 389<br />

profondita e ne ha elaborato una sintesi. Per lui, la lex naturalis è “la<br />

partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole” 19 . Di<br />

conseguenza, tale legge rientra nell’ordine della trascendenza e la<br />

partecipatio legis aeternae mantiene solo quei tratti d’immanenza che si<br />

conciliano con tale orizzonte. Ma questo non toglie che essa rientri<br />

nella percezione nettamente razionale.<br />

Come è noto, nell’arco di tutta la storia della Chiesa – basta pensare<br />

alle lettere di San Paolo (soprattutto Rm 2,15) –, la legge naturale<br />

fa parte della morale cristiana, ma in epoca moderna questo concetto<br />

è rinato ed è stato ulteriormente rinforzato. Il concetto è rinato<br />

(riapparso) in reazione al protestantesimo, quando l’Europa si è divisa<br />

confessionalmente: pur essendo divisi nella fede, la stessa natura<br />

umana indicava i comportamenti morali fondamentali. Il concetto si<br />

è, invece, rinforzato alla scoperta del nuovo mondo delle Americhe,<br />

quando bisognava rispondere alla domanda se i popoli non appartenenti<br />

alla cristianità, avessero diritti. Poco a poco, la risposta fu formulata,<br />

affermando i loro diritti a partire dal loro essere persone.<br />

Oggi viviamo una nuova necessità di ri-affermare la dottrina, quale<br />

viene etichettata, da parte di una dominante mentalità relativista, come<br />

una tesi solo “confessionale” o addirittura accusata di essere “intollerante”<br />

verso gli altri. Invece, bisogna rendersi conto che è propriamente<br />

il rifiuto della legge naturale a costituire un procedimento<br />

di tipo ideologico e a instaurare l’intolleranza al vero.<br />

c. In passato tutta la grande Tradizione cristiana circa la percezione<br />

della legge naturale – che sopra non potevamo solo che accennare 20 –<br />

Friburgensia N. S., Universitätsverlag Freiburg, Freiburg (CH) 1982; A. VEN-<br />

DEMIATI, La legge naturale nella Summa theologiae di san Tommaso d’Aquino, Temi<br />

di morale fondamentale, Edizioni Dehoniane, Roma 1995.<br />

19 SAN TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, q. 91, a. 2, corp (il corsivo è nostro).<br />

20 Cf. G. AMBROSETTI, Diritto naturale cristiano. Profili di metodo, di storia e di<br />

teoria, Milano 1985 2 ; R. M. PIZZORNI, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso<br />

d’Aquino: saggio storico-critico, Diritto 3, Pontificia Università Lateranense –<br />

Città Nuova, Roma 1978, 1985 2 ; l’ultima ed.: Civis 16, Edizioni Studio Domenicano,<br />

Bologna 2000 3 .


390 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

aveva da sempre degli “alleati”, anche tra chi non era credente. Essa li<br />

ha trovati, già molto prima dell’Incarnazione del Logos, nella filosofia<br />

greca. L’antica sapienza greca, la cui voce paradigmatica è quella di Antigone,<br />

riconosceva l’esistenza delle leggi non scritte, a cui gli uomini<br />

sono tenuti ad obbedire, poiché queste valgono più di ogni legge umana<br />

21 . Celebre al riguardo è la già matura definizione di Cicerone (106-<br />

43 a. C.), che afferma: “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione;<br />

essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile<br />

ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti<br />

trattengono dall’errore [...] È un delitto sostituirla con una legge contraria;<br />

è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi ha<br />

la possibilità di abrogarla completamente” 22 .<br />

È soprattutto il filosofo Aristotele (384/383-322 a. C.) che – molto<br />

prima di Cicerone – ha esposto la dottrina delle norme non scritte,<br />

universalmente valide e immutabili, perché prescritte per natura<br />

23 . San Tommaso d’Aquino (1224/1225-1274), Doctor communis e<br />

anche Doctor humanitatis, ha dialogato a lungo con il pensiero aristotelico,<br />

accogliendo le sue migliori intuizioni al servizio dell’insegnamento<br />

del Vangelo.<br />

d. Oggi si presenta la nuova necessità di cercare una convergenza al<br />

livello della legge naturale con le altre confessioni, religioni e culture,<br />

ma ciò può avvenire solo a condizione che da parte di tutti sia condivisa<br />

e rispettata quella che gli antichi chiamavano la recta ratio, orthòs logos,<br />

secondo quanto ha postulato Giovanni Paolo II nella Fides et ratio 24 .<br />

21 SOFOCLE (496-406 a. C.), Antigone, vv. 450 ss.<br />

22 CICERONE, La repubblica, 3, 22, 33; questo famoso passo di Cicerone ha<br />

meritato di essere citato, al riguardo della legge naturale, nello stesso Catechismo<br />

della Chiesa Cattolica (ed. tipica 1997), n. 1956.<br />

23 Cf. ARISTOTELE, Etica nicomachea, lib. V, cap.10, 1134 b 18 – 1135 a 15,<br />

dove il filosofo dice tra l’altro: “del giusto politico una forma è naturale, un’altra<br />

legale. Naturale è quello che dovunque ha la medesima potenza e non dipende<br />

dall’avere o da una data opinione”; tr. it. M. ZANATTA, vol. I, Biblioteca<br />

Universale Rizzoli, Milano 1999 8 , pp. 358-563.<br />

24 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Fides et ratio, 14 settembre<br />

1998, n. 4 cpv. 3, in AAS 91 (1999) 5-88. Si tratta dell’Enciclica in cui il Papa ha


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 391<br />

Perciò viene proposta a tutti gli uomini di buona volontà la sfida<br />

di riflessione sul patrimonio della Chiesa circa questa verità naturale.<br />

Annunciando le insondabili ricchezze della grazia di Gesù Cristo, la<br />

Chiesa, soprattutto negli ultimi tempi, non si stanca di richiamare<br />

anche la forza della legge naturale. Nonostante ciò, il Servo di Dio<br />

Giovanni Paolo II, nel discorso ricordato all’inizio, ha deplorato la<br />

scarsa accoglienza di questa voce: “Nelle Lettere encicliche Veritatis<br />

splendor e Fides et ratio ho voluto offrire elementi utili a riscoprire [...]<br />

l’idea della legge morale naturale. Purtroppo questi insegnamenti<br />

non sembra siano stati recepiti finora nella misura auspicata e la complessa<br />

problematica merita ulteriori approfondimenti” 25 .<br />

Per di più, un preoccupante dissenso, un rifiuto o una deformazione<br />

dell’idea della legge naturale, della sua universalità e della permanente<br />

validità dei suoi precetti, sono avvenuti anche nel campo<br />

della stessa teologia. Il Papa ha affrontato la questione nell’Enciclica<br />

Veritatis splendor 26 , la vera magna charta della dottrina tradizionale<br />

della Chiesa sulla legge naturale. Il Santo Padre costatava con preoccupazione<br />

che tale rifiuto si è sviluppato in “una nuova situazione entro<br />

la stessa comunità cristiana, che ha conosciuto il diffondersi di molteplici<br />

dubbi ed obiezioni, di ordine umano e psicologico, sociale e<br />

culturale, religioso ed anche propriamente teologico, in merito agli<br />

insegnamenti morali della Chiesa.<br />

Non si tratta più di contestazioni parziali e occasionali, ma di una<br />

messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata<br />

su determinate concezioni antropologiche ed etiche. Alla loro<br />

radice sta l’influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che<br />

richiamato con forza quella “diaconia alla verità”, che è missione della Chiesa e<br />

tramite cui la comunità dei credenti, da una parte, annuncia le certezze acquisite<br />

tramite la Rivelazione, dall’altra, si fa partecipe dello “sforzo comune che l’umanità<br />

compie per raggiungere la verità” (ivi, n. 2).<br />

25 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti della Plenaria della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004, n. 5, in AAS 96 (2004) 401 (il<br />

corsivo è nostro).<br />

26 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993,<br />

nn. 42-53, in AAS 85 (1993) 1133-1228.


392 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo<br />

rapporto con la verità” 27 .<br />

Per i cattolici d’oggi, tenendo conto delle questioni di carattere<br />

storico, legate alla comprensione della legge naturale, è urgente innanzitutto<br />

richiamare la forza della verità della legge naturale e ciò<br />

che è essenziale per la comprensione di tale legge secondo la dottrina<br />

della Chiesa. Per questo motivo mi accingo a sintetizzare il recente<br />

insegnamento del Magistero al riguardo.<br />

3. La legge naturale e divina<br />

Il Catechismo della Chiesa Cattolica inizia l’esposizione sulla legge<br />

naturale con le seguenti parole: “L’uomo partecipa alla sapienza e<br />

alla bontà del Creatore, che gli conferisce la padronanza dei suoi atti<br />

e la capacità di dirigersi verso la verità e il bene. La legge naturale<br />

esprime il senso morale originale che permette all’uomo di discernere,<br />

per mezzo della ragione, quello che sono il bene e il male,<br />

la verità e la menzogna” 28 . Un tale compito, affidato alla ragione<br />

umana, di attingere prescrizioni aventi forza di legge, presuppone<br />

una Ragione ad essa superiore, trascendente. In questo senso,<br />

per i credenti, si tratta di una legge alla stesso tempo divina e naturale,<br />

cioè iscritta da Dio nella natura dell’uomo, che gli mostra i primi<br />

principi e le norme essenziali che reggono la vita morale, come<br />

pure indica la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il<br />

proprio fine 29 .<br />

27 GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 4 cpv. 2.<br />

28 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1954. In merito alla legge naturale, cf.<br />

anche ibidem, nn. 1954-1960, 2036, 2070-2071; Compendio del Catechismo della<br />

Chiesa Cattolica, 28 giugno 2005, nn. 416-418, 430; PONTIFICIO CONSIGLIO<br />

DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria<br />

Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004 3 , nn. 22, 37, 53, 89, 140-142,<br />

224, 397.<br />

29 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 89; Catechismo<br />

della Chiesa Cattolica, n. 1955.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 393<br />

Questa legge “ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a<br />

Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come<br />

uguale a se stesso” 30 , e come tale determina la possibilità della vera libertà<br />

dell’uomo e la garantisce. La libertà dell’uomo, modellata su<br />

quella del Creatore, soltanto mediante obbedienza alla legge divina,<br />

rimane nella verità ed è conforme alla dignità della persona umana 31 .<br />

Per poter scegliere liberamente il bene ed evitare il male, l’uomo deve<br />

poter distinguere il bene dal male, ciò che avviene principalmente<br />

grazie alla luce della ragione naturale, “la luce dell’intelligenza infusa<br />

in noi da Dio [...] donata alla creazione” 32 .<br />

Nella comprensione della legge naturale, la dottrina della Chiesa<br />

ha privilegiato sempre la visione tomista, la cui impostazione è stata<br />

autorevolmente recepita sia dall’insegnamento della Veritatis splendor,<br />

sia dall’esposizione della dottrina nel Catechismo della Chiesa Cattolica.<br />

Tale visuale parte sempre dalla “ragione più alta”, quella di Dio, e<br />

della sua divina provvidenza, a cui in modo più eccellente, rispetto alle<br />

altre creature, è soggetta la creatura razionale. Perciò, anche la<br />

dottrina della Chiesa vede, senza alcuna difficoltà, la legge naturale<br />

non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma propriamente<br />

alla natura umana, grazie al suo particolare ed unico rapporto di partecipazione<br />

della ragione eterna di Dio 33 .<br />

In questo senso, facciamo nostro il grande postulato del Cardinale<br />

Ratzinger – ora Santo Padre Benedetto XVI –, secondo cui, in<br />

mezzo all’attuale crisi delle culture che pretenderebbero progredire<br />

etsi Deus non daretur, dobbiamo avere coraggio di “capovolgere l’assioma<br />

degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione<br />

di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare<br />

la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse” 34 .<br />

30 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1955.<br />

31 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 42 cpv. 1; PONTIFICIO CON-<br />

SIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della<br />

Chiesa, n. 140.<br />

32 SAN TOMMASO D’AQUINO, Collationes in decem praeceptis, 1.<br />

33 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, nn. 43-44.<br />

34 J. RATZINGER, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Radici 3, Libreria<br />

Editrice Vaticana e Edizioni Cantagalli, Siena 2005, pp. 62-63. L’Autore, poi


394 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

4. Le proprietà della legge naturale<br />

Come è noto, nella dottrina della Chiesa si individuano principalmente<br />

tre proprietà caratteristiche della legge naturale: la sua universalità,<br />

l’immutabilità e la conoscibilità. A causa di alcune interpretazioni<br />

inadeguate, esse rischiano di essere, però, e di fatto lo sono,<br />

trascurate, in nome di un presunto conflitto tra la natura dell’uomo<br />

e la sua libertà 35 .<br />

Facciamo solo qualche accenno a ciascuna di queste caratteristiche.<br />

a. Universalità<br />

La legge naturale è quella a cui tutti gli uomini sono sottomessi,<br />

senza eccezioni né scusanti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma<br />

al riguardo: “Presente nel cuore di ogni uomo e stabilita dalla ragione,<br />

la legge naturale è universale nei suoi precetti e la sua autorità<br />

si estende a tutti gli uomini. Esprime la dignità della persona e pone<br />

la base dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali” 36 . La legge naturale,<br />

manifestando diritti e doveri, anche quando si tratta di applicarla<br />

alle diverse condizioni di vita, rimane inalterabile nei suoi principi<br />

comuni 37 .<br />

Giovanni Paolo II ha riaffermato la caratteristica universale della<br />

legge naturale, anche prendendo in considerazione la singolarità di<br />

ogni persona umana, notando: “Questa universalità non prescinde dalla<br />

singolarità degli esseri umani, né si oppone all’unicità e all’irripetibilità<br />

di ciascuna persona: al contrario, essa abbraccia in radice ciascuno<br />

dei suoi atti liberi, che devono attestare l’universalità del vero bene.<br />

Sottomettendosi alla legge comune, i nostri atti edificano la vera co-<br />

prosegue: “Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il<br />

consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così<br />

nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno<br />

e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno” (ivi).<br />

35 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, nn. 51-53.<br />

36 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1956.<br />

37 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1957.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 395<br />

munione delle persone e, con la grazia di Dio, esercitano la carità,<br />

vincolo della perfezione (Col 3,14)” 38 .<br />

b. Immutabilità<br />

Anche l’immutabilità della legge naturale viene messa in dubbio<br />

sempre più spesso. Da una parte, tale immutabilità viene confrontata<br />

con la sensibilità odierna per la storicità e per la diversità delle culture,<br />

come ha rilevato Giovanni Paolo II 39 , ma, dall’altra, non si può<br />

venir meno a tener presente che, nella natura dell’uomo, esiste qualcosa<br />

che trascende le culture e diventa la sua giusta misura e condizione<br />

della sua dignità 40 . In realtà, la legge naturale, in quanto tale,<br />

“permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto<br />

l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso”. Anche<br />

se i suoi principi venissero negati, “non la si può però distruggere, né<br />

strappare dal cuore dell’uomo” 41 .<br />

c. Conoscibilità da parte di tutti gli uomini<br />

Infine, è importante rilevare che la legge naturale, anche senza la<br />

legge rivelata, può essere scoperta e seguita nelle sue norme 42 .<br />

Nondimeno, a causa del peccato della creatura, i suoi precetti non<br />

sono chiaramente e immediatamente percepiti da tutti, per cui al fine<br />

di conoscere “con ferma certezza e senza mescolanza di errore” 43<br />

38 GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 51 cpv. 3.<br />

39 Al riguardo sono note le tesi secondo le quali nella legge naturale si troverebbe<br />

l’espressione di una determinata forma di cultura particolare in un certo<br />

momento della storia. Per una sintesi si veda anche: CONGREGAZIONE PER LA<br />

DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale<br />

Persona humana, 29 dicembre 1975, n. 4, in AAS 68 (1976) 77-96.<br />

40 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 53 cpv. 1-2.<br />

41 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1958.<br />

42 Cf. Rm 2,14-15; At 17, 22ss.<br />

43 PIO XII, Lettera Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950, Introduzione,<br />

cpv. 3, in AAS 42 (1950) 561-578. Al riguardo cf. Compendio del Catechismo della<br />

Chiesa Cattolica, n. 417.


396 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

le verità religiose e morali, all’uomo peccatore risultano necessarie la<br />

grazia e la rivelazione 44 .<br />

5. Due sottolineature importanti<br />

Per l’esposizione della legge naturale, come essa viene presentata<br />

dalla dottrina della Chiesa, sono importanti due sottolineature, nelle<br />

quali si accumulano anche tutte le grandi questioni che oggi pone il<br />

tema della lex naturalis. La prima riguarda il rapporto tra la legge naturale<br />

e il Decalogo, cioè la legge rivelata, della cui necessità si è appena<br />

menzionato. La seconda indica il rapporto, anch’esso ricordato<br />

sopra, tra la legge naturale e il concetto stesso di natura. La prima si<br />

pone nei riguardi dell’ordine rivelato, la seconda invece di fronte alla<br />

creazione, e cioè è connaturale a tutti. Puntualizziamo le due questioni<br />

più da vicino in riferimento alla legge naturale.<br />

a. La legge naturale e il Decalogo<br />

Il Decalogo (Es 20, 1-17; Dt 5, 6-22) è la manifestazione privilegiata<br />

della legge naturale e, pur essendo rivelato da Dio nell’arco della<br />

storia della salvezza, esso è però accessibile nei suoi precetti alla sola<br />

ragione umana. “La morale sviluppata a partire dal Decalogo è<br />

morale razionale, che vive del sostegno della ragione, che Dio ci ha<br />

donato, mentre allo stesso tempo egli con la sua parola ci ricorda ciò,<br />

che nel modo più profondo è iscritto nelle anime di tutti noi” 45 .<br />

La morale cristiana fa appello alla ragione ed alla sua capacità di<br />

comprensione, perché – come ricorda Sant’Ireneo di Lione – “fin<br />

dalle origini, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della<br />

legge naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il De-<br />

44 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1960.<br />

45 J. RATZINGER, «Attualità dottrinale del Catechismo della Chiesa Cattolica,<br />

dopo 10 anni dalla sua pubblicazione», Intervento al Congresso Catechistico<br />

promosso dalla Congregazione per il Clero, 8 ottobre 2002. Il testo si trova<br />

in www.clerus.org/clerus/dati/2002.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 397<br />

calogo” <strong>46</strong> . In questo senso, queste “dieci parole” (Es 34, 28) contengono<br />

la morale umana universale, una morale umana naturale, che è<br />

aperta ad essere illuminata da una rivelazione soprannaturale.<br />

L’annuncio dell’essere, ovvero della natura, e l’annuncio della Rivelazione<br />

non possono essere in contraddizione, in quanto lo stesso<br />

Dio è autore sia della creazione sia della redenzione. In questo senso,<br />

sono anche in profonda relazione ragione e fede, nonché l’essere,<br />

cioè la natura, da una parte, e la ragione, dall’altra.<br />

b. La “natura” per la legge naturale<br />

Gli ultimi secoli però hanno posto la domanda: quale natura è richiesta<br />

per esprimere la legge naturale? 47 Il problema lo abbiamo annunciato<br />

già in principio di questa riflessione, ricordando un’affermazione<br />

del nostro Santo Padre Benedetto XVI sulla profonda divergenza<br />

tra la mentalità dominante e il pensiero della Chiesa.<br />

Per ribadire il significato essenziale della natura, che è richiesto<br />

per una giusta comprensione della legge naturale, ricorro anche ora<br />

ad un’analisi dell’allora Cardinale Ratzinger. L’insegnamento della<br />

Chiesa si serve della categoria di “natura”, nel senso però diverso da<br />

un naturalismo definito da Ulpiano (sec. II/III) nella famosa sentenza:<br />

“è naturale ciò che la natura insegna a tutti gli esseri viventi”. Esso riconosce<br />

che “la ragione appartiene alla natura umana; «naturale» è<br />

per l’uomo ciò che è conforme alla sua ragione, e conforme alla sua ragione<br />

è ciò che lo apre a Dio. Così, il mero meccanismo fisiologico<br />

non può definire la «natura» ed essere norma della morale; quando<br />

parliamo di natura umana dobbiamo sempre tener presente l’unità<br />

inscindibile di corpo e di anima, la dimensione spirituale e la dimen-<br />

<strong>46</strong> SANT’IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, 4, 15, 1; cf. Catechismo della<br />

Chiesa Cattolica, nn. 2070-2071; Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n.<br />

418; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della<br />

Dottrina sociale della Chiesa, n. 22.<br />

47 Per una buona sintesi si rinvia ad es. a F. D’AGOSTINO, Filosofia del diritto,<br />

Recta Ratio: testi e studi di filosofia del diritto, Terza serie 16, G. Giappichelli<br />

Editore, Torino 2000 3 , pp. 49-75.


398 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

sione corporale dell’unico essere uomo” 48 . Si tratta di una ragione indebolita<br />

dal peso del peccato, ma non compromessa nella sua capacità<br />

di percepire il Creatore e l’ordine della creazione.<br />

Aiutare oggi a tornare ad un significato essenziale della natura<br />

umana, quale è insito nella dottrina della legge naturale sembra uno<br />

dei compiti fondamentali di chi, seguendo la legge naturale, si trova<br />

nella situazione di doverla difendere davanti ad attacchi sempre più<br />

preoccupanti.<br />

6. Il Magistero della Chiesa sulla legge naturale<br />

a. La competenza del Magistero<br />

Alla fine, vorrei dedicare qualche parola alla questione dell’autorità<br />

del Magistero della Chiesa e del suo rapporto con la legge naturale.<br />

Ciò costituisce una questione fondamentale per l’insegnamento<br />

ecclesiale in materia.<br />

Il Magistero della Chiesa – che è “madre e maestra di tutte le genti”<br />

49 , anche in quanto “esperta in umanità” 50 – esprime le esigenze<br />

48<br />

J. RATZINGER, «Il Catechismo della Chiesa Cattolica e l’ottimismo dei redenti»,<br />

in J. RATZINGER – CH. SCHÖNBORN, Breve introduzione al Catechismo della<br />

Chiesa Cattolica, Città Nuova Editrice, Roma 1994, 2005 3 , pp. 33-34 (i corsivi<br />

sono nostri; orig. ted.: Kleine Hinführung zum Katechismus der katholischen Kirche,<br />

Verlag Neue Stadt, München 1993).<br />

49 PAOLO VI, Lettera Enciclica Humanae vitae, 25 luglio 1968, n. 19, in AAS<br />

60 (1968) 481-503.<br />

50 PAOLO VI, Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 4 ottobre<br />

1965, n. 1, cpv. 1, in AAS 57 (1965) 877-885; Lettera Enciclica Populorum progressio,<br />

26 marzo 1967, n. 13, in AAS 59 (1967) 257-299. Cf. CONGREGAZIONE<br />

PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul rispetto della vita umana nascente<br />

e la dignità della procreazione Donum vitae, 22 febbraio 1987, n. 1 cpv. 2, in<br />

AAS 80 (1988) 70-102, e Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione<br />

dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004, n. 1 cpv. 1, Libreria<br />

Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004; in L’Osservatore Romano, 1<br />

agosto 2004, supplemento.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 399<br />

della legge naturale e le attualizza. Proprio in nome della sua competenza<br />

in umanità, il Magistero, pronunciandosi in merito alla legge<br />

naturale, si rivolge non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini di<br />

buona volontà 51 .<br />

Infatti, quando il Magistero dichiara qualcosa circa la fede e i costumi,<br />

si basa sulla Rivelazione, ma non di meno anche sulla legge naturale.<br />

Già la stessa Rivelazione, per sua natura, non è una trattazione<br />

completa di tutte le questioni morali, perché essa presuppone una<br />

morale, offerta alla creatura nella legge naturale. Riguardo alla competenza<br />

magisteriale così afferma l’Istruzione Donum veritatis: “Il<br />

compito di custodire santamente e di esporre fedelmente il patrimonio<br />

della divina Rivelazione implica, di sua natura, che il Magistero<br />

possa proporre in modo definitivo enunciati che, anche se non sono<br />

contenuti nelle verità della fede, sono ad esse tuttavia intimamente<br />

connessi, così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in<br />

ultima analisi, dalla Rivelazione stessa” 52 .<br />

Il Magistero ordinario, nel suo primo grado dell’insegnamento infallibile<br />

53 , riguarda, accanto al deposito della fede, ciò che gli è connesso,<br />

quindi anche la legge naturale. Tale competenza dell’autorità<br />

magisteriale ha suscitato molte discussioni, ma non si può negare che<br />

essa si estende ai precetti della legge naturale, perché la loro osservanza,<br />

in quanto chiesta dal Creatore, è necessaria alla salvezza 54 . Infatti,<br />

“richiamando le prescrizioni della legge naturale, il Magistero<br />

della Chiesa esercita una parte essenziale della sua funzione profetica<br />

di annunziare agli uomini ciò che essi sono veramente e di ricordare<br />

loro ciò che devono essere davanti a Dio” 55 .<br />

51 Giovanni Paolo II ad es. ha indirizzato la sua Lettera Enciclica Evangelium<br />

vitae, 25 marzo 1995, anche “a tutte le persone di buona volontà” (incipit, in AAS<br />

87 [1995] 401).<br />

52 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sulla vocazione<br />

ecclesiale del teologo Donum veritatis, 24 maggio 1990, n. 16 cpv. 1, in<br />

AAS 82 (1990) 1550-1570.<br />

53 Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 749-750.<br />

54 Cf. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 430.<br />

55 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2036 (i corsivi sono nostri).


400 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

Vale quindi sempre il chiaro enunciato di Paolo VI nell’Enciclica<br />

Humanae vitae: “Nessun fedele vorrà negare che al Magistero della<br />

Chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale. È infatti<br />

incontestabile, come hanno più volte dichiarato i nostri predecessori,<br />

che Gesù Cristo, comunicando a Pietro e agli apostoli la sua divina<br />

autorità e inviandoli a insegnare a tutte le genti i suoi comandamenti,<br />

li costituiva custodi e interpreti autentici di tutta la legge morale,<br />

non solo cioè della legge evangelica, ma anche di quella naturale.<br />

Infatti anche la legge naturale è espressione della volontà di Dio,<br />

l’adempimento fedele di essa è parimenti necessario alla salvezza<br />

eterna degli uomini” 56 .<br />

b. Il recente Magistero<br />

Il recente Magistero contiene un ricco patrimonio di dottrina sulla<br />

legge naturale, comprendente gli insegnamenti morali ad essa legati<br />

che vengono costantemente richiamati. Pio XII aveva enunciato<br />

i principi, fondati sul diritto naturale, di un ordine sociale conforme<br />

alla dignità dell’uomo, concretato in una sana democrazia, capace di<br />

meglio rispettare il diritto alla libertà, alla pace e ai beni materiali.<br />

A seguito del Magistero del Concilio Vaticano II 57 , i Romani Pontefici<br />

hanno sviluppato il tema della legge naturale nel riferimento ai<br />

diritti della persona umana. Il Beato Giovanni XXIII, nella Lettera<br />

Enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963), interamente dedicata ai diritti<br />

dell’uomo, li fondava sulla legge naturale, nello stesso tempo inerente<br />

alla creazione e ordinata alla redenzione 58 .<br />

56 PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 4, in AAS 60 (1968) 481-503.<br />

57 Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 16, nonché nn. 26, 29, 73,<br />

76, 79.<br />

58 Per una sintesi cf. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, In<br />

questi ultimi decenni. Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale<br />

della chiesa nella formazione sacerdotale, 30 dicembre 1988, n. 33, in L’Osservatore<br />

Romano, 28 giugno 1989, inserto tabloid (= Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma<br />

1988); in Enchiridion Vaticanum, vol. 11, nn. 1901-2044. Al riguardo del diritto<br />

naturale nella dottrina sociale della Chiesa si rinvia alle sintesi di F.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 401<br />

Ma è soprattutto il Servo di Dio, Paolo VI che, nella Lettera Enciclica<br />

Humanae vitae (25 luglio 1968), ha rilanciato con forza la questione<br />

della legge naturale, insegnando a proposito della dottrina<br />

morale del matrimonio che questa è una “dottrina fondata sulla legge<br />

naturale illuminata e arricchita dalla rivelazione divina” 59 . In questo<br />

senso, il Papa poteva dichiarare definitivamente: “richiamando gli<br />

uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata<br />

dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale<br />

deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” 60 .<br />

Più recentemente, Giovanni Paolo II, nella Lettera Enciclica<br />

Evangelium vitae (25 marzo 1995), sul Vangelo della vita, che il Signore<br />

ha consegnato alla Chiesa, esprime la convinzione che questa Buona<br />

novella ha nel cuore di ogni persona un’eco profonda e persuasiva:<br />

“Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto<br />

alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto<br />

influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale<br />

scritta nel cuore (Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo<br />

inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere<br />

umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario.<br />

Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la<br />

stessa comunità politica” 61 .<br />

D’AGOSTINO, Il diritto come problema teologico ed altri saggi di filosofia e teologia del<br />

diritto (Recta Ratio: testi e studi di filosofia del diritto, Terza serie 4), G. Giappichelli<br />

Editore, Torino 1997 3 , pp. 171-206.<br />

59 PAOLO VI, Humanae vitae, n. 4, in AAS 60 (1968) 481-503 (i corsivi sono<br />

nostri). Il Papa, dopo aver ribadito il compito della Chiesa di di interpretare anche<br />

la legge morale naturale oltre quella evangelica, ha aggiunto: “Conformemente<br />

a questa sua missione, la Chiesa ha dato sempre, ma più ampiamente nel<br />

tempo recente, un adeguato insegnamento sia sulla natura del matrimonio sia<br />

sul retto uso dei diritti coniugali e sui doveri dei coniugi”.<br />

60 PAOLO VI, Humanae vitae, n. 11. Più avanti, rivolgendosi ai governanti, e<br />

cioè a tutti gli uomini di buona volontà, richiamava che “non lascino che si degradi<br />

la moralità dei loro popoli; non accettino che si introducano in modo legale<br />

in quella cellula fondamentale dello stato, che è la famiglia, pratiche contrarie<br />

alla legge naturale e divina” (ivi, n. 23).<br />

61 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995,<br />

n. 2 cpv. 3, in AAS 87 (1995) 401-522. Cf. ivi, n. 90 cpv. 3.


402 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

A partire da questa base universale, il Papa “ha confermato e dichiarato”<br />

in modo definitorio le tre verità, e cioè che “l’uccisione diretta<br />

e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale”<br />

62 , che “l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce<br />

sempre un disordine morale grave” 63 e che “l’eutanasia è una grave<br />

violazione della Legge di Dio” 64 . Queste dottrine sono trasmesse dalla<br />

Tradizione della Chiesa ed insegnate dal Magistero ordinario e universale,<br />

perché fondate sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta<br />

e perciò “nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al<br />

mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito,<br />

perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo,<br />

riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa” 65 .<br />

Come ha ricordato il Cardinale Ratzinger in diversi suoi contributi,<br />

già a partire dalla fedeltà razionale alla legge naturale, non si<br />

può mai arretrare nel difendere il diritto alla vita in quanto è il primo<br />

che scaturisce dal diritto della natura 66 . Infatti, “alla base di que-<br />

62 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, n. 57 cpv. 4.<br />

63 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, n. 62 cpv. 3-4. Cf. PAOLO VI,<br />

Discorso ai Giuristi Cattolici Italiani, 9 dicembre 1972, in AAS 64 (1972) 777; ID.<br />

Enc. Humanae vitae, n. 14; ed anche CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DEL-<br />

LA FEDE, Dichiarazione sull’aborto procurato De abortu procurato, 18 novembre<br />

1974, n. 7, in AAS 66 (1974) 730-747.<br />

64 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, n. 65 cpv. 4. Cf. anche CON-<br />

GREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull’eutanasia Iura<br />

et bona, 5 maggio 1980, n. II, cpv. 5, in AAS 72 (1980) 542-552.<br />

65 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, n. 62 cpv. 4 (i corsivi sono nostri);<br />

cf. anche n. 65 cpv. 4. Recentemente Benedetto XVI, parlando della legge<br />

naturale insegnata dalla Chiesa sulla famiglia, ha notato: “Nessuna legge fatta<br />

dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la<br />

società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento<br />

basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare<br />

i figli e rendere precario il futuro della società” (Discorso ai partecipanti al Congresso<br />

Internazionale sulla legge morale naturale promosso dalla Pontificia Università<br />

Lateranense, 12 febbraio 2007, cpv. 4).<br />

66 Al riguardo si vedano anche: J. RATZINGER, «La sacralità della vita umana»,<br />

in La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Ragione e fede 19, Edizioni<br />

Ares, Milano 1996, pp. 105 ss.; ID., «Il diritto alla vita e l’Europa», in L’Europa<br />

di Benedetto nella crisi delle culture, Radici 3, Cantagalli, Siena 2005, 67-91.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 403<br />

sti valori non possono esservi provvisorie e mutevoli ‘maggioranze’ di<br />

opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva<br />

che, in quanto ‘legge naturale’ iscritta nel cuore dell’uomo, è punto<br />

di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un<br />

tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse<br />

a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge<br />

morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue<br />

fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica<br />

dei diversi e contrapposti interessi” 67 .<br />

Parlando del recente Magistero della Chiesa circa i concreti postulati<br />

della legge naturale, mi pare doveroso nella realtà attuale citare<br />

anche le molto attuali parole di Benedetto XVI: “Sento infine il<br />

dovere di affermare ancora una volta che non tutto ciò che è scientificamente<br />

fattibile è anche eticamente lecito. La tecnica, quando riduce<br />

l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per abbandonare<br />

il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente<br />

alla tecnica come all’unica garante di progresso, senza offrire<br />

nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella<br />

stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare<br />

violenza alla natura umana con conseguenze devastanti per tutti.<br />

L’apporto degli uomini di scienza è d’importanza primaria. Insieme<br />

col progredire delle nostre capacità di dominio sulla natura, gli scienziati<br />

devono anche contribuire ad aiutarci a capire in profondità la<br />

nostra responsabilità per l’uomo e per la natura a lui affidata” 68 .<br />

Anche nel recentissimo Messaggio per la celebrazione della Giornata<br />

Mondiale della Pace <strong>2008</strong> (dell’8 dicembre 2007), Benedetto XVI fa riferimento<br />

alla legge naturale (nn. 4, 12-13). Vorrei richiamare tre sue<br />

constatazioni. Riguardo alla Carta dei diritti della famiglia, pubblicata<br />

67 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, n. 70 cpv. 5.<br />

68 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla<br />

legge morale naturale promossa dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio<br />

2007, cpv. 5, in AAS 109 (2007) 243-2<strong>46</strong>. Poi il Santo Padre ha aggiunto: “Su<br />

questa base è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti;<br />

tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche<br />

al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale” (ivi).


404 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

dalla Santa Sede nel 1983, osserva: “I diritti enunciati nella Carta sono<br />

espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore<br />

dell’essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione<br />

o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità<br />

sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace” (n. 4). Per quanto<br />

concerne il diritto positivo umano, esorta: “Bisogna risalire alla norma<br />

morale naturale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta<br />

in balia di fragili e provvisori consensi” (n. 12). Infine, nel medesimo<br />

Messaggio riconosce, fra l’altro che: “Di fatto, valori radicati nella legge<br />

naturale sono presenti, anche se in forma frammentata e non sempre<br />

coerente (corsivo aggiunto), negli accordi internazionali, nelle forme<br />

di autorità universalmente riconosciute, nei principi del diritto umanitario<br />

recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli<br />

Organismi internazionali. L’umanità non è «senza legge». È tuttavia<br />

urgente proseguire nel dialogo su questi temi” (n. 13).<br />

Nel discorso ai Membri dell’Assemblea Generale dell’ONU (New<br />

York, 18 aprile <strong>2008</strong>) Benedetto XVI, riferendosi al 60° anniversario<br />

della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ha notato “Tali diritti<br />

sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e<br />

presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da<br />

questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad<br />

una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione<br />

dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe<br />

negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi<br />

differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà<br />

di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali,<br />

ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti”.<br />

c. Gli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede<br />

Oltre al Magistero pontificio, sono importanti in merito al nostro<br />

tema anche i numerosi pronunciamenti della Congregazione per la<br />

Dottrina della Fede, nei quali essa richiama la legge naturale in considerazione<br />

degli scottanti problemi del momento presente.<br />

Ricordiamo soprattutto il documento Considerazioni circa i progetti<br />

di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, dove tutto


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 405<br />

il problema si introduce e propone a partire dalla sua qualifica di moralità<br />

naturale: “Poiché si tratta di una materia che riguarda la legge<br />

morale naturale, le seguenti argomentazioni sono proposte non soltanto<br />

ai credenti, ma anche a tutte le persone impegnate nella promozione<br />

e nella difesa del bene comune della società” 69 . In tale modo,<br />

il documento propone una verità e denuncia una non-verità. Innanzitutto,<br />

ricorda la “verità naturale sul matrimonio [che] è stata<br />

confermata dalla Rivelazione contenuta nei racconti biblici della creazione,<br />

espressione anche della saggezza umana originaria, nella quale<br />

si fa sentire la voce della natura stessa” e, conseguentemente, denuncia<br />

ciò che è contrario alla legge morale naturale, dicendo: “non<br />

esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure<br />

remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio<br />

e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali<br />

contrastano con la legge morale naturale” 70 .<br />

Quanto detto sopra è solo un esempio dell’affermazione di una verità<br />

naturale, la cui percezione nella mentalità odierna rischia di perdersi<br />

del tutto, negando la legge naturale. In difesa di tale verità, la<br />

Chiesa non può smettere di impegnarsi, non perché si tratta di una<br />

sua verità confessionale, ma in quanto è in gioco una verità appartenente<br />

all’universale retta ragione.<br />

d. Di fronte al relativismo etico e al positivismo giuridico<br />

Tra le varie cause di questo intenso richiamo del valore e dell’argomento<br />

della legge naturale da parte del Magistero della Chiesa si<br />

69 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni circa i<br />

progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003,<br />

n. 1, in AAS 96 (2004) 41-49. Si veda anche ID., Lettera sulla cura pastorale delle<br />

persone omosessuali Homosexualitatis problema, 1 ottobre 1986, n. 2 cpv. 2, in<br />

AAS 79 (1987) 543-554.<br />

70 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni circa i<br />

progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, nn. 3-4. In questa<br />

luce, “le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla<br />

retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione<br />

matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso” (ivi, n. 6).


406 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

possono individuare sicuramente due ragioni: primo, il rischio di un<br />

progressivo e generale offuscamento di questa verità nel momento<br />

presente; secondo, una sempre più diffusa promozione e legittimazione<br />

di atti e di comportamenti per loro natura illeciti, intrinsecamente<br />

cattivi, che invece vengono riconosciuti in sé buoni. I problemi richiamati<br />

sopra non sono solo contrari al deposito della fede, ma offendono<br />

un’etica naturale e universale e perciò devono essere affrontati<br />

e risolti già al livello della legge naturale. Difatti, negando la legge<br />

naturale, si è spinti a negare un sempre più crescente numero di<br />

verità universali, cominciando dal diritto alla vita, la cui soppressione<br />

nell’aborto costituisce un caso paradigmatico.<br />

Infatti, si verifica oggi “un certo relativismo culturale che offre evidenti<br />

segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che<br />

sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della<br />

legge morale naturale” 71 . Un tale pluralismo senza alcun riferimento<br />

alla legge naturale, pretenderebbe di essere la condizione “sine qua<br />

non” per la democrazia, e, invece, al contrario, ne risulta nocivo. E in<br />

nome di una sua “tolleranza”, che in sé contraddice il vero senso di<br />

essere tolleranti, esigerebbe da molti, tra questi anche dai cattolici, di<br />

rinunciare nella vita pubblica alla loro concezione di persona e del<br />

bene comune. Ma, come osserva un documento della Congregazione<br />

per la Dottrina della Fede, basta guardare la storia del XX secolo<br />

per “dimostrare che la ragione sta dalla parte di [quelli] che ritengono<br />

del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una<br />

norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui<br />

71 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale circa alcune<br />

questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica,<br />

24 novembre 2002, n. 2 cpv. 2, in AAS 96 (2004) 359-370. In questo senso<br />

ancora la Congregazione per la Dottrina della Fede ha denunciato un “intollerante<br />

laicismo”. Esso “vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale<br />

della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un’etica naturale. Se così<br />

fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi<br />

con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione del più<br />

forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione” (ivi, n. 6,<br />

cpv. 4).


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 407<br />

giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune<br />

e dello Stato” 72 .<br />

In considerazione di tali sfide relativiste, l’insegnamento della<br />

Chiesa prosegue nel ribadire “la sua costante dottrina sulla necessaria<br />

conformità della legge civile con la legge morale” 73 , e cioè di un incondizionato<br />

rispetto della legge naturale da parte di ogni autorità<br />

legislativa. Volgendo lo sguardo verso il limpido insegnamento di<br />

San Tommaso d’Aquino, la Chiesa è convinta che – come diceva il<br />

Dottore comune – “ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione<br />

di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece in qualche cosa<br />

è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà legge bensì<br />

corruzione della legge”. San Tommaso affermava anche: “la legge<br />

umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi<br />

deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto<br />

con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di<br />

essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” 74 . Oggi questi<br />

deplorabili “atti di violenza” sono sempre più frequenti e sempre più<br />

arroganti nel mancato rispetto del mistero della persona umana e<br />

della sua intima natura.<br />

Riferendosi ai postulati del positivismo giuridico, oggi largamente<br />

diffuso, e alla conseguente legislazione che “diventa spesso solo un<br />

compromesso tra diversi interessi” (“si cerca di trasformare in diritti<br />

interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla<br />

responsabilità sociale”), Benedetto XVI ha opportunamente notato<br />

che: “La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro<br />

l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica.[...]<br />

è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispet-<br />

72 Ivi, n. 2 cpv. 2.<br />

73 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, n. 72 cpv. 1. Cf. GIOVANNI XXIII,<br />

Lettera Enciclica Pacem in terris, 11 aprile 1963, n. 30, in AAS 55 (1963) 257-<br />

304; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni circa i progetti<br />

di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 6.<br />

74 SAN TOMMASO, Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2 e q. 93, a. 3, ad 2um, i<br />

testi citati da Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae, n. 72 cpv. 1.


408 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

tato nella propria dignità” 75 . Anche Giovanni Paolo II, parlando ai<br />

partecipanti ad un Simposio Internazionale di Diritto Canonico, nel<br />

1993, ha invitato le società civili a non sottrarsi “ai postulati del diritto<br />

naturale, per non cadere nei pericoli dell’arbitrio o di false ideologie”<br />

76 .<br />

e. Per formare una retta coscienza morale<br />

Vorrei sottolineare anche il ruolo che il Magistero della Chiesa attribuisce<br />

alla coscienza nella prospettiva della legge naturale. In realtà,<br />

la coscienza dell’uomo ci aiuta a scoprire la legge naturale e la legge<br />

naturale forma le coscienze.<br />

Al riguardo, Benedetto XVI ha perspicacemente osservato: “La<br />

conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con<br />

il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per<br />

tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe<br />

quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza<br />

morale. E’ questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli<br />

altri progressi finiscono per risultare non autentici” 77 .<br />

Quindi, nonostante i più ricercati attacchi contro la legge naturale,<br />

non si può scordare che c’è nell’intimo della coscienza di ogni uomo<br />

“una legge che non è l’uomo a darsi, ma alla quale deve invece<br />

obbedire; una voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e<br />

a fuggire il male e che, quando occorre, dice chiaramente al cuore: fa’<br />

questo, fuggi quest’altro. [...] La coscienza è la capacità di aprirsi all’appello<br />

della verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti<br />

possono e devono cercare. Essa non è isolamento, ma, al contrario,<br />

75 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla<br />

legge morale naturale promossa dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio<br />

2007, cpv. 4.<br />

76 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Simposio Internazionale di Diritto<br />

Canonico, 23 aprile 1993, n. 7, in AAS 86 (1994) 244-248.<br />

77 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla<br />

legge morale naturale promossa dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio<br />

2007, cpv. 4.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 409<br />

comunione: cum sentire nella verità sul bene, che accomuna gli uomini<br />

nell’intimo della loro natura spirituale” 78 .<br />

Osservazioni conclusive<br />

a. L’epoca moderna ha fortunatamente portato a una chiara formulazione<br />

della concezione dei diritti umani, i quali, essendo propri<br />

dell’uomo, precedono ogni legislazione positiva. Nella Dichiarazione<br />

Universale dei diritti dell’uomo (1948) – di cui nel <strong>2008</strong> celebriamo il<br />

60° anniversario – viene espressa proprio la consapevolezza che tali<br />

diritti appartengono alla natura dell’uomo e vengono riconosciuti e<br />

non concessi da alcun potere. Sostenere questa premessa e nello stesso<br />

tempo negare il diritto naturale appare una contraddizione.<br />

Ma se oggi la libertà dell’uomo, così largamente riconosciuta, è<br />

considerata poi in modo individualistico, come un diritto assoluto, e<br />

se la coscienza diventa la divinizzazione di una soggettività isolata, allora,<br />

nella stessa epoca moderna, quasi a sorpresa, la comprensione<br />

della legge naturale si indebolisce o viene del tutto cancellata, producendo<br />

un disordine, in cui non più una legge “scolpita nel cuore”,<br />

ma un isolato individuo diventa l’ultima istanza morale per sé stesso,<br />

relativista e in definitiva assurda.<br />

b. Credo che nella complessa e, non di rado, confusa situazione<br />

della modernità, non dovrebbe essere così impossibile capire che,<br />

parlando della legge naturale, non si tratta di un’invenzione cattolica,<br />

ma di una risposta alle sfide dell’essere umano. Non dovrebbe essere<br />

così difficile tornare a quel senso comune, grazie al quale ciascuno<br />

prenda in considerazione ciò che è essenziale e fa scoprire ciò che do-<br />

78 J. RATZINGER, «La sacralità della vita umana», in La via della fede. Le ragioni<br />

dell’etica nell’epoca presente, Ragione e fede 19, Edizioni Ares, Milano 1996,<br />

pp. 114-115. Circa i concetti della coscienza e della sinderesi si veda il celebrissimo<br />

contributo del Card. Ratzinger: «Coscienza e verità», in La Chiesa: una comunità<br />

sempre in cammino, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1991,<br />

1992 2 , pp. 113-137 (or. ted.: Zur Gemeinschaft gerufen, 1991).


410 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

vrebbe essere la semplice percezione di un inclinazione naturale di<br />

ogni persona umana. Questa è la convinzione di fondo della dottrina<br />

della Chiesa in merito alla legge naturale e dei suoi migliori maestri<br />

ed interpreti, che in questi ultimi tempi la Chiesa e il mondo hanno<br />

trovato prima nel Servo di Dio Giovanni Paolo II ed ora nel Santo<br />

Padre Benedetto XVI.<br />

c. La legge naturale, nella dottrina della Chiesa, costituisce poi la<br />

verità basilare di quell’umanesimo cristiano, di cui la comunità dei credenti<br />

sempre si è fatta ricercatrice e promotrice. E ciò riguarda specialmente<br />

i tempi ostili a riconoscere quanto iscritto nella natura dell’uomo<br />

e, perciò, tanto doveroso di essere riaffermato. Con questa<br />

sua dimensione profondamente umana le esigenze etiche della legge<br />

naturale, non richiedono di per sé una professione di fede cristiana,<br />

ma la dottrina della Chiesa, confermando e tutelando sempre e<br />

ovunque i principi di tale legge, lo fa “come un servizio disinteressato<br />

alla verità sull’uomo e al bene comune delle società civili” 79 .<br />

d. Per concludere, mi sia lecito fare mie – ed applicarle a tutti i<br />

Centri di Studio interessati – le parole che l’attuale Pontefice ha rivolto<br />

al Congresso internazionale sulla legge naturale, svoltosi a Roma<br />

nel febbraio 2007: possano essi “portare non solo a una maggior<br />

sensibilità degli studiosi nei confronti della legge morale naturale, ma<br />

spingano anche a creare le condizioni perché su questa tematica si arrivi<br />

a una sempre più piena consapevolezza del valore inalienabile che<br />

la lex naturalis possiede per un reale e coerente progresso della vita<br />

personale e dell’ordine sociale” 80 .<br />

79 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale circa alcune<br />

questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica,<br />

24 novembre 2002, n. 5, in AAS 96 (2004) 359-370.<br />

80 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla<br />

legge morale naturale promossa dalla Pontificia Università Lateranense, 12 febbraio<br />

2007, parte finale.


LA LEGGE NATURALE NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA 411<br />

SUMMARIES<br />

Having given the context of current debates on the natural law, which is linked<br />

to the decline of strong metaphysical thought, the author proceeds to a presentation<br />

of the essential notions inherent in natural law. He stresses that the<br />

natural law is not merely a catholic idea, but has its roots in ancient philosophy.<br />

The catholic tradition integrates this philosophical content, and the author<br />

highlights the importance of this integration between human and divine law.<br />

The essential qualities of the natural law are its universality, immutability and<br />

knowability: these qualities are understandable in the light of the link between<br />

natural law and the Decalogue, and because nature is always to be understood<br />

as the reasonable nature of a human person. All the above points are<br />

underlined in recent statements of the Magisterium and in documents emanating<br />

from the Congregation of the Doctrine of the Faith. The author concludes<br />

by demonstrating how a creative recovery of the natural law is particularly<br />

apt in our modern age with its desire to have properly-founded human<br />

rights and a truly Christian humanism.<br />

* * *<br />

Después de haber presentado el contexto de los debates actuales sobre la ley<br />

natural, que está unida a la decadencia de un fuerte pensamiento metafísico,<br />

el autor pasa a una presentación de las nociones esenciales inherentes a la ley<br />

natural. Él subraya que la ley natural no es sólo una idea católica, sino que tiene<br />

sus raíces en la filosofía antigua. La tradición católica integra este contenido<br />

filosófico y el autor evidencia la importancia de esta integración entre la ley<br />

humana y la ley divina. Las cualidades esenciales de la ley natural son su universalidad,<br />

su inmutabilidad y su ser conocible: estas cualidades son comprensibles<br />

a la luz de la unión entre la ley natural y el Decálogo y porque la naturaleza<br />

es comprendida siempre como la naturaleza racional de una persona<br />

humana. Todos estos puntos mencionados están puestos en evidencia en las<br />

recientes declaraciones del Magisterio y en los documentos publicados por la<br />

Congregación de la Doctrina de la Fe. El autor concluye demostrando cómo la<br />

recuperación de modo creativo de la ley natural sea particularmente apta a la<br />

edad moderna con su deseo de haber justamente fundado los derechos humanos<br />

y un humanismo verdaderamente cristiano.<br />

* * *


412 ZENON GROCHOLEWSKI<br />

L’autore in questo contributo, dopo aver descritto il contesto dei dibatti attuali<br />

sulla legge naturale, che è legata al declino di un forte pensiero metafisico,<br />

passa ad una presentazione delle nozioni essenziali inerenti alla legge naturale.<br />

Egli sottolinea che la legge naturale non è solamente un‘idea cattolica, ma<br />

ha le sue radici nella filosofia antica, infatti la stessa tradizione cattolica integra<br />

questo contenuto filosofico. L’autore evidenzia l’importanza di questa integrazione<br />

tra la legge umana e quella divina. Le qualità essenziali della legge naturale<br />

sono la sua universalità, immutabilità e conoscibilità: queste qualità sono<br />

comprensibili alla luce del legame tra la legge naturale e il Decalogo, in<br />

quanto la natura è sempre intesa come natura ragionevole di una persona<br />

umana. Tutti i punti su menzionati sono messi in evidenza nelle recenti dichiarazioni<br />

del Magistero e nei documenti emanati dalla Congregazione della Dottrina<br />

per la Fede. L’autore conclude dimostrando come un recupero creativo<br />

della legge naturale sia particolarmente adatto nell’età moderna per fondare i<br />

diritti umani ed un umanismo veramente cristiano.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT”<br />

Angelo Scola*<br />

1. Un quadro complesso<br />

Moral insight è un’espressione complessa che ha bisogno di rigorose<br />

delimitazioni; in se stessa, prima ancora che a causa delle rapide trasformazioni<br />

oggi in atto nella sfera degli affetti, del bios, delle tecnologie,<br />

delle comunicazioni e del mescolamento di civiltà e culture. È polisemica<br />

la nozione stessa di insight, il cui termine va riferito al latino<br />

intelligere (intelligentia, intellectus), richiamato anche dalla radice inglese<br />

che dice “vedere”; ma il termine insight dice anche “capire”, “comprendere”<br />

(understanding), “afferrare” (to grasp) 1 . Sono tutti significati<br />

tra loro correlati ma distinti che mostrano come il contenuto di insight<br />

sia quello di un processo che implica tanto gli atti propri della capacità<br />

di osservare, quanto il discernere l’effettivo carattere delle cose. Si<br />

parte dalla meraviglia che dilata l’orizzonte dei dati a disposizione, si<br />

procede ad una primitiva, provvisoria intelligibilità, fino a giungere al<br />

giudizio che può possedere gradi diversi di probabilità e di certezza.<br />

Qualificare poi l’insight in chiave moral aggiunge al concetto ulteriore<br />

problematicità, che proviene dalla stessa qualifica di moral in sé<br />

presa, ancor prima che dalla complessità ricevuta dalla riduzione della<br />

morale ad etica pubblica entro la società plurale di oggi. Proble-<br />

* Patriarch of Venice<br />

* Patriarca de Venecia<br />

Keynote Adress del Convegno “A Common Morality for the Global Age: In Gratitude<br />

for What We Are Given” organizzato dalla Catholic University of America,<br />

Washington 27 marzo <strong>2008</strong>.<br />

1 Cfr. S. MURATORE, Prefazione dei curatori, in B. J. F. LONERGAN, Insight.<br />

Uno studio del comprendere umano, Opere 3, Città Nuova, Roma 2007, XXI, n. 1.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 413-432


414 ANGELO SCOLA<br />

maticità che proviene, in ultima istanza, dal rapporto del “pratico”<br />

con lo “speculativo”, dalla secolare questione del loro nesso, dalla difficoltà<br />

della relazione tra la luminosità dell’essere, oggi fortemente<br />

messa in discussione, e la luce della moral insight.<br />

Che cosa succede poi se termini già di per sé così complessi e problematici<br />

vengono impiegati per individuare anche una common morality?<br />

Nozione quest’altra non solo problematica, ma addirittura<br />

equivoca, benché urgente nell’era globale in cui viviamo, caratterizzata<br />

dal rischio, divenuto formidabile, della Abolition of Man cui faceva<br />

riferimento Lewis 2 .<br />

Si devono registrare in proposito dei dati imponenti.<br />

La tecnoscienza, per definire in termini sbrigativi il connubio strabiliante<br />

di scienze (soprattutto biologiche) e tecnologie, applicando<br />

la teoria della micro-evoluzione, tende a sostituire al concetto di natura<br />

umana il concetto di un bios che si darebbe, senza soluzione di<br />

continuità, a partire dai primissimi organismi monocellulari fino alla<br />

comparsa dell’homo sapiens sapiens.<br />

Le teorie cosmologiche più recenti vedono nella possibilità di risalire<br />

all’origine dell’universo, quasi all’attimo successivo al big bang,<br />

il segno di una inedita capacità conoscitiva in grado di modificare il<br />

ritmo stesso dell’evoluzione, anzi di affidarne ormai l’indirizzo all’iniziativa<br />

dell’uomo. Così che la stessa nozione di creazione – per<br />

giunta ormai considerata dai più come mitologica – non servirebbe a<br />

contenere gli eccessi della dottrina neo-evoluzionista legata al caso,<br />

dal momento che le nostre conoscenze scientifiche hanno ormai ricondotto<br />

la stessa cosmologia ad una espressione della storia umana.<br />

Si tratta ormai di parlare in termini di una “bioconvergenza” come<br />

nuova alleanza fra intelligenza artificiale e biologia, che potrebbe<br />

consentirci di andare “oltre la specie”, entrando in una sfera in cui la<br />

“natura” sarà totalmente assorbita nel “culturale” 3 .<br />

In questa prospettiva molti oggi sostengono che, lungo tutto l’arco<br />

della storia che ci precede, morale e diritto altro non sono stati che<br />

2 Cfr. C. S. LEWIS, L’abolizione dell’uomo, Jaca Book, Milano 1979.<br />

3 Cfr. A. SCHIAVONE, Storia e destino, Einaudi, Torino 2007, 56-77.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 415<br />

la “naturalizzazione ideologica” di modelli storicamente determinati<br />

e contingenti. Ogni “ordine della natura” cui affidare “certezze universali”,<br />

una volta divenuto palese il meccanismo storico culturale<br />

che sta alla base della sua formazione, è sempre, rispetto ai suoi contenuti,<br />

un ordine provvisorio: sia che si tratti di ammassi galattici, di<br />

forme di vita, o di quella che si è usi chiamare “natura umana” come<br />

base istintuale e razionale del nostro cammino culturale, l’unica differenza<br />

è solo di misura nella durata. La natura non va più considerata<br />

vincolo e barriera e perciò non è più norma, tanto meno morale<br />

e morale sacrale.<br />

Per i sostenitori di queste tesi non consegue che l’era globale non<br />

abbia bisogno di etica. Al contrario essa è ancor più necessaria della<br />

politica. A condizione, però, che sia un’etica della trasformazione e<br />

dell’emancipazione. Nessun assetto naturale, biologico, sociale può<br />

essere proposto come indisponibile ed immodificabile all’agire individuale<br />

e collettivo. Solo un’etica senza parametri immodificabili<br />

può essere l’etica proporzionata all’era in cui l’uomo non è più pensato<br />

secondo la vetusta categoria di soggetto spirituale e di persona,<br />

ma – a dire dal filosofo tedesco Jongen – solo come il suo proprio<br />

esperimento 4 .<br />

Su queste basi si può ancora parlare di una comune moralità e di<br />

una luce della moral “insight”, per sua natura universale e propria di<br />

ogni uomo in quanto uomo (natura)? Come si può identificare, sia in<br />

chiave negativa sia in chiave positiva, il contenuto della tradizionale<br />

Regola d’oro, a cui pure si continua, di fatto e di diritto, a fare riferimento<br />

nella pratica odierna della vita comune?<br />

Certe affermazioni del magistero sulla legge naturale – sono celebri<br />

quelle di Veritatis splendor e Deus caritas est 5 – oggi largamente<br />

ignorate o criticate, possono essere obiettivamente giustificate e<br />

quindi ancora proposte?<br />

4 Cfr. M. JONGEN, „Der Mensch ist sein eigenes Experiment”, in Feuilleton.<br />

Die Zeit 9 agosto 2001.<br />

5 Cfr. Veritatis splendor 4, 12, 40, 42-44, <strong>46</strong>-48, 50-53, 57, 59-60, 67, 71, 74,<br />

79; Deus caritas est, 28, 31.


416 ANGELO SCOLA<br />

A questa visione delle cose, che pare attraversata da un eccesso di<br />

acritico ottimismo (quella contemporanea sembra per davvero una<br />

“gaia scienza”), si può opporre – secondo l’affermazione cara a Lewis<br />

– un’attitudine di rispetto e di gratitudine per ciò che c’è stato donato 6 ,<br />

propria di ogni uomo nei confronti di quell’eredità di saggezza pratica<br />

che tutte le tradizioni e le culture hanno assicurato, in tutte le<br />

parti del globo, alla grande catena delle generazioni. È la prospettiva<br />

richiamata da Benedetto XVI nel discorso per l’Università La Sapienza<br />

di Roma dove ha ricordato – in dialogo con J. Rawls – la rilevanza<br />

etica pubblica delle dottrine «che derivano da una tradizione responsabile<br />

e motivata [...] nel corso di lunghi tempi», espressione del «fondo<br />

storico dell’umana sapienza» 7 . Tesi già formulata dallo stesso Benedetto<br />

XVI in Deus caritas est 8 , secondo cui l’esistenza è illuminata, a<br />

livello storico e culturale, da un patrimonio normativo comune “naturale”,<br />

suscettibile di essere posto a fondamento di una concezione<br />

non deduttivistica della legge naturale, sia essa di stampo cosmologico,<br />

biologico o razionalistico.<br />

Tuttavia, se proposta come interpretazione esauriente della luce<br />

della moral insight, questa “attitudine” universale regge alla critica di<br />

essere niente più che un’interpolazione ideologica di taluni dati culturali<br />

che, esaminati da vicino, si presentano come transitori ed anche<br />

contraddittori e, quindi, irriducibili ad una dottrina coerente ed<br />

accreditata?<br />

La ricerca di una common morality, basata sulla luce della moral insight,<br />

deve senz’altro tener conto dell’argomentazione di Lewis, ma<br />

non può esimersi tuttavia dal riproporre il problema di una legge<br />

“naturale”, sollevato sempre di nuovo dall’esigenza metaempirica ed<br />

universale dell’etica. Proprio in forza degli accennati cambiamenti in<br />

atto nell’era globale, è ragionevole un tentativo che parta dal riconoscimento<br />

che qualcosa accomuna gli uomini di qualsiasi razza, popo-<br />

6 Cfr. C. S. LEWIS, L’abolizione dell’uomo, 33-56, in particolare 54-55.<br />

7 BENEDETTO XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università degli Studi “La<br />

Sapienza”, Roma 17 gennaio <strong>2008</strong>.<br />

8 Cfr. Deus caritas est, 28.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 417<br />

lo e lingua, per giungere, se possibile, fino a identificare il qualcosa<br />

comune e il tipo di conoscenza che gli appartiene, senza abdicare all’interrogativo<br />

per quanto impervio circa la natura dell’uomo.<br />

A questo scopo intendiamo procedere nel modo seguente.<br />

In un primo momento ci interrogheremo circa l’esistenza e la natura<br />

dell’esperienza morale elementare che consente di cogliere univocamente<br />

la luce della moral insight come capace di generare una<br />

common morality oggettiva, rispettosa della libertà, della storia e delle<br />

culture. In un secondo momento mostreremo come l’universale concreto<br />

cristiano, l’evento di Gesù Cristo, in ragione della sua stessa<br />

universale forza salvifica, mostri la vera natura del moral insight e favorisca<br />

una common morality.<br />

Infine, accenneremo a come in una società plurale, che si costruisce<br />

per procedure pattuite, sia da intendere il riferimento ad una simile<br />

moralità comune.<br />

2. L’esperienza morale elementare<br />

Due importanti correnti in ambito di filosofia morale – la New<br />

classic Theory (Grisez, Finnis, Boyle, May, ecc.) e il personalismo<br />

(Krempel, Reuss, Janssens, Häring, Böckle, Fuchs, Angelini: figure<br />

assai diverse per epoca ed impostazione teorica) – concordano nell’affermare<br />

che per cogliere l’autentica natura della morale si debba<br />

partire dalla esperienza elementare del bene che ogni uomo compie.<br />

Troviamo una traccia suggestiva di tale livello di esperienza in una<br />

pagina di von Balthasar. Il teologo, riflettendo sul carattere del gioco<br />

del bambino 9 , osserva che in esso si manifesta in modo paradigmatico<br />

l’esperienza dell’“essere liberamente accolto” nella vita. Nel gioco il<br />

bimbo dilata come fiducia verso il mondo il sorriso ricevuto della madre,<br />

che costituisce per lui la relazione che lo custodisce e lo rende<br />

capace di esperienza.<br />

9 Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Gloria V. Nello spazio della metafisica. L’età moderna,<br />

Jaca Book, Milano 1978, 549-550.


418 ANGELO SCOLA<br />

In che senso questa considerazione del grande teologo basilese<br />

può essere una via d’accesso per rispondere all’interrogativo cruciale:<br />

esiste in ogni uomo una esperienza morale elementare?<br />

Riflettiamo ancora un istante sull’esperienza ludica. Il gioco svela<br />

il desiderio del bambino (la parola desiderio è qui da prendere in tutta<br />

la sua forza ontologica che non può in alcun modo essere ridotta alla<br />

pura somma dei desideri soggettivi) che il mondo sia per lui accogliente,<br />

armonioso, ricco di possibilità da scoprire e da utilizzare, ecc.;<br />

ma, insieme, svela che tale desiderio è sorretto da un riconoscimento<br />

che lo attiva, lo rassicura, lo sostiene. È in forza del riconoscimento<br />

ricevuto che il bambino intrattiene rapporti di fiducia con il mondo e<br />

gli altri soggetti, che il bambino è reso capace di rapporti positivi e<br />

stabili, di rapporti di comunione con gli altri e con la realtà tutta.<br />

Emerge così dal gioco del bambino una struttura dell’esperienza<br />

articolata sulla connessione di desiderio-riconoscimento-comunione.<br />

Riflettendo su questa triade è possibile pensare che il gioco infantile<br />

individui un archetipo della figura morale originaria. Se, infatti,<br />

guardiamo all’esperienza morale del soggetto ci rendiamo conto che<br />

essa si radica proprio in un desiderio di compimento di sé che prende<br />

forma nelle inclinazioni e negli affetti originari, a partire dalle relazioni<br />

primarie di riconoscimento, in cui, circolarmente, il desiderio<br />

prende coscienza pratica di se stesso e diventa capace di comunione<br />

con il mondo. È ragionevole pensare che sia attraverso queste relazioni<br />

condivise di riconoscimento che si attiva il senso dell’imperativo<br />

morale e il nucleo normativo della Regola d’oro 10 .<br />

Può essere utile a questo punto rivolgere la nostra attenzione ad<br />

una pagina del santo Vangelo significativa anche ad una pura lettura<br />

filosofica, come vogliamo fare qui. Mi riferisco alla pagina del dialogo<br />

tra il giovane ricco e Gesù (Mt 9, 16-22) che tanto peso ha in<br />

Veritatis splendor 11 . Vi possiamo trovare conferma della scansione<br />

10 In proposito cfr. C. VIGNA, Universalità umana, riconoscimento, reciprocità,<br />

in F. BOTTURI – F. TOTARO (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Annuario<br />

di etica/3, Vita e Pensiero, Milano 2006, 3-22.<br />

11 Cfr. Veritatis splendor, 6-27.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 419<br />

triadica dell’esperienza morale elementare: desiderio-riconoscimentocomunione.<br />

Il giovane ricco si avvicina a Gesù con la domanda: «Maestro, che<br />

cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», alla quale Gesù risponde:<br />

«Perché mi interroghi su ciò che è buono?. È interessante notare<br />

la modalità sorprendente con cui si muove Gesù. Egli incomincia<br />

spostando la questione: «Uno solo è buono», il bene è una persona. Poi<br />

risponde in recto alla domanda: ci sono già delle regole perché ci si<br />

possa comportare bene. Ma la domanda intorno al “buono” ha segnalato<br />

una diversa profondità dell’esigenza dell’interlocutore: la pura<br />

osservanza delle regole non basta a colmare la promessa che il desiderio<br />

di compimento suscita. «Ho sempre osservato tutte queste cose; che<br />

mi manca ancora?». Gesù ritorna allora all’affermazione iniziale: il<br />

centro della questione non è l’osservanza di regole, ma il compimento<br />

del desiderio di bene che rende sensibili ad esse; il problema è la<br />

perfezione della vita: «Se vuoi essere perfetto» devi volgerti alla sorgente<br />

del bene, all’Uno che soltanto è buono. Se capisci questo, allora<br />

da’ tutto ai poveri e... «vieni e seguimi».<br />

Accogliendone la domanda, Gesù invita il giovane ricco a riscoprire<br />

il nesso tra il bene e la relazione. Il desiderio di compimento si<br />

realizza in questo riconoscimento che apre ad una vita comune, condivisa:<br />

è questa la forma originaria dell’esperienza del bene e la verità<br />

antropologica della moralità 12 . I comandamenti sono la via al bene,<br />

ma il principio della moralità è il bene stesso. E questo sta primariamente<br />

in una relazione. Del bene si deve fare esperienza perché<br />

il desiderio di bene trovi la via della piena attuazione. Gesù chiede<br />

al giovane ricco di prendere sul serio quella relazione umana costitutiva<br />

che dovrebbe in sé apparire evidente e che si trova nella<br />

grande tradizione, soprattutto profetica: «da’ ai poveri». Ma poi domanda<br />

un’altra più impegnativa relazione: «una volta che hai dato tutto<br />

vieni e seguimi».<br />

12 Cfr. F. BOTTURI, Esperienza del bene e dinamismo della ragion pratica, in<br />

AA.VV., Camminare nella luce. Prospettiva della teologia morale a partire da “Veritatis<br />

Splendor”, a cura di L. Melina – J. Noriega, Lateran University Press, Roma<br />

2004, 225-238.


420 ANGELO SCOLA<br />

In questa proposta è contenuta una “pretesa” singolare. La forma<br />

originaria da cui l’uomo apprende ad attuare il bene è nella relazione<br />

con l’origine del bene, mentre la domanda circa le cose buone da fare trova<br />

come risposta l’invito ad intrattenere relazioni buone. L’esperienza<br />

elementare del bene e della moralità consiste dunque nel beneficio<br />

primario della relazione. L’esperienza morale concreta non si origina<br />

da un’idea del bene che sia contenuta nel cosmo o nel bios, né si deduce<br />

dalla natura razionale dell’uomo (cosa che peraltro l’interlocutore<br />

di Gesù aveva intuito quando – nella versione dell’episodio secondo<br />

Mc 10, 17 e Lc 18, 18 – chiama “buono” il maestro).<br />

Ritorniamo così alla terna balthasariana della necessità della relazione<br />

di riconoscimento affinché il desiderio che urge verso una comunione<br />

divenga fondamento di moralità.<br />

Conviene notare che questo punto di partenza epistemologico circa<br />

l’identificazione dell’esperienza morale elementare è diffuso in<br />

tutta la tradizione occidentale premoderna e non solo. Si tratta dell’idea<br />

secondo cui l’esperienza morale non nasce dal confronto solitario<br />

di un singolo con un codice di norme, ma all’interno di tradizioni<br />

etiche condivise e nel rapporto con chi ne è esemplare rappresentante,<br />

il maestro o il saggio, come colui di cui parla Aristotele,<br />

quale criterio vivente di misura del bene secondo virtù 13 .<br />

L’idea di una scienza morale separata dalle relazioni costitutive e<br />

dalle esperienze primarie del desiderio del riconoscimento e della<br />

comunione, ha preso l’avvio invece nella modernità, preoccupata di<br />

far fronte alle sue nuove condizioni religiose, culturali e politiche. Si<br />

trattava di affrontare il problema del valore morale e del sapere morale<br />

in un contesto inedito di società plurale e di pluralismo assiologico.<br />

Ma la risposta della modernità si è incentrata su una nuova<br />

concezione del soggetto umano come individuo centripeto e separato,<br />

che ha prodotto anche una problematica separazione del sapere<br />

morale dal suo luogo genetico, l’esperienza delle relazioni significative,<br />

di cui il soggetto ha bisogno per giungere in maniera adeguata<br />

alla coscienza della propria identità – come ha iniziato ad insegnare<br />

13 Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea III, 4, 1113a.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 421<br />

Hegel 14 – e per destarsi alla coscienza morale e al suo sapere. L’esperienza<br />

noetico-pratica della triade desiderio-riconoscimento-comunione<br />

in quanto esperienza primaria, incomincia così a decifrare<br />

lo spettro complesso della luce della moral insight, come senso morale<br />

elementare della persona che si fonda sulla storia personale di ogni<br />

soggetto e che attraversa diacronicamente e sincronicamente ogni<br />

cultura. Pensiero che incrocia l’affermazione di Lewis sull’attitudine<br />

di rispetto e gratitudine per ciò che ci è stato donato dalle tradizioni<br />

familiari e culturali delle generazioni che ci hanno preceduto, apportandovi<br />

più solidi argomenti. Anzitutto perché, riferendo questo atteggiamento<br />

di gratitudine al quadro interpersonale dei benefici delle<br />

relazioni primarie, gli offre dignità speculativa oggettiva. In secondo<br />

luogo, perché fa meglio comprendere la radice antropologica delle<br />

insostituibili mediazioni storiche e culturali di cui sono portatrici<br />

le svariate tradizioni religioso-morali.<br />

Dobbiamo ora chiederci: come più precisamente l’esperienza elementare<br />

ed originaria ha la valenza morale di una legge di carattere<br />

universale?<br />

Penso che l’esperienza fondamentale del bene sia la condizione<br />

psicologica ed epistemologica dell’esperienza morale, della percezione<br />

cioè di un legame deontico (ob-ligazione) con le possibilità del bene<br />

stesso, la percezione della loro non opzionalità ed ipoteticità, bensì<br />

della loro doverosità come opera della libertà. Stiamo parlando del<br />

passaggio dal potere del desiderio al dovere di quello che si può operare<br />

secondo la comunione del bene. Nei termini della tradizione etica<br />

questo significa passare dal regime dell’esperienza del bene che già<br />

è a quello della “legge” del bene che ha da-essere. Come può essere<br />

pensato questo passaggio?<br />

Una strada che personalmente reputo proficua per elaborare il<br />

passaggio dall’esperienza del bene alla legge morale è una ri-lettura<br />

(che dovrebbe dare l’avvio ad una ri-scrittura) dell’interpretazione<br />

14 Cfr. F. BOTTURI, Il bene della relazione e i beni della persona, in AA.VV., Il bene<br />

e la persona nell’agire, a cura di L. MELINA – J. J. PÉREZ-SOBA, Lateran University<br />

Press, Roma 2002, 161-184.


422 ANGELO SCOLA<br />

tomana della legge naturale, che tenga conto delle riserve formulate<br />

sia dalla visione neo-classica, sia da quella personalista, ivi compresa<br />

la variante fenomenologica 15 .<br />

Una simile rilettura, che in questa sede possiamo solo suggerire,<br />

dovrebbe estrarre dai tre schemi teorici impiegati da Tommaso per<br />

parlare di legge naturale (synderesis, disposizione degli appetiti verso<br />

l’oggetto conveniente, regole di tutte le cose create), la dottrina delle<br />

inclinazioni intese come spontanei orientamenti antropologici,<br />

sensibili e razionali, a beni convenienti.<br />

Sono note le critiche alla concezione tomana delle inclinazioni e<br />

più ancora della connaturalità come base per l’elaborazione della legge<br />

naturale. La critica neo-classica propone di sostituire alla teoria<br />

delle inclinazioni l’articolata dottrina intuizionistica dei basic goods,<br />

che si sviluppa a partire dai basic motives dell’atto umano che appartengono<br />

allo spontaneous willing. Il pregio di questa teoria è la rinuncia<br />

ad una concezione deduttiva della conoscenza pratica in genere e<br />

di quella morale in specie per individuare nella conoscenza pratica<br />

immediata i basic goods capaci di orientare al compimento della persona.<br />

Tali conoscenze, infatti, portano in sé l’indicazione della “fioritura”<br />

possibile dell’essere umano, così che il loro valore antropologico<br />

ed etico non ha bisogno di fondazione in una dottrina della natura<br />

umana. Si tratta di un bene che riconosciuto come tale non può<br />

non essere voluto.<br />

A sua volta, la critica personalista alla teoria tomana delle inclinazioni,<br />

soprattutto nella sua formulazione fenomenologica che ci sembra<br />

la più rigorosa, sostiene che le inclinazioni per avere rilievo antropologico<br />

richiedono la mediazione dell’agire libero nelle forme<br />

storiche della lingua, del costume e della cultura. Questo apre uno<br />

spazio alle inclinazioni, ma solo come annuncio del bene sintetico<br />

dell’uomo. Al contrario, nella sua idea originaria la teoria tomana<br />

delle inclinazioni manterrebbe un’interpretazione naturalistica del-<br />

15 Cfr. G. ANGELINI, La legge naturale e il ripensamento dell’antropologia, in ID.<br />

(a cura di), La legge naturale. I principi dell’umano e la molteplicità delle culture,<br />

Glossa, Milano 2007, 187-215.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 423<br />

l’esperienza che evacuerebbe il dramma della libertà e della storia e<br />

darebbe troppa fiducia a un criterio normativo universalistico, che in<br />

realtà risulta essere del tutto formale.<br />

Ritengo possibile una lettura della dottrina delle inclinazioni che<br />

ne eviti una giustificazione deduttivistica ed essenzialistica, come richiesto<br />

dai “neoclassici” e che tenga conto dell’esperienza elementare<br />

soggettiva e storica, come richiesto dai “personalisti”, senza sacrificare<br />

il riferimento al fondamento antropologico della “natura umana”<br />

e senza svuotare le inclinazioni del loro contenuto specifico e<br />

normativo.<br />

Credo che sia fondamentale a questo proposito quanto Tommaso<br />

dice a riguardo della conoscenza per connnaturalità, essendo questa la<br />

mediazione attraverso cui la datità naturale dell’inclinazione assume<br />

il suo primo significato antropologico. In realtà Tommaso già nello<br />

Scriptum super Sententiis, come ho mostrato nel mio lavoro di dottorato<br />

16 , presenta il tema delle inclinazioni connesso a quello della conoscenza<br />

per inclinazione o per quandam connaturalitem 17 . Tema che<br />

non riguarda soltanto la legge ma che, come ha dimostrato Maritain,<br />

ha a che fare con diversi gradi del sapere (innanzitutto, quelli teologico<br />

spirituale, morale ed estetico) 18 . Solo rielaborando questo nesso<br />

prezioso si può riannodare la tesi tomana sulla legge naturale all’esperienza<br />

elementare di cui ci siamo occupati.<br />

Anzitutto bisogna riconoscere che la tesi di Tommaso sulle inclinazioni<br />

prende in considerazione l’intera gamma delle tendenze, non<br />

solo gli appetiti sensitivi ma anche quelli razionali. Sarebbe una grave<br />

svista imputare a Tommaso la incapacità di legare gli appetiti sensitivi<br />

all’espressione razionale della legge morale. Quando Tommaso parla<br />

delle inclinazioni in generale e nell’ambito specifico della legge na-<br />

16 Cfr. A. SCOLA, La fondazione teologica della legge naturale nello Scriptum super<br />

Sententiis di San Tommaso d’Aquino, <strong>Studia</strong> Friburgense 60, Universitätsverlag,<br />

Freiburg 1982.<br />

17 Cfr. I. BIFFI, Teologia, storia e contemplazione in Tommaso d’Aquino, Jaca<br />

Book, Milano 1995, 87-127; M. D’AVENIA, La conoscenza per connaturalità in S.<br />

Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992.<br />

18 Cfr. J. MARITAIN, Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Paris 1932 6 .


424 ANGELO SCOLA<br />

turale, non le riduce mai all’appetito sensibile, concupiscibile ed irascibile,<br />

come è documentato dal fatto che fanno parte di esse anche le<br />

inclinazioni razionali alla vita sociale, alla ricerca della verità, alla domanda<br />

sul senso ultimo e su Dio 19 . Per questo la riflessione dell’Aquinate<br />

sulle inclinazioni può condurre a considerare un’amplissima<br />

gamma di esperienze e di tendenze spontanee di tipo vitale, sessuale,<br />

affettivo, relazionale, educativo, sociale, intellettuale, ecc., in cui il riconoscimento<br />

tra uomini e la sua intrinseca promessa di bene svolge<br />

un ruolo rilevante. Nel suo volume sulle fonti della teologia morale 20 ,<br />

S. Pinckaers ha colto questa interessante implicazione, commentando<br />

l’affermazione della Summa secondo cui la ragione apprende come<br />

buone le cose verso le quali ha una naturale inclinazione 21 .<br />

Considerata nel suo insieme, la dottrina di Tommaso sulle inclinazioni<br />

mi pare possa suggerire due importanti piste di riflessione,<br />

suscettibili di molti svolgimenti.<br />

Innanzitutto va ricordato che nell’ottica dell’Aquinate la coscienza<br />

morale si mostra – come sappiamo – ben radicata nell’esperienza<br />

elementare di bene. Ciò significa che l’apprendimento morale non<br />

avviene come generica coscienza, ma attraverso un procedimento conoscitivo<br />

in cui è in gioco la dimensione appetitiva. Tommaso la chiama<br />

appunto “conoscenza per connaturalità” o“per inclinazione”, figura gnoseologica<br />

del sapere che, pur essendo giudicativo, non procede però<br />

per argomentazione, ma su base affettiva, e che, pur essendo conoscenza<br />

esperienziale, sta in rapporto circolare con il sapere «per modum<br />

cognitionis» 22 .<br />

Si può superare così sia una visione essenzialista, sia una visione relativista<br />

della legge morale. La teoria delle inclinazioni, adeguatamente<br />

articolata col tema della conoscenza per inclinazione, non è essenzialista,<br />

perché riconosce che non esiste né una intuizione razio-<br />

19 In proposito cfr.: Summa Theologiae I a -II ae q. 94 a. 2; Summa Contra Gentiles<br />

III, 24, n. 2052.<br />

20 S. PINCKAERS, Les sources de la morale chrétienne. Sa méthode, son contenu, son<br />

histoire, Editions Universitaires – Cerf, Fribourg-Paris 1985, 400-456.<br />

21 Cfr. Summa Theologiae I a -II ae q. 94 a. 2.<br />

22 Cfr. BIFFI, Teologia, storia e contemplazione, 120-127.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 425<br />

nale della legge morale‚ né una deduzione concettuale di essa a partire<br />

da una conoscenza teoretica della natura umana o da una qualche<br />

altra analisi antropologica. D’altra parte non è relativista, perché le<br />

inclinazioni non sono a totale disposizione del sentire soggettivo, anche<br />

se non giungono a coscienza senza intrecciarsi con questo sentire,<br />

e non derivano dalle condizioni storico-culturali del vivere, anche<br />

se non si danno mai senza una certa qualificazione culturale.<br />

Un secondo aspetto importante della dottrina di Tommaso consiste<br />

nel mostrare come un’adeguata nozione di inclinazione e di conoscenza<br />

per inclinazione sia espressiva di una ontologia dinamica 23 ,<br />

in grado di fare spazio al dinamismo della libertà e al suo dramma.<br />

Tesi che esige un duplice ordine di considerazioni.<br />

Innazitutto bisogna sottolineare l’importanza di una concezione<br />

ontologica e dinamica della “natura”. L’idea di inclinatio, infatti, significa<br />

la tendenza che ogni essente, in dipendenza dalla sua “forma”<br />

o natura/struttura, possiede in direzione del bene perfettivo confacente:<br />

tutto ciò che esiste è strutturalmente orientato a ciò che lo realizza.<br />

L’inclinazione è perciò rivelativa della “natura” dell’essente,<br />

cercando ciascuno il bene che gli è connaturale. E, correlativamente,<br />

l’inclinazione rilevante per definire l’esperienza elementare ed il suo<br />

significato morale non può essere se non quella che è raccordabile alla<br />

struttura ontologica dell’agente. Così che non qualunque sentire<br />

attrattivo a livello psicologico può valere come definitorio di esperienza<br />

e di valore morale, perché a questo livello l’inclinazione può<br />

essere rivolta ad ogni sorta di cose ed è sottoposta ad una forte variabilità<br />

soggettiva sincronica e diacronica. Per questo vi è, alla base della<br />

dottrina, una diretta corrispondenza dei diversi livelli di inclinazione<br />

che l’uomo sperimenta e dei livelli ontologici cui egli partecipa<br />

come essente, vivente e razionale.<br />

In secondo luogo, è rilevante il fatto che la dimensione ontologica<br />

dell’inclinazione, appaia solo alla ragione, alla quale è affidato perciò<br />

il compito di leggere l’esperienza morale elementare per coglierne<br />

il significato ontologico entro il circolo di conoscenza per modum<br />

23 Cfr. A. SCOLA, La fondazione teologica, 259-262.


426 ANGELO SCOLA<br />

inclinationis (per quandam connaturalitatem) e per modum cognitionis 24 .<br />

Ma ciò non significa solo che la ragione stessa, avvertita della sua<br />

condizione storica di esercizio, deve stabilire continuamente una circolarità<br />

ermeneutica virtuosa tra esperienza e legge, ma anche che in<br />

tal modo il dinamismo spontaneo delle inclinazioni viene affidato alla<br />

ragione, che ne è l’esclusiva interprete e, quindi – in quanto radix<br />

totius libertatis –, è la condizione della loro libera esecuzione da parte<br />

della volontà. In quanto lette dalla ragione e ad essa affidate, insomma,<br />

le inclinazioni non sono meccanismi deterministici, ma solo orientamenti<br />

che sollecitano e mettono in gioco la libertà e così circostanziano<br />

l’esperienza morale e la rendono possibile.<br />

Compete, dunque, esclusivamente alla ragione integralmente intesa<br />

compiere questo lavoro interpretativo di discernimento del senso<br />

dell’esperienza, di definizione delle inclinazioni umane fondamentali<br />

e quindi di statuizione del loro significato morale vincolante,<br />

tocca cioè alla ragione operare il passaggio dal desiderio-riconoscimento<br />

al comandamento. Cosa – si osservi – che non comporta assolutamente<br />

l’eliminazione del senso storico dell’esperienza e della formulazione<br />

della legge morale, poiché il gioco di esperienza, conoscenza<br />

esperienziale e conoscenza argomentativa salvaguarda insieme<br />

il valore esistenziale e il valore razionale della conoscenza morale e<br />

con essi il discernimento metastorico del valore morale e la dimensione<br />

storica dell’esperienza morale e del suo giudizio.<br />

Giunti a questo punto sarebbe necessario lavorare ulteriormente<br />

sui delicati passaggi dall’esperienza originale del bene al riconoscimento<br />

razionale del bene morale come sua promulgazione e come<br />

fondazione razionale della legge. La storia delle interpretazioni della<br />

dottrina tomista in proposito costituisce un grande patrimonio teorico<br />

ed offre una gamma assai vasta di soluzioni.<br />

A noi è sufficiente aver chiarito che la dottrina delle inclinazioni e<br />

la loro conoscenza per connaturalità permettono di pensare l’artico-<br />

24 Si deve notare di passaggio che la conclamata critica alla connaturalità non<br />

vede che per Tommaso in definitiva questa nozione si connette all’amor naturalis<br />

che nel suo livello sostanziale antropologico coincide con il desiderio.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 427<br />

lazione dell’esperienza del bene e insieme la sua vocazione morale,<br />

evitando sia il rischio dei neo-classici di cosificare attraverso i basic<br />

goods la legge naturale, sia quello di ridurre l’esperienza originaria del<br />

bene ad un’indeterminatezza tale che finisca per privare la stessa legge<br />

naturale di ogni riferimento contenutistico.<br />

Di conseguenza, il modello di riferimento su cui lavorare ci sembra<br />

essere – in estrema sintesi – quello che afferma, da una parte, che<br />

l’esperienza morale non inizia con il comandamento, ma dall’interno<br />

di una ricca e complessa esperienza elementare del bene come articolata<br />

unità di desiderio, riconoscimento e comunione; dall’altra, che esclusivamente<br />

alla ragione compete compiere il lavoro interpretativo di discernimento<br />

del senso dell’esperienza, di definizione dei beni umani<br />

fondamentali e quindi di statuizione del loro significato morale; per<br />

cui la legge morale è in definitiva formulazione dei beni fondamentali affidati<br />

all’impegno della libertà.<br />

3. Cristianesimo e common morality<br />

Il cristianesimo, non come pura religione, ma considerato nella sua<br />

vera natura di evento universale concreto svela una universalità etica<br />

che include quella della legge morale e nello stesso tempo la trascende,<br />

come risulta chiaro dal già citato episodio evangelico del giovane<br />

ricco 25 . Gesù stesso, compimento vivo della legge e Lui stesso legge<br />

vivente e personale, si propone come sintesi dinamica della morale interna<br />

e intrinseca alla Rivelazione. Nei paragrafi 12-15 di Veritatis<br />

splendor questa dinamica è presentata secondo il ritmo della promessa,<br />

del comandamento e dell’amore, che troviamo in corrispondenza con la<br />

triade di desiderio-riconoscimento-comunione, a cui abbiamo fatto<br />

riferimento. Infatti, il comandamento si lega ad una promessa che ne<br />

25 Riprendo qui alcune riflessioni sviluppate in: A. SCOLA, La prospettiva teologica<br />

di Veritatis splendor, in L. MELINA – J. NORIEGA, Camminare nella luce. Prospettive<br />

della teologia morale a partire da Veritatis splendor, Lateran University<br />

Press, Roma 2004, 65-81.


428 ANGELO SCOLA<br />

costituisce la ragion d’essere 26 . Nell’Antico Testamento è la promessa<br />

della terra per un’esistenza in libertà e giustizia, nel Nuovo Testamento<br />

è la promessa del Regno, che segna il passaggio dal regime del<br />

servizio a quello della figliolanza (cfr. Gal 4-5). In comune i due Testamenti<br />

hanno l’idea della promessa del dono della vita vera, che consiste<br />

appunto in una rinnovata relazione (comunione-amore) con Dio<br />

e con gli altri uomini. Questa promessa si rivela esplicitamente e si<br />

compie in Gesù. Per questo non c’è antinomia tra l’evento di Gesù di<br />

Nazareth e la legge morale, mentre si può parlare di Gesù come legge<br />

vivente e personale 27 , che trascende la legge naturale.<br />

Gesù infatti mostra quale sia la partecipazione personale trasformante<br />

alla vita divina e come i comandamenti siano in realtà un cammino<br />

alla perfezione dell’amore. Quindi la morale cristiana consiste<br />

nell’amore a Cristo come motivazione dell’osservanza dei comandamenti.<br />

Nell’assumere come regola morale l’agire di Gesù, la Sua parola,<br />

le Sue azioni, i Suoi precetti, nel seguire Cristo, nell’aderire alla<br />

persona stessa di Cristo, nella comunione con Lui c’è la ragione<br />

adeguata del senso morale dell’esistenza. Cristo quindi è il principio<br />

essenziale ed originale della morale cristiana. Ma, in quanto principio<br />

di morale universale, conserva in sé e dà valore al cammino dell’esperienza<br />

morale umana come tale, di cui la Rivelazione non è<br />

smentita, ma svelamento del contenuto pieno secondo il ritmo di<br />

promessa, comandamento e amore.<br />

Infatti, come l’esperienza morale è radicata nel rapporto originario<br />

al bene, così essa è orientata alla maturità della perfezione umana<br />

(amore) che include la maturità morale e nello stesso tempo la trascende<br />

nella pienezza antropologica dell’amore, cui per sua natura<br />

spalanca il desiderio che non punta solo al retto agire, ma ad una condizione<br />

di felicità integrale.<br />

In sintesi, la relazione alla persona di Cristo, mentre conferma il<br />

valore universale della legge morale razionale, evidenzia che tale uni-<br />

26 Cfr. Veritatis splendor, 12.<br />

27 Cfr. A. SCOLA, Questioni di Antropologia Teologica, Pul-Mursia, Roma 1997 2 ,<br />

103-106.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 429<br />

versalità non è affidata alla dipendenza da una norma universale, ma<br />

è ricompresa entro una relazione personale. In Cristo “legge vivente<br />

e personale”, sono mirabilmente sintetizzate la dimensione universale<br />

e quella personale della vita morale. Senza nulla perdere del suo<br />

valore universale, anzi confermandolo ed approfondendolo, la moralità<br />

acquista nel cristianesimo la consapevolezza che il senso del bene<br />

antropologico e morale ha nella relazione il suo luogo privilegiato di<br />

genesi, di manifestazione e di attuazione. La centralità del rapporto<br />

alla persona umano-divina di Gesù mostra così in modo unico ed<br />

esemplare l’universalità personalistica ovvero il personalismo universalistico<br />

dell’esperienza morale.<br />

4. Common morality e società plurale<br />

Come questa visione di una moral insight che fonda anche un’oggettiva,<br />

universale common morality è compatibile con le odierne democrazie<br />

plurali che vivono di procedure pattuite e non accettano<br />

fondamenti di altra natura?<br />

In accordo con le riflessioni più accreditate sui temi della società<br />

civile plurale e dello Stato – si possono qui citare i nomi di Habermas,<br />

Rawls e Böckenförde – è ormai ampiamente condivisa l’idea che<br />

sia necessario “tradurre” in termini di argomentazione “pubblica” la<br />

visione filosofica della singola tradizione etica o la visione cristiana o<br />

altrimenti religiosa. È cioè indispensabile tradurre i linguaggi dei fondamenti<br />

in termini di assiomi intesi, al modo della logica matematica,<br />

come sistema formale di proprietà che definiscono implicitamente<br />

l’espressione a cui si riferiscono a prescindere dalla loro evidenza.<br />

Su questa base si devono chiamare i soggetti che abitano la società<br />

civile plurale ad un lavoro di dialogo continuo e di inesausta narrazione<br />

in vista di un riconoscimento reciproco, per usare un linguaggio<br />

caro a Ricoeur 28 , così che dal paragone tra loro scaturiscano<br />

28 Cfr. P. RICOEUR, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina Editore, Milano<br />

2005.


430 ANGELO SCOLA<br />

orientamenti e linee di bene comune. Come ha scritto recentemente<br />

Benedetto XVI nel discorso redatto per l’università “La Sapienza”,<br />

l’esperienza stessa della democrazia evidenzia che non sono sufficienti<br />

le “maggioranze numeriche” e i loro rapporti di forza a garantirla<br />

e a conservarla, ma che è necessario – come ha scritto J. Habermas<br />

– che essa si caratterizzi anche come “un processo di argomentazione<br />

sensibile alla verità” 29 .<br />

Una società civile così concepita non ha bisogno di neutralizzare<br />

le religioni e non ha alcuna necessità di accanirsi contro gli assoluti<br />

universali di cui fossero convinti taluni soggetti sociali. Deve esclusivamente<br />

accettare un confronto dialogico paritario, riservando alle<br />

istituzioni statali che promulgano ed interpretano leggi, il compito di<br />

interpretare quale sia l’opinione più vantaggiosa 30 , la tradizione prevalente<br />

o “predominante” – per usare un’espressione impiegata nello<br />

scambio epistolare tra Böckenförde e Ratzinger 31 – che il popolo sovrano,<br />

direttamente o indirettamente attraverso i suoi rappresentanti,<br />

indica essere quella a cui una determinata società civile vuole attenersi.<br />

Ciò non implica una dittatura della maggioranza che stabilisce<br />

la verità, né la negazione dei diritti fondamentali a qualsivoglia minoranza.<br />

Si tratta soltanto di non far coincidere la necessaria laicità<br />

dello Stato con una sua impossibile neutralità 32 .<br />

Riconoscere che una società plurale basata su procedure è per sua<br />

natura conflittuale, esige che le esperienze di tutte le persone e di tutti<br />

i corpi intermedi, delle loro culture, della loro ricerca e della loro<br />

proposta educativa non cessino di testimoniare reciprocamente contenuti<br />

di vita buona. La stessa Carta dei Diritti fondamentali non dovrà<br />

essere concepita come puro catalogo astratto dedotto a sua volta<br />

da un’astratta natura, ma dovrà diventare, con l’aiuto dell’universale<br />

concreto proprio di tutte tradizioni culturali, religioni comprese, il<br />

29 Cfr. BENEDETTO XVI, Allocuzione.<br />

30 Cfr. J. HABERMAS, Quel che il filosofo laico concede a Dio (più di Rawls), in HA-<br />

BERMAS – RATZINGER, 41-63.<br />

31 Cfr. E. W. BÖCKENFÖRDE, “Libertà religiosa e diritto: lo stato secolarizzato<br />

e i suoi valori”, in Il Regno (2007) n. 18, 637ss.<br />

32 Cfr. A. SCOLA, Una nuova laicità, Marsilio, Venezia 2007.


LA LUCE DELLA “MORAL INSIGHT” 431<br />

terreno per quel confronto che può rendere la società civile contemporanea,<br />

in un tempo di grande travaglio e di grandi cambiamenti,<br />

luogo di un’avventura di pace.<br />

Nell’era globale le grandi questioni circa il significato dell’umano<br />

esistere e dell’umano convivere non sono più appannaggio di gruppi<br />

di intellettuali chiusi in aule accademiche, come è stato fino all’insorgere<br />

dell’epoca post-moderna.<br />

“Da dove vengo?”, “dove vado?”, “chi sono?”, “perché vivo?”, “perché<br />

soffro?”, “che cos’è la morte?”, “che cosa c’è dopo la morte?” “chi alla fine<br />

mi assicura amandomi definitivamente?”, queste domande sono presenti,<br />

oggi come non mai, nel dibattito popolare quotidiano ed irrompono<br />

direttamente dai sofisticati laboratori della tecno-scienza. Proprio<br />

perché esposte ad un accanito conflitto d’interpretazione una<br />

common morality è assolutamente necessaria, ed anche possibile. Richiede<br />

che ogni singola persona, i corpi intermedi, le nazioni riscoprano<br />

il valore pratico dell’inevitabile vivere insieme 33 , che non comporta<br />

la neutralizzazione delle “etiche sostantive”, bensì il leale lavoro<br />

di ogni tradizione etica a comprendere e confrontare il senso dell’esperienza<br />

morale alla luce della originaria comune moral insight.<br />

33 Cfr. BOTTURI, Il bene della relazione.


432 ANGELO SCOLA<br />

SUMMARIES<br />

The article shall consider the question of the existence and nature of the elementary<br />

moral experience which allows us unambiguously to receive the light<br />

of moral insight as capable of generating an objective common morality, respectful<br />

of liberty, history, and cultures. Secondly it will go on to show how, by<br />

virtue of its salvific power, the universal concrete element in Christianity, the<br />

event of Jesus Christ, shows the true nature of moral insight and encourages<br />

a common morality. Finally it shall discuss how reference to a common morality<br />

like this is to be understood in a plural society constructed by agreed procedures.<br />

* * *<br />

El artículo afronta la existencia y la naturaleza de la experiencia moral elemental<br />

que permite reconocer en modo unívoco la luz de la moral insight capaz<br />

de generar una common morality objetiva, que respete la libertad, la historia<br />

y las culturas. Sucesivamente se mostrará como el universal concreto<br />

cristiano, el evento de Jesucristo, precisamente en virtud de su fuerza salvífica<br />

universal, muestra la verdadera naturaleza de la moral insight y favorezca<br />

una common morality. Por último el artículo afronta como en una sociedad<br />

plural, basada en procedimientos frutos del consenso, pueda existir una referencia<br />

a dicha moral común.<br />

* * *<br />

L’articolo si interroga circa l’esistenza e la natura dell’esperienza morale elementare<br />

che consente di cogliere univocamente la luce della moral insight come<br />

capace di generare una common morality oggettiva, rispettosa della libertà,<br />

della storia e delle culture. In un secondo momento mostra come l’universale<br />

concreto cristiano, l’evento di Gesù Cristo, in ragione della sua stessa<br />

universale forza salvifica, mostri la vera natura del moral insight e favorisca una<br />

common morality. Infine, accenna a come in una società plurale, che si costruisce<br />

per procedure pattuite, sia da intendere il riferimento ad una simile<br />

moralità comune.


CONTEMPLATING THE LIFE<br />

AND MINISTRY OF CHRIST<br />

Emerging Guidelines for Christian Living<br />

Dennis J. Billy, C.Ss.R.*<br />

Jesus does not fit into any category. Neither ancient nor modern, nor<br />

Old Testament categories are adequate to understand him. He is<br />

unique. He is and remains a mystery. He himself does little to illuminate<br />

this mystery. He is not interested in himself at all. He is interested<br />

in only one thing, but interested in it totally: God’s coming<br />

rule in love. He is interested in God and human beings, in God’s history<br />

with human beings. That is his mission. We get closer to the<br />

mystery of his person only when we look into that mission. The theological<br />

perspective is the only one which does not falsify the person<br />

and work of Jesus 1 .<br />

Jesus lived and ministered for the coming of the kingdom. He entered<br />

our world to proclaim the nearness of God’s rule of love and<br />

paid for it with his life. When we think of Jesus’ redemptive action,<br />

it is important for us not to overlook the period between his birth<br />

and paschal mystery. His entire earthly life, both hidden and public,<br />

was part of the total offering of self that began in the Incarnation and<br />

reached its culmination in his death on the cross and glorious resurrection<br />

from the dead.<br />

* The author is an ordinary professor at the Alphonsian Academy. He is presently<br />

serving as professor, scholar-in-residence, and holder of The John Cardinal Król Chair<br />

of Moral Theology at St. Charles Borromeo Seminary in Philadelphia, Pennsylvania.<br />

El autor es Profesor Ordinario en la Academia Alfonsiana. Al presente se desempeña<br />

como titular de la Cátedra de Teología Moral en el Seminario de S. Carlos Borromeo<br />

en Filadelfia (Pensilvania).<br />

1 WALTER KASPER, Jesus the Christ, trans. V. Green (London/New York:<br />

Burns & Oates/Paulist Press, 1976), 70.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 433-453


434 DENNIS J. BILLY<br />

In this essay, we will seek “to contemplate the face of Christ,” to<br />

use a phrase of the late Pope John Paul II 2 , by pondering what the<br />

narrative of Jesus’ life and ministry – as told for centuries, popularly<br />

received, and ingrained in the Christian imagination – reveals about<br />

his purpose and self-identity. In doing so, we hope to gain a better<br />

theological understanding of what he sought to accomplish for us<br />

and why he gave up everything to see it through. This narrative tells<br />

us that Jesus’ life was defined by his mission and reveals to us the true<br />

meaning of discipleship. It reminds us that to walk in his way means<br />

to live in eager anticipation for the coming of the kingdom. This<br />

kingdom is still to come, yet also reflected in our midst 3 .<br />

Jesus’ Divine Sonship<br />

There have been many attempts over the years to ascertain Jesus’<br />

true identity. Volumes have been written on the quest for the historical<br />

Jesus and the relationship between the Jesus of history and the<br />

Christ of faith. These attempts have employed different methods and<br />

achieved varying degrees of success. While many can point to genuine<br />

insights about his calling, identity, and mission, none can claim<br />

to have presented a definitive picture of this elusive historical figure.<br />

The person and character of Jesus, moreover, have sometimes been<br />

shaped to fit the categories used to measure him, thus making him<br />

more an anachronistic projection from another time than an authentic<br />

reflection of his own 4 .<br />

2 See JOHN PAUL II, Novo millennio ineunte, nos. 16-28.<br />

3 For a summary of the mysteries of Jesus’ hidden and public lives, see Catechism<br />

of the Catholic Church, nos. 512-70 (Vatican City: Libreria Editrice Vaticana,<br />

1994), 129-<strong>46</strong>. For a more extended treatment, see Jacques Duquesne, Jesus:<br />

An Unconventional Biography (Liguori, MO: Triumph Books, 1997).<br />

4 For a bibliographical survey of the quest for the historical Jesus, see RAY-<br />

MOND E. BROWN, As Introduction to the New Testament (New York: Doubleday,<br />

1997), 817-30. For changing perceptions of Jesus through history, see Jaroslav<br />

Pelikan, Jesus through the Centuries (New Haven/London: Yale University Press,<br />

1985).


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 435<br />

Through all these years of historical critical speculation, the<br />

Church has held steadfast to its conviction about the fundamental<br />

continuity between the Divine Logos, the historical Jesus, and the<br />

Risen Lord. It bases this claim not on scholarly biblical criticism,<br />

which it values as only one of several helpful tools for the study of<br />

God’s Word, but on its understanding of Divine Revelation as flowing<br />

from Scripture and Tradition and safeguarded by the ongoing interpretation<br />

of the Church’s Magisterium 5 . When seen in this light,<br />

Divine Sonship becomes the unifying thread and source of personal<br />

identity of Jesus the Christ. As the Creed itself asserts: “We believe...in<br />

one Lord Jesus Christ, the only Son of God, eternally begotten<br />

of the Father” 6 .<br />

According to Catholic belief, there is one and only one Son of<br />

God, who became man, suffered and died for our sins, rose from the<br />

dead in a transformed, glorified state, and ascended into heaven to sit<br />

at the Father’s right hand. A genuinely Catholic consideration of Jesus’<br />

life and ministry cannot divorce itself from this fundamental<br />

claim about Jesus’ personal identity. Ultimately rooted in the experience<br />

and witness of the apostles and the faith of the early Church,<br />

this assertion affirms that time and eternity, the human and divine,<br />

history and faith, have somehow converged in the person of the historical<br />

figure known as Jesus of Nazareth. As such, it grounds Jesus<br />

in space and time, yet also carries him beyond them. The strictures<br />

of critical historical inquiry cannot verify this assertion, since it is a<br />

5 For the main characteristics of Catholic Scriptural interpretation, see The<br />

Pontifical Biblical Commission, The Interpretation of the Bible in the Church (Vatican<br />

City: Libreria Editrice Vaticana, 1993), 86-127.<br />

6 The First Council of Nicea, Expositio fidei CCCXVIII patrum, in Decrees of<br />

the Ecumenical Councils, English ed., Norman P. Tanner, vol. 1 (London/Washington,<br />

D.C.: Sheed and Ward/Georgetown University Press, 1990), 5. See also<br />

Catechism of the Catholic Church, nos. 430-55, pp. 108-14. For the sources of<br />

revelation and its authentic interpretation, see Dei verbum, no. 10 in Decrees of<br />

the Ecumenical Councils, vol. 2, 975. See also Catechism of the Catholic Church, nos.<br />

74-95, pp. 24-29. For the characteristics of the Catholic interpretation of Scripture,<br />

see The Pontifical Biblical Commission, The Interpretation of the Bible in the<br />

Church (Vatican City: Libreria Editrice Vaticana, 1993), 86-112.


436 DENNIS J. BILLY<br />

revelatory claim rooted in faith. As such, it comes from beyond history<br />

and ultimately transcends it 7 .<br />

Jesus’ identity as the Son of God provides us with an important<br />

key with which to understand his life and mission. He lived and acted<br />

with a purpose hidden in the depths of his intimate relationship<br />

with the Father. This relationship influenced his conscious thoughts<br />

and unconscious desires and lay behind his hidden life in Nazareth,<br />

his public ministry in Galilee and Judea, and ultimately his sacrifice<br />

of self on Golgotha just outside Jerusalem’s city walls. It also lay behind<br />

those moments of solitude with God that he sought in desert<br />

wastelands and on lonely mountaintops, as well as in those dramatic<br />

symbolic actions of baptism and table fellowship that marked the beginning<br />

and end of his public ministry. Everything Jesus did pointed<br />

to the Father and to the coming of God’s reign. As a prophet, he<br />

boldly proclaimed that God’s kingdom was to come, yet somehow already<br />

in his midst. As high priest of the New Covenant, he gave himself<br />

up to death and opened the way to salvation. As king, he established<br />

a new universal order governed by the love of enemies, the<br />

practice of the beatitudes, and the rule of selfless giving 8 .<br />

Jesus’ Divine Sonship has important repercussions for his relationship<br />

with us. By entering our world, living among us, giving himself<br />

to us, and dying for us, he made his relationship with the Father<br />

available to us. As a result, he no longer calls us slaves, but friends 9 .<br />

On Easter morning, he rose as the New Adam, the firstborn of the<br />

new creation, and we rose with him as members of his body and have<br />

now become the Father’s adopted sons and daughters 10 . Even the<br />

17 See Second Vatican Council, Dei verbum, nos. 17-20 in Decrees of the Ecumenical<br />

Councils, vol. 2, 978-79. For a treatment of Christ as the norm of history,<br />

see Hans Urs von Balthasar, A Theology of History (New York: Sheed and Ward,<br />

1963), 79-107.<br />

18 For the universal dimensions of Christ’s redemptive action, see Gerald<br />

O’Collins, Christology: A Biblical, Historical, and Systematic Study of Jesus (Oxford:<br />

University Press, 1995), 296-305.<br />

19 See Jn 15:15.<br />

10 See Rom 8:14-17.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 437<br />

prodigals among us receive the same loving and compassionate attention<br />

as God’s Only Begotten Son, if we are but willing to accept<br />

it 11 . For Jesus, the reign of God was all about establishing a new order<br />

of relationships based on the disclosure of God’s unending love<br />

for humanity. The Divine Logos became a man, lived among us,<br />

taught us, healed us, and died for us in order make us sons and<br />

daughters of God. In doing so, he now relates to us as his brothers<br />

and sisters and asks us to do likewise in our relations with him and<br />

one another 12 .<br />

In his life and ministry, Jesus fostered an ever-growing circle of<br />

kingdom-oriented relationships. Nor would he allow rejection, at<br />

times even by those close to him, deter him from his goal. What began<br />

at Bethlehem with his incarnation in his mother’s womb was, at<br />

Nazareth, nurtured in his immediate family life with Joseph, his<br />

adoptive father, and among many of his kinfolk, neighbors, and fellow<br />

villagers. These relationships from Jesus’ so-called hidden life<br />

were eventually extended to those in his public ministry in Galilee<br />

and Judea to include all people, especially the poor and oppressed,<br />

outcasts, and those in need of physical and spiritual healing. After his<br />

passion, death, and resurrection, they were then offered to everyone<br />

who ever lived and ever would live 13 .<br />

Jesus’ relationship with the Father ties all these facets of Jesus’ life<br />

together. What once existed only between the Father and his Only<br />

Begotten Son was freely given to humanity through Mary’s gracefilled<br />

fiat and had repercussions for Jesus’ hidden life and public ministry.<br />

What once was hidden was progressively made public and then<br />

universal. What was deep in the depths of the Father’s love took flesh<br />

in the womb of Mary, became visible at Bethlehem, grew and ma-<br />

11 See Lk 15:11-31.<br />

12 See Second Vatican Council, Lumen gentium, nos. 2-4 in Decrees of the Ecumenical<br />

Councils, vol. 2, 850-51. See also Catechism of the Catholic Church, nos.<br />

514-570, pp. 129-<strong>46</strong>.<br />

13 For more on the nature of these kingdom-oriented relationships, see Hans<br />

Urs von Balthasar, The God Question & Modern Man, trans. Hilda Graef (New<br />

York: The Seabury Press, 1967), 142-55.


438 DENNIS J. BILLY<br />

tured in Nazareth, became public in Jesus’ ministry, and universal in<br />

Jesus’ paschal mystery. Jesus life and ministry were all about establishing<br />

the relationships of the kingdom. Wherever and whenever<br />

they appear, the kingdom that he preached enters our midst and extends<br />

that circle of relationships even further 14 .<br />

Contemplating Jesus’ Life and Ministry<br />

The doctrine of Divine Sonship reconciles the Jesus of history<br />

with the Christ of faith and provides the point of continuity between<br />

the Logos, the Incarnation, and the Risen Lord. It lies at the center<br />

of Jesus’ self-identity and has great importance for our attempt to understand<br />

his life and ministry. Contemplating certain aspects of Jesus’<br />

earthly life – his communion with the Father, his contemplative attitude,<br />

his sense of purpose, his total self-offering – will bring to the<br />

surface important insights into the content and form of the Christian<br />

moral and spiritual life.<br />

1. Communion with the Father. Jesus’ life is traditionally divided into<br />

his so-called hidden at Nazareth and his public ministry in Galilee<br />

and Judea. The first includes his infancy, childhood, adolescence, early<br />

adulthood, and growth to manhood. The second begins roughly at<br />

the age of thirty with his baptism in the waters of the Jordan by John<br />

the Baptist and continues for approximately three years where he<br />

leads the life of an itinerant preacher, teacher, and miracle worker.<br />

It is generally agreed that Jesus’ hidden life extends from his early<br />

life to his baptism by John in the Jordan, while his public ministry<br />

begins with his baptism and continues until the events in Jerusalem<br />

that lead to his passion and death. Jesus’ birth and baptism define his<br />

hidden life; his baptism and celebration of his Last Supper, his pub-<br />

14 For how Jesus’ status as Son and Word of God permeates every facet of<br />

his life, see Hans Urs von Balthasar, A Theological Anthropology (New York:<br />

Sheed and Ward, 1967), 2<strong>46</strong>-47.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 439<br />

lic ministry. Both his hidden and public lives, moreover, can be said<br />

to converge in the terrible events of his passion and death, a truth<br />

that is appropriately symbolized by the presence of his mother Mary<br />

and his beloved disciple at the foot of the cross, who represent figures<br />

coming respectively from his hidden and public lives 15 .<br />

When contemplating Jesus’ life and ministry, it is very important<br />

to remember at the very outset that both dimensions of his life, the<br />

hidden and the public, were intimately connected. The roots of his<br />

public ministry were already present in his hidden life, just as he carried<br />

his hidden life within him wherever he went during his public<br />

ministry. It is also important to remember that each of these dimensions<br />

of Jesus’ life and ministry flowed out of and, in many respects,<br />

remained hidden in his relationship with his heavenly Father. Both<br />

his hidden life in Nazareth and his public ministry in Galilee and<br />

Judea were equally “hidden” in his relationship to his Father and his<br />

identity as Divine Son. At every stage of his earthy life, Jesus’ actions<br />

were influenced by his relationship to his heavenly Father.<br />

Although it would be impossible to determine the depth of his<br />

consciousness of this relationship, we may surmise that he became<br />

increasingly aware of it as his mind matured and as he went through<br />

the various stages of human development. We may also suppose that<br />

his growing awareness of his Divine Sonship manifested itself in a<br />

deep experience of communion with the Father and a profound capacity<br />

to contemplate the divine. Jesus, we might say, lived entirely<br />

out of his relationship of communion with the Father and a contemplative<br />

attitude toward the divine that permeated his entire outlook.<br />

When we view his life and ministry in this way, we see that everything<br />

his did – both in private and in public – flowed from his relationship<br />

to the Father. Our contemplative gaze upon Jesus reveals<br />

communion with the Father and contemplation of the Father as the<br />

primary means through which he lived his life and sought to extend<br />

the relationships of the kingdom to others. As he lived his earthly<br />

life, in other words, he never stopped living in communion with and<br />

15 See Jn 19:25-27.


440 DENNIS J. BILLY<br />

contemplating the divine. As a result, he was able to look upon people<br />

and events as his heavenly Father saw them and for what they<br />

were destined to become 16 .<br />

2. Contemplative Attitude. Jesus lived his life and went about his<br />

public ministry not only while in deep, intimate communion with his<br />

heavenly Father, but also while contemplating the people and events<br />

surrounding him. His marked and profound contemplative attitude<br />

toward life flowed from his relationship of Sonship to the Father and<br />

is closely related to his premeditated actions for the world’s redemption.<br />

This activity had both internal and external dimensions in the<br />

life of the Son. Before its implementation in the mysteries of the Incarnation<br />

and Jesus’ life, death, and resurrection, it was already present<br />

in the mind of God as a providential design for the establishment<br />

of a new creation.<br />

A plan for the world’s redemption existed in God’s mind from all<br />

eternity and continued to exist even as Jesus carried out this activity<br />

in time and space. Jesus’ contemplative gaze toward the people and<br />

events surrounding him flowed from his being in contact with this<br />

divine plan and his understanding of it being an expression of the Father’s<br />

will. Although it is difficult (indeed, next to impossible) to ascertain<br />

the extent to which Jesus was humanly aware of the various<br />

intricacies of this plan, we may reasonably conclude that it manifested<br />

itself, in the very least, in a deep sense of trust in the Father’s love<br />

and the promptings of the Spirit that moved him. It was out of this<br />

deep sense of trust, that Jesus was able to contemplate the world<br />

around him and implement God’s redemptive plan for humanity.<br />

Our ongoing contemplation of Jesus’ life and ministry reveals a<br />

man deeply rooted in his relationship to the Father and who allowed<br />

that relationship to shape his outlook toward the world and motiva-<br />

16 For a consideration of Jesus’ conscious knowledge, see Raymond E.<br />

Brown, Jesus, God and Man (New York/London: Macmillan/Collier Macmillan,<br />

1967), 39-102. For a treatment of Jesus’ understanding of his Divine Sonship,<br />

see O’Collins, Christology, 113-35. See also Walter Kasper, The God of Jesus<br />

Christ, trans. Matthew J. O’Connell (New York: Crossroad, 1984), 158-97.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 441<br />

tions for acting in it. We see someone who was continually in touch<br />

with the personal ground of his existence and who was able to sustain<br />

an ongoing contemplative gaze upon the world that eventually gave<br />

rise to the liberating actions that filled his entire life and ministry.<br />

We see someone who truly was in the world, but not of it, someone<br />

whose relationship with the Father would not allow him to cave-in to<br />

pressures, prejudices, and ideologies surrounding him. We see someone<br />

who sensed the eternal in the present moment and who acted in<br />

order to help others do the same.<br />

Our contemplation of Jesus’ life and ministry also sees someone<br />

whose contemplation moves him to compassionate and loving action<br />

in the world around him. Jesus’ relationship with the Father will not<br />

allow him to contemplate the world from afar without getting involved<br />

in it and taking an active role in its affairs. Jesus is the contemplative-in-action<br />

par excellence. His ministry is not a mere consequence<br />

of his contemplative activity, but an actual extension of it.<br />

It flows from his relationship to his heavenly Father and his loving<br />

gaze upon the world into which he has freely chosen to live, preach,<br />

teach, and heal 17 .<br />

3. Sense of Mission. Jesus’ relationship with the Father and his contemplative<br />

outlook toward the world gave him a deep sense of purpose<br />

and mission. In the next phase of our contemplation of Jesus’<br />

life and ministry, we notice that Jesus’ actions are connected by an<br />

underlying sense of resolve. His thoughts, words, and actions are interrelated<br />

and connected by an underlying unity. He speaks in order<br />

to move our hearts. He touches in order to make us whole. He reaches<br />

out to us in order to bring us closer to the Father. As the Word of<br />

God made flesh, Jesus’ actions are the actions of the Father. His<br />

thoughts, words, and actions are God’s revelation, the announcement<br />

of a new beginning, a new creation, a new humanity. His mission is<br />

to bring the Good News of the in-breaking of God’s reign of love.<br />

17 For a consideration of Jesus earthly ministry, see Kasper, Jesus the Christ,<br />

63-123; Idem, The God of Jesus Christ, 166-72.


442 DENNIS J. BILLY<br />

Jesus’ life and mission embody this reign. Everything he says and<br />

does reflects the Father’s love for a world gone awry. His life and mission<br />

flow from his relationship to the Father and his contemplative<br />

outlook on life. He comes to call us into communion with him so<br />

that he might lead us back to the Father and enjoy with him the fullness<br />

of life. As Jesus acts in the world, he sanctifies it. The air he<br />

breathes is cleansed. The ground he treads becomes hallowed. The<br />

people he encounters are never the same. Because God has walked<br />

upon it, the world has become a different place. The entire world has<br />

become the Holy Land – and we God’s Holy People.<br />

Jesus remains centered in the midst of much activity. There is a<br />

calmness about him that never goes away, a still point from which all<br />

else radiates. He sustains this inner calm even when he is in the<br />

throes of intense missionary activity. His actions are not separated<br />

from his contemplative gaze but flow from it, just as a ray of light<br />

flows from its source. Jesus’ actions ultimately flow from the will of<br />

the Father. The words, “Your kingdom come, your will be done”<br />

come from his heart, not merely his lips, and reflect his deep experience<br />

of communion with the Father 18 . Jesus’ life was his mission –<br />

and vice versa. His seeks out the Father’s will at all times and in all<br />

circumstances. He carries it out without ever thinking of himself,<br />

seeking only to serve, rather than be served.<br />

Our contemplation of Jesus’ life and ministry reveals someone<br />

whose words and actions are authentic and correspond fully to his<br />

stated purpose. If holiness is to will the one thing necessary, to be entirely<br />

focused on carrying out the Father’s will, then Jesus was not<br />

only holy, but Holiness itself. His life and ministry were a life and<br />

ministry of sanctifying, of “making holy.” He did so not merely<br />

through his preaching, teaching, and miracles, but by living a life that<br />

was entirely grounded in the Father’s love. Jesus experienced the<br />

depths of the Father’s love for him at the very core of his existence.<br />

18 Mk 1:17. All quotations from the New Testament come from Nestle-<br />

Aland, Greek-English New Testament, 3d ed. (Stuttgart: Deutsche Bibelgesellschaft,<br />

1986).


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 443<br />

His life and ministry flow out of that experience and seek to share it<br />

with others 19 .<br />

4. Total Offering of Self. Jesus’ life and actions speak for themselves.<br />

In his hidden life at Nazareth, he lived the ordinary life of a Jew living<br />

in first-century Palestine. He knew the warmth and security of a<br />

family’s love, which protected him as an infant and as a boy from the<br />

harsh realities of living in an occupied land and kept him safe from<br />

those who would harm him and might even wish to take his life. He<br />

grew up with an extended family of kinsmen and local villagers, who<br />

gave him a sense of belonging to a greater whole, to a people blessed<br />

by God and chosen to enter into Covenant with him. As an adolescent,<br />

he understood the value of both work and play. He helped with<br />

the chores and learned his father’s trade. He kept the Sabbath and<br />

learned the words of prophets and the tales of his ancestors preserved<br />

in the Torah.<br />

Jesus’ hidden life was valuable in itself, for it put him in touch<br />

with the experience of human growth and development. It was also<br />

a time of preparation for his public ministry, during which time he<br />

preached a radical new message to the people of Israel. The kingdom<br />

of God was at hand. God had visited his people and had come<br />

to establish with them a New Covenant, one forged not in the blood<br />

of animal sacrifice, but in Jesus’ total offering of self. Jesus’ death on<br />

Calvary must be understood in the context of his life and ministry.<br />

It was not an idiosyncratic event disconnected from all that came before,<br />

but the culmination of everything he lived and stood for. Jesus’<br />

experience of communion with the Father impressed upon him a<br />

deep contemplative outlook toward life that propelled him into a life<br />

of selfless giving. This total offering of self is a part of Jesus’ selfidentity.<br />

It flows from his relationship to the Father and manifests itself<br />

in his becoming man, in his life and ministry, and in his sacrificial<br />

death.<br />

19 For a consideration of Jesus’ sanctifying and redemptive role in human history,<br />

see Hans Urs von Balthasar, A Theology of History, 49-75.


444 DENNIS J. BILLY<br />

Our contemplation of Jesus’ life and ministry reveals him as a man<br />

entirely dedicated to others. His life of selfless giving manifests itself<br />

in his deep desire to carry out his Father’s will so that the experience<br />

of communion known to him might be extended to others. His contemplative<br />

outlook on life leads him to a life of preaching, teaching,<br />

and healing. It also leads him to provide concrete signs of God’s mysterious<br />

action and loving presence in the world. Most notably, these<br />

include immersion in the waters of baptism, a mark of one’s entrance<br />

into the New Covenant 20 , and his offering of bread and wine at his<br />

Last Supper with his disciples 21 , a foreshadowing of his sacrificial<br />

death, a symbol of his abiding presence, and a foretaste of the heavenly<br />

banquet. By emptying himself into these and other sacramental<br />

actions, Jesus acts where and whenever they are performed, thereby<br />

extending his life and ministry through time and space. Through<br />

them, he raises his life and ministry to a new level, for he now lives,<br />

moves, and breathes through the members of his mystical body. In<br />

doing so, he has brought his contemplative gaze full circle. His communion<br />

with the Father, his contemplation of the world, his sense of<br />

messianic mission, his total offering of self, his sacramental actions<br />

converge in our lives as we carry out his mandate to follow and serve.<br />

The lives we now live are not our own, for Christ lives within us 22 .<br />

Guidelines for Christian Living<br />

Jesus life and ministry always point to the one who sent him. “The<br />

teaching and miracles of Christ,” as Thomas Merton puts it, “were<br />

not meant simply to draw the attention of men to a doctrine and a set<br />

of practices. They were meant to focus our attention upon God himself<br />

revealed in the person of Jesus Christ” 23 . When contemplating<br />

20 See Mk 1:9-11; Mt 3:13-17; Lk 3:31-22.<br />

21 See Mk 14:22-25; Mt 26:26-29; Lk 22:15-20.<br />

22 See Gal 2:20.<br />

23 THOMAS MERTON, No Man an Island (Garden City, NY: Doubleday,<br />

1976), 143.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 445<br />

Jesus life and ministry we begin to understand that his thoughts and<br />

actions flow from his intimate relationship with the Father and that<br />

it was for this reason that they bore fruit and did not return in vain.<br />

It should come as no surprise to us, therefore, that contemplating<br />

Jesus life and ministry also has clear implications for Christian<br />

living. Without exhausting the possibilities, the following guidelines<br />

draw out some of the implications of Jesus’ life and ministry<br />

for our own.<br />

1. As Christians, we acknowledge and celebrate the personal ground of<br />

our existence. Jesus’ relationship with the Father reminds us that a<br />

personal presence lies behind all of reality and is present to us at each<br />

moment of our lives. This presence brings the universe into being<br />

and sustains it from one moment to the next. Although we are but a<br />

small part of this creation, we are deeply cherished by this personal<br />

presence, even beloved. Nothing else in all of creation bears its image<br />

and likeness 24 . Through his life and mission, Jesus puts us in<br />

touch with this personal ground of our existence and teaches us to relate<br />

to it as a child relates to a loving father. Jesus acknowledges and<br />

celebrates the Father’s love by seeking to carry out his will. He asks<br />

us to follow his example and do the same.<br />

2. As Christians, we live in communion with the Father and seek to share<br />

this relationship with others. Jesus’ life and mission flow from his relationship<br />

with the Father. From this experience of intimate love and<br />

communion flows his deep sense of purpose. Jesus derives his identity<br />

from his relationship with the Father and enters our world to share<br />

that identity with us. His life and mission cannot be understood apart<br />

from this relationship and his deep desire to share this relationship<br />

with us. Because of Jesus’ life and mission, the Father adopts us as his<br />

own sons and daughters and embraces us in his paternal embrace. As<br />

a result, we not only relate to God in a new and different way, but also<br />

take on duties and responsibilities we never had before. Jesus’ mis-<br />

24 See Gn 1:26-27.


4<strong>46</strong> DENNIS J. BILLY<br />

sion and purpose now become our own. With him, we live in communion<br />

with the Father and invite others to join in.<br />

3. As Christians, we seek to view everything that happens to us in life in<br />

the light our relationship to the Father. Jesus’ relationship to the Father<br />

shaped his entire outlook on life. It gave him a deep desire to do the<br />

Father’s will at all times and in all circumstances. He viewed everything<br />

that happened to him in light of this relationship and made his<br />

decisions accordingly. Because we are members of Jesus’ body and<br />

share in his relationship to the Father, we too look upon everything<br />

that happens to us in light of this precious bond. We act out of our<br />

relationship with the Father and seek to do only what we discern to<br />

be in accordance with his will. Like Jesus, we seek not our own interests,<br />

but the interests of the Father. We actively pursue those interests<br />

for the building up of God’s kingdom.<br />

4. As Christians, we contemplate the people and events around us. Our<br />

relationship with the Father and the experience of communion flowing<br />

from it fosters in us a contemplative outlook on life. We extend a<br />

contemplative gaze upon those we meet and the circumstances in<br />

which we find ourselves. This gaze helps us to keep things in perspective<br />

and to remember what is most important. It helps us to step<br />

back from life and to value it at a deeper level. It helps us to ponder<br />

our actions beforehand so that we do not act impulsively or with little<br />

forethought. Our contemplative outlook on life flows from our experience<br />

of communion with the Father, which comes to us through<br />

the Son and in the Spirit. Our actions flow from our contemplation,<br />

and our contemplation is rooted in our experience of God.<br />

5. As Christians, we listen to others and ponder what they say. Jesus was<br />

intent on doing the Father’s will. For this reason, he needed to listen<br />

to the silence within him and around him so that he could hear the<br />

Father’s voice and properly discern what it was saying. Jesus’ capacity<br />

to listen intently to the voice of his Father also affected his relations<br />

with others. Because he listened deeply to what others were<br />

saying, he was authentically present to them and able to discern their


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 447<br />

real needs, those behind the words and often left unspoken. As members<br />

of his body, we seek to be present to those we serve in such a way<br />

that we truly listen to them and respond to their genuine needs. Listening<br />

in prayer helps us to listen in ministry. Both are necessary in<br />

discerning and carrying out the Father’s will.<br />

6. As Christians, we offer ourselves in service to others. Jesus’ total offering<br />

of self flows from his relationship to the Father and his contemplative<br />

gaze on the world. It is an expression of the Father’s will<br />

and explains every dimension of his life and mission. Jesus was a man<br />

for others; he came to serve, not to be served. He humbled himself<br />

by becoming one of us and living among us. He did so that he might<br />

draw us to himself and reestablish our relationship to the Father. Our<br />

relationship to the Father moves us to do the same. Our contemplative<br />

gaze upon the world moves us to compassion and inspires us to<br />

empty ourselves in a life of service for others. We put the interests of<br />

others before ourselves and take concrete action to alleviate the<br />

world from suffering and lead others to the Father’s love.<br />

7. As Christians, we view our lives in terms of mission. Jesus’ life was<br />

closely identified with his mission. He preaching, teaching, cures,<br />

and acts of forgiveness were personal expressions that flowed from<br />

his intimate relationship with his Father. He identified with and considered<br />

himself One with his Father. Everything he did flowed from<br />

this experience of personal communion and expressed itself in his<br />

mission. As members of Christ’s body, we too are asked to view our<br />

lives in terms of mission. Although not all of us are called to spread<br />

the Good News as missionaries in foreign lands, we are all called to<br />

mission, wherever we find ourselves. Jesus extends his mission<br />

through space and time through the members of his body. We are his<br />

eyes and ears, his lips and tongue, his arms and legs, hands and feet<br />

that carry his message of love for all to hear.<br />

8. As Christians, we forge bonds of communion and solidarity with others.<br />

Jesus mission and purpose in life was to give humanity the opportunity<br />

to enter into communion with his Father. He did this by


448 DENNIS J. BILLY<br />

his total offering of self that expressed itself in a life of service to others.<br />

We too are called to build bonds of communion and solidarity<br />

with those we serve. Like Jesus, we do so my entering their worlds,<br />

giving ourselves to them, to the point that we become nourishment<br />

for them, and a source of hope. Whenever we establish such bonds<br />

with others, the kingdom of God enters our midst in a concrete, palpable<br />

way. We succeed in transforming a part of the world into a<br />

haven of divine love. The more we extend Christ’s kingdom of love<br />

to others, the more prepared we will be for his long awaited return.<br />

9. As Christians, we mission in and through community. Very early in<br />

his public ministry Jesus gathered around him twelve apostles and a<br />

much larger group known as his disciples 25 . They followed him and<br />

learned from him as he made his way through the countryside and the<br />

various towns and villages of Galilee and Judea. At one point, he sent<br />

them out two by two to cure the sick, cast out demons, and spread his<br />

message of the coming of the kingdom 26 . This communal dimension<br />

of the disciples’ mission was meant to give them human support and<br />

to lend a watchful eye so that no one strayed from the master’s teaching.<br />

Jesus’ disciples today also need to be aware of the important communal<br />

dimension of their ministry. “Going it alone” runs counter to<br />

Jesus’ message and may well prove dangerous and even counter-productive.<br />

If we truly wish to follow Jesus and partake in his mission, it<br />

is important for us do so in community and as community.<br />

10. As Christians, we live simply and without clutter. Jesus had few<br />

possessions and claimed to have no place to lay his head 27 . He was not<br />

tied down by possessions and was thus able to travel about lightly and<br />

in complete freedom. His simple lifestyle enabled him to focus completely<br />

on his mission. He was detached from property and possessions<br />

so that he could dedicate himself completely to proclaim the<br />

25 See Mk 3:13-19; Mt 10: 1-4; Lk 6:12-16.<br />

26 See Lk 10:1-16.<br />

27 See Mt 8:20; Lk 9:58.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 449<br />

coming of God’s reign. He became poor not for the sake of being<br />

poor, but so that his message would resonate with our common humanity.<br />

His disciples are also called to live simply and without clutter.<br />

Doing so will help us to put things in perspective and to see their true<br />

value. It will enable us to cling more tightly to what truly matters and<br />

to minister to others without looking for reward or recompense.<br />

11. As Christians, we find time for prayer. Even Jesus, who was in<br />

constant union with Father, found it necessary to set himself apart<br />

and pray. Doing so gave him the opportunity to rest and regain his<br />

strength after his extended missionary efforts. He retreated into the<br />

desert for forty days and nights before he began his public ministry 28 .<br />

At various other times during his ministry, he went up a mountain or<br />

found a deserted place to be alone with the Father and commune<br />

with him in solitude 29 . These moments of quiet retreat were an intimate<br />

part of Jesus’ life and mission. They enabled him to explore the<br />

depths of his relationship with the Father and reinvigorated him for<br />

what lay ahead. We too need to find moments in our lives to get away<br />

and be nourished by God through prayer and reflection. Such moments<br />

can help us to grow in our relationship with God and deepen<br />

our dedication to our mission.<br />

12. As Christians, we read the Scriptures as a way of discerning the Father’s<br />

will for us. Jesus spoke not like the scribes and Pharisees, but<br />

with authority 30 . He used simple language, parables, and examples<br />

from everyday life to touch the hearts of his hearers. He chose his<br />

words wisely and used them to draw others close. He knew when to<br />

challenge and when to console. He knew when to begin and when to<br />

end. He knew what to say and how to say it for the sake of the kingdom.<br />

Whenever we read the Scriptures, Jesus speaks to us with the<br />

same authority and sense of immediacy. Through our slow, medita-<br />

28 See Mk 1:12-13; Mt 4:1-11; Lk 1-13.<br />

29 See Mk 6:<strong>46</strong>; Mt 14:23; Lk 6:12, 9:28.<br />

30 See Mk 1:27; Lk 4:32, 36.


450 DENNIS J. BILLY<br />

tive reading of the Word of God, we sense the Lord’s Spirit moving<br />

our hearts in the midst of the silence and revealing to us the Father’s<br />

will. We read the Scriptures to listen to God’s Word to us and to discern<br />

its meaning and relevance for our lives.<br />

13. As Christians, we value purity of heart and seek to foster it in others.<br />

In his Sermon on the Mount, Jesus blessed those who were pure of<br />

heart and said that they would see God 31 . The pure of heart are the<br />

single-hearted, those who see their goal and focus all their energies on<br />

it until they reach it. Jesus himself possessed this important quality of<br />

heart. His steadfast and single-hearted devotion to his mission set him<br />

apart from the religious leaders of his day. He was totally focused on<br />

doing his Father’s will and would not rest until he finished what he set<br />

out to accomplish. Like him, we too are called to be single-hearted in<br />

our lives and dealings with others. We will accomplish the mission<br />

that God has set out for us only if we keep our hands to the plow and<br />

refuse to look back 32 . We will see God in the kingdom to come only<br />

if we intently keep our eyes on him in the here and now.<br />

14. As Christians, we find words that will touch people’s hearts and<br />

draw them closer to Christ. Once we discover the Lord’s will for us, we<br />

too must seek to find the words that will move people’s hearts and<br />

lead them along the way of conversion. To discover these words we<br />

need to ponder, reflect, think and, most of all, pray. The words we<br />

speak must be authentic. They must come from the heart. They must<br />

reflect our experience of communion with Christ and our deep desire<br />

to know and carry out the Father’s will. These words must be<br />

simple, clear, and direct. They must speak the ordinary language of<br />

the men and women of our time. Their purpose is to offer the people<br />

we serve a glimpse of the Father’s love for them. They are meant<br />

to entice people, to draw them on, to encourage them to get in touch<br />

with and actively seek the deepest yearnings of their hearts.<br />

31 See Mt 5:8.<br />

32 See Lk 9:62.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 451<br />

15. As Christians, we receive the sacraments and view them as unique<br />

opportunities to encounter Christ and be touched by his grace. When he<br />

walked the earth, Jesus lived a historical life. Seated at the right hand<br />

of the Father, he now lives a mystical life through the members of his<br />

body 33 . The sacraments are the visible mysteries of faith that he has<br />

given us we might remain in close contact with him. They are actions<br />

of Christ that render worship to the Father through him and in the<br />

Spirit. The sacraments mediate Christ’s love to us and remind us that<br />

Jesus has promised to be with us until the end of time. They are historical<br />

signs of our transcendent destiny to be with Christ in the<br />

presence of the Father. We are divinized by them and empowered to<br />

carry on Christ’s mission and purpose.<br />

Contemplating Jesus’ life and ministry has great relevance for our<br />

own lives. The above guidelines highlight just some of the attitudes<br />

and values reflected of his hidden and public lives that should also be<br />

reflected in ours. These authentic qualities of mind and heart are not<br />

of our own making, but come to us as gifts. We acquire them not by<br />

external imitation, but as a result of entering into communion with Jesus<br />

so that we might share in his intimate relationship with the Father.<br />

To live in communion with Jesus is to share in his life and ministry –<br />

and to call them our own. We do so with him living within us and using<br />

us, as members of his body, to proclaim the coming of his kingdom.<br />

Conclusion<br />

Jesus’ life and ministry are a continuation of an eternal process of<br />

self-offering that manifests itself historically in the mystery of the Incarnation<br />

and culminates in the mystery of his passion, death, and<br />

resurrection. They tie together Jesus’ entrance into the world and<br />

departure from it to form a single redemptive narrative that touches<br />

33 For more on Christ’s mystical life in his members, see Jean-Pierre de<br />

Caussade, Abandonment to Divine Providence, trans. John Beevers (Garden City,<br />

NY: Image Books, 1975), 44-<strong>46</strong>.


452 DENNIS J. BILLY<br />

the human heart and offers it healing and fullness of life. Those who<br />

contemplate this narrative and enter into its dramatic warp and woof<br />

do not emerge from it unchanged. They find their own lives reflected<br />

in it and receive from it a deep sense of purpose and dedication to<br />

mission.<br />

When we contemplate Jesus’ life and ministry, we discover a person<br />

entirely focused on doing the will of his heavenly Father. This<br />

sense of single-hearted purpose unites his hidden life in Nazareth<br />

with his public ministry in Galilee and Judea. It shows us someone<br />

who listened intently to God’s Word as revealed in the Scriptures and<br />

who saw it fully reflected in his heart. Throughout his life, Jesus drew<br />

his strength and identity from the Father and was interested only in<br />

the coming of God’s rule of love. He lived and ministered to this end<br />

– and eventually gave his life for it.<br />

Jesus’ life and ministry also offer us helpful guidelines for Christian<br />

living. As we ponder them, we find the way that we too should<br />

walk. “Follow me,” Jesus said to his first disciples 34 . These words resonate<br />

in our hearts and extend to us the call of discipleship. The story<br />

of Jesus’ life and ministry fascinates us. As we reflect upon his<br />

words and actions, we sense a call to view our lives and relationships<br />

in a different way. We identify with Jesus’ communion with the Father<br />

and his contemplative outlook on the life. We are moved by his<br />

sense of purpose and whole-hearted dedication to his mission. We<br />

desire to follow him, to go and do likewise. What we have received<br />

from him, we now seek to understand and offer to others.<br />

34 Mk 1:17.


CONTEMPLATING THE LIFE AND MINISTRY OF CHRIST 453<br />

SUMMARIES<br />

When contemplating Jesus’ life and ministry, it is important to remember that<br />

both dimensions of his life, the hidden and the public, were intimately connected.<br />

It is also important to remember that each of these dimensions of Jesus’<br />

life and ministry flowed out of and, in many respects, remained hidden in<br />

his relationship with his heavenly Father. For this reason, his thoughts and actions<br />

bore fruit and have clear implications for Christian living.<br />

* * *<br />

Cuando se contempla la vida de Jesús de Nazareth y su ministerio, es importante<br />

recordar que ambas dimensiones, la privada y la pública, están estrechamente<br />

relacionadas. Es igualmente importante tener presente que de<br />

cada una de ellas fluyen muchos otros aspectos que permanecen ocultos en<br />

su relación con el Padre celeste. Por esta razón, su pensamiento y su acción<br />

dan fruto y tienen claras implicaciones en la vida del cristiano.<br />

* * *<br />

Nel contemplare la vita e di conseguenza il ministero di Gesù, è importante ricordare<br />

che le due dimensioni della sua vita, quella nascosta e quella pubblica,<br />

sono strettamente legate tra loro. Queste due dimensioni del Figlio sorgono<br />

e sono innestate nella relazione fondante con il Padre Celeste. Questa duplice<br />

dimensione ci aiuta a comprendere la radice della fecondità del pensiero<br />

e dell’agire del Cristo come implicazioni chiare fino ad oggi per la vita cristiana.


SEQUELA ET RADICALISME<br />

Réal Tremblay, C.Ss.R.*<br />

La dîme, la Loi ne la réclamera<br />

pas à celui qui a consacré à Dieu tout son avoir,<br />

qui a quitté son père, sa mère et toute sa parenté<br />

et qui a suivi le Verbe de Dieu.<br />

S. IRÉNÉE<br />

Le binôme “sequela-radicalisme” est un binôme plus délicat à manier<br />

qu’il ne semble à première vue. La raison en est qu’il implique<br />

des données de diverses natures qu’il faut définir avec rigueur et unir<br />

de manière à constituer un tout cohérent, reflet des sources scripturaires<br />

dont il relève. Voici donc quelques-unes de ces données présentées<br />

ici sous forme de questionnement. À quoi se réfère le radicalisme<br />

moral qui accompagne la sequela? Comment le Christ peut-il<br />

tout exiger des personnes qu’il appelle à le suivre? Comment se faitil<br />

que ce “tout” prenne des formes si diverses dans les textes qui en<br />

parlent? Se définit-il en soi ou doit-il être mesuré à la mission par<br />

exemple? À qui s’adresse l’appel à la sequela? À tous ou à quelques privilégiés?<br />

En supposant connu le contenu de la sequela dont je rappellerai ici,<br />

par besoin de clarté, les traits essentiels (1), je tenterai de répondre à<br />

ces questions qui, comme on l’a sans doute remarqué, se rattachent<br />

toutes au second membre du binôme à l’étude (2).<br />

* The author is an ordinary professor at the Alphonsian Academy.<br />

* El autor es profesor ordinario en la Academia Alfonsiana.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 455-<strong>46</strong>8


456 RÉAL TREMBLAY<br />

1. Quelques traits essentiels de la sequela<br />

Ailleurs 1 , j’ai étudié le concept de sequela en partant des sources<br />

bibliques (surtout synoptiques) 2 qui le concernent et en m’appuyant<br />

sur l’exégèse scientifique qui les explicite. Je n’ai pas l’intention de reprendre<br />

ici cette étude dans le détail, d’abord pour éviter des répétitions<br />

inutiles et ensuite pour respecter les limites assignées à ces pages.<br />

À la fin de cette étude, je m’exprimais donc ainsi:<br />

(On peut affirmer) que l’appel de Jésus à la sequela signifie à l’origine<br />

l’appel à une communion de vie personnelle et à la vocation de disciples.<br />

Au temps de l’Église primitive, la sequela devient expression du<br />

lien propre de la foi, de la participation à la voie suivie par Jésus en sa<br />

mort et en sa résurrection et de l’«imitation» morale.<br />

En prenant cette définition comme point de repère pour la suite<br />

de ces pages, je voudrais, comme déjà indiqué, réfléchir sur les divers<br />

éléments qui composent le second membre du binôme en cause.<br />

2. Les diverses composantes du radicalisme lié à la sequela<br />

2.1. Le radicalisme proprement dit<br />

Une première question à clarifier est le sens à donner au radicalisme<br />

rattaché à la sequela. En passant en revue les épisodes évangéliques<br />

3 plus notoires où Jésus requiert tout 4 de ceux qu’il appelle à le<br />

1 R. TREMBLAY, La dimension théologale de la morale, dans StMor 34 (1996),<br />

276-278. Le texte cité plus bas se trouve à la p. 278.<br />

2 Pour saint Jean, voir R. TREMBLAY, Vous, lumière du monde... La vie morale<br />

des chrétiens: Dieu parmi les hommes, Fides, Montréal 2003, 65-78 (avec bibliographie).<br />

3 À une exception près, je ne m’intéresse ici qu’à la tradition synoptique.<br />

4 Jésus ne requiert pas toujours tout explicitement, mais les évangélistes savent<br />

que telle a été par la suite la vie des appelés.


SEQUELA ET RADICALISME 457<br />

suivre, on peut observer que ce “tout” vise différents objets. Aux disciples<br />

qui, d’après Mc 1, 16-20 5 , deviendront plus tard ses apôtres<br />

(des “pêcheurs d’hommes”), son appel, “ordre inconditionnel, sans<br />

préambule ni explication” (Légasse), implique l’abandon de leur métier<br />

d’abord, de leur père ensuite. Lisons le texte en question:<br />

Comme (Jésus) passait sur le bord de la mer de Galilée, il vit Simon<br />

et André, le frère de Simon, qui jetaient l’épervier dans la mer; car<br />

c’étaient des pêcheurs. Et Jésus leur dit: «Venez à ma suite et je vous<br />

ferai devenir pécheurs d’hommes». Et aussitôt, laissant les filets, ils le<br />

suivirent.<br />

Et avançant un peu, il vit Jacques, fils de Zébédée, et Jean son frère,<br />

eux aussi dans leur barque en train d’arranger les filets; et aussitôt il<br />

les appela. Et laissant leur père Zébédée dans la barque avec ses employés,<br />

ils partirent à sa suite (Mc 1, 16-20p).<br />

Il en va de même de l’épisode de l’appel de Lévi, fils d’Alphée<br />

(Matthieu, le futur Apôtre):<br />

En passant, (Jésus) vit Lévi, le fils d’Alphée, assis au bureau de la<br />

douane et il lui dit: «Suis-moi». Et, se levant, il le suivit (Mc 2, 14p) 6 .<br />

Ailleurs dans le même évangile, le “tout” se fait encore plus exigeant.<br />

Il s’agit de se renier soi-même, de perdre sa vie, de se charger<br />

de sa croix (cf. Mc 8, 34-35p). Au sujet de cet ensemble, Légasse apporte<br />

les précisions suivantes:<br />

Celui qui veut devenir disciple de Jésus doit apprendre que sa décision<br />

met en danger ses «intérêts vitaux». [...] Le verbe «se renier» [...]<br />

implique qu’on fasse abstraction de sa propre personne. Une attitude<br />

dont on va savoir jusqu’où elle entraîne le sujet. Jésus dit ensuite:<br />

5 Pour l’exégèse, nous suivons surtout S. LÉGASSE, L’évangile de Marc I et II<br />

(LDCom., 5), Cerf, Paris 1997.<br />

6 Pour cette citation et pour les autres qui vont suivre, j’utilise la traduction<br />

de la Bible de Jérusalem, Cerf, Paris 2000.


458 RÉAL TREMBLAY<br />

«prendre sa croix». [...] Le texte lui-même semble bien étendre l’image<br />

hors de la perspective tragique du martyre (même si elle n’est<br />

pas exclue naturellement) et, par là en atténuer la cruauté. Car il s’agit<br />

de prendre «sa croix» personnelle, non la croix en général. Ainsi<br />

la disposition à mourir pour le Christ n’épuise pas la requête et d’autres<br />

épreuves s’offrent à l’acceptation anticipée du candidat. Luc (9,<br />

23) écrira du disciple qu’il doit porter «sa croix chaque jour», développant<br />

ce qui est discrètement inclus dans la formule de Marc 7 .<br />

Un autre épisode évangélique important à considérer pour notre<br />

problématique est celui de l’homme riche. Nous le lisons encore dans<br />

la version marcienne:<br />

(Jésus) se mettait en route quand un homme accourut et, s’agenouillant<br />

devant lui, il l’interrogeait: «Bon maître, que dois-je faire<br />

pour avoir en héritage la vie éternelle?» Jésus lui dit: «Pourquoi<br />

m’appelles-tu bon? Nul n’est bon que Dieu seul. Tu connais les<br />

commandements: Ne tue pas, ne commets pas d’adultère, ne vole<br />

pas, ne porte pas de faux témoignage, ne fais pas de tort, honore ton<br />

père et ta mère». – «Maître, lui dit-il, tout cela, je l’ai observé dès ma<br />

jeunesse». Alors Jésus fixa sur lui son regard et l’aima. Et il lui dit:<br />

«Une seule chose te manque: va, vends ce que tu as, donne-le aux<br />

pauvres, et tu auras un trésor dans le ciel; puis, viens, suis-moi». Mais<br />

lui, à ces mots s’assombrit et il s’en alla contristé, car il avait de grands<br />

biens (Mc 10, 17-22).<br />

“Tout” signifie pour cet homme richissime (il n’est pas dit, comme<br />

en Matthieu, qu’il est jeune) de se départir de la totalité de ses<br />

biens matériels en faveur de ceux qui sont dans le besoin. C’est à<br />

l’exemple de Jésus, pourrait-on ajouter, se priver de tout son avoir<br />

7 S. LÉGASSE, L’évangile de Marc, II, 510-511. (C’est l’A. qui souligne). Pour<br />

une interprétation légèrement différente, voir S. ZAMBONI, Chiamati a seguire<br />

l’Agnello. Il martirio compimento della vita morale (ETO., 43), EDB, Bologna<br />

2007, 66-67.


SEQUELA ET RADICALISME 459<br />

pour enrichir ceux qui n’ont rien (cf. 2Co 8, 9). Encore ici Légasse<br />

précise en s’inspirant cette fois d’une étude de Fusco 8 :<br />

L’ordre («viens, suis-moi») qui ne suppose aucun délai... requiert la<br />

vente de tous les biens immeubles. [...] Suit l’ordre de distribuer l’argent<br />

de la vente «aux pauvres», sans autre précision, autant qu’il y aura<br />

d’argent pour soulager la masse indéfinie des nécessiteux. [...] Mais<br />

ce n’est là qu’un but en l’occurrence marginal. L’essentiel est de se<br />

défaire de tout, de “couper les ponts”, sans possibilité de récupérer un<br />

jour les biens abandonnés 9 .<br />

D’après ces quelques passages de la tradition marcienne, le radicalisme<br />

évangélique évoque donc soit l’abandon des liens familiaux et de<br />

son gagne-pain, soit le port de la croix quotidienne jusqu’au sacrifice<br />

de sa propre vie si nécessaire, soit enfin le renoncement aux richesses<br />

matérielles en faveur des pauvres. Autant dire que Jésus lie l’appel à le<br />

suivre à une préférence totale pour lui. Cette donnée est confirmée, voire<br />

même amplifiée, par les traditions matthéenne et lucanienne:<br />

«Qui aime son père ou sa mère plus que moi n’est pas digne de moi.<br />

Qui aime son fils ou sa fille plus que moi n’est pas digne de moi. Qui<br />

ne prend pas sa croix et ne suit pas à derrière n’est pas digne de moi»<br />

(Mt 10, 37-38).<br />

Gnilka comprend en effet le portement de la croix lié à l’appel à<br />

la sequela de Jésus dans le sens d’une disponibilité au don de sa propre<br />

vie dans le martyre. Le caractère métaphorique de l’expression<br />

n’exclut cependant pas, ajoute-t-il, une application à d’autres types<br />

d’hostilité, d’empêchement et de sacrifice assumés par les disciples<br />

appelés à la sequela 10 .<br />

18 V. FUSCO, Povertà e sequela. La pericope sinottica della chiamata del ricco (Mc<br />

10, 17-31 parr.) (StBib, 94), Queriniana, Brescia 1991, 56-57.<br />

19 S. LÉGASSE, L’évangile de Marc, II, 614-615.<br />

10 Cf. J. GNILKA, Das Matthäusevangelium (HThKNT., I/1), Herder, Freiburg-Basel-Wien<br />

1988 2 , 397.


<strong>46</strong>0 RÉAL TREMBLAY<br />

Dans le contexte des exigences de la vocation apostolique, Luc a<br />

ce passage particulièrement percutant en considération de ce que signifiait<br />

l’usage d’ensevelir ses proches dans l’ambiance culturelle de<br />

l’époque:<br />

(Jésus) dit à un autre: «Suis-moi.» Celui-ci dit: «Permets-moi de<br />

m’en aller d’abord enterrer mon père». Mais il lui dit: «Laisse les<br />

morts enterrer leurs morts; pour toi, va-t’en annoncer le Royaume de<br />

Dieu» (Lc 9, 59-60).<br />

Ernst commente: l’appel à la sequela exige pleine libération de tous<br />

les liens familiaux et sociaux existants jusqu’à présent. Le disciple est<br />

tellement engagé au service du Royaume de Dieu que tous les liens<br />

et les tâches humains perdent leur valeur. Et il conclut: “L’appel à la<br />

sequela est radical et sans condition” 11 .<br />

2.2. Jésus est le Fils de Dieu<br />

En présence d’une telle emprise de Jésus sur le cœur et la vie des<br />

disciples, on peut s’interroger sur la raison d’être d’un tel comportement.<br />

Plus précisément encore, qu’est-ce qui autorise Jésus à tant<br />

exiger des personnes qu’il appelle à sa suite?<br />

Dans les pages de son livre Jésus le Christ consacrées à la “christologie<br />

implicite”, Walter Kasper énumère quatre pistes ou voies qui<br />

permettent aux témoins de la vie terrestre de Jésus de pressentir son<br />

identité proprement divine. L’une de celles-ci 12 est justement son appel<br />

à la sequela. Après avoir insisté sur la différence existant entre la<br />

manière de Jésus de faire des disciples et celle des rabbins juifs de son<br />

temps de recruter leurs élèves, Kasper écrit:<br />

11 J. ERNST, Das Evangelium nach Lukas, Pustet, Regensburg 1976, 321.<br />

(C’est moi qui traduis).<br />

12 En plus des “attitudes” et “comportements” inédits de Jésus (sa fréquentation<br />

des pécheurs et le pardon qu’il leur accorde, etc.), de sa “prédication” (il<br />

parle avec autorité supérieure à celle de Moïse, etc.) et de sa prière (il s’adresse<br />

à Dieu comme à son “Abba”).


SEQUELA ET RADICALISME <strong>46</strong>1<br />

Le lien qui unit les disciples de Jésus à leur maître est plus englobant<br />

que chez les rabbins. Jésus appelle ses disciples «pour être auprès de<br />

lui » (Mc 10, 28); ils partagent sa vie errante et sans abri assuré et<br />

donc son destin dangereux. Il s’agit d’une communauté de vie totale,<br />

d’une communauté de destin à la vie et à la mort. La décision de suivre<br />

Jésus signifie en même temps la rupture de toutes les autres attaches,<br />

il faut «tout quitter» (Mc 10, 28), tout risquer jusqu’à sa tête (cf.<br />

Mc 8, 34). Cet engagement aussi radical et aussi entier à la suite de Jésus<br />

équivaut à une confession de foi en Jésus 13 .<br />

Puis il conclut en parlant de la “christologie implicite” en son ensemble:<br />

La christologie implicite du Jésus terrestre contient une prétention<br />

inouïe, qui fait exploser tous les schèmes préétablis. On rencontre en<br />

lui Dieu et son Royaume; on rencontre en lui la grâce de Dieu et le<br />

jugement de Dieu; il est le Royaume de Dieu, la parole de Dieu et l’amour<br />

de Dieu en personne 14 .<br />

À la lumière de ces réflexions de Kasper, on peut retourner les<br />

choses et répondre à la question de départ en ce sens: c’est son identité<br />

divine qui permet à Jésus de pousser les exigences de la sequela jusqu’à<br />

une telle extrémité. Aucun homme sur cette terre, à moins d’être<br />

un mégalomane pernicieux, peut justifier la prétention d’être<br />

pour les autres un point de référence incontournable pour la réussite<br />

de leur vie en ce monde et dans l’autre.<br />

2.3. La force du divinum<br />

Si Jésus peut “tout” exiger de ses disciples, il peut aussi tout obtenir<br />

d’eux, à moins que leur liberté s’y oppose. Il peut tout obtenir<br />

d’eux parce que, en vertu de sa puissance divine, il peut pénétrer dans<br />

13 W. KASPER, Jésus le Christ (CF., 88), Cerf, Paris 1980, 151 (tr. légèrement<br />

modifiée). (Or. Jesus der Christus, Grünewald Verlag, Mainz 1974, 121-122).<br />

(C’est l’A. qui souligne).<br />

14 W. KASPER, Jésus, 151.


<strong>46</strong>2 RÉAL TREMBLAY<br />

les cœurs et les accorder pour ainsi dire au dépouillement radical exigé<br />

d’eux. Le fait que l’homme puisse refuser le don de l’amour divin<br />

ne met pas en cause la capacité de cet amour d’avoir accès aux cœurs<br />

humains et de les modeler conformément à son appel. Ce fait montre<br />

seulement que l’homme a la terrifiante possibilité de dire non à<br />

Dieu qui le convoque.<br />

De cet ensemble de données est témoin la version marcienne de l’épisode<br />

de l’homme riche lue au début de ces pages. Constatant que cet<br />

homme était déjà en rapport avec Dieu par l’observance des préceptes<br />

du Décalogue et donc qu’il s’était approché de lui avec le désir d’obtenir<br />

la vie éternelle en le reconnaissant comme un “bon maître” en<br />

raison justement de sa sensibilité innée à la bonté divine, Jésus, dit explicitement<br />

le texte sacré, “fixa sur lui le regard et l’aima”. À ce regard<br />

d’amour 15 fait suite l’invitation à vendre tous ses biens, à distribuer<br />

l’argent aux pauvres et à acquérir ainsi un trésor dans le ciel. Remarquons<br />

ici que c’est l’amour de Jésus qui suscite et anime l’appel à tout<br />

donner 16 . Tandis que dans bien d’autres cas analogues racontés, sous<br />

d’autres paramètres, par les évangiles, l’issue de cette rencontre se solde<br />

par une adhésion profonde du cœur, dans le présent cas l’homme se<br />

dérobe. L’amour transformant de Dieu n’a pas eu de prise sur ce cœur<br />

au service de “deux maîtres” (cf. Mt 6, 24; Lc 16, 13; Mc 4, 19).<br />

À la joie divine de se départir des biens matériels en faveur des autres,<br />

renoncement qui donne la vie éternelle, fait place la tristesse<br />

“charnelle” de s’agripper aux biens matériels aux dépens des autres,<br />

accaparement qui exclut de la vie éternelle. Le texte biblique le note<br />

explicitement. À l’appel de Jésus et à ses exigences de dépouillement,<br />

l’homme “s’assombrit et il s’en alla contristé, car il avait de grands<br />

biens”. Tristesse tragique s’il en est une, puisque l’aspiration de<br />

l’homme à la vie éternelle se voit par son refus compromise vraisemblablement<br />

pour toujours.<br />

15 Légasse parle d’un “élan de tendresse”, d’un “mouvement d’affection”. Cf.<br />

LÉGASSE, L’évangile de Marc, II, 613 et la note 31.<br />

16 Voir sur ce point les remarques pertinentes et complémentaires de F. MA-<br />

CERI, dans R. TREMBLAY-S. ZAMBONI (a cura di), Figli nel Figlio. Una teologia morale<br />

fondamentale, EDB, Bologna, <strong>2008</strong>, 225-226.


SEQUELA ET RADICALISME <strong>46</strong>3<br />

2.4. Un radicalisme différencié<br />

Comme il est facile de le constater, le tout ou la préférence totale<br />

et exclusive des disciples pour Jésus liée à la sequela prend ici la forme<br />

d’un renoncement à la richesse matérielle. Nous avons pu constater<br />

plus haut que les exigences de Jésus ne se limitent pas à ce type<br />

de dépouillement. Elles concernent plusieurs secteurs de la vie des<br />

disciples comme les liens familiaux aussi importants que les rapports<br />

de fils à père ou à mère, etc., comme les métiers ou professions qui<br />

assurent la subsistance matérielle, les devoirs les plus fondamentaux<br />

à rendre à ses proches parents comme le devoir de l’ensevelissement,<br />

l’amour de sa propre vie. Pourquoi cette pluralité d’exigences?<br />

En examinant les contextes dans lesquels s’insèrent les textes qui<br />

relatent ces faits, on se rend compte qu’ils sont pour la plupart insérés<br />

dans le contexte des activités évangélisatrices de Jésus. Pour collaborer<br />

à la mission de Jésus voulue par le Père, les disciples doivent<br />

être libres de toutes attaches matérielles, parentales, personnelles ou<br />

autres, en somme de tout ce qui pourrait les distraire des nécessités<br />

de la mission ou y faire obstacle de quelque manière. Rappelons qu’il<br />

ne s’agit pas ici seulement d’une pure stratégie d’efficacité comme<br />

c’est le cas chez un chef d’entreprise qui exige des renoncements de<br />

la part de ses collaborateurs pour faire fonctionner son établissement<br />

avec le maximum de rendement. Les diverses exigences de Jésus pour<br />

faciliter l’œuvre de l’évangélisation sont d’abord et avant tout l’expression<br />

d’un lien d’amour, d’une choix radical pour lui. Cela nous fait mieux<br />

voir que l’évangile à proclamer se réalise d’abord et avant tout dans<br />

la personne de Jésus – en ce sens Origène pouvait dire de Jésus qu’il<br />

était en personne le “Royaume de Dieu” 17 – et que, par conséquent,<br />

l’annonce de l’Évangile est l’irradiation de sa personne puisée dans<br />

l’amour radical que les disciples lui portent. Paul est l’exemple accompli<br />

de cette observation 18 , sans parler de l’”autre colonne”, Pierre,<br />

qui reçoit du Ressuscité la mission de “paître” ses brebis par sui-<br />

17 Cf. ORIGÈNE, In Matth. tract., 14, 7 (GCS 10, 289).<br />

18 Voir son apologie à la fin de la 2Co 10-12.


<strong>46</strong>4 RÉAL TREMBLAY<br />

te du renversement de son reniement par l’amour: “Seigneur, tu sais<br />

tout, tu sais que je t’aime”, qui se prolonge ensuite dans l’appel à la<br />

sequela cruciforme (cf. Jn 21, 15-19). Signalons au passage comment<br />

le Caravage a su, beaucoup mieux que Michel-Ange, que Guido Reni<br />

et bien d’autres, représenter plastiquement l’enjeu de cet épisode<br />

en ce regard de l’apôtre jeté, avant de mourir, sur l’Église de tous les<br />

temps, Église qu’il paît maintenant, dans le Crucifié ressuscité, par<br />

l’anéantissement de la croix partagée.<br />

2.5. Les appelés à la sequela<br />

Cette observation conduit à nous interroger sur les appelés à la sequela.<br />

S’agit-il exclusivement de quelques privilégiés destinés à jouer<br />

un rôle de pointe dans la proclamation du Royaume et en son implantation<br />

jusqu’aux extrémités de la terre (cf. Mt 28, 19) ou s’agit-il<br />

de tous sans exception? S’il est incontestable, comme nous l’avons vu,<br />

que l’invitation de Jésus à la sequela cible ordinairement certains individus<br />

destinés à jouer des rôles bien précis dans la mise en oeuvre<br />

du plan de Dieu en faveur de l’humanité (les futurs apôtres par exemple),<br />

la tradition lucanienne, comme la tradition marcienne du reste<br />

(cf. Mc 2, 13p), ne manque pas de faire retentir l’appel de Jésus à<br />

tous 19 . Un texte témoin de cette tendance lucanienne est le suivant:<br />

Des foules nombreuses faisaient route avec lui, et se retournant (Jésus)<br />

leur dit: «Si quelqu’un vient à moi sans haïr son père, sa mère, sa<br />

femme, ses enfants, ses frères, ses sœurs, et jusqu’à sa propre vie, il ne<br />

peut être mon disciple. Quiconque ne porte pas sa croix et ne vient<br />

pas derrière moi ne peut être mon disciple» (Lc 14, 25-27).<br />

19 Dans la partie biblique de l’article “Nachfolge Christi”, TH. SCHMELLER distingue<br />

en ce “tous” les Douze, un cercle plus élargi de personnes qui tournent<br />

autour d’eux (“ein weiterer Kreise”) et enfin les adeptes habituels (“die seßhaften<br />

Anhänger”) qui, selon lui, sont plus qu’un simple groupe de sympathisants.<br />

Les exigences radicales de Jésus ne s’adresseraient qu’aux deux premiers groupes.<br />

Cf. Lexikon für Theologie und Kirche, Bd. 7, Herder, Freiburg-Basel-Rom-<br />

Wien 1998 2 , 609.


SEQUELA ET RADICALISME <strong>46</strong>5<br />

Remarquons en l’occurrence que le “tout” dont nous avons parlé<br />

plus haut apparaît chez Luc sous une forme particulièrement radicale.<br />

Dans le contexte familial, l’évangéliste parle non seulement des<br />

liens de fils à parents (père et mère), mais d’époux à épouse, de parents<br />

à enfants, de frères à sœurs. La ligne est la même que les autres<br />

Synoptiques, mais plus accentuée encore 20 . Mais laissons là cet aspect<br />

des choses pour l’essentiel déjà connu et approfondi et retournons à<br />

notre question de départ.<br />

À prendre saint Luc vraiment un sérieux, on n’est pas autorisé à<br />

concevoir deux types de christianisme comme ce fut souvent le cas<br />

dans le passé encore récent et contre lequel a réagi fortement le<br />

Concile Vatican II, surtout dans la Constitution dogmatique Lumen<br />

Gentium 21 . Un christianisme donc pour l’élite (indépendamment ici<br />

des formes concrètes dans lesquelles se coulait ce christianisme des<br />

“parfaits”) et un autre pour le commun des fidèles (avec la conséquence<br />

de voir justifier la médiocrité qui se trouvait en contradiction<br />

flagrante avec l’évangile où Dieu est à l’œuvre et où il ne peut pas,<br />

comme disait si profondément saint Léon le Grand, être moins que<br />

lui-même 22 ). Tous les croyants sont appelés au radicalisme de la sequela selon<br />

des formes différentes accordées à leurs missions dans l’Église.<br />

Précisons encore en nous servant de la comparaison paulinienne<br />

de l’Église aux membres du corps humain (cf. 1Co 12, 12s). Il est clair<br />

que plus un membre de l’Église est important pour la vitalité de tout<br />

le Corps, plus s’intensifient pour lui les exigences de la sequela. En<br />

disant cela, je ne renie pas l’exigence évangélique du radicalisme de<br />

la sequela pour tous, mais je la spécifie, ce qui est évidemment bien<br />

différent.<br />

20 Ernst note: “Nirgendwo sonst, ist mit gleichem Ernst von den Bedingungen<br />

der Nachfolge gesprochen worden wie in diese Stelle” Das Evangelium, 447.<br />

21 Cf. G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia. Testo e commento della Lumen<br />

Gentium, Jaca Book, Milano 1986 3 , 389s. Cf. aussi M. DOLDI, dans R.<br />

TREMBLAY-S. ZAMBONI (a cura di), Figli nel Figlio, 89-91.<br />

22 “... Cum gradus in vera Divinitate esse non possit”, LÉON LE GRAND, Huitième<br />

Sermon pour Noël, 4 (SCh., 22 bis , 168).


<strong>46</strong>6 RÉAL TREMBLAY<br />

Du reste, l’histoire de l’hagiographie chrétienne va exactement<br />

dans ce sens. On a vu en effet des mères et pères de famille, des laïcs<br />

de condition souvent très effacée et exerçant des professions diverses,<br />

d’humbles religieux, voire même des petits enfants, pratiquer, à côté<br />

des papes, des évêques ou d’autres personnages prestigieux, le renoncement<br />

radical de la sequela, – sans préjudice évidemment, nous y reviendrons<br />

à l’instant, des modalités concrètes que peut et doit prendre<br />

ce radicalisme mesuré à la mission confiée à chacun. Ces constatations<br />

me conduisent à penser que l’instauration de deux classes de<br />

chrétiens déjà signalée vient du fait que l’on n’a pas su reconnaître<br />

dans la vie et la tâche de chacun l’espace spécifique où peut émerger le<br />

“tout” exigé par Jésus. Voici un exemple à cet égard. Une mère de famille<br />

ne peut pas “haïr” son enfant à cause du Christ, mais elle peut le<br />

faire en n’adhérant pas aux caprices de son enfant et en l’initiant au renoncement<br />

à lui-même, au partage, à la sobriété de vie. Tous ces comportements<br />

et d’autres analogues se reflètent sur le visage du Christ et<br />

préparent l’enfant à chercher sa présence avec une issue éventuellement<br />

plus positive que celle de l’homme riche de l’évangile de Marc.<br />

Quel renoncement peut représenter un tel type d’éducation pour une<br />

mère aux prises avec un environnement qui pense tout différemment!<br />

D’autres exemples de ce genre pourraient être mentionnés.<br />

En voici un autre. En un hôpital bondé de malades, un médecin<br />

peut difficilement “haïr” sa profession par préférence pour le Christ,<br />

mais il peut “haïr” sa réputation en acceptant de subir mépris, menaces,<br />

voire même insécurité pour son avenir, par le refus de faire des<br />

avortements au nom de ses convictions chrétiennes en faveur de la vie.<br />

Ces quelques exemples auxquels on pourrait en ajouter bien d’autres<br />

montrent que tout croyant porte en son coeur un espace propre où<br />

peut émerger et s’épanouir le “tout” de la sequela. Si ce n’était pas le<br />

cas, l’évangile deviendrait incohérent.<br />

3. Conclusion<br />

Sous l’influence de l’hellénisme ambiant, nous savons que l’idée<br />

de l’“imitation” (Nachahmung) a fait son chemin dans les écrits néo-


SEQUELA ET RADICALISME <strong>46</strong>7<br />

testamentaires les plus tardifs 23 jusqu’aux Pères apostoliques comme<br />

Ignace d’Antioche par exemple. Néanmoins il ne s’est jamais agi en<br />

l’occurrence d’une pure imitation extérieure, d’une simple copie d’un<br />

modèle. Restait toujours présent, dans la ligne de la sequela évangélique,<br />

un lien intime avec le Seigneur 24 .<br />

Jean-Paul II fait écho à cette donnée quand, à la lumière du récit<br />

du “jeune homme riche” de la version matthéenne, il présente la sequela<br />

comme partie intégrante de la vocation chrétienne en insistant<br />

sur le rapport intérieur du croyant avec le Christ nourri aux sources<br />

sacramentelles. En terminant, lisons ce texte pontifical qui reprend et<br />

complète quelques données essentielles de ces pages et surtout qui<br />

renoue avec le premier membre du binôme à l’étude:<br />

Suivre le Christ ne peut pas être une imitation extérieure, parce que cela<br />

concerne l’homme dans son intériorité profonde. Être disciple de<br />

Jésus veut dire être rendu conforme à celui qui s’est fait serviteur jusqu’au<br />

don de lui-même sur la Croix (cf. Ph 2, 5-8). [...] Sous l’impulsion<br />

de l’Esprit, le baptême configure radicalement le fidèle au Christ,<br />

dans le mystère pascal de la mort et de la résurrection; il le «revêt» du<br />

Christ (cf. Ga 2, 27). [...] Et la participation à l’Eucharistie [...] est le<br />

plus haut degré de l’assimilation au Christ, source de «vie éternelle»<br />

(cf. Jn 6, 51-58), principe et force du don total de soi 25 .<br />

23 Dans le corpus paulinien par exemple. E. COTHENET attribue ce fait aux<br />

“rapports des disciples de Jésus (qui) ne pouvaient être du même type que ceux<br />

des croyants, comme Paul, qui n’avaient pas connu le Jésus de l’histoire et vivaient<br />

dans la foi au Kyrios glorifié” art. “Imitation du Christ”, dans le Dictionnaire<br />

de Spiritualité, t. 7/2, Beauchesne, Paris 1971, 1539.<br />

24 C’est à juste titre que J. Weismayer écrit ce qui suit: “Nachfolge wurde in<br />

der patristischen und mittelalterischen Spiritualität meist als Nachahmung begriffen<br />

(...) und als “Kreuztragen” und Selbstverleugnung” in einem asketischen<br />

Sinn interpretiert. Im Hintergrund stand aber das Bewußtsein, daß Nachfolge<br />

geschenkhaft durch Gnade ermöglicht ist, gründend in der sakralischen Gemeinschaft<br />

mit Christus” art. “Nachfolge Christi”, dans Lexikon für Theologie und<br />

Kirche, Bd. 7, Herder, Freiburg-Basel-Rom-Wien 1998 2 , 611.<br />

25 Veritatis Splendor, 21.


<strong>46</strong>8 RÉAL TREMBLAY<br />

SUMMARIES<br />

In this article, the intention of the author is to deepen the radicalism linked to<br />

following. After briefly recalling the essential features of following, he seeks to<br />

answer questions such as the following. To what does the moral radicalism implied<br />

in following refer? How could Christ demand all from the persons he has<br />

called? How could it be that the ‘all’ in question takes different forms in the biblical<br />

sources that speak of it? Has mission something to say in this respect? To<br />

whom is the call to following directed? To all or to a privileged one? The answers<br />

to such questions will have as consequences the strengthening of the<br />

definition of following given at the beginning of the article, and to present it as<br />

an intimate bond with the Lord rather than the simple imitation of a model.<br />

* * *<br />

En el presente artículo, el autor examina el radicalismo vinculado al seguimiento.<br />

Tras recordar brevemente los puntos fundamentales del seguimiento,<br />

trata de dar respuesta a algunas preguntas fundamentales: ¿Qué significa el<br />

radicalismo moral inherente al seguimiento? ¿Cómo puede Cristo exigir todo<br />

de las personas a las que Él llama? ¿Cómo es posible que dicho “todo” adopte<br />

las variadas formas a las que aluden las fuentes bíblicas? ¿Tiene algo que<br />

decir la misión al respecto? ¿A quiénes se dirige la llamada al seguimiento?<br />

¿A todos o a algún privilegiado? Las respuestas a estas preguntas confirmarán<br />

la definición que se dio al comienzo del estudio sobre el seguimiento y lo<br />

presentarán más como un vínculo estrecho con el Señor, que como la simple<br />

imitación de un modelo.<br />

* * *<br />

In questo articolo, l’autore intende approfondire il radicalismo legato alla sequela.<br />

Dopo aver ricordato brevemente i tratti essenziali della sequela, egli cerca<br />

di rispondere a domande come quelle: A che cosa si riferisce il radicalismo<br />

morale coinvolto nella sequela? Come può Cristo esigere tutto dalle persone<br />

da lui chiamate? Come mai il “tutto” in questione prenda forme varie nelle fonte<br />

bibliche che ne parlano? La missione ha qualche cosa da dire a proposito?<br />

A chi si rivolge la chiamata alla sequela? A tutti o a qualche privilegiato? Le risposte<br />

a tali domande avranno come conseguenze di rafforzare la definizione<br />

della sequela data all’inizio dello studio e di presentarla come legame intimo<br />

con il Signore piuttosto che come pura imitazione di un modello.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA<br />

Alfonso V. Amarante, C.Ss.R.*<br />

Introduzione<br />

L’arco storico che copre i secoli XVII-XIX è stato caratterizzato<br />

da una grande fioritura dello strumento catechistico. I teologi e i pastori,<br />

spinti dalle indicazioni del Concilio tridentino e dall’urgenza<br />

pastorale di arginare la morale giansenista e l’avanzare del protestantesimo,<br />

trovarono in questo strumento un valido metodo per aiutare<br />

i curati nell’istruzione al popolo.<br />

In questo periodo, abbiamo il sovrapporsi di due strutture di catechismi<br />

che rispondono a due genere letterari diversi i quali sottendono<br />

ad una proposta morale dommatica basata su preoccupazioni e visioni<br />

dissimili.<br />

La prima struttura del catechismo, fedele all’insegnamento del<br />

Concilio tridentino, si richiama alle tre virtù teologali (fede, speranza<br />

e carità) ed ai sacramenti. A partire da questa griglia, il catechismo<br />

viene diviso in cinque parti: Simbolo della fede, Preghiera, Comandamenti,<br />

Sacramenti e Vita cristiana (peccati e virtù).<br />

La seconda proposta di catechismo, la quale è sviluppata a partire<br />

dal secolo XVII, risponde ad uno schema di tipo sistematico: dogma,<br />

morale e grazia. Dal XVII al XIX secolo, questa seconda struttura si<br />

afferma gradualmente fino a confluire nel catechismo di Pio X e risalente<br />

al 1912.<br />

Alfonso de Liguori, si inserisce anch’egli in questo dibattito contribuendovi<br />

con degli opuscoli di “dottrina cristiana”. Egli, come<br />

teologo, elabora la sua proposta morale sia attraverso la ricerca e la<br />

pubblicazione di una notevole quantità di studi, nei quali perfeziona<br />

* The author is an associate professor at the Alphonsian Academy.<br />

* El autor es profesor asociado en la Academia Alfonsiana.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) <strong>46</strong>9-485


470 ALFONSO V. AMARANTE<br />

ed affina la sua proposta morale equiprobabilista, destinata principalmente<br />

agli addetti ai lavori, sia attraverso dei testi utili per la formazione<br />

nella vita cristiana di laici e catechisti.<br />

In questo studio analizzeremo la proposta morale alfonsiana così<br />

come si evince dai testi catechetici, consapevoli che nella visione del<br />

Santo non è possibile dividere l’aspetto speculativo della ricerca morale<br />

dalla vita pratica.<br />

1. Le disposizioni tridentine per il catechismo<br />

Il sostantivo “catechismo” ha la sua radice etimologica nella parola<br />

greca “katechismòs”, che significa “ciò che è insegnato”. Nella Chiesa<br />

primitiva, l’insegnamento dispensato agli adulti che chiedevano il battesimo<br />

era detto “catechesi” e derivava dal termine greco “katechéo”,<br />

cioè “insegnare a viva voce” 1 . Nella cultura odierna, con il termine catechismo,<br />

si intende il testo che raccoglie e presenta «con fedeltà ed in<br />

modo organico l’insegnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione<br />

vivente della Chiesa e del Magistero autentico, come pure l’eredità<br />

spirituale dei Padri, dei santi e delle sante della Chiesa» 2 .<br />

La storia dei testi catechistici coincide con quella della Chiesa 3 .<br />

La nascita del testo ufficiale catechetico come strumento della Chie-<br />

1 Cfr. Emilio ALBERICH, «Carechesi» in Dizionario di Catechetica, a cura di<br />

Joseph Gevaert, Elledici, Leumann-Torino 1986, 104-108.<br />

2 GIOVANNI PAOLO II, Costituzione apostolica Fidei depositum per la pubblicazione<br />

del Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dopo il Concilio Ecumenico<br />

Vaticano II, in AAS 86 (1994), 113-118. Cfr. anche EV/13, 2047-2068.<br />

Cfr. CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Libreria Editrice Vaticana, Città<br />

del Vaticano 1992, 13.<br />

3 Per uno sguardo sintetico sulla storia della catechesi e dei catechismi cfr. A.<br />

ETCHEGARAY CRUZ, Storia della catechesi, Ed. Paoline, Roma 1983; J. GEVARET<br />

(a cura di), Dizionario di catechetica, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1986; PIETRO<br />

BRAIDO, Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi. Dal «tempo delle riforme»<br />

all’età degli imperialismi (1450-1870), Elle Di Ci, Leumann (TO) 1991; P.<br />

BRAIDO, Dossier informativo sul Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice<br />

Vaticana, Città del Vaticano, 1992.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 471<br />

sa cattolica per evangelizzare, formare e correggere, si ha solamente<br />

nel 1566 4 . Seguiamone velocemente la storia della sua intuizione e<br />

sviluppo.<br />

Il 26 febbraio del 1562, durante la XVIII sessione del Concilio di<br />

Trento (1545-1563), i padri conciliari constatarono che<br />

il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina<br />

impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto, –<br />

ciò è stato il motivo per cui molte censure in varie province, e specialmente<br />

nella città di Roma, sono state stabilite con pio zelo, senza<br />

però che ad un male così grave e così pericoloso giovasse alcuna medicina,<br />

– questo sinodo ha disposto che un gruppo di padri scelti per<br />

lo studio di questo problema, considerasse diligentemente che cosa<br />

fosse necessario fare e, a suo tempo, ne riferissero allo stesso santo sinodo,<br />

perché esso possa più facilmente separare, come zizzania, le<br />

dottrine varie e peregrine dal frumento della verità cristiana; e con<br />

maggiore opportunità prendere una deliberazione e stabilire qualche<br />

cosa di preciso su quelle questioni che sembreranno più opportune a<br />

togliere lo scrupolo dall’anima di parecchia gente e a rimuovere le<br />

cause di molti lamenti 5 .<br />

Nel corso della penultima sessione del concilio tridentino, l’undici<br />

novembre 1563, è approvato il Decretum de reformatione, in cui il<br />

quarto canone è dedicato alla disciplina della predicazione ecclesiastica<br />

e alla formazione catechistica dei fedeli.<br />

Il santo sinodo, desiderando che l’ufficio della predicazione, che è il<br />

principale dovere dei vescovi, venga esercitato quanto più frequente-<br />

4 Sia in ambito cattolico che protestante prima del 1566 esistevano già dei<br />

catechismi. In ambito cattolico basta pensare alla proposta catechetica di Georg<br />

Witzel (1501-1573) o ai lavori di Pietro Canisio (1524-1597). In ambito protestante<br />

i punti di riferimento sono la produzione di Martin Luther (1483-15<strong>46</strong>)<br />

e di Giovanni Calvino (1509-1564).<br />

5 Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. ALBERIGO – G. L. DOS-<br />

SETTI [et. al.], Istituto per le Scienze religiose di Bologna, Edizione bilingue,<br />

Bologna 1991, Sess. XVIII, 723, 725.


472 ALFONSO V. AMARANTE<br />

mente è possibile per la salvezza dei fedeli, adattando meglio alle necessità<br />

dei tempi presenti i canoni emanati un tempo su questo argomento<br />

sotto Paolo III, di felice memoria, comanda che essi espongano<br />

le sacre scritture e la legge divina: nella propria chiesa, personalmente,<br />

o, se ne fossero legittimamente impediti, mediante persone<br />

assunte per la predicazione, nelle altre chiese di città o della diocesi<br />

[...] almeno tutte le domeniche e nelle feste solenni, durante la quaresima<br />

e l’avvento del Signore, ogni giorno, o almeno tre volte la settimana,<br />

se lo credono opportuno, ed inoltre ogni volta che ciò possa<br />

esser stimato utile. [...].<br />

Gli stessi vescovi avranno anche cura che almeno nei giorni di domenica<br />

e negli altri festivi in ogni parrocchia i bambini siano diligentemente<br />

istruiti da chi ne ha il dovere, nei rudimenti della fede e in<br />

ciò che riguarda l’obbedienza a Dio e ai genitori. Se sarà necessario<br />

li costringeranno anche con le censure ecclesiastiche. Tutto ciò, non<br />

ostante i privilegi e le consuetudini. Nelle altre cose, conservino la loro<br />

forza le disposizioni che sono state emanate sotto lo stesso Paolo<br />

III sul dovere della predicazione 6 .<br />

Nella fase iniziale del Concilio, si esorta il clero a svolgere una<br />

predicazione limitata all’ambito morale, escludendo gli argomenti<br />

prettamente dottrinali 7 . Al momento della conclusione, invece, la<br />

predicazione è strettamente collegata all’insegnamento metodico dei<br />

rudimenta fidei. Si insiste, particolarmente, sulla frequenza delle prediche,<br />

che devono essere svolte, non soltanto la domenica, nei giorni<br />

di festa ma, anche, ed almeno, tre volte la settimana, nei periodi più<br />

importanti dell’anno liturgico, specialmente, durante l’Avvento, la<br />

Quaresima, le Quarantore. Al termine dei lavori della venticinquesima<br />

sessione i padri conciliari rimettono nelle mani del pontefice la<br />

pubblicazione del catechismo 8 .<br />

6 Sess. XXIV, can. 4, 763.<br />

7 Cf. Sess. V, can. 2, 669; Cf. Sess. V, can. 11, 669; Cf. Sess. V, can. 15, 670.<br />

8 «Nella seconda sessione – celebrata sotto il santissimo signore nostro Pio<br />

IV –, il sacrosanto sinodo, scelti alcuni padri, li incaricò, perché pensassero cosa<br />

si sarebbe dovuto fare delle varie censure e dei libri sospetti o pericolosi, e ne


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 473<br />

A tre anni dalla conclusione del Concilio di Trento, è pubblicato<br />

il testo ufficiale per la catechesi a cui, in seguito, si sono ispirate intere<br />

generazioni di vescovi e teologi per elaborare i sussidi di formazione<br />

per il gregge a loro affidato 9 . Il catechismo tridentino o “Catechismo<br />

Romano” 10 era strutturato in quattro parti: la prima parte<br />

trattava la fede e i dodici articoli del simbolo della fede (13 capitoli);<br />

la seconda parte i sacramenti (8 capitoli); la terza parte, i precetti del<br />

decalogo (10 capitoli); e l’ultima la preghiera e il commento al Pater<br />

(17 capitoli).<br />

Tutto l’impianto dottrinale del catechismo romano è in funzione<br />

dell’azione pastorale dei parroci per formare i laici. Esso offriva ai pastori<br />

solamente gli elementi essenziali ed accessibili all’educazione<br />

dei fedeli «lo scopo della dottrina è in definitiva conoscere con tutta<br />

l’anima Cristo crocifisso, unico Salvatore; e questa scienza deve diventare<br />

imitazione e sequela, nella carità [...]. Quanto al metodo “si<br />

deve tener conto dell’età, dell’intelligenza, del livello morale e della<br />

condizione dei destinatari”» 11 .<br />

Con il catechismo tridentino, i parroci hanno tra le mani uno<br />

strumento pratico per poter snocciolare le verità di fede e di morale<br />

ancorate al depositum fidei. Esso, in pratica, enuclea i criteri essenzia-<br />

riferissero poi allo stesso santo concilio. Ora sente dire che essi hanno posto<br />

fine a questo incarico. Ma per la grande diversità e per il gran numero dei libri,<br />

esso non può facilmente giudicarli, uno per uno. Comanda quindi, che<br />

tutte le loro conclusioni siano presentate al romano pontefice, perché secondo<br />

il suo giudizio e la sua autorità quello che essi hanno fatto sia portato a termine<br />

e pubblicato. La stessa cosa comanda che facciano i padri, che hanno ricevuto<br />

l’incarico per il catechismo, per il messale e per il breviario» Cfr. Sess.<br />

XXV, 797.<br />

9 Cfr. Catechismus Romanus seu Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad parochos<br />

Pii Quinti Pont. Max. iussu editus, a cura di P. RODRIGUEZ – I. ADEVA – F-<br />

DOMINGO – R. LANZETTI – M. MERINO, Libreria Editrice Vaticana, Città del<br />

Vaticano 1989. Cfr. Angelo AMATO, Una lunga tradizione, dal «catechismus ad parochos»<br />

al catechismo della Chiesa Cattolica, in Seminarium, 2 (1993), 159-160.<br />

10 Cfr. Luis RESINES, «Catechismo Romano» in Dizionario di catechetica,<br />

125-126.<br />

11 P. BRAIDO, Lineamenti di storia della catechesi, 74.


474 ALFONSO V. AMARANTE<br />

li da seguire nella catechesi e, nel contempo, offre i canoni a cui si<br />

ispirano una moltitudine di teologi cattolici nella stesura di ulteriori<br />

catechismi 12 .<br />

2. La dottrina cristiana alfonsiana<br />

Tra l’abbondante produzione alfonsiana, i biografi segnalano tre<br />

scritti inerenti al tema del catechismo 13 . Questi scritti vanno letti come<br />

lo sforzo del santo di sminuzzare le verità della fede cristiana nel<br />

modo più semplice possibile sia per gli operatori pastorali, sia per i<br />

fedeli da evangelizzare. In questo paragrafo, cercheremo di evidenziare<br />

il processo evolutivo della loro formazione, soffermandoci, unicamente,<br />

sui primi due scritti, in quanto il terzo richiede, per estensione<br />

e contenuti, una riflessione a parte.<br />

Nel 1723, quando Alfonso de Liguori inizia il suo cammino formativo<br />

per accedere agli ordini sacri, vi è la prassi che i seminaristi,<br />

la domenica pomeriggio, devono istruire nella fede i fanciulli attraverso<br />

il catechismo 14 . Vista l’utilità di questa esperienza anche attra-<br />

12 Cfr. Pietro STELLA, “I catechismi in Italia e in Francia nell’età moderna.<br />

Proliferazione tra analfabetismo e incredulità”, in Salesianum 49 (1987), 303-322.<br />

13 Seguendo l’ordine cronologico i tre scritti alfonsiani, strettamente riguardanti<br />

la dottrina cristiana, sono: Compendio della Dottrina cristiana stampato in Napoli<br />

per ordine dell’Eminentissimo Signor Cardinale Spinelli nel 1744, allora Arcivescovo<br />

di Napoli, ed ora ristampato nella Stamperia di Alessio Pellecchia, Napoli 1758 (Cfr.<br />

R. TELLERÍA, “De «Compendio doctrinae christianae» a S. Alfonso exarato atque<br />

olim bis in lucem edito”, in SHCSR 4 (1956), 259-279); “Breve dottrina cristiana”,<br />

in Opere di S. Alfonso Maria de Liguori, Ed. Giacinto Marietti, Torino<br />

1887, vol. IX, 858-859; “Istruzione al popolo sovra i precetti del Decalogo per<br />

ben osservarli, e sovra i Sagramenti per ben riceverli”, in Opere di S. Alfonso Maria<br />

de Liguori, Ed. Giacinto Marietti, Torino 1887, vol. IX, 897-976.<br />

14 Cfr. Alfonso V. AMARANTE, Evoluzione e definizione del metodo missionario<br />

Redentorista (1732-1764), = Copiosa Redemptio 1, Editrice San Gerardo, Materdomini<br />

2003, 115. Il sacerdote napoletano Aniello Pacifico attesta con queste<br />

parole l’impegno del futuro santo nell’istruire i fanciulli «Fo fede come D.<br />

Alfonso de Liguoro di mia parrocchia istruiti i figliuoli nella dottrina cristiana


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 475<br />

verso le Cappelle Serotine, la continua con altri sacerdoti: «si sminuzzavano<br />

ogni sera da Alfonso le verità più sublimi di nostra Santa<br />

Fede; e siccome si metteva in orrore il vizio, così si mettevano in prospetto<br />

le virtù Cristiane» 15 .<br />

Questa sua esperienza viva di catechesi lo porterà, una volta fondata<br />

la Congregazione del Santissimo Redentore, ad insistere con i<br />

suoi confratelli sulla necessità ed utilità di svolgere questo ministero.<br />

Infatti, nelle costituzioni del 1749 si fa esplicito riferimento alla catechesi<br />

«i fratelli di questa Congregazione [...] attenderanno in aiutare<br />

la gente sparsa per la campagna e paesetti rurali, più privi e destituti<br />

di spirituali soccorsi, con Missioni e con catechismi, e con spirituali<br />

esercizj» 16 .<br />

2.1. Compendio della dottrina cristiana (1744)<br />

Nella bibliografia alfonsiana viene riportato come primo testo di<br />

catechismo il “Compendio della dottrina cristiana” edito, per la prima<br />

volta, nel 1744 e ristampato poi nel 1758. Nel 1744, la nascente<br />

Congregazione del Santissimo Redentore è impegnata nella grande<br />

missione detta dei Casali (zona periferica della città di Napoli) voluta<br />

dall’arcivescovo del capoluogo campano, Giuseppe Spinelli (1694-<br />

1763). È possibile che questo testo sia nato come strumento pratico<br />

da adottare per la catechesi 17 .<br />

con tutto zelo e fervore cominciando dal mese di ottobre 1723 [...] in tutte le<br />

domeniche, con fare anche il circolo, ed ha anche istruito i detti figluoli a far bene<br />

il precetto pasqaule, con aver fatta una sola mancanza in una delle predette<br />

domeniche». Per ulteriori approfondimenti cfr. Raimundo TELLERÍA, “De<br />

«Compendio Doctrinae Christanae» a S. Alfonso exarato atque olim bis in lucem<br />

edito”, in SHCSR 4 (1956), 259-260.<br />

15 Antonio TANNOIA, Della vita ed istituto del venerabile servo di Dio Alfonso<br />

M.a Liguori, Vescovo di S. Agata e Fondatore della Congregazione de’ preti missionari<br />

del SS. Redentore, 3 voll., Presso Vincenzo Orsini, Napoli 1798-1802, 44.<br />

16 ORESTE GREGORIO – ANDRÉ SAMPERS, “Regole e Costituzioni primitive<br />

dei Missionari redentoristi”, in SHCSR 16 (1968), 413.<br />

17 Anche se questo testo è inserito tra la produzione letteraria del Santo alcuni<br />

studiosi hanno sollevato dubbi sulla paternità alfonsiana dello scritto.


476 ALFONSO V. AMARANTE<br />

Il Compendio si compone di 133 domande e risposte, degli “Atti<br />

cristiani”, “Atti da farsi ogni mattina” ed una “Canzoncina”. Esso risponde<br />

alla caratteristica di un piccolo manuale didattico ad uso dei<br />

sacerdoti per istruire i catecumeni, senza entrare in disquisizioni teologiche,<br />

per un uso pratico ed immediato.<br />

La materia esposta può essere così suddivisa: le domande e le risposte<br />

che vanno da 1 a 48 illustrano il tema della fede; da 49 a 64<br />

espongono la speranza e la preghiera; da 65 a 78 sviluppano i comandamenti<br />

e i precetti della Chiesa; da 79 a 92 analizzano il peccato;<br />

da 93 a 133 trattano i sacramenti 18 .<br />

La struttura del compendio, anche se ispirata per contenuti al catechismo<br />

romano, non segue l’ordine degli argomenti. Alla successione<br />

del catechismo romano: credo, sacramenti, comandamenti e<br />

preghiera, è proposta una sequenza che a partire dalla fede, speranza<br />

e preghiera presenta poi i comandamenti, il peccato per concludere<br />

con i sacramenti 19 .<br />

La disposizione della materia, così formulata, risponde certamente<br />

ad un criterio di base per istruire coloro che si preparano a ricevere<br />

i sacramenti.<br />

Cfr. Ciro SARNATARO, La catechesi a Napoli negli anni del card. Giuseppe Spinelli<br />

(1734-1754), Valsele Tipografica, Materdomini (AV) 1989, 99-130. In questa<br />

sede non entreremo in questo dibattito in quanto non siamo in grado di stabilire<br />

la veridicità. A noi interessa solo esaminare i contenuti per seguire l’evoluzione<br />

del pensiero del Santo su questo tema.<br />

18 La numerazione nel testo non è presente quella proposta è nostra.<br />

19 La disposizione della materia così concepita sembra ricalcare da vicino le<br />

opere del Canisio e del Ledesma. Per maggiori approfondimento cfr. Pietro<br />

Canisio, Catechismo catholico, molto necessario per ben ammaestrare la gioventù in<br />

questi nostri tempi, composto pel r. p. Pietro Canisio dottor e theologo, & tradotto in<br />

lingua italiana per il p. Angelo Dovitij della medesima compagnia, Per Michele Tramezzino,<br />

Venetia 1565. Pedro Ledesma, Doctrina Christiana compuesta y ordenada<br />

por el maestro fray Pedro de Ledesma... in Primera parte de la summa, en la qual<br />

se cifra y summa todo lo que toca y pertenece a los sacramentos, con todos los casos y dudas<br />

morales resueltas y determinadas, en casa de Antonia Ramirez viuda, Salamanca<br />

1602.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 477<br />

Lo spazio maggiore è occupato dal discorso sulla fede e sui sacramenti<br />

ma è da notare l’insistenza circa il sacramento dell’eucaristia e,<br />

di conseguenza, sul sacramento della confessione.<br />

Al numero 81 del Compendio (sezione dedicata al peccato), infatti,<br />

si domanda: «Quante sorti di peccati vi sono?» e si risponde «due<br />

sorti: Originale a Attuale», ai numeri successivi 82 e 83 segue la distinzione<br />

di questi due peccati, per poi domandare al numero 84 «Di<br />

quante maniere è il peccato attuale» a cui si risponde «Di due maniere:<br />

mortale e veniale». Questa distinzione apre, poi, la sezione sui<br />

sacramenti come mezzo per riacquistare la grazia. I sacramenti sono<br />

sviluppati in questo ordine: battesimo, cresima, unzione degli infermi,<br />

ordine, matrimonio, confessione ed infine eucaristia.<br />

È interessante notare il modo in cui sono collegati i sacramenti della<br />

confessione e dell’eucaristia. Dopo aver parlato del matrimonio come<br />

sacramento che dà la grazia per vivere cristianamente ed allevare figli<br />

secondo la legge di Dio, si introduce la confessione, indicando come<br />

si fa l’esame di coscienza e facendo la distinzione tra contrizione ed<br />

attrizione, per poi introdurre la distinzione tra peccati veniali e mortali.<br />

Una volta esaminato questo sacramento si domanda: «Chi si è ben<br />

confessato e va a comunicarsi, riceve un altro sacramento?», per poi<br />

continuare sulla presenza reale di Cristo nell’eucaristia.<br />

Alla penitenza e all’eucaristia viene riservato maggiore spazio rispetto<br />

agli altri sacramenti. Questo è spiegabile in quanto la catechesi<br />

è in funzione dei sacramenti di iniziazione cristiana. Per fugare<br />

ogni dubbio sulla necessità dell’eucaristia come nutrimento della vita<br />

spirituale ed alimento della grazia, lo scrivente parlando dell’eucaristia<br />

domanda, al numero 118, «Che effetto fa tal sacramento?» a cui<br />

segue la risposta «Accresce la Grazia di Dio, e così nutrisce la vita<br />

spirituale dell’Anima».<br />

Allo stesso tempo si può cogliere nell’intero Compendio come il<br />

tema della libertà e della grazia è trattato con molta saggezza. Ad<br />

esempio ai numeri 49-53 si domanda se è necessaria la grazia per salvarsi<br />

per poi chiedere al numero 53 «Quale è il mezzo più efficace<br />

per ottenere da Dio gli aiuti de’ quali abbiamo bisogno?». Si risponde<br />

che il mezzo più adatto è la preghiera e particolarmente l’orazione<br />

del Padre nostro. Una scelta metodologica di tal tipo, in vir-


478 ALFONSO V. AMARANTE<br />

tù di una catechesi mnemonica, sembra una chiara presa di posizione<br />

pratica per arginare il dilagare del giansenismo anche nel Regno<br />

di Napoli 20 .<br />

2.2. Breve dottrina cristiana (1762)<br />

Le prime notizie che possiamo rintracciare circa la “Breve dottrina<br />

cristiana” 21 , risalgano ad una lettera del 30 agosto 1762 che monsignor<br />

de Liguori, nominato vescovo della diocesi di Sant’Agata dei<br />

Goti proprio in quell’anno, scrive a vicari foranei:<br />

Incarichiamo a’ RR. arcipreti, parrochi, sostituti e cappellani delle<br />

parrocchiali chiese di detta nostra diocesi che rispettivamente recitino<br />

al popolo, nella messa mattinale e nella seconda messa ancora, in<br />

ogni mattina de’ giorni festivi, le dottrinelle che si mandano coll’esibitore<br />

della presente a ciascuno di essi, nel modo che sta scritto nella<br />

carta stampata, che si potrà da essi parrochi ed altri sostituti e da’ cappellani<br />

parimente delle chiese, delle cappelle e chiese separate, incollare<br />

sopra una tavoletta o un cartone, acciò si abbia sempre presente,<br />

da riporsi in un luogo proprio, onde potersi avere con prontezza e facilmente<br />

leggere al menzionato popolo colla dovuta pausa per poterla<br />

intendere 22 .<br />

20 Per i rapporti tra Sant’Alfonso e il giansenismo cfr. Giuseppe CACCIATORE,<br />

S. Alfonso de’ Liguori e il giansenismo. Le ultime fortune del moto giansenista e la restituzione<br />

del pensiero cattolico nel secolo XVIII, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze<br />

1944. Per uno studio analitico e dettagliato del giansenismo in Italia cfr. Pietro<br />

STELLA, Il giansenismo in Italia, 3 voll., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006.<br />

21 Breve dottrina cristiana. Nella bibliografia alfonsiana curata da FABRICIANO<br />

FERRERO – SAMUEL J. BOLAND, “Las obras impresas por S. Alfonso María de Liguori”,<br />

in SHCSR 36-27 (1988-1989) 520, l’opera in esame risulta pubblicata<br />

sempre da Marietti nel 1887 al volume IX ma alle pagini 853-859. Crediamo<br />

che sia una svista dei curatori della bibliografia alfonsiana.<br />

22 Lettere di S. Alfonso Maria De Liguori, a cura di [F. KUNTZ – F. PITOCCHI],<br />

Società S. Giovanni, Desclée, Lefebvre e Cia, Editori Pontifici, Roma 1887-<br />

1890, vol. III, 555-556.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 479<br />

Monsignor de Liguori, appena giunto in diocesi, si preoccupa di<br />

rendere manifeste e chiare le disposizioni del concilio di Trento circa<br />

il catechismo da insegnare a tutti i fedeli. Un’ulteriore notizia circa<br />

questa “Breve dottrina cristiana”, la possiamo sempre ricavare dall’epistolario<br />

alfonsiano. Il Santo, trovandosi presso la comunità dei<br />

Redentoristi di Pagani e scrivendo al suo segretario, il 13 agosto del<br />

1763, afferma: «Domani andrò alla Cava a trattenermi per tre o quattro<br />

giorni, benché può essere che avessi d’andare in Napoli; perché<br />

ho trovato un revisore, P. Capobianco, che a cinque sole pagine del<br />

libretto, che ho fatto per la diocesi, ci ha fatte sei difficoltà» 23 .<br />

In effetti, la “Breve dottrina cristiana” è un testo molto sintetico.<br />

Non siamo in grado, però, di affermare cosa il revisore regio contestasse<br />

allo scritto del Santo. Il testo nasce come catechesi da leggere<br />

la domenica e nei giorni festivi 24 . Il linguaggio ed i contenuti sono<br />

accessibili al popolo incolto ed è scritto in prima persona in modo tale<br />

da dare l’impressione all’ascoltatore che ciò che sta udendo dalla<br />

voce del sacerdote rappresenta la stessa parola del pastore.<br />

La materia esposta è divisa in cinque punti, alcuni di essi, poi, sono<br />

divisi in sottopunti. Dopo l’iniziale esortazione che funge da introduzione,<br />

dove il Santo invita a “cantare” i precetti della chiesa in<br />

modo tale da memorizzarli, ricorda che per la salvezza non basta il<br />

solo battesimo ma è indispensabile conoscere e vivere i misteri della<br />

fede.<br />

Nel primo punto, il de Liguori in sintesi spiega ed insegna il Simbolo<br />

della fede. Egli asserisce la necessità di credere in Dio, Padre<br />

creatore del cielo e della terrà in quanto «Dio è giusto: punisce chi fa<br />

male e premia chi fa bene: manda all’inferno chi muore in peccato<br />

23 Ivi, vol. I, 505.<br />

24 Il de Liguori così scrive nel 1764 «In primo luogo, rinnoviamo l’ordine,<br />

dato da noi nell’anno 1762, in cui comandammo che si faccia recitare al popolo<br />

la breve Dottrina stampata in un foglio, in tutti i giorni festivi, dai parrochi e<br />

sacerdoti che celebrano nelle parrocchie ed in tutte le altre chiese o siano cappelle,<br />

anche rurali, in due volte: cioè nella prima messa che ivi si dice, e nell’altra<br />

che si celebra allorché vi è maggior concorso di popolo» cfr. Lettere, vol. III,<br />

584-585.


480 ALFONSO V. AMARANTE<br />

mortale, e dà il paradiso a chi muore in grazia sua» 25 . Continua poi<br />

spiegando la necessità di credere nella Trinità e in Gesù Cristo incarnato<br />

nel seno della Vergine Maria e che, attraverso la passione,<br />

morte e risurrezione ha donato la salvezza eterna agli uomini ed ha<br />

istituito i sacramenti come rimedio ai peccati. Conclude questo primo<br />

punto giustificando il perché credere alla verità di fede «E tutte<br />

queste cose di fede le hai da credere fermamente, non perché te le insegna<br />

il sacerdote, ma perché Gesù Cristo le ha insegnate alla chiesa,<br />

e poi la santa chiesa le insegna a noi» 26 .<br />

Nel secondo punto, Alfonso spiega al suo ascoltatore in cosa consiste<br />

la vera speranza cristiana in cui credere «Hai da sperare il perdono<br />

de’ tuoi peccati, la grazia di Dio, la buona morte e la gloria del<br />

paradiso» 27 . Questo piccolo paragrafo fa da corollario all’introduzione<br />

del punto successivo (terzo) in cui il catechizzando è stimolato all’osservanza<br />

dei dieci comandamenti come mezzo sicuro che conduce<br />

alla grazia di Dio. Lo stesso Alfonso, però, ricorda che tutti i precetti<br />

si riducono ai comandamenti dell’amore insegnati da Gesù:<br />

amare Dio e amore il prossimo. Ed in essi è riposta la vera speranza:<br />

«Io spero ogni bene perché Dio me l’ha promesso» 28 .<br />

Con il quarto punto, il Santo introduce la necessità del sacramento<br />

della confessione come momento privilegiato per ritornare nella<br />

grazia di Dio dopo aver peccato. Infatti egli scrive: «per mezzo del<br />

quale [sacramento della riconciliazione], coll’assoluzione del confessore,<br />

Gesù Cristo applicando alle anime il suo prezioso sangue, perdona<br />

tutti i peccati a chi si confessa bene» 29 . Dopo aver ricordato in<br />

sintesi cosa il Concilio tridentino insegna a tal proposito, enuclea<br />

cinque brevi luoghi sul modo di confessarsi. Egli raccomanda l’esame<br />

di coscienza, il pentimento sincero, la promessa di non ricadere<br />

nel peccato, il coraggio di non nascondere nessuna colpa ed in fine la<br />

penitenza da fare.<br />

25 Breve dottrina cristiana, 858.<br />

26 Ivi.<br />

27 Ivi.<br />

28 Ivi.<br />

29 Ivi, 859.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 481<br />

Nel quinto ed ultimo punto, il de Liguori ricorda, al suo ipotetico<br />

ascoltatore, che dall’età di dieci anni è indispensabile nutrirsi dell’eucaristia<br />

la quale è fonte di grazia per la vita. Articola, poi, questo<br />

punto in sette sottopunti dove enuclea i principi dogmatici, cardini<br />

dell’eucaristia. L’articolazione dei sette sottopunti offre una rapida<br />

catechesi dove è ricordato che l’eucaristia è uno dei sette sacramenti.<br />

Nelle specie del pane e del vino consacrati vi è la presenza reale, in<br />

anima, corpo e divinità, di nostro Signore Gesù Cristo. Per ricevere<br />

degnamente il corpo di nostro Signore è indispensabile essere in grazia<br />

di Dio e essere digiuni. Poi ricorda che è atto sacrilego comunicarsi,<br />

sapendo che si è in peccato mortale e raccomanda, infine, la<br />

preparazione spirituale da fare prima di ricevere l’eucaristia e il ringraziamento<br />

dopo averla ricevuta.<br />

Da questa breve dottrina cristiana alfonsiana, emerge con chiarezza<br />

come essa è stata pensata ed articolata per una catechesi spicciola<br />

da tenere in modo rapido e succinto prima della celebrazione eucaristica.<br />

In essa, il punto primo e il quinto, che rappresentano le parti<br />

più corpose del testo, sono strettamente legati. Se nel primo punto è<br />

enunciato, in modo semplice, la verità di fede intorno a Dio Uno e<br />

Trino, nel punto quinto è spiegato il modo per vivere in Cristo attraverso<br />

l’eucaristia e quindi ritornare a Dio.<br />

In questa breve opera, salta agli occhi del lettore la visione positiva<br />

che Alfonso ha dell’uomo. Infatti, già nell’introduzione, il Santo<br />

scrive che seguire la legge di Dio, il quale si abbassa verso l’uomo per<br />

amore, rappresenta il modo semplice per guadagnare il bene eterno<br />

e ricevere, qui sulla terra, la riconoscenza degli uomini.<br />

3. Alcune osservazioni<br />

La riscoperta della figura del vescovo come pastore, operata dal<br />

Concilio di Trento, permette la rinascita e l’organizzazione della vita<br />

cristiana nelle comunità come veri centri propulsori della pastoralità<br />

della Chiesa.<br />

Dal Concilio in poi, i contenuti catechistici sono ordinati per argomenti<br />

e divulgati. Una ulteriore svolta per la catechesi si ha con


482 ALFONSO V. AMARANTE<br />

papa Benedetto XIV il quale con la sua enciclica sulla catechesi “Etsi<br />

minime” 30 del 7 febbraio 1742, accelera l’insegnamento dei rudimenta<br />

fidei. Papa Lambertini esorta i vescovi ad insegnare la dottrina cristiana<br />

e a farla insegnare ai suoi delegati e a coloro che sono abilitati<br />

a farlo, previo permesso, come ai chierici, i maestri di scuola e le pie<br />

donne. I destinatari non sono solo coloro che devono ricevere i sacramenti<br />

di iniziazione cristiana ma tutti i fedeli, ignari della verità<br />

salvifica. Esorta, infine, ad usare il catechismo del cardinale Bellarmino<br />

come testo di riferimento e dove non sia possibile occorre supplire<br />

con un altro testo ma «occorrerà prestare grande attenzione che<br />

non contenga e non vi si insinui niente di discordante dalla Verità<br />

cattolica. Occorre anche prestare attenzione che i dogmi della Fede<br />

vi siano spiegati in modo semplice e chiaro [...]. Questo libretto deve<br />

anche contenere gli Atti di Fede, di Speranza e di Carità, sicuramente<br />

composti in modo retto e competente».<br />

Queste indicazioni di Benedetto XIV sono una chiave interpretativa<br />

dell’articolazione alfonsiana intorno alla “Dottrina cristiana”. I<br />

due scritti esaminati rispondono, sostanzialmente, a queste indicazioni.<br />

Essi, infatti, seppur diversi per mole e destinatari, in quanto il<br />

compendio è un cammino di catechesi mentre la breve dottrina contiene<br />

solo dei rudimenta, si preoccupano di seguire il ritmo della vita<br />

cristiana scandito dai sacramenti.<br />

Entrambi gli scritti, una volta chiarite le verità di fede, particolarmente<br />

quella intorno alla trinità e alle virtù, esplicano il peccato come<br />

rottura del rapporto di comunione tra Dio e l’uomo. Il rimedio a<br />

tale stato è indicato, con fermezza, nei sacramenti della riconciliazione<br />

e dell’eucaristia come momento di grazia santificante.<br />

È da sottolineare che, nella proposta alfonsiana, l’attenzione prestata<br />

ad alcune tappe fondamentali della vita sacramentale e correlata<br />

all’uso della ragione, mette in grado il fedele a comprendere il bene<br />

e il male. In quest’ottica, si comprende l’insistenza del Santo sulla<br />

necessità di accostarsi al sacramento della penitenza appena si ha<br />

una sufficiente preparazione e si è in grado di esercitare l’uso della<br />

30 Cfr. Bullarium Romanum, Benedetto XIV, tomo I, 110-114.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 483<br />

ragione. Alla luce di questo, è possibile anche comprendere l’insistenza<br />

di Alfonso sulla necessità di accostarsi frequentemente al sacramento<br />

dell’eucaristia. La duplice questione dell’età e della frequenza<br />

è resa incandescente anche a causa del rigorismo morale proveniente<br />

dall’influenza giansenista.<br />

Conclusione<br />

L’aver seguito la nascita e lo sviluppo di questi due scritti alfonsiani<br />

ci ha permesso di cogliere il continuum ma anche l’evoluzione del<br />

pensiero del Santo. Ancorati ai dati del Concilio tridentino entrambi<br />

i testi offrono una catechesi dei rudimenta fidei essenziale ma allo<br />

stesso tempo ricca e articolata.<br />

Alfonso, infatti, già dalla giovinezza sceglie come campo prioritario<br />

l’evangelizzazione dei poveri. L’esperienza catechistica svolta da<br />

chierico e l’azione pastorale intrapresa nei famigerati “quartieri spagnoli”<br />

di Napoli, attraverso le “Cappelle Serotine”, hanno contribuito<br />

a sviluppare nel Santo quella sensibilità per istruire nella fede i più<br />

destituiti di aiuti spirituali.<br />

Il contatto quotidiano con la fragilità dell’uomo, prima da missionario<br />

e poi da vescovo, lo ha condotto, di conseguenza, alla elaborazione<br />

di quei strumenti essenziali per la formazione cristiana. Possiamo<br />

dividere tali mezzi in opere teologiche, per la formazione degli<br />

operatori pastorali, ed in opere catechetiche, per l’alfabetizzazione<br />

del popolo di Dio nelle cose divine.<br />

È interessante notare come in entrambi gli scritti egli insista sul<br />

concetto che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di<br />

Dio. Essa è un’immagine amata e perciò capace di amare. In questa<br />

reciprocità di amore, l’uomo è reso partecipe della vita divina. L’iniziativa<br />

è sempre di Dio: anticipandoci il suo amore, fa sorgere in noi<br />

il bisogno e la volontà di amarlo. Perché sia viva e costante in noi la<br />

“memoria” del suo amore, Dio ci ha ricolmato e circondato di doni<br />

per renderci felici.<br />

In ambedue gli scritti, Alfonso insiste anche sul concetto di speranza.<br />

Essa è presentata in una duplice ottica: non basta solo sperare


484 ALFONSO V. AMARANTE<br />

nella remissione dei peccati per ottenere la vita eterna ma è necessaria<br />

la testimonianza di vita per glorificare Dio, qui sulla terra.<br />

Solo dopo queste due trattazioni, Alfonso inserisce l’argomentazione<br />

del peccato come malattia che indebolisce ed allontana da Dio.<br />

Il peccato, anche se ferisce ed indebolisce il legame tra Dio e l’uomo,<br />

non distrugge del tutto la dignità umana. Anche chi vive nella privazione<br />

volontaria di Dio avverte il desiderio della verità. A partire da<br />

queste considerazioni, egli propone i sacramenti come rimedio al<br />

peccato ma, al contempo, come medicina per ritornare ad amare Dio,<br />

servendo il prossimo.<br />

L’articolazione catechetica de Liguori, nella sua brevità, cerca di<br />

far comprendere che solo in Cristo è possibile il cammino del bene<br />

che conduce alla vera felicità, seppur imperfetta, nella storia del vivere<br />

quotidiano.


DOTTRINA CRISTIANA ALFONSIANA 485<br />

SUMMARIES<br />

In this study the author examines two booklets about the “Christian doctrine”.<br />

The catechistic Afonsian proposal takes part in the period of the great<br />

achievement of the catechistic instrument exhorted by the concrete indication<br />

of the Council of Trent. De Liguori as a theologian elaborates both his moral<br />

proposal through the research and the publication of a lot of studies, where<br />

he improves and refines his moral proposal called “equiprobabilista”, that is<br />

basically reserved to the employed to the works, and through some texts that<br />

need to form lays and catechists for the Christian life. The author of the article<br />

analyses the Alfonsian moral proposal, as we can deduce from the catechistic<br />

works, conscious that according to Saint Alfonso’s view it isn’t impossible<br />

to divide the speculative aspect of the moral research from the practical life.<br />

* * *<br />

El autor examina en este estudio dos folletos alfonsianos sobre la “Doctrina<br />

cristiana”. La propuesta catequética alfonsiana se insere en el período de la<br />

gran afirmación del instrumento catequético exhortado por las indicaciones<br />

concretas del Concilio de Trento. De Ligorio como teólogo elabora en el mismo<br />

tiempo su propuesta moral tan a través de la búsqueda y la publicación<br />

de una gran cantitad de estudios, en los que perfecciona y mejora su propuesta<br />

moral equiprobabilista, destinada sobretodo a los interesados, como<br />

a través algunos textos que sirven para formar laicos y catequistas para la vida<br />

cristiana. El autor del artículo analiza la propuesta moral alfonsiana tan como<br />

se deduce por los textos catequéticos, consciente que en la visión del<br />

Santo no es posible dividir el aspecto especulativo de la búsqueda moral de<br />

la vida práctica.<br />

* * *<br />

L’autore esamina in questo studio due opuscoli alfonsiani sulla “Dottrina cristiana”.<br />

La proposta catechetica alfonsiana si inserisce nel periodo della grande<br />

affermazione dello strumento catechistico, esortato dalle indicazioni concrete<br />

del Concilio di Trento. Il de Liguori come teologo elabora la sua proposta<br />

morale sia attraverso la ricerca e la pubblicazione di una notevole quantità<br />

di studi, nei quali perfeziona ed affina la sua proposta morale equiprobabilista,<br />

destinata principalmente agli addetti ai lavori, sia attraverso dei testi che<br />

servono per formare laici e catechisti per la vita cristiana. L’autore dell’articolo<br />

analizza la proposta morale alfonsiana così come si evince dai testi catechetici,<br />

consapevole che nella visione del Santo non è possibile dividere l’aspetto<br />

speculativo della ricerca morale dalla vita pratica.


PADRE BERNHARD HÄRING<br />

UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”?<br />

Giuseppe Quaranta, OFM Conv.*<br />

Introduzione**<br />

Nel contesto delle iniziative culturali organizzate per ricordare la<br />

figura e la teologia di padre Bernhard Häring nel decimo anniversario<br />

della morte, avvenuta il 3 luglio 1998, con il presente articolo vorrei<br />

offrire non tanto uno sguardo retrospettivo alla sua opera, quanto<br />

piuttosto una “rilettura al futuro” delle sue principali intuizioni.<br />

Sono convinto, infatti, che Häring non sia da considerare solamente<br />

come un indubbio protagonista della stagione conciliare e postconciliare,<br />

ma debba essere valorizzato come un maestro in grado di ispirare<br />

anche nell’oggi il lavoro dei teologi impegnati nel processo di<br />

rinnovamento della teologia morale auspicato dal Vaticano II.<br />

In questa linea l’obiettivo principale che ha guidato le mie riflessioni<br />

è stato il seguente: verificare la possibilità o meno di indicare in<br />

padre Häring un teologo che non solo ha contribuito a ripensare<br />

l’impostazione di fondo della teologia morale cristiana e a divulgarne<br />

la nuova fisionomia più evangelica, ma che, al contempo, è riuscito<br />

a imprimere alla sua ricerca teologica quell’impronta di apertura al<br />

* The author is professor at the Istituto Teologico sant’Antonio Dottore in Padova.<br />

* El autor es profesor en el Istituto Teologico sant’Antonio Dottore en Padova.<br />

** L’articolo riproduce l’intervento pronunciato dall’autore alla Tavola rotonda<br />

organizzata per martedì 22 aprile <strong>2008</strong> dagli studenti dell’Accademia Alfonsiana<br />

e dedicata alla figura e alla teologia morale di padre B. Häring nel decimo<br />

anniversario della sua morte. La relazione di G. Quaranta è stata preceduta da<br />

una presentazione del profilo biografico di padre Häring curata dal prof. B.<br />

Hidber, C.Ss.R., e dal contributo del prof. R. Gallagher, C.Ss.R., sulla partecipazione<br />

di Häring al Vaticano II.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 487-500


488 GIUSEPPE QUARANTA<br />

nuovo che definirei “capacità di futuro” e che rappresenta una possibile<br />

chiave di accesso al suo pensiero. Le brevi considerazioni che seguiranno<br />

sono allora articolate in tre momenti: nel primo cercherò di<br />

chiarire il preciso significato dell’espressione “capacità di futuro”; nel<br />

secondo presenterò un testo particolarmente significativo per comprendere<br />

come Häring ha interpretato la propria missione di teologo,<br />

soprattutto dopo aver partecipato al Concilio Vaticano II; nel terzo<br />

momento, infine, tenterò di declinare in precise prospettive di ricerca<br />

la più generica “capacità di futuro” riconosciuta all’opera häringhiana.<br />

1. La “capacità di futuro” come chiave ermeneutica<br />

“Capacità di futuro” (Zukunftfhäigkeit) è una parola composta coniata<br />

recentemente nell’ambito dell’etica sociale. Il mio testo di riferimento<br />

è un pregevole documento edito dalla Chiesa Evangelica in<br />

Germania e dalla Conferenza episcopale tedesca e intitolato Per un futuro<br />

di solidarietà e di giustizia 1 . Lo scritto, che rappresenta il contributo<br />

delle due principali Chiese tedesche alla discussione circa «le regole<br />

della politica economica e sociale» dello Stato (n. 1), «pone in<br />

primo piano due concetti: capacità di futuro e durata nel tempo» (n.<br />

1). Quanto alla capacità di futuro, il testo sottolinea due qualità essenziali<br />

da mantenere in costante equilibrio: conservazione e riforma.<br />

Come si legge al n. 32, infatti, «la condizione fondamentale per uno<br />

sviluppo capace di futuro è la conservazione dei fondamenti naturali<br />

della vita»; il tutto però – come il documento ricorda in diversi paragrafi<br />

– senza dimenticare che la capacità di futuro è possibile realizzando<br />

coraggiosamente le «riforme necessarie» (n. 1) e acconsentendo<br />

alle «modifiche dello stile di vita» (n. 32) richieste a tutti dall’attuale<br />

condizione storica.<br />

1 CHIESA EVANGELICA IN GERMANIA – CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA,<br />

“Per un futuro di solidarietà e di giustizia” (22 febbraio 1997), in RegDoc 9<br />

(1997) 288-320.


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 489<br />

Entro questo sfondo ermeneutico, allora, si può comprendere meglio<br />

sia la ragione sia l’obiettivo della nostra domanda iniziale: chiederci<br />

se padre Häring sia stato o meno un teologo “capace di futuro”<br />

dovrebbe orientare la nostra ricerca almeno in due direzioni: la prima<br />

– ed è l’aspetto di conservazione proprio della capacità di futuro –<br />

non potrebbe che focalizzare la “bontà” della sua teologia morale in<br />

genere, ossia l’aderenza il più possibile fedele alle dinamiche fondamentali<br />

della vita morale del cristiano e alla più genuina comprensione<br />

biblica e teologica delle medesime; la seconda direzione – l’aspetto<br />

cioè di riforma implicito nella capacità di futuro – dovrebbe invece<br />

mettere in evidenza il grado di sviluppo e di rinnovamento della<br />

disciplina, che padre Häring, senza alcun dubbio, avrebbe chiamato<br />

grado di “fedeltà e di libertà creative”.<br />

Nel breve spazio di questo intervento non mi sarà possibile percorrere<br />

entrambi i sentieri indicati, sebbene abbia cercato di non perderli<br />

mai di vista nel formulare le riflessioni che seguiranno. Molto<br />

più semplicemente tenterò di rispondere all’interrogativo di partenza,<br />

seguendo l’itinerario di ricerca che ho esposto nell’introduzione<br />

dell’articolo.<br />

2. Un testo ispirativo<br />

Il breve testo a cui intendo riferirmi si trova nella Prefazione di Liberi<br />

e fedeli in Cristo, la seconda grande sintesi di teologia morale elaborata<br />

da padre Häring e pubblicata in tre volumi tra il 1978 e il<br />

1981. Qui il nostro autore spiega ai suoi lettori perché egli abbia deciso<br />

di scrivere un secondo manuale. Tale sottolineatura potrebbe<br />

sembrare piuttosto irrilevante ma, ad uno sguardo più attento, non lo<br />

è affatto. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che Häring alla fine degli<br />

anni ’70 è ormai da tempo un teologo di fama internazionale, uno<br />

degli autori “simbolo” del rinnovamento della nostra disciplina 2 . Ma<br />

2 Cfr. M. VIDAL, Bernhard Häring un rinnovatore della morale cattolica, EDB,<br />

Bologna 1999, 8.


490 GIUSEPPE QUARANTA<br />

non solo. A lui si deve la stesura di un fortunatissimo manuale di teologia<br />

morale, La legge di Cristo 3 , un’opera considerata almeno per un<br />

ventennio come la versione per antonomasia della “nuova teologia<br />

morale”. Ecco, allora, perché le parole che introducono il nuovo manuale<br />

risuonano come una sorta di breve manifesto che sintetizza le<br />

linee portanti della teologia morale rinnovata.<br />

«Negli ultimi anni diversi editori de La legge di Cristo, che era stata<br />

tradotta in quattordici lingue, mi chiesero che la rielaborassi tenendo<br />

conto delle nuove esigenze. Ma dopo lunghe riflessioni mi convinsi<br />

di non essere capace di farlo: malgrado la continuità profonda del<br />

mio pensiero, oggi non posso più esprimermi e comporre il materiale<br />

come facevo venticinque anni fa. Abbiamo vissuto un’intera epoca:<br />

la grande esperienza, la scuola del Vaticano II, l’inquieta ricerca e le<br />

tensioni del decennio che lo ha seguito. Occorre un altro stile, una<br />

nuova sintesi, una ricerca coraggiosa dell’equilibrio. Liberi e fedeli in<br />

Cristo non è quindi una nuova edizione de la Legge di Cristo, e tuttavia<br />

non la rinnega. Spero anzi che tale opera mantenga il suo valore<br />

storico e, in un certo senso, anche attuale. La mia questione di coscienza<br />

però non è se rimango fedele al mio passato, bensì se sono<br />

completamente libero per Cristo, per gli uomini e per la Chiesa di<br />

oggi, e fedele al Vangelo e ai segni dei tempi come li percepisco e conosco<br />

in questa appassionante ora di grazia». 4<br />

3 B. HÄRING, La legge di Cristo. Trattato di teologia morale, 3 voll., Traduzione<br />

italiana di A. Kovacev, B. Ragni, S. Raponi, Morcelliana, Brescia 1957 [orig.<br />

ted.: 1954]. Cfr. R. GALLAGHER, “Bernhard Häring’s The Law of Christ. Reasessing<br />

its contribution to the renewal of moral theology in its era”, in StMor 44/2<br />

(2006) 317-352; E. SCHOCKENHOFF, “Pater Bernhard Häring als Wegbereiter<br />

einer konziliaren Moraltheologie. 50 Jahre: ‘Das Gesetz Christi’”, in A.<br />

SCHMIED – J. RÖMELT (Hg), 50 Jahre: “Das Gesetz Christi”. Der Beitrag Bernhard<br />

Härings zur Erneuerung der Moraltheologie, Lit Verlag, Münster 2005, 43-68.<br />

4 B. HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, I. Cristo<br />

ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal 5,1), Traduzione italiana di Renato Volante,<br />

Edizioni Paoline, Roma 1979, 7 [orig. ingl.: 1978].


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 491<br />

Non so se il valore di questo breve paragrafo sia risultato a tutti i<br />

lettori particolarmente significativo, chiaro e convincente. Per me,<br />

senza dubbio, si tratta di un passaggio molto istruttivo perché indica<br />

almeno due linee direttrici lungo le quali rileggere al futuro il pensiero<br />

häringhiano.<br />

La prima è quella che ci permette di ritenere sensato l’uso della<br />

categoria menzionata fin dall’inizio, e cioè la capacità di futuro. Se la<br />

capacità di futuro è data da un dinamico equilibrio tra conservazione e<br />

riforma, alla luce delle affermazioni di Häring – peraltro pienamente<br />

confermate, secondo me, da una lettura attenta dell’intera sua opera<br />

– possiamo dire serenamente che in lui troviamo effettivamente la<br />

volontà di elaborare un pensiero teologico capace di futuro; un pensiero,<br />

cioè, in grado di valorizzare al meglio la tensione tra fedeltà al<br />

passato e ricerca coraggiosa di nuovi contenuti e di nuovi linguaggi 5 .<br />

La seconda linea orientativa – che è certamente anche la più significativa<br />

– è rappresentata dall’appello che padre Häring sente provenirgli<br />

dalla sua stessa coscienza morale. Sentire di non poter semplicemente<br />

ritoccare il precedente manuale, La legge di Cristo, ma di<br />

doversi spendere per dare vita ad una sintesi nuova è per lui non tanto<br />

l’ennesima opportunità editoriale di una lunga carriera, quanto<br />

piuttosto, una questione di coscienza. Di conseguenza, veramente decisiva<br />

in questo frangente della sua vita non è una facile e comoda fedeltà<br />

ad un passato pur glorioso, ma la preoccupazione e il desiderio<br />

“in coscienza” di essere «completamente libero per Cristo, per gli<br />

uomini e per la Chiesa di oggi, e fedele al Vangelo e ai segni dei tempi<br />

come li percepisco e conosco in questa appassionante ora di grazia».<br />

Ecco la radice profonda di una teologia capace di futuro e, al<br />

contempo, ecco il metodo per formulare un pensiero che sia all’al-<br />

5 B. HÄRING, Problemi attuali di teologia morale e pastorale, Traduzione italiana<br />

di A. Frioli, Edizioni Paoline, Roma 1965, 41 [orig. ted.: 1964] annota ancora:<br />

«Il problema teologico delle generazioni si risolve e diviene fruttuoso in modo<br />

ogni volta nuovo, se la teologia nella sua eterna giovinezza è aperta in egual misura<br />

alla tradizione ed alle questioni del presente. La teologia dev’essere in ogni<br />

tempo proclamazione della verità eterna nel linguaggio del tempo e servizio alla<br />

salvezza in piena apertura alle necessità ed alle forze positive dell’epoca».


492 GIUSEPPE QUARANTA<br />

tezza del compito intravisto. Non a caso, parlando del Concilio, Häring<br />

è pienamente consapevole che un evento di tale portata non può<br />

rappresentare solamente una sorta di statico punto di arrivo, bensì un<br />

dinamico “processo di apprendimento” 6 , espressione che dice apertura<br />

al futuro pur senza comportare necessariamente un rinnegamento<br />

sbrigativo e acritico del passato. Del resto a conferma di questa<br />

indicazione, egli interpreta l’epoca conciliare come un tempo dove<br />

in gioco c’è «molto più che una serie di singoli problemi», quanto<br />

l’elaborazione di «una nuova sintesi, una nuova veduta d’insieme»<br />

7 , di «una riflessione molto più profonda e radicale, che vada fino<br />

ai fondamenti della moralità cristiana» 8 .<br />

3. Possibili declinazioni della “capacità di futuro”<br />

Dopo aver giustificato la pertinenza della chiave ermeneutica utilizzata,<br />

rimane un ultimo passo da compiere e cioè declinare la capacità<br />

di futuro riconosciuta al pensiero di Häring, mettendo in evidenza<br />

quali sono le intuizioni che meritano di essere citate perché ancora stimolanti<br />

per la ricerca teologico-morale attuale. Anche in questo caso,<br />

quest’ultimo paragrafo sarà articolato in due momenti: tenterò dapprima<br />

di ripresentare lo sguardo con cui lo stesso padre Häring, nei suoi<br />

ultimi anni di vita, scrutava il futuro della teologia morale, mentre in<br />

un secondo momento proporrò le mie riflessioni personali in merito.<br />

Per svolgere questa prima parte, il punto di riferimento obbligato<br />

sono gli ultimi e agili scritti del nostro teologo – il periodo è quello<br />

compreso tra il 1993 e il 1997 – nei quali è evidente come egli, ormai<br />

alla fine di una lunga vita di studio e di insegnamento, lasci spazio al<br />

fluire dei ricordi e all’incalzare delle aspettative, dei sogni e delle preoccupazioni<br />

per il futuro della Chiesa e della teologia morale, in libertà di<br />

pensiero e di espressione. Ripercorrendo queste pagine è facile capire<br />

6 Cfr. B. HÄRING, Liberi e fedeli, I, 11.<br />

7 B. HÄRING, Problemi attuali, 14.<br />

8 B. HÄRING, Problemi attuali, <strong>46</strong>.


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 493<br />

quali sono le questioni che a giudizio di Häring necessitano più di altre<br />

di essere approfondite con speciale cura e lucidità intellettuale. Dal<br />

quadro che emerge, si può subito notare come in primo piano compaiano<br />

le tematiche di morale speciale che Häring ha già trattato nei<br />

suoi scritti ma che – sfiorato dal dubbio che i teologi della sua generazione<br />

abbiano spesso investito molte energie nella trattazione di problemi<br />

secondari – egli considera come meritevoli di ulteriore sviluppo<br />

teorico-pratico. In concreto si tratta delle seguenti problematiche: in<br />

primo luogo, padre Häring afferma che «dovrebbero assumere una posizione<br />

chiave in ogni teologia morale rinnovata» le tematiche «relative<br />

alla violenza e alla non violenza nel complesso della storia umana e,<br />

in particolare, ai nostri giorni» 9 ; in secondo luogo, la sensibilizzazione<br />

delle coscienze circa l’ingiustizia che segna profondamente i rapporti<br />

tra Nord e Sud del mondo e che incombe pesantemente sulle possibilità<br />

di una vita sana e pacifica per le generazioni future 10 ; da ultimo, infine,<br />

lo sviluppo di un’«etica ecologica responsabilmente sostenibile» 11 ,<br />

9 B. HÄRING, È tutto in gioco. Svolta nella teologia morale e restaurazione, Queriniana,<br />

Brescia 1994, 75. Per completezza, cfr. B. HÄRING, Il coraggio di una<br />

svolta nella Chiesa, Queriniana, Brescia 1997, 66-71, dove il nostro autore ripropone<br />

comunque le medesime considerazioni.<br />

10 Cfr. B. HÄRING, È tutto in gioco, 77. Considerando la crescente attenzione<br />

che la cosiddetta “etica delle generazioni future” ha acquistato nella letteratura<br />

ecologica più recente, questa intuizione del nostro autore rivela una volta di più<br />

la sua particolare sensibilità per i fenomeni e le tendenze culturali emergenti.<br />

Cfr. E. AGIUS, “Un patto tra le generazioni”, in Etica per le professioni 2 (2000)<br />

9-16; E. GREBLO, “Après nous le deluge. La questione della giustizia intergenerazionele”,<br />

in S. MORANDINI (a cura), Per la sostenibilità. Etica ambientale e antropologia,<br />

Fondazione Lanza-Gregoriana, Padova 2007, 191-205. Non a caso, S.<br />

MORANDINI, Il lavoro che cambia. Un’esplorazione etico-teologica, EDB, Bologna<br />

2000, nota 4, 43 nota come l’etica ecologica proposta da Häring in Liberi e fedeli<br />

in Cristo abbia rappresentato una tra le «due eccezioni di assoluto rilievo» nel<br />

panorama della teologia morale italiana, che ha sostanzialmente ignorato le problematiche<br />

ecologiche almeno fino alla prima metà degli anni Ottanta.<br />

11 B. HÄRING, È tutto in gioco, 78. L’espressione citata è senz’altro mutuata dal<br />

lessico specifico del movimento ecumenico, che ha avuto un ruolo di primo piano<br />

nell’elaborazione di una prima riflessione etica sulla sostenibilità. Cfr. S. MO-<br />

RANDINI, “Teologia e sostenibilità”, in ID. (a cura), Per la sostenibilità, 207-234.


494 GIUSEPPE QUARANTA<br />

da porre «al centro dell’attenzione della morale applicata» 12 , dal momento<br />

che la distruzione delle basi ecologiche della vita umana non<br />

è più un lontano miraggio, ma è ormai alla portata dell’uomo.<br />

Passando alla seconda parte di quest’ultimo paragrafo, vorrei indicare<br />

le prospettive del pensiero häringhiano che personalmente<br />

ritengo maggiormente promettenti e degne di essere riprese e sviluppate<br />

dalla teologia morale contemporanea. In prima battuta partirei<br />

da lontano, e cioè dal 1950, l’anno in cui Häring pubblica la sua<br />

dissertazione dottorale intitolata Il sacro e il bene. Rapporti tra etica e<br />

religione 13 . In quel testo, infatti, in virtù di una scelta ponderata e<br />

precisa, l’avvio della riflessione sui rapporti tra religione e morale<br />

sviluppata nel corso dell’opera è la descrizione fenomenologica sia dei<br />

principali fenomeni religiosi (preghiera, culto, fede, rivelazione) sia<br />

dei costitutivi dell’esperienza morale (valore, dovere, libertà, coscienza).<br />

Häring è convinto che il metodo fenomenologico sia il più<br />

rispettoso verso il proprio oggetto di studio, dal momento che non<br />

si prefigge di determinare in linea di principio che cosa debba essere<br />

la religione – e di conseguenza la morale –, ma vuole percepire il<br />

modo in cui essa intende sé medesima 14 . Certo, scorrendo l’intera<br />

produzione teologica del nostro autore, si ha la sensazione che tale<br />

opzione metodologica iniziale perda progressivamente di consistenza,<br />

soprattutto a motivo del fatto che Häring, a proposito dei rapporti<br />

tra religione/fede e morale, continuerà imperterrito a riproporre<br />

il medesimo impianto filosofico adottato nella dissertazione<br />

12 B. HÄRING, È tutto in gioco, 79. In proposito, scrive ancora B. HÄRING, È<br />

tutto in gioco, 81: «Non appena prendiamo coscienza della nostra responsabilità<br />

planetaria, quale ci viene suggerita dalle odierne conoscenze sul destino del nostro<br />

pianeta e sui nostri comuni compiti ecologici, ci vediamo posti di fronte ad<br />

una decisione fondamentale: o optiamo per la salvezza di tutti o optiamo per<br />

l’invischiamento in una solidarietà abissale e illimitata della perdizione».<br />

13 Cfr. B. HÄRING, Il sacro e il bene. Rapporti tra etica e religione, Traduzione<br />

italiana a cura delle Benedettine di S. Magno, Morcelliana, Brescia 1968 [orig.<br />

ted.: 1950]. La traduzione italiana del sottotitolo, così come appare nel frontespizio<br />

dell’opera, è imprecisa. Una migliore resa, per altro più rispettosa del<br />

contenuto, suonerebbe così: Religione ed etica nel loro reciproco rapporto.<br />

14 Cfr. B. HÄRING, Il sacro e il bene, 19.


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 495<br />

dottorale. La sua prima intuizione, comunque, rimane tuttora di<br />

grande attualità, almeno a mio modo di vedere. Credo infatti che la<br />

valorizzazione del metodo fenomenologico è una strada feconda e<br />

in un certo senso obbligata per la teologia morale contemporanea.<br />

Rinunciare in partenza ad una fenomenologia dell’esperienza morale,<br />

infatti, rischia di imprigionare il sapere teologico-morale all’interno<br />

di una visione riduttiva, a volte distorta e, altrettanto spesso,<br />

parallela rispetto alle dinamiche dell’agire vissute dal cristiano e, in<br />

definitiva, da ogni uomo, finendo così per alimentare rappresentazioni<br />

intellettualistiche, naturalistiche e apatiche dell’esperienza<br />

morale stessa 15 .<br />

In secondo luogo vorrei segnalare come elemento di grande interesse<br />

la valorizzazione dei fenomeni culturali che Häring riesce a realizzare<br />

nel corso di tutta la sua vicenda umana e intellettuale, dimostrandosi<br />

in grado di recepire quella “scoperta della cultura” iniziata<br />

nei primi decenni del ’900 con la nascita dell’antropologia culturale<br />

e fatta propria dall’autorevole magistero di Gaudium et spes. Credo di<br />

avere sufficientemente dimostrato nella mia ricerca dottorale come<br />

progressivamente il nostro autore maturi una feconda capacità di<br />

correlazione tra gli impulsi provenienti dalla cultura del tempo e le<br />

istanze proprie della più genuina tradizione teologica 16 . Anche a tale<br />

proposito, però, l’impresa häringhiana è tutt’altro che conclusa. Rimango<br />

convinto, infatti, che di fronte alla cultura postmoderna non<br />

si possa più pensare e operare con l’idea di cultura fatta propria dal<br />

nostro teologo. Soprattutto, però, penso sia un compito tutto da realizzare<br />

quello di spingersi oltre la mera descrizione dei rapporti intercorrenti<br />

tra teologia e cultura per elaborare una teoria in grado di<br />

15 Per quanto attiene a queste considerazioni, sono debitore del pensiero<br />

teologico-morale di G. ANGELINI, in particolare del suo Teologia morale fondamentale.<br />

Tradizione, Scrittura e teoria, Glossa, Milano 1999, 3-53.<br />

16 Cfr. G. QUARANTA, La cultura pieno sviluppo dell’umano. Il concetto e la funzione<br />

della cultura nel pensiero di Bernhard Häring, Editiones Accademiae Alfonsianae,<br />

Roma 2006. Cfr. B. HIDBER, “Der Bereich der Kultur in der Moraltheologie<br />

Bernhard Härings”, in A. SCHMIED-J. RÖMELT (Hg), 50 Jahre: “Das<br />

Gesetz Christi”, 69-91.


496 GIUSEPPE QUARANTA<br />

comprendere e di interpretare in profondità i complessi dinamismi<br />

esistenti nell’interazione di cultura ed etica 17 .<br />

In terzo luogo vorrei puntualizzare l’importanza riservata da Häring<br />

al dato relativo alla pluralità delle culture. Il nuovo orizzonte della<br />

teologia morale è infatti rappresentato da un mosaico composito e<br />

variopinto di culture per molti versi profondamente differenti le une<br />

dalle altre. Il nostro teologo è affascinato da questa sfida e, sospinto<br />

da un interesse più pratico-pastorale che teorico, si impegna alacremente<br />

per riflettere sulle prospettive che il nuovo scenario apre all’evangelizzazione<br />

e all’inculturazione della morale cristiana. In questo<br />

contesto l’elemento di maggiore interesse, a mio modo di vedere, è<br />

la prudenza dimostrata da padre Häring nel tentativo di articolare dimensione<br />

universale e dimensione particolare di ogni cultura. Egli si lascia<br />

guidare nuovamente dall’insegnamento di Gaudium et spes, dove<br />

si registra l’incipiente preparazione di «una forma più universale di<br />

cultura umana», ma dove, al contempo, si precisa che tale cultura<br />

«tanto più promuove ed esprime l’unità del genere umano, quanto<br />

meglio rispetta la particolarità delle diverse culture» (n. 54). In questa<br />

linea mi sembra importante ribadire come anche padre Häring si<br />

guardi bene dall’interpretare l’universalità richiamata nel segno di<br />

un’unica super-cultura che riassuma in sé, annullandole, tutte le differenze;<br />

tale universalità, piuttosto, è da lui immaginata nel segno di<br />

una convergenza di tutte le culture intorno ai valori fondamentali<br />

della coscienza, dell’intelletto, della volontà e della fraternità. In questa<br />

direzione, il pluralismo culturale di fatto esistente riveste un significato<br />

positivo per la convivenza tra gli uomini e per la libertà del<br />

Vangelo, che in forza della sua natura trascendente non si identifica<br />

con alcuna cultura particolare, tanto meno con quella occidentale. 18<br />

17 Cfr. M. MCKEEVER, “Cultura e etica in Bernhard Häring”, in Segno<br />

XXXIV 292 (<strong>2008</strong>) 26-27.<br />

18 Come già ribadito negli scritti precedenti, B. HÄRING, Dinamismo della<br />

chiesa in un mondo nuovo. Riflessioni sulla costituzione “La chiesa nel mondo contemporaneo”,<br />

Traduzione italiana di F. Spaduzzi, Cittadella, Assisi 1969, 121 [orig.<br />

ingl.: 1968] scrive in linea con il magistero della Gaudium et spes: «La chiesa può<br />

avvantaggiarsi enormemente della universalità della cultura moderna e del suo


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 497<br />

Certamente, assumendo una simile presa di posizione Häring, pur<br />

nell’intento di relativizzare qualsiasi concretizzazione storica della<br />

morale cristiana per non annullare, di fatto, l’eccedenza e il carattere<br />

transculturale del Vangelo, insinua l’idea che il Vangelo stesso, così<br />

come la fede e la morale cristiana potrebbero esistere – prima della<br />

loro incarnazione in una cultura – in forma quasi sovra-culturale e<br />

parimenti accessibile presso tutti i popoli, presso tutte le culture e in<br />

tutti gli spazi geografici. Non possiamo dimenticare, tuttavia, che<br />

quello del nostro teologo è soltanto il primo abbozzo di una riflessione<br />

tanto impegnativa quanto di cruciale importanza per l’attuale<br />

configurazione multiculturale del nostro mondo ed è quindi da valutare<br />

in termini estremamente positivi nonostante i limiti teorici che<br />

presenta. Tuttavia, come abbiamo potuto già presagire, la questione<br />

rimane del tutto aperta e richiede senz’altro un supplemento di lavoro<br />

intellettuale sia sul versante del sapere antropologico sia sul versante<br />

di una rinnovata teologia dell’inculturazione e della missione.<br />

Comunque sia, sono convinto che la bontà delle intuizioni di padre<br />

Häring trovi ulteriori conferme se confrontata con le considerazioni<br />

molto più recenti che J. Ratzinger ha formulato nel celebre dialogo<br />

con J. Habermas (gennaio 2004) 19 . Per l’allora Prefetto della Congregazione<br />

per la dottrina della fede, infatti, il fenomeno dell’interculturalità<br />

dimostra non solo come «la discussione intorno alle questioni<br />

fondamentali sull’essere uomo [...] non può essere condotta né<br />

solo all’interno del cristianesimo né solo nell’ambito della tradizione<br />

occidentale della ragione» 20 . Anzi – continua Ratzinger – alla luce<br />

dell’attuale situazione mondiale, si può senza dubbio affermare come<br />

«un dato di fatto»:<br />

pluralismo, a patto che essa stessa però, per quanto possibile, realizzi la sua universalità<br />

che abbraccia veramente tutto nel pieno riconoscimento della varietà.<br />

Il vangelo ha bisogno della pluralità della cultura per salvare la sua stessa libertà,<br />

per il suo carattere specifico che trascende ogni cultura particolare».<br />

19 Cfr. J. RATZINGER, “Ciò che tiene unito il mondo”, in J. RATZINGER-J.<br />

HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, a cura di M. Nicoletti, Traduzione italiana<br />

di G. Colombi e O. Brino, Morcelliana, Brescia 2005, 41-57.<br />

20 J. RATZINGER, “Ciò che tiene unito il mondo”, 52.


498 GIUSEPPE QUARANTA<br />

«che la nostra razionalità “secolare”, per quanto chiara appaia alla<br />

nostra ragione formata secondo modalità occidentali, non è evidente<br />

ad ogni ratio; è un dato di fatto che essa, nel suo sforzo di rendersi<br />

evidente come razionalità, urta certi limiti. La sua evidenza è attualmente<br />

legata a determinati contesti culturali, e deve per necessità riconoscere<br />

di non essere, come tale, riproducibile nell’intera umanità<br />

e quindi nemmeno operativa in toto. In altre parole, non esiste una<br />

formula per tutto il mondo, una formula, razionale, etica o religiosa<br />

che sia, sulla quale tutti siano concordi e che possa sostenere la totalità.<br />

Ad ogni modo, al presente una tale formula non la si può raggiungere.<br />

Per conseguenza il cosiddetto ethos del mondo rimane<br />

un’astrazione» 21 .<br />

In conclusione, se consideriamo come anche Häring, tornando<br />

sull’argomento agli inizi degli anni Ottanta, ricorderà l’impossibilità<br />

di una reductio ad unum dei diversi codici e linguaggi culturali e, di<br />

conseguenza, l’improbabilità di una morale universale coerente e priva<br />

di tensioni 22 , possiamo ribadire come la capacità di futuro contraddistingua<br />

davvero il suo lavoro teologico. Di conseguenza, possiamo<br />

concludere auspicando che molti di coloro che direttamente o<br />

indirettamente si sono formati alla scuola di padre Häring sentano la<br />

responsabilità di prolungarne la memoria e di valorizzarne pienamente<br />

le intuizioni più promettenti in libertà e in fedeltà creative.<br />

21 J. RATZINGER, “Ciò che tiene unito il mondo”, 54.<br />

22 Cfr. B. HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, III.<br />

Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14), Traduzione italiana di C. Danna, Edizioni<br />

Paoline, Roma 1981, 314 [orig. ingl.: 1981].


PADRE BERNHARD HÄRING. UN TEOLOGO “CAPACE DI FUTURO”? 499<br />

SUMMARIES<br />

Ten years after Father Häring’s death, this article tries to interpret the future<br />

prospects of his moral theology. The author of this paper uses the expression<br />

“Zukunftfhäigkeit” as an hermeneutical key. This is a concept belonging to the<br />

environmental ethics and it refers to all those individual and social choices that<br />

can ensure a future to all forms of life on earth. The author shows how the<br />

thought of the Redemptorist theologian really reflected his sensitivity to future<br />

prospects without neglecting the most prolific elements of theological tradition.<br />

This contribution focuses at first on the issues that Father Häring himself<br />

considered urgent, not only to provide a future to moral theology but also to<br />

defend mankind and the environment: violence and non violence, the inequity<br />

between the least developed countries and the developed ones, the development<br />

of a sustainable environmental ethics. Then it presents some of the matters<br />

that should be investigated by the contemporary ethical-theological reflection:<br />

the improvement of the phenomenological method, the relationship<br />

between culture and morality, the right balance between the universal features<br />

and the peculiarities of each culture and ethics.<br />

* * *<br />

A los diez años de la muerte de padre B. Häring, el artículo intenta ofrecer una<br />

nueva lectura hacia el futuro de su teología moral. El autor, usando como llave<br />

hermenéutica la expresión “capacidad de futuro” – una categoría recavada<br />

de la ética ecológica que indica las elecciones tanto de carácter individual como<br />

social en grado de asegurar un futuro a todas las forma de vida sobre la<br />

tierra – demuestra como el pensamiento del teólogo redentorista refleja efectivamente<br />

una abertura hacia el futuro sin comportar la remoción de los elementos<br />

más fecundos de la tradición teológica. Desde esta prospectiva la<br />

contribución individua desde el inicio las custiones que según el mismo Häring<br />

son las más urgentes que hay que afrontar no sólo para garantizar el futuro<br />

de la teología moral, sino para salvaguardar la vida misma de la humanidad<br />

y del ambiente: la violencia y la no violencia, la injuticia en las relaciones<br />

entre el Norte y el Sur del mundo y el desarrollo de una ética ecológica sostenible.<br />

Por último, el autor presenta los temas que, según su manera de ver,<br />

merecen ser retomados y profundizados a través de la reflexión ético-teológica<br />

contemporánea: la valoración del método fenomenológico, la elaboración<br />

de una teoría de la relación entre cultura y moral, la articulación de la dimensión<br />

universal y particular de cada cultura y de cada ética.


500 GIUSEPPE QUARANTA<br />

* * *<br />

A dieci anni dalla scomparsa di padre B. Häring, l’articolo tenta di offrire una<br />

“rilettura al futuro” delle principali intuizioni disseminate nei suoi scritti, verificando<br />

la possibilità di definire la teologia morale häringhiana in termini di “capacità<br />

di futuro”. L’autore, dopo aver chiarito che la “capacità di futuro” implica<br />

un equilibrio dinamico tra conservazione e innovazione, dimostra come il<br />

pensiero del teologo redentorista rifletta effettivamente un’apertura verso il futuro<br />

senza comportare una rimozione degli elementi più fecondi della tradizione<br />

teologica. In questa prospettiva il contributo individua dapprima le questioni<br />

ritenute dallo stesso Häring come le più urgenti da affrontare non solo per<br />

garantire futuro alla teologia morale, ma per salvaguardare la vita stessa dell’umanità<br />

e dell’ambiente: la violenza e la non violenza, l’ingiustizia nei rapporti<br />

tra Nord e Sud del mondo e lo sviluppo di un’etica ecologica sostenibile. Da<br />

ultimo, l’autore presenta le tematiche che, a suo modo di vedere, meritano di<br />

essere riprese e approfondite dalla riflessione etico-teologica contemporanea:<br />

la valorizzazione del metodo fenomenologico, l’elaborazione di una teoria del<br />

rapporto tra cultura e morale, l’articolazione della dimensione universale e particolare<br />

di ogni cultura e di ogni etica.


THE ORIGINALITY<br />

OF ALASDAIR MACINTYRE’S READING<br />

OF AQUINAS ON JUSTICE<br />

Martin McKeever, C.Ss.R.*<br />

It is said that the test of a classic is that it can be read over and over<br />

again with profit. While this telling characteristic is certainly to be attributed<br />

primarily to the exceptional quality of the text, it also depends<br />

on the quality of the reading and thus on the ability of the reader.<br />

When a reader of the calibre of Alasdair MacIntyre reads a text as<br />

rich as the Summa Theologiae we may expect to gain by the occasion.<br />

At a time when so many books age quickly, it is noticeable how topical<br />

MacIntrye’s works remain decades after their publication.<br />

The strictly limited purpose of this piece is to revise MacIntyre’s<br />

reading of Aquinas on justice, paying particular attention to the question<br />

of historicity. This latter term is used here, for want of a better<br />

word, to express the author’s ardent conviction that whatever we<br />

mean by ‘justice’ we have no access to it other than through history 1 .<br />

What makes MacIntyre particularly interesting, however, is that he<br />

combines this conviction with an outright rejection of moral rela-<br />

* The author is an extraordinary professor at the Alphonsian Academy.<br />

* El autor es profesor extraordinario en la Academia Alfonsiana.<br />

An oral version of this article was delivered by the author to the “Cristo Sapienza”<br />

Community in Palermo in February, <strong>2008</strong>.<br />

1 “So rationality itself, whether theoretical or practical, is a concept with a<br />

history: indeed, since there are a diversity of traditions of enquiry, with histories,<br />

there are, so it will turn out, rationalities rather than rationality, just as it<br />

will turn out that there are justices rather than justice.” A. MACINTYRE, Whose<br />

Justice? Which Rationality? (London: Duckworth,1988) 9. Hereafter, in these<br />

footnotes, this work will be referred to as WJWR.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 501-518


502 MARTIN MCKEEVER<br />

tivism 2 . So, for him, it is perfectly possible to acknowledge the historicity<br />

of a theory of justice, without falling into relativism. He finds<br />

confirmation of this general conviction in the particular case of<br />

Aquinas, which he presents as a kind of exemplification of the principle.<br />

All of this is of obvious importance for contemporary moral<br />

theology not just in so far as Aquinas is a theologian with a deep interest<br />

in morality, but also because in our modern and postmodern<br />

times questions about the implications of historicity for ethics are being<br />

posed with a certain vehemence 3 . In such a context, MacIntyre’s<br />

attention to the historicity of Aquinas’ treatment of justice remains<br />

an important resource in the on-going search for adequate responses<br />

to such questions.<br />

By way of better appreciating just why and how MacIntyre comes<br />

to dedicate his energies to the question of justice in Aquinas, and why<br />

historicity is so central to his interpretation, we will begin with a brief<br />

biographical and bibliographical note on the author. In a second section<br />

we will attempt to outline MacIntyre’s overall philosophical project,<br />

within which his reading of Aquinas on justice must be located if<br />

it is to be understood. A third section will revise MacIntyre’s treatment<br />

of justice in Whose Justice? Which Rationality (= WJWR). With<br />

the help of broader and deeper theoretical considerations fournished<br />

by Three Rival Versions of Moral Enquiry, (= TRV) a fourth section will<br />

explore the originality of MacIntyre’s reading. A final section will attempt<br />

to spell out briefly the key lessons which moral theology can<br />

2 MacIntyre, in fact, not only rejects relativism, he sets out to refute it:<br />

“What I have to do, then, is to provide an account of the rationality presupposed<br />

by and implicit in the practice of those enquiry-bearing traditions with whose<br />

history I have been concerned which will be adequate to meet the challenges<br />

posed by relativism and perspectivism... Notice that the grounds for an answer<br />

to relativism and perspectivism are to be found, not in any theory of rationality<br />

as yet explicitly articulated and advanced within one or more of the traditions<br />

with which we have been concerned, but rather with a theory embodied in and<br />

presupposed by their practices of enquiry...” WJWR, 354.<br />

3 For a selection of essays which defend, at times indeed glorify, relativism<br />

see E. AMBROSI (a cura di), Il bello del relativismo. Quel che resta della filosofia nel<br />

XXI secolo (Venezia: Marsilio Editore, 2005).


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 503<br />

learn from the philosophical approach of MacIntyre, especially with<br />

regard to the question of the historicity of moral enquiry.<br />

The Life and Work of Alasdair MacIntyre<br />

MacIntyre 4 was born in 1929 in Glasgow of a Presbyterian family.<br />

As is well known, he was attracted for some time to a vision of<br />

Marxism as the most convincing philosophy of life 5 . Two other important<br />

influences stem from this early period: classical studies and<br />

English linguistic philosophy. Classics, as a field of knowledge, pervades<br />

MacIntyre’s work, most of all in the form of his esteem for Plato<br />

and Aristotle. During his time at Oxford, MacIntyre had contact<br />

with such philosophers as Ryle, Strawson, Hare and Ramsey. While<br />

he is presumably indebted to them, at least in part, for his sensitivity<br />

to questions of language and translation, it is significant that he never<br />

aspires to join this school, finding it too rareified an approach, particularly<br />

to ethical matters. These few biographical facts already go<br />

some way to explaining certain key characertistics of this author: a<br />

visceral attachment to the cause of justice, rare philosophical acumen<br />

and an extraordinarily wide cultural background.<br />

After a number of substantial and respected publications 6 , MacIntyre<br />

made his name in moral philosophy with After Virtue 7 in 1981.<br />

This work exposed him to a certain amount of criticism, in particu-<br />

4 Italian readers can find a brief but informative “bio-biografia” of MacIntyre<br />

by Marco D’Avenia in A. MACINTYRE, Enciclopedia, genealogia e tradizione. Tre<br />

versioni rivali di ricerca morale. Trad. Andrea Bochese e Marco D’Avenia. Presentazione<br />

di Vittorio Possenti. (Milano: Editrice Massimo, 1993) 328-333.<br />

5 Cf. Introduction to A. MACINTYRE, Marxism and Christianity. Second Edition<br />

(London: Duckworth, 1995).<br />

6 Most notably: A Brief History of Ethics (New York: MacMillan, 1966);<br />

Against the Self-Images of the Age. (London: Duckworth, 1971).<br />

7 After Virtue. A Study in Moral Theory, University of Notre Dame Press, Notre<br />

Dame 1981. For a discussion of this work in the context of MacIntrye’s understanding<br />

of moral tradition see T. KENNEDY, “The Intelligibility of Moral Tradition<br />

in the Thought of Alasdair MacIntyre”, <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> 29 (1991) 305-321.


504 MARTIN MCKEEVER<br />

lar with regard to certain alleged relativist implications of his<br />

thought. Having at this stage established himself in the higher realms<br />

of the university circuit in the United States, he set himself the task<br />

of responding to the charge of moral relativism in an ongoing research<br />

project which issued eventually in the works with which we<br />

will be here concerned WJWR and TRV.<br />

A final point of some interest at a biographical level is the way the<br />

author’s self-definition emerges: against a backdrop of Scottish Presbyterianism<br />

and Marxism, he moves from describing himself as an<br />

“Augustinian Christian” 8 in WJWR to declaring himself “a Thomist” 9<br />

in TRV. It is also worth noting, en passant, that, rather like Karl Marx<br />

among the marxists, MacIntyre does not recognise himself as “a communitarian”,<br />

despite the wide-spread use of this label in his regard.<br />

MacIntyre’s Philosophical Project<br />

Behind the bare facts just noted in MacIntyre’s biography, there<br />

lies a complex and arduous philosophical project. The breadth and<br />

depth of this project are well beyond our present scope, but a general<br />

idea of it is necessary in order to set the scene for MacIntyre’s reading<br />

of Thomas on justice.<br />

There is little doubt that After Virtue constitutes the flagship of<br />

this project. As noted above, it was to some extent the partially critical<br />

reaction to this work which prompted him to undertake WJWR<br />

and TRV. In these he takes up and refines lines of thought which are<br />

already apparent in earlier works, particularly in After Virtue. One of<br />

the central targets (and there is often something belligerent about his<br />

style of writing!) of his thought in all these works is what he variously<br />

terms ‘modernity’ or ‘the Enlightenment’ or more specifically ‘the<br />

Enlightenment project’. Writing, in 1993, the Preface to the Italian<br />

translation of TRV, MacIntyre looks back on his project and usefully<br />

8 WJWR, 10.<br />

9 TRV, 20.


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 505<br />

lists three sets of theses which he was exploring in the ‘series’ of<br />

books comprising After Virtue, WJWR and TRV. These theses may<br />

be paraphrased as follows:<br />

The aspiration of the Enlightenment to establish universal moral<br />

precepts on the basis of reason without recourse to tradition and authority<br />

has proved to be illusory 10 .<br />

Abandoning this Englightenment project, the task of philosophy now<br />

is to revisit the classical tradition of virtue ethics and seek to perpetuate<br />

it in a manner suited to the new cultural context 11 .<br />

The alternative to a postmodern, nihilistic critique of modernity is a<br />

recuperation of the Thomistic moral tradition capable of refuting the<br />

claims of liberal modernity and of postmodernity 12 .<br />

What MacIntyre expresses briefly in this Preface he explains at<br />

great length and in great detail in the course of the three books mentioned.<br />

It is helpful to notice, even at this general level, how deeply<br />

the question of historicity is involved in the theses outlined above.<br />

The first set of theses helps us to understand that MacIntyre is reacting<br />

to an ‘ahistorical’ position: he rejects the idea that moral philosophy<br />

can gain access to universal truths (including those of justice) by<br />

10 “... il progetto elaborato dai filosofi morali dell’Illuminismo del diciottesimo<br />

secolo che mirava a identificare una serie di precetti morali universali, giustificabili<br />

razionalmente e accettabili da parte di ogni individuo razionale, era<br />

fallito e fallito per una sorte di autoconfutazione.” TRV, 15.<br />

11 “Una seconda serie di tesi cercava di ricostruire una tradizione più antica,<br />

la cosiddetta tradizione della virtù, che traeva le sue origini dal pensiero e dalla<br />

vita dell’antica polis greca, la cui trattazione classica più compiuta si legge in<br />

Aristotele, e venne in seguito sviluppata da pensatori medievali.” Ibid., 16.<br />

12<br />

“O ci allineiamo con la formulazione critica più radicale del pensiero illuministico<br />

espressa dalla modernità, quella di Nietzche per intenderci, accettando<br />

evidentemente anche i suoi atteggiamenti antagonistici nei confronti della<br />

religione e il rifiuto prospettivistico della verità e dell’oggettività, oppure possiamo<br />

ritornare a sostenere il punto di vista artistotelico, cercando di rimettere in<br />

vigore in termini contemporanei la più antica tradizione delle virtù” Ibid., 16.


506 MARTIN MCKEEVER<br />

prescinding from historical, social and cultural conditions. The second<br />

set of theses, more positive and constructive, is closely tied to the<br />

question of historicity in that it poses the question of how the fruits of<br />

moral enquiry are transmitted over time and how they can go lost in<br />

the process. The third set of theses involves establishing the difference<br />

between historicity and relativism in that it aspires to make a<br />

claim to truth from within the Thomistic moral tradition which has<br />

application beyond that tradition. We will have reason to return to<br />

these themes in our discussion of MacIntyre’s reading of Thomas on<br />

justice, for the moment it is sufficient for our purposes to notice how<br />

germane the question of historicity is to MacIntyre’s thought.<br />

MacIntyre’s Reading of Thomas on Justice in Whose Justice?<br />

Which Rationality?<br />

Having thus outlined the broader context of MacIntyre’s thought<br />

and noted the centrality of the theme of historicity, we turn now to<br />

the specific task envisaged in this piece. In this regard there is a complex<br />

relationship between WJWR and TRV. MacIntyre’s reading of<br />

Thomas on justice is primarily to be found in the earlier work, dedicated<br />

at least in part to the theme of justice. (Even in this case, however,<br />

it is important to notice that the author’s primary interest is not<br />

in justice as such but in the traditions of enquiry which have sought<br />

to understand justice, as they have sought to understand other moral<br />

questions). TRV, however, provides valuable theoretical reflections<br />

on the central themes of the former work, indeed there is a sort of<br />

parallellism between the two to the extent that much of the same<br />

ground is covered but in a more reflective and critical way in the latter<br />

work. In this section, therefore, we will examine the reading of<br />

Aquinas on justice which we find in WJWR, leaving evaluative comment<br />

on its originality to the next section, in the light of MacIntyre’s<br />

broader thought on moral theory as found in TRV.<br />

Before turning to the two chapters of WJWR dedicated to the<br />

theme of justice in Aquinas, it is important to take cognisance of a<br />

number of features of this work as a whole.


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 507<br />

A first important consideration concerns its narrative nature.<br />

MacIntyre understands himself to be narrating what he calls “traditions<br />

of enquiry”, indicating by this term a whole vision of how<br />

moral practice and theory interact in given communities over time 13 .<br />

This theory extends to the study of the interaction between rival traditions<br />

as they encounter each other in the course of history. In fact<br />

by the time the author comes to narrate Aquinas’ understanding of<br />

justice in WJWR, he has already told the story of Aristotle and of<br />

Augustine on justice. His reading of Thomas on this theme is simply<br />

incomprehensibile without an appreciation of this narrative<br />

background.<br />

A second important consideration with regard to the overall project<br />

in WJWR is MacIntyre’s attention, intimated in the title, to the relationship<br />

between justice and practical rationality as it is exercised in<br />

the different traditions. Fundamental to his understanding of traditions<br />

of enquiry, as noted earlier, is the claim that there is not just one<br />

form of rationality but that rationality itself takes on different forms,<br />

partly determined by the institutional structures of the community in<br />

which it is being exercised 14 . If this is the case, it has obvious consequences<br />

for the interpretation of Aquinas on justice, particularly by<br />

the reader immersed in the forms of rationality typical of modernity.<br />

Aquinas does not share such forms of rationality, but rather operates<br />

out of a vision of practical rationality which is integrated into his overall<br />

metaphysical theology. This is why, in the first of the two chapters<br />

dealing with Thomas, MacIntyre feels the need to revise his<br />

(Thomas’) theory of truth and reality as well as his underlying understanding<br />

of practical reason and natural law as expressed in the Prima<br />

13 “When I speak of moral enquiry, I mean something wider than what is<br />

conventionally, at least in American universities, understood as moral philosophy,<br />

since moral enquiry extends to historical, literary, anthropological, and<br />

sociological questions.” TRV, 3. For a detailed account of MacIntyre’s understanding<br />

of this term see M. MCKEEVER, “God’s Justice? Right Reason? Justice<br />

and rationality in Catholic Social Teaching in the light of Alasdair MacIntyre’s<br />

conception of traditions of enquiry.” <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> 43/1 (2005) 297-317.<br />

14 Cf. WJWR, 10.


508 MARTIN MCKEEVER<br />

Secundae 15 . The link between forms of rationality and institutional<br />

structures also explains the amount of time MacIntyre dedicates in the<br />

two chapters on Aquinas to the depiction of institutional structures<br />

such as the Church, the civitas, the university etc.<br />

A third broad consideration concerns the dialectical nature of moral<br />

enquiry both within specific traditions and most of all between these<br />

traditions. A good deal of WJWR is dedicated to illustrating and<br />

analysing the conflictual nature of moral enquiry in so far as in the<br />

course of history new social conditions give rise to new traditions<br />

which challenge the presuppositions of existing ones 16 . In this sense<br />

it is important to note that the conflict which surrounds the emergence<br />

of the Thomistic tradition is typical of what happens when rival<br />

traditions encounter each other.<br />

Keeping these three major features of WJWR in mind we can better<br />

appreciate Aquinas’ reading of Thomas on the specific theme of<br />

justice. A striking feature of the two chapters dedicated to this theme<br />

is that they contain relatively little direct reference to the tract on<br />

justice in the Summa Theologiae. The direct commentary on the questions<br />

S.T. IIa-IIae 57-79 which is offered takes the form of a straightforward<br />

synthesis with some interesting observations. In the course<br />

of a few pages 17 the author covers what Aquinas has to say about ius,<br />

distributive and commutative justice, positive law, usury and various<br />

more specific themes. So what is MacIntyre doing the rest of the<br />

time? The answer is that he is instructing the reader on the context<br />

within which this treatment of the theme of justice occurs. Only if we<br />

appreciate this context, he constantly insists, will we be able to interpret<br />

correctly the texts explicitly dedicated to justice.<br />

15 See in particular WJWR 170-177, including the fundamental statement<br />

“Similarly we apprehend good as the most fundamental concept in forming<br />

practical activity and make explicit what we apprehend in the recognition which<br />

our actions accord to the principle that good is to be done and evil to be avoided”<br />

(173).<br />

16 MacIntyre outlines the two principal stages in such conflicts in WJWR,<br />

166-167.<br />

17 Cf. WJWR, 198-202.


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 509<br />

By ‘context’ here MacIntyre means, among others, the context of<br />

the Summa, the context of Aquinas’ overall metaphysical theology<br />

and the context of the interaction between Aquinas and the two rival<br />

traditions of enquiry to which he adhered.<br />

As regards the immediate context of the Summa, MacIntyre is insistent<br />

that only a holistic reading is legitimate, meaning by this that<br />

the interpretation of any one part must keep in mind the rest, particularly<br />

what has already been established 18 . The reason why the Summa<br />

must be read holistically is because it is conceived of as a dialectical<br />

construction in which Aquinas seeks to pose questions systematically<br />

and provide the best possibile answers to them.<br />

MacIntyre is equally insistent on the importance of the context of<br />

Aquinas’ theology. Aquinas’ view of justice is intrinsically theological<br />

in that he understands justice as being grounded in God 19 . So when<br />

we read Thomas on justice in the Secunda Secundae, we must keep in<br />

mind what has already been established about God in the Prima Pars.<br />

This again helps explain the attention MacIntyre pays to earlier,<br />

more theological, parts of the Summa prior to undertaking a reading<br />

of the questions on justice.<br />

The context which most interests and occupies MacIntyre is that<br />

of the interactions between traditions of enquiry. Having narrated in<br />

some detail both the Aristotelean and the Augustinan moral traditions<br />

on justice he is at pains to point out that the achievement of<br />

Aquinas is to conceive of a theological stance capable of integrating<br />

18 “It is therefore important when one treats of Aquinas’ developed views on<br />

particular topics or issues, as I shall be doing in discussing his accounts of justice<br />

and of practical rationality, not to abstract these in piecemeal fashion and<br />

treat them in too great isolation from the context supplied by his overall point<br />

of view and method.” WJWR, 164.<br />

19 “The right place to begin is not with Aquinas’ discussion of the virtues,<br />

but with his metaphysical theology. For just as there is an inescapably theological<br />

dimension to prudence even as a natural virtue, so there is also such a dimension<br />

to justice... It is not of course that it is by reference to this divine exemplar<br />

that we acquire the concept of justice...But that there is such a timeless<br />

standard of justice is a claim ultimately grounded on a theological understanding<br />

of the ordering of things...” WJWR, 198.


510 MARTIN MCKEEVER<br />

the best of each of these. MacIntyre explains how this is possibile only<br />

through a method of enquiry such as that of dialectical construction<br />

in which Aquinas brings rival claims into direct confrontation<br />

with each other and establishes their respective merits through dialectical<br />

argument 20 .<br />

Having reviewed the treatment of justice in WJWR in this way we<br />

may proceed to a consideration of its originality, drawing now also on<br />

the more general philosophical reflections of TRV.<br />

The Originality of MacIntyre’s Reading<br />

When we consider the originality of a reading one important<br />

question is “original with respect to what and to whom?” The originality<br />

of MacIntyre’s reading of Thomas on justice in WJWR, as presented<br />

in the previous section, consists primarily in his collocation of<br />

Thomas in an on-going narrative which goes back to Aristotle and<br />

Augustine. This originality does not consist in the simple assertion<br />

that Thomas, on justice as on so many other questions, offers a synthesis<br />

of Aristotle and Augustine. So much would be more or less a<br />

common-place. The originality consists rather in the form of the<br />

narrative itself, shaped as it is by MacIntyre’s conception of the role<br />

of practical rationality within traditions of enquiry. So in this work<br />

MacIntyre can be seen to be original with respect to authors who<br />

note the synthesis but do not narrate the story.<br />

In TRV the originality of MacIntyre’s reading of Aquinas on justice<br />

emerges in a rather different light. In this work, written some<br />

20 MacIntyre describes Aquinas’ project in the following terms “... that of developing<br />

the work of dialectical construction systematically, so as to integrate<br />

the whole previous history of enquiry, so far as he was aware of it, into his own.<br />

His counterposing of authority to authority was designed to exhibit what in<br />

each could withstand dialectical testing from every standpoint so far developed,<br />

with the aim of identifying both the limitations of each point of view and what<br />

in each could not be impugned by even the most rigorous of such tests.”<br />

WJWR, 206.


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 511<br />

years later and obviously after an intensive study of Thomism, the<br />

author is concerned with the philosophical differences which underlie<br />

different “versions of moral enquiry”. As already evident in<br />

WJWR 21 , it emerges that it is often precisely these broader and deeper<br />

philosophical differences which explain conflicting understandings<br />

of justice. In this sense the originality of MacIntyre’s reading of<br />

Thomas on justice can only be appreciated in the context of the originality<br />

of his overall reading of Thomas. Noting the different readings<br />

of Aquinas within “Thomism”, MacIntyre is very critical of<br />

Thomist scholars who attempt to respond to the Enlightenment critique<br />

of traditional moral theories by accepting the terms of that critique<br />

and trying to present the thought of Aquinas in those same<br />

terms 22 . He aspires to present an interpretation of Aquinas which<br />

avoids this error by refusing the terms of the critique and finds allies<br />

in this regard among some lines of Thomistic scholarship 23 . So his<br />

reading of Thomas is original also with respect to certain readings of<br />

Aquinas within the Thomistic tradition.<br />

Apart from this preliminary consideration, the originality of Mac-<br />

Intyre’s reading of Thomas on justice may be examined under the<br />

following headings: his fundamental conviction concerning the historicity<br />

of moral enquiry as expressed in his theory of traditions; his<br />

consequent method of narrative reconstruction in which he narrates<br />

the process by which Thomas combines elements from Aristotle and<br />

from Augustine; his insistence on moral virtue as a prerequisite for<br />

understanding Aquinas; his personal adherence to the Thomist tradition.<br />

All of these themes, with the exception of the last, having already<br />

been discussed extensively in WJWR, are taken up again in<br />

TRV in the context of a broader theoretical discussion of the various<br />

versions of moral enquiry. In this section we will consider how these<br />

lines of thought, as expounded in parallel terms in both books, together<br />

constitute the originality of MacIntyre’s reading.<br />

21 WJWR, 4.<br />

22 TRV, 69-76.<br />

23<br />

TRV, 67, 77.


512 MARTIN MCKEEVER<br />

As regards the historicity of moral enquiry, we must remember<br />

what was said earlier about MacIntyre’s philosophical project having<br />

its roots in a rejection of the Enlightenment aspiration to articulate<br />

universal, rationally convincing truths, while prescinding from authority<br />

and tradition. The basis of such a claim, MacIntyre judges, is<br />

a certain vision of the relationship between rationality, morality and<br />

history. In TRV this view is called “Encyclopedia” 24 , using this term<br />

to represent that form of Enlightenment rationality exemplified in<br />

the Ninth Edition of the Encyclopedia Britannica 25 . Against such a<br />

view, MacIntyre proposes “Tradition”, using this term to represent<br />

the form of rationality operative in the classical, Thomistic tradition.<br />

MacIntryre insists that it is only in and through traditions of enquiry<br />

that we can gain access to universal truths, including those of justice<br />

26 . The cornerstone of his theory of traditions of enquiry is the<br />

relationship between practical reason and moral practices within the<br />

institutional structures of given communities. In TRV MacIntyre<br />

takes up the theme of education in the crafts 27 as an analogue for the<br />

24 “For the encyclopaedist this history [of philosophy] is one of the progress<br />

of reason in which the limited conceptions of reasoning and practices of rational<br />

enquiry generated by Socrates, Plato, and Aristotle were enlarged by their<br />

successors, albeit with new limitations, and then given definitive and indefinitely<br />

improvable form by Descartes.” TRV, 58.<br />

25 TRV, 2.<br />

26 “... just because at any particular moment the rationality of a craft is justified<br />

by its history so far, which has made it what it is in that specific time, place<br />

and set of historical circumstances, such rationality is inseparable from the tradition<br />

through which it was achieved. The participant in a craft is rational qua<br />

participant insofar as he or she conforms to the best standards of reason discovered<br />

so far, and the rationality in which he or she thus shares is always, therefore,<br />

unlike the rationality of the encyclopaedic mode, understood as a historically<br />

situated rationality, even if one which aims at a timeless formulation of its<br />

own standards which would be the final and perfected form through a series of<br />

successive reformulations, past and yet to come.” TRV, 65.<br />

27 The theme of the crafts, which had been already prominent in WJWR, is<br />

given even more weight in TRV, to the point of considering, with Aristotle, philosophy<br />

itself a craft. “In holding that to be committed to becoming philosophes<br />

is to embark on a technē, Aristotle of course only restated what he had learned


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 513<br />

processes involved in education in justice within the polis. Just as the<br />

standards of quality in, for example, art, rhetoric or poetry, are derived<br />

from evaluative reflection on the practice of these crafts as it is<br />

undertaken in the course of time 28 , so too human beings learn the<br />

standards of justice through critical reflection on the practice of justice,<br />

or, by way of contrast, on the practice of injustice. MacIntyre is<br />

at pains to show that Thomas follows Aristotle in this view of justice<br />

as a virtue which has to be acquired through practice.<br />

This brings us to the question of method, certainly an original<br />

feature of MacIntyre’s account. It is necessary to distinguish here between<br />

Thomas’ own method of dialectical construction as seen in the<br />

previous section, and MacIntyre’s method of narrative reconstruction<br />

(of traditions of enquiry). In TRV MacIntyre engages in a detailed<br />

narration of how Thomas, within the university institutions of his<br />

time, develops this method of dialectical construction 29 . He also insists<br />

that the only way to represent correctly Aquinas’ synthesis is to<br />

narrate the story of how he combined the rival traditions. There can<br />

be no question here of repeating, even synthetically, this narrative as<br />

such, it must suffice to notice that MacIntyre’s method is narrative<br />

because of the conviction about the historicity of moral enquiry both<br />

within Thomas and since Thomas. In this sense, as mentioned above,<br />

the whole story of Aquinas on justice is used by him in both books as<br />

an extraordinary exemplification of this deeper conviction.<br />

Without attempting to retell the story, it will be useful to briefly<br />

note what, in terms of thematic content, Aquinas takes from Augus-<br />

from Socrates and Plato. And when in the middle ages conceptions of craft were<br />

used to characterize enquiry (the word ‘ars’ as used in ‘ars liberalis’ means precisely<br />

what technē means; the liberal arts are the crafts of free persons), it was<br />

upon either Plato or Aristotle that authors drew to inform that conception of<br />

their practice.” TRV, 61. For a detailed study of the idea of craft in the Summa<br />

Theologiae see M. MCKEEVER, “Health and Craft as Adumbrations of Justice:<br />

Suggestive Analogies and Crucial Distinctions (Summa Theologiae, I-II, qq. <strong>46</strong>-<br />

67)” in <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> 43/2 (2005) 545-564.<br />

28 TRV, 62-66; 127-130.<br />

29 Cf. Chapter 5 of TRV “Aristotle an/or/against Augustine: Rival Traditions<br />

of Enquiry” 105-126.


514 MARTIN MCKEEVER<br />

tine and what he takes from Aristotle in the course of the narrative. It<br />

would be hugely simplistic, in MacIntyre’s view, to find isolated statements<br />

on justice as a virtue in Augustine and similar phrases in<br />

Thomas and conclude that there is a basic continuity. In concrete<br />

terms MacIntyre explains that Thomas takes from Aristotle his model<br />

of the relationship between the supreme good and other goods, his<br />

understanding of the process of deliberation which issues in moral action<br />

and his general theory of the human act 30 . A key aspect of Mac-<br />

Intyre’s interpretation is his acknowledgement that in his account of<br />

justice Aquinas integrates Aristotle into a theological vision of Paul<br />

and Augustine rather than vice-versa 31 . What Aquinas takes from Paul<br />

and Augustine, apart from an overall theological metaphysical vision,<br />

is the key concept of mala voluntas together with a doctrine of grace 32 .<br />

The key point here is that Aquinas modifies the Aristotelean tradition<br />

in order to preserve fundamental elements from St. Paul and St. Augustine.<br />

In this light we can understand better how absurd it would be<br />

to extract specific statements on justice from the questions treated by<br />

Aquinas and represent them as his theology of justice.<br />

One of the most original aspects of MacIntyre’s reading of<br />

Thomas, especially relative to contemporary liberal modes of understanding<br />

justice, is his acceptance of the Aristotelean principle that in<br />

order to understand justice it is necessary to acquire the virtue of justice<br />

33 . MacIntyre develops this idea in terms of practical rationality<br />

and insists that only a person who has acquired the virtue will be able<br />

to judge what is just. This leads on to a range of reflections concerning<br />

education in the virtues, the perfection of the virtues and so<br />

forth, but the basic principle of virtue as a prerequisite of rational<br />

judgement remains firm.<br />

Even more original, and utterly at odds with contemporary tendencies,<br />

is MacIntyre’s declaration that he adheres to the Thomist tra-<br />

30 WJWR, 189.<br />

31 WJWR, 182.<br />

32 WJWR, 181.<br />

33 Cf. TRV, 130.


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 515<br />

dition. It is mostly in TRV that this position is explained. It is a logical<br />

consequence of what he has been saying in theoretical terms over<br />

the period of composition of WJWR and TRV. If there is no neutral<br />

rational ground over and beyond the actual traditions of moral enquiry,<br />

then when MacIntyre discusses justice he, like everyone else,<br />

does so necessarily from within some such tradition. Only gradually<br />

does MacIntyre realize this adherence in theory and practice.<br />

All of this is also a corollary of what he has been saying all along<br />

about the dialectial, indeed the conflictual, nature of moral enquiry. If<br />

rival theories oppose each other on the undersanding of justice, then<br />

anyone who wishes to enter the debate must assess the contending positions<br />

and then either adhere to what he/she considers the most convincing<br />

of the existing positions or propose a new one. Consistent<br />

with such considerations, MacIntyre declares his conviction that the<br />

tradition of moral enquiry which we find in Thomas is the most satisfactory<br />

available and so warrants adhesion 34 . At the same time, still<br />

in line with the principles enunciated, if some new evidence or argument<br />

were to appear which put in question the Thomistic position,<br />

MacIntyre would consider himself obliged to revise his judgement.<br />

Moral theology after MacIntyre<br />

If one were to judge by the amount of literature produced about<br />

MacIntyre, the number of his works that have been translated into<br />

various languages and the number of conferences dedicated to his<br />

thought, one might be led to believe that this thought had been well<br />

received in academic circles and beyond. No such conclusion can be<br />

made in terms of moral theology as a discipline. There are no shortage<br />

of books, articles and theses in moral theology dedicated to his<br />

thought both in English and increasingly in other languages. What is<br />

34 “Ed è stato allora in gran parte perché mi sono convinto che le maggiori<br />

tendenze nella filosofia moderna mancavano delle risorse necessarie per capire<br />

la propria storia, nei propri termini, e che il tomismo può offrire quanto serva a<br />

questo fine, che io sono diventato tomista.” TRV, 20.


516 MARTIN MCKEEVER<br />

not at all apparent, particularly in moral theological discussions of justice,<br />

is that the underlying basis of his thought has been assimilated.<br />

If it had been it would not be possibile to continue to discuss justice<br />

as it it were an atemporal standard of action available to us through<br />

reason or revelation, without taking cognisance of the historical and<br />

dialectical processes through which we attain to such knowledge. It<br />

seems to be closer to the truth to judge that the thought of MacIntyre<br />

has such major implications for how we do moral theology, about justice<br />

and in general, that the discipline has not yet “caught up” with<br />

this thinker. In this final section we will review some of the questions<br />

opened up (and largely left open!) by his thought.<br />

First among these could be the general question of the relationship<br />

between moral theology and philosophy. One of MacIntyre’s<br />

critiques of certain trends in Thomism is that they uncritically accept<br />

the terms of dispute set up by, for example, liberal thinkers. One suspects<br />

that this criticism might have wide application in moral theology.<br />

It is not easy in fact to find scholars either in fundamental or<br />

special moral theology who declare and explain their philosophical<br />

sources and orientation. Quite often, if pushed, authors would probably<br />

invoke Thomas as the philosophical foundation of their ethics.<br />

In the light of MacIntyre’s work this is far from good enough, what<br />

is needed is clarity on which version of Aquinas one is committed to,<br />

particularly around themes such as epistemology and the functioning<br />

of moral traditions.<br />

A second open question concerns the relationship between moral<br />

theology and liberal culture in the light of MacIntyre. While MacIntyre<br />

figures as a name in the on-going discussion of this theme, there<br />

is reason to doubt that his thought on the matter has been adequately<br />

assimilated even by those who would be generally positively disposed<br />

to it. We can think, by way of example, of his denunciation of<br />

certain understandings of human rights as being based in Thomas 35 .<br />

35 “And so Maritain at a later date would formulate what he mistakenly took<br />

to be a Thomistic defense of the doctrine of human rights enshrined in the<br />

United Nations Declaration of Human Rights, a quixotic attempt to present


THE ORIGINALITY OF A. MACINTYRE’S READING OF AQUINAS ON JUSTICE 517<br />

A great deal of moral theological use of this category continues as if<br />

nothing had been said: it is assumed that it is possible to articulate a<br />

critique of injustices within liberal society using a conceptual instrument<br />

which is the product of that culture.<br />

A more positive note can be sounded with regard to the theme of<br />

virtue, so central to MacIntyre’s understanding of ethics in general<br />

and of justice in particular. A range of scholars, some of them openly<br />

under MacIntyre’s influence 36 , have taken up this theme. What is not<br />

easy, of course, is to translate into terms of moral theological theory<br />

what MacIntyre has said about virtue in essentially philosophical<br />

terms. There is a rigour and authority in his writing on this theme<br />

which is not parallelled in moral theological circles.<br />

The most important question of all is how the Thomistic tradition<br />

is to be carried forth in moral theological reflection. Here the contribution<br />

of MacIntyre could be decisive. He has very clearly taken a<br />

position for and against certain ways of interpreting Thomas. This<br />

position is characterized by the broad philosophical stance upon<br />

which it is based, a stance which has the historicity of moral discourse<br />

at its core. It is hoped that this brief examination of his study of the<br />

specific theme of justice might have helped to elucidate the originality<br />

of his broader philosophical stance 37 .<br />

Thomism as offering a rival and superior account of the same moral subject<br />

matter as do other modern nontheological doctrines of universal rights alleged<br />

to attach to individual persons.” TRV, 76<br />

36 Cf. J. PORTER, The Recovery of Virtue. The Relevance of Aquinas for Christian<br />

Ethics (Louisville: Westminster/John Knox Press, 1990). A sharply contrasting<br />

and rather critical reading of Thomas, including his use of technē to illustrate the<br />

acquisition of moral virtues, can be found in G. ANGELINI, Teologia Morale Fondamentale.<br />

Tradizione, Scrittura e teoria (Milano: Glossa, 1999), 122-171.<br />

37<br />

Interestingly, one of MacIntyre’s latest publications takes up at length the<br />

theme of defining a philosophical position: A. MACINTYRE, The Tasks of Philosophy.<br />

Selected Essays, Volume 1 (Cambridge: Cambridge University Press, 2006), 3-104.


518 MARTIN MCKEEVER<br />

SUMMARIES<br />

Alasdair MacIntyre is broadly acknowledged as one of the foremost moral<br />

philosophers in the contemporary world. It is also well known that he has<br />

come to identify himself closely with the philosophical vision of Thomas<br />

Aquinas. What is less often noticed is the originality of his interpretation of<br />

Thomas. This article illustrates this originality by examining MacIntyre’s reading<br />

of Aquinas on the single theme of justice. It emerges that the key characteristic<br />

of this reading is its ‘historicity’ – a matter of some importance for theological<br />

interpretation of Aquinas on justice and in general.<br />

* * *<br />

Alasdair MacIntyre es ampliamente reconocido como uno de los principales<br />

filósofos en el mundo contemporáneo. Se conoce también que él se identifica<br />

con la visión filosófica de Santo Tomás de Aquino. Lo que usualmente se<br />

conoce poco es la originalidad de su interpretación del Doctor Angélico. Este<br />

artículo ilustra esta originalidad examinando la lectura que MacIntyre hace de<br />

Tomás de Aquino sobre el tema de la justicia solamente. Se descubre que la<br />

característica clave de esta lectura es su “historicidad”, un hecho importante<br />

para la interpretación de Santo Tomás sobre el tema de la justicia y sobre su<br />

pensamiento en general.<br />

* * *<br />

Alasdair MacIntyre è ampiamente riconosciuto come uno dei principali filosofi<br />

nel mondo contemporaneo. È anche ben noto che egli si identifica strettamente<br />

con la visione filosofica di Tommaso d’Aquino. Ciò che viene meno<br />

spesso notata è l’originalità della sua interpretazione dell’Aquinate. Questo articolo<br />

illustra questa originalità esaminando la lettura che MacIntyre fa di Tommaso<br />

sul solo tema della giustizia. Emerge che la caratteristica chiave di questa<br />

lettura è la sua ‘storicità’ – un fatto di una certa importanza per l’interpretazione<br />

di Tommaso sulla giustizia e sul suo pensiero in generale.


“DOCTRINA-VIDA”<br />

UNA POSTURA DIALÉCTICA<br />

DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE<br />

J. Silvio Botero Giraldo, C.Ss.R.*<br />

Introducción<br />

El 25 de Julio del <strong>2008</strong> se cumplían 40 años de la promulgación de<br />

la encíclica Humanae vitae, de Pablo VI, sobre la regulación de la natalidad.<br />

Fue una encíclica que mereció la celebración de los 10 1 , de<br />

los veinte 2 , de los 25 3 , y ahora de los 40 años 4 de promulgación a través<br />

de diversas publicaciones y congresos. De otra parte, fue un pronunciamiento<br />

pontificio fuertemente ‘contestado’ 5 a nivel mundial,<br />

dentro y fuera de la iglesia.<br />

* The author is an invited professor at the Alphonsian Academy.<br />

* El autor es profesor invitado en la Academia Alfonsiana.<br />

1 Cfr. CHARLES G. VELA, a cura di, La coppia e l’amore. A dieci anni dalla ‘Humanae<br />

vitae, Libreria della Famiglia, Milano 1978; Lateranum 44/1 (1878) Número<br />

monográfico sobre la Humanae vitae.<br />

2 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, “A vent’anni dall’Humanae vitae”, Il Regno-Doc 1<br />

(1989) 5-9; DIONIGI TETTAMANZI, Un’enciclica profetica. La ‘Humanae vitae’ vent’anni<br />

dopo, Ancora, Milano 1988.<br />

3 Cfr. ALFONSO LÓPEZ T., ‘Humanae vitae’, servizio profetico per l’uomo. Atti<br />

del Convegno di studio in occasione del XXV Anniversario della Enciclica ‘Humanae<br />

vitae’ (Roma 24-26 Nov. 1993), AVE, Roma 1995.<br />

4 Cfr. DIETMAR MIETH, “Humanae vitae compie quarant’anni. Un’occasione<br />

per riflessioni che portano oltre la controversia sulla contraccezione”, Concilium<br />

1 (<strong>2008</strong>) 156-162; MÁRCIO FABRI DOS ANJOS, “Humanae vitae: quarant’anni e le<br />

sfide di attualizzazione”, Concilium 1 (<strong>2008</strong>) 163-171.<br />

5 Cfr. ERNESTO BALDUCCI (Prefazione), L’enciclica contestata, G. Casini Editore,<br />

Roma 1969; CHARLES E. CURRAN – ROBERT E. HUNT, Edited by, Dissent<br />

In and For the Church. Theologians and Humanae vitae, Sheed and Ward, New<br />

York 1969; F. VITTORINO JOANNES, a cura di, ‘L’Humanae Vitae’ il più importante<br />

e discusso documento del pontificato di Paolo VI, Mondadori, Verona 1969.<br />

StMor <strong>46</strong>/2 (<strong>2008</strong>) 519-538


520 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

Es quizás el pronunciamiento pontificio más controvertido en las<br />

últimas décadas porque se trataba de un problema que afecta a una<br />

buena parte de la humanidad. La opinión pública mostraba una gran<br />

espectativa en torno al pronunciamiento del Papa; por esta razón al<br />

conocer el texto de la encíclica manifestó desconcierto y una cierta<br />

frustración.<br />

Creemos que, en buena parte, la ‘contestación’ contra la Humanae<br />

vitae se debió a una lectura parcializada, con una visión unilateral del<br />

problema analizado en ella, olvidando que un documento pontificio<br />

es una presentación de principios doctrinales que el Magisterio (episcopal)<br />

de la Iglesia se encargará posteriormente de traducir a la vida<br />

concreta de las iglesias locales. De hecho, así sucedió con las Cartas<br />

colectivas del episcopado mundial 6 .<br />

Es ésta la razón del título de la presente reflexión: presentar un<br />

análisis del contexto histórico-doctrinal de la enseñanza de la Humanae<br />

vitae en sintonía con la situación concreta de las parejas cristianas.<br />

Fue la pareja de esposos belgas- Hermann y Lena Buelens- quienes<br />

en representación de muchas otras parejas, hicieron sentir durante<br />

el Concilio Vaticano II la necesidad de conciliar la antinomia<br />

‘doctrina-vida’: un modo distinto de considerar el problema de la fecundidad<br />

y de la regulación aparece si se parte directamente de la vida<br />

y no de las exigencias abstractas de la doctrina; la misma teología<br />

considera hoy, desde la perspectiva metodológica, la realidad de la vida<br />

humana como punto de partida de su reflexión 7 .<br />

Celebrando ahora el 40º aniversario conviene recordar el proceso<br />

histórico de la preparación y maduración de esta encíclica, el núcleo<br />

mismo del documento, la interpretación que de la encíclica hicieron<br />

algunas de las Conferencias Episcopales del mundo y, finalmente, la<br />

necesidad de formar la conciencia moral de las parejas para ‘el ejercicio<br />

responsable de la paternidad’.<br />

6 Cfr. ‘Humanae vitae’ e Magistero episcopale, redazione e indice analitico a cura<br />

di L. Sandri, Dehoniane, Bologna 1969.<br />

7 Cfr. HERMANN e LENA BUELENS, “Fecondità nell’amore. Per un superamento<br />

della tensione tra la realtà della vita e la dottrina”, en Diritti del sesso e del<br />

matrimonio, Mondadori, Verona 1968, 78.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 521<br />

1. Hitos de la historia de la Encíclica<br />

Si se oberva con atención el Enchiridion Symbolorum, ya desde el<br />

año 1822 (Denzinger 2715) comenzaron a llegar a la Curia Romana<br />

(S. Penitenciaría y Sto. Oficio) preguntas diversas por parte de algunos<br />

obispos o teólogos acerca de cuestiones morales en torno al ‘uso<br />

del matrimonio’ (uso onanístico, interrupción de la cópula, esterilización,<br />

atención a los períodos agenésicos, etc). Estas consultas explican<br />

por qué el Papa deseaba responder a un problema sentido en<br />

la iglesia desde mucho tiempo antes.<br />

Se comprende así el hecho de que Juan XXIII organizara un ‘Grupo<br />

de Estudio sobre la población’ (1963), que posteriormente Pablo<br />

VI amplió con nuevos integrantes (teólogos, médicos, demógrafos,<br />

parejas de esposos) de todos los continentes. En Julio del 1966 una<br />

comisión restringida de cardenales, obispos y teólogos presentaba al<br />

Papa el Dossier de Roma 8 con los documentos, junto con toda la documentación<br />

elaborada desde el comienzo.<br />

En realidad, el grupo mayoritario había elaborado dos documentos<br />

que llamaron ‘Documento de síntesis sobre la regulación de la<br />

prole’ y un ‘Esquema de documento sobre la paternidad responsable’;<br />

eran documentos de tipo pastoral; el grupo de la minoría, por su parte,<br />

presentó un único documento titulado ‘Estado de la cuestión’, con<br />

un claro corte doctrinal. Los documentos de la mayoría se basaban<br />

fundamentalmente en estos razonamientos: un cuestionamiento a los<br />

argumentos de la ley natural (biológica), el bienestar de la persona y<br />

de la sociedad está estrechamente ligado a la prosperidad de la comunidad<br />

conyugal (GS 50), el Magisterio de la iglesia ha evolucionado<br />

progresivamente.<br />

El documento del grupo minoritario – ‘Estado de la cuestión’ –<br />

argumentaba acerca de la doctrina de la iglesia y de su autoridad: la<br />

anticoncepción ha sido considerada ‘siempre mala’ por el magisterio<br />

8 Cfr. Controllo delle nascite. Il dossier di Roma, presentato da J. M. Paupert,<br />

Queriniana, Brescia 1967; Control de la natalidad. Informe para expertos. Los documentos<br />

de Roma, Alameda, Madrid 1967; M. ROBERT, Rome et la contraception.<br />

Histoire secrète de l’encyclique ‘Humanae vitae’, Atelier-Ouvrièrs, Paris 1998.


522 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

de Pío XI (Casti connubii) y de Pío XII (‘Discurso a las parteras’, 29<br />

Oct. 1951); no acepta que la doctrina moral a este respecto haya evolucionado<br />

y que la iglesia la pueda cambiar, porque esta doctrina es<br />

sustancialmente verdadera.<br />

Además de esta investigación preparatoria meramente consultiva,<br />

Pablo VI por su cuenta había estudiado y consultado acerca del tema<br />

de la natalidad. Para el 25 de Julio 1968 Pablo VI considera que la reflexión<br />

ha llegado a un punto de maduración suficiente que hace posible<br />

la promulgación de la encíclica; ninguna como ésta tan esperada<br />

por un gran público; sin embargo, muchos se sintieron sorprendidos,<br />

porque el Papa, de un lado planteaba algunos elementos novedosos<br />

como la nueva visión de los fines del matrimonio (unitivo y fecundo),<br />

mientras de otro lado mantenía la posición del Magisterio<br />

precedente.<br />

Leyendo con atención el texto de la encíclica, es posible detectar<br />

algunos núcleos fundamentales:<br />

• la concepción de la ‘paternidad responsable’ “comporta sobre<br />

todo una vinculación más profunda con el orden moral objetivo,<br />

establecido por Dios, cuyo fiel intérprete es la recta conciencia.<br />

El ejercicio responsable de la paternidad exige que los<br />

cónyuges reconozcan plenamente sus propios deberes para con<br />

Dios, para consigo mismo, para con la familia y la sociedad, en<br />

una justa jerarquía de valores” (n. 10).<br />

•“Esta doctrina está fundada sobre la inseparable conexión que<br />

Dios ha querido y que el hombre no puede romper por propia<br />

iniciativa, entre los dos significados del acto conyugal: el significado<br />

unitivo y el significado procreador” (n. 12).<br />

• “la iglesia no retiene de ningún modo ilícito el uso de medios<br />

terapéuticos verdaderamente necesarios para curar enfermedades<br />

del organismo, a pesar de que se siguiese un impedimento,<br />

aun previsto, para la procreación con tal que ese impedimento<br />

no sea, por cualquier motivo, directamente querido” (n. 15).<br />

•a los esposos cristianos el Papa exhorta a que “invoquen con<br />

oración perseverante la ayuda divina; acudan, sobre todo, a la<br />

fuente de gracia y de caridad en la Eucaristía. Y si el pecado les<br />

sorprendiese todavía, no se desanimen, sino que recurran con


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 523<br />

humilde perseverancia a la misericordia de Dios, que se concede<br />

en el sacramento de la penitencia” (n. 25).<br />

•a los sacerdotes recomienda “no menoscabar en nada la saludable<br />

doctrina de Cristo que es una forma de caridad eminente<br />

hacia las almas. Pero esto debe ir acompañado siempre de la paciencia<br />

y de la bondad de que el mismo Señor dio ejemplo en su<br />

trato con los hombres. (...) Él fue ciertamente intransigente con<br />

el mal, pero misericordioso con las personas” (n. 28).<br />

•a las autoridades públicas, a los hombres de ciencia, a los seglares,<br />

médicos y personal sanitario, el Papa pone de presente que<br />

también todos ellos tienen una responsabilidad en la creación de<br />

condiciones que favorezcan el servicio a la vida humana (nn. 23-<br />

24 y 26-27).<br />

Estos seis núcleos, que creemos centrales, ponen de presente una<br />

línea especial: el principio doctrinal de la paternidad responsable, la<br />

doble dimensión de la relación conyugal, una posible excepción a la<br />

prohibición del uso de anticonceptivos, y tres exhortaciones pastorales<br />

(a los esposos, a los sacerdotes y a las autoridades públicas).<br />

Una primera cuestión que surgió entre los teólogos en torno a la<br />

Humanae vitae fue preguntarse acerca de la nota teológica a darle: es<br />

doctrina irreformable?, es Magisterio ordinario?. L. Sartori, despues<br />

de hacer diversas consideraciones sobre el carácter pastoral del Magisterio,<br />

sobre los condicionamientos culturales, sobre el modo de<br />

proceder de la jerarquía a propósito de pronunciamientos magisteriales,<br />

afirma que la doctrina de la encíclica ‘no es absolutamente<br />

irreformable’ 9 .<br />

Dejando de lado las diversas interpretaciones de la encíclica, por<br />

parte del gran público (unas de crítica severa, otras de pleno consenso),<br />

optamos por dar una información sintética acerca de la acogida<br />

por parte de algunas de las 80 conferencias episcopales de toda la<br />

iglesia que se pronunciaron respecto de la Humanae vitae. Una nota<br />

9 Cfr. LUIGI SARTORI, “La Humanae vitae è irreformabile?”, en La coppia e l’amore<br />

a dieci anni dalla ‘Humanae vitae..., 207-216.


524 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

constante en estas declaraciones fue el apoyo solidario y decidido a la<br />

enseñanza de Pablo VI en su encíclica como una defensa del amor y<br />

de la vida, como una declaración que deriva de una visión global del<br />

hombre, como una denuncia del mal objetivo de la anticoncepción.<br />

Otra nota constante es el intento concreto que cada conferencia<br />

hace de traducir la enseñanza pontificia para aplicarla al contexto histórico-situacional<br />

de cada iglesia local. Un ejemplo concreto de esta<br />

actitud fue el episcopado latinoamericano que, un mes después de la<br />

promulgación de la Humanae vitae, celebraba la II Conferencia General<br />

del CELAM (Medellín 1968); en ella este episcopado puso de<br />

presente las circunstancias difíciles que vive la familia en el continente<br />

latinoamericano, una situación que hace problemática la aplicación<br />

de la encíclica; los obispos latinoamericanos son conscientes del magisterio<br />

claro e inequívoco del Papa, pero comprenden también que<br />

la norma pontificia no constituye una carrera ciega hacia la superpoblación<br />

ni disminuye la responsabilidad y la libertad de los cónyuges<br />

a los cuales no se les prohibe una honesta y razonable limitación de<br />

los nacimientos, ni se impiden las legítimas medidas terapéuticas, ni<br />

tampoco el progreso de la investigación científica 10 .<br />

Hay un elemento común, poco conocido, que emerge de este conjunto<br />

de declaraciones episcopales. Se trata de una sintonía particular<br />

entre tres declaraciones dadas en momentos diferentes: la Conferencia<br />

Episcopal USA (15 Nov. 1968), la Congregación del Clero que actúa<br />

de frente al llamado ‘Caso Washington’ (Abril 1972) y una declaración<br />

aparecida en L’Osservatore Romano (16 Febr. 1989) cuando se<br />

celebraban los veinte años de la promulgación de la Humanae vitae.<br />

Las tres declaraciones coinciden prácticamente en señalar un criterio<br />

doctrinal y pastoral a vez, a propósito de una interpretación dialética<br />

de la Humanae vitae: “si bien las circunstancias que rodean un<br />

acto en sí mismo malo (como es el caso de anticoncepción), éstas no<br />

pueden hacer del acto malo un acto honesto y virtuoso, pero sí pue-<br />

10 Cfr. CONFERENZA GENERALE DELL’EPISCOPATO LATINOAMERICANO (Medellín<br />

6 Sept. 1968), en ‘Humanae vitae’ e Magistero episcopale, redazione e indice<br />

analitico a cura di L. Sandri, Dehoniane, Bologna 1969, 235-245.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 525<br />

den hacer que dicho acto sea menos culpable, disculpable o subjetivamente<br />

defendible’ 11 .<br />

Hablamos de una sintonía en los tres documentos aludidos; pero<br />

se debe afirmar que dicha sintonía se puede hallar también en muchas<br />

de las declaraciones de los episcopados en una forma más amplia,<br />

aunque no tan precisa. Un ejemplo, entre otros, la declaración colectiva<br />

de los obispos franceses: puede suceder que algunos esposos cristianos<br />

se reconozcan culpables por no responder a las exigencias de<br />

la encíclica; que la fe y la humildad les ayuden a no descorazonarse;<br />

que estén convencidos de que las faltas de los esposos, por otros aspectos<br />

generosos en la vida personal y apostólica, no son de una gravedad<br />

comparable a la de quienes desprecian la enseñanza de la iglesia<br />

y se dejan dominar por el egoismo.<br />

Añaden todavía: la anticoncepción no puede ser un bien, siempre<br />

será un desorden; pero este desorden no siempre es culpable. De hecho<br />

sucede que los esposos se encuentren de frente a un verdadero<br />

conflicto de deberes: de una parte, son conscientes del deber de respetar<br />

la apertura del acto conyugal a la vida; pero, de otra parte, sienten<br />

la necesidad de evitar o distanciar la llegada de un nuevo hijo y<br />

no pueden atenerse a los períodos agenésicos; comprenden también<br />

que no pueden renunciar a la expresión sexual de amor que puede<br />

amenazar la estabilidad de la vida de pareja.<br />

A este propósito, los obispos franceses recuerdan la enseñanza tradicional<br />

de la moral: cuando alguien se halla en la alternativa de deberes,<br />

de tal forma que cualquier decisión que se tome es mala, la sabiduría<br />

tradicional prevé que delante de Dios se opte por el bien mayor<br />

12 . Basten estas pocas pero sugestivas anotaciones, para comprobar<br />

una postura dialéctica de las conferencias episcopales en relación<br />

11 Cfr. “Lettera Pastorale collettiva del’Episcopato Statunitense”, en ‘Humanae<br />

vitae’ e Magistero episcopale...., 247-280; CONGREGATION FOR THE CLERGY,<br />

“Washington Case” (26 April 1971), en Enchiridion Vaticanum vol. IV, EDB, Bologna<br />

1978, 412-429; “La norma morale di Humanae vitae e il compito pastorale”,<br />

L’Osservatore Romano 16 Febbr. 1989, 1-2.<br />

12 Cfr. “Nota pastorale dell’episcopato francese (8 Nov. 1968)”, en ‘Humanae<br />

vitae’ e Magistero episcopale...., 163-177.


526 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

a la Humanae vitae; los obispos, sin citar explícitamente al ‘Doctor<br />

Angélico’, están aplicando un principio suyo: la norma ha sido hecha<br />

para la mayoría de los casos (‘ut in pluribus’), pero puede haber excepciones<br />

en algunos casos (‘ut in paucioribus’) por razón de las cosas<br />

corruptibles (Cfr. S.Th. I-II, q. 94, a. 4).<br />

2. Un mensaje entre dos fuegos<br />

La enseñanza de la Humanae vitae se halla entre dos fuegos ciertamente,<br />

como se ha podido intuir ya en la misma comisión consultiva:<br />

una minoría que está de parte de un pronunciamiento tradicional<br />

que abona una postura intransigente que califica la anticoncepción<br />

como ‘intrínsecamente mala’. Pío XI en la Casti connubii y Pío XII en<br />

el discurso a las parteras (29 Oct. 1951), citando casi textualmente a<br />

su predecesor afirmaba:<br />

Todo atentado de los cónyuges en la realización del acto conyugal o<br />

en el desarrollo de sus consecuencias naturales, que tenga por objeto<br />

privarlo de la fuerza que le es inherente e impedir la procreación<br />

de una nueva vida es inmoral; ninguna causa o necesidad, por grave<br />

que sea, podrá mudar una acción intrínsecamente mala en un acto<br />

moral lícito 13 .<br />

La mayoría de la Comisión consultiva pensaba en una actitud más<br />

moderada: como se anotó anteriormente, veía posible la evolución<br />

del Magisterio en materia sexual, como de hecho aparece en los documentos<br />

del Concilio Vaticano II; dentro de la perspectiva de una<br />

visión dinámica de la realidad humana concebía que es propio del<br />

hombre perfeccionar la naturaleza; por tanto, no puede sostenerse la<br />

intangibilidad absoluta del período fecundo; de ahí que cuando el<br />

13 PÍO XII, “Allocuzione alle ostetriche” (29 Oct. 1951), en Matrimonio e famiglia<br />

nel Magistero della chiesa, a cura di P. Barberi e D. Tettamanzi, Massimo,<br />

Milano 1986, 192. La traducción es mia.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 527<br />

hombre interviene en el proceso procreativo, lo hará con la intención<br />

de regular, no de excluir la fecundidad.<br />

Todavía hoy, a cuarenta años de distancia de la promulgación de la<br />

Humanae vitae, la enseñanza de Pablo VI continúa entre dos fuegos:<br />

de una parte están los llamados ‘deontologistas’ que sostienen la moralidad<br />

del acto humano en sí mismo (‘opus operis’), desconectado de<br />

la realidad existencial de la persona en situación. Uno de estos teólogos<br />

escribe:<br />

Esto consiente el estudio de la moralidad de los actos según el objeto,<br />

haciendo abstracción de la intención del sujeto; así se hace la delimitación<br />

de los actos intrínsecamente desordenados por razón del<br />

objeto; tales actos no pueden ser realizados con voluntad recta, cualquiera<br />

que sea la intención del sujeto 14 .<br />

De frente a la postura ‘deontologista’ se coloca la ‘teleologista’<br />

que atiende sobre todo a la intención del sujeto (‘opus operantis’), a<br />

las circunstancias en que se desarrolla la acción. La acción no es otra<br />

cosa que expresión de toda la persona; no se considera al hombre en<br />

abstracto, sino como ‘tal hombre’, como una persona determinada<br />

por la edad, la raza, la cultura, las circunstancias, etc. Los teleologistas<br />

pueden pecar de cierta unilateralización reduciendo el hombre a<br />

simple circunstancia; no se trata de elaborar una moral del acto o de<br />

la circunstancia, sino de la ‘persona humana en situación’.<br />

Una postura dialéctica pide saber conciliar en su justa medida el<br />

objetivismo que caracteriza a los ‘deontologistas’ y el subjetivismo de<br />

los teleologistas; la verdad moral se halla entre uno y otro, escribe J.<br />

Fuchs 15 . Tradicionalmente ha prevalecido el deontologismo objetivista;<br />

M. Vidal afirma que “toda dimensión de la realidad humana ética<br />

tiene que tener las dos polaridades de lo objetivo y de lo subjetivo;<br />

14 Ramón GARCÍA DE HARO, La vita cristiana. Corso di Teología morale fondamentale,<br />

Ares, Milano 1995, 251.<br />

15 Cfr. Josef FUCHS, Etica cristiana in una società secolarizzata, Piemme, Casale<br />

Monferrato 1989, 39-47.


528 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

de ahí que la moral ha de ser objetiva y subjetiva si quiere tener la racionalidad<br />

o la criticidad propia de lo real” 16 .<br />

La encíclica Humanae vitae puede ser contemplada en la perspectiva<br />

de una sana dialéctica: en ella encontramos elementos para afirmar<br />

una actitud dialéctica. En primer lugar, en el n. 7 admite que ya<br />

el Concilio Vaticano II había reconocido un tipo de dialéctica entre<br />

‘amor conyugal’ y la ‘paternidad responsable’ (GS 51). Igualmente,<br />

en el mismo numeral, aparece que no debe contraponerse ‘la vocación<br />

natural y terrena del hombre’ con ‘la vocación sobrenatural y<br />

eterna’.<br />

Un segundo elemento es la referencia a la ‘paternidad responsable’<br />

que reconoce ‘el orden moral objetivo’ establecido por Dios y la<br />

capacidad de los cónyuges de sistemar una ‘justa escala de valores’ (n.<br />

10). Un tercer elemento en plan dialéctico es la referencia al ‘principio<br />

de totalidad’, propuesto ya antes por Pío XII, de frente a la postura<br />

tradicional de atender sólo a cada acto conyugal en singular.<br />

Mientras el ‘Documentum syntheticum’ de la Minoría urgía la<br />

atención a cada acto conyugal en particular, el ‘Schema documenti<br />

de responsabili paternitate’ de la Mayoría subrayaba, en sintonía con<br />

el principio de totalidad, que “es propio del hombre, creado a imagen<br />

de Dios, usar los dones de la naturaleza física para dirigirlos a<br />

una significación plena en beneficio de toda la persona. (...) La paternidad<br />

generosa y prudente, por tanto, no depende de la fecundidad<br />

directa de cada relación sexual en particular” 17 . Una postura correcta<br />

de frente a la Humanae vitae urge estar atento a salvar los dos<br />

polos de la dialéctica: la vocación natural-terrena y la vocación sobrenatural-eterna<br />

de los esposos, el orden moral objetivo y la justa<br />

escala de valores que los cónyuges elaboran según la recta conciencia,<br />

el bien total de la pareja humana y el respeto prudente a las funciones<br />

orgánicas.<br />

16 MARCIANO VIDAL, El nuevo rostro de la moral, Paulinas, Madrid 1976, 159.<br />

17 “Segundo Documento de la Mayoría: Esquema de documento sobre la paternidad<br />

responsable”, en Control de la natalidad. Informe para expertos. Los documentos<br />

de Roma, Alameda, Madrid 1967, 176-177.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 529<br />

Las declaraciones de las distintas conferencias episcopales que se<br />

pronunciaron en torno a la Humanae vitae tuvieron en cuenta la formulación<br />

dialéctica: salvar la autoridad del Papa y de su enseñanza y<br />

salvar igualmente a las parejas humanas que se hallan en situaciones<br />

conflictivas a causa de distintas y variadas circunstancias. Es posible<br />

observar en las diversas declaraciones el empleo implícito que hacen<br />

de la ‘ley de la espiral’ y de un lenguaje ‘conyuntivo’ (incluyente, no<br />

excluyente).<br />

3. Formación de la pareja humana para una postura<br />

3. dialéctica en relación a la Humanae vitae<br />

El Concilio Vaticano II, en la Gaudium et Spes apuntó a un tema<br />

que comienza a abrirse espacio dentro de la teología de la pareja humana:<br />

la conciencia de ser un ‘nosotros conyugal’, un ‘nosotros de<br />

pareja’: “los cónyuges se esforzarán ambos de común acuerdo y común<br />

esfuerzo por formarse un juicio recto” (GS 50). En el n. 52 los<br />

exhorta a que “vivan unidos, con el mismo cariño, modo de pensar<br />

idéntico y mutua santidad”; en el n. 87 torna a hacer una alusión al<br />

respecto: “la decisión sobre el número de hijos depende del recto juicio<br />

de los padres... (...) El juicio de los padres requiere como presupuesto<br />

una conciencia rectamente formada”.<br />

Posteriormente, Juan Pablo II también había pensado en esta categoría<br />

de la conciencia conyugal: “conviene también tener presente<br />

que en la intimidad conyugal están implicadas las voluntades de dos<br />

personas, llamadas sin embargo a una armonía de mentalidad y de<br />

comportamiento. Esto exige no poca paciencia, simpatía y tiempo”<br />

(Familiaris consortio 34). Juan Pablo II volverá a aludir a esta categoría<br />

en la Carta Apostólica Mulieris dignitatem al hacer mención a la<br />

‘unidad de dos’ (nn. 6-7), y en la Carta a las familias al referirse al matrimonio<br />

como “una singular comunión de personas” (n. 19).<br />

El tema de la ‘conciencia conyugal’ no es una novedad en el sentido<br />

pleno de la palabra; los filósofos del ‘personalismo’ ya la habían<br />

intuido; P. Laín Entralgo, G. Madinier, M. Buber, y sobre todo M.<br />

Nédoncelle quien se refirió a ella como a un ‘nosotros que se cons-


530 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

truye mediante el amor’ 18 . Estos filósofos dan relieve a la especie de<br />

alquimia que se realiza mediante el justo encuentro del Yo – Tú que<br />

llegan a crear un Nosotros 19 .<br />

Pero si se quiere agotar el camino en búsqueda del origen más remoto<br />

de la conciencia de pareja, se deberá llegar al momento de la<br />

creación de la primera pareja humana. El Génesis en su primer relato<br />

de la creación del hombre (2, 18-24) presenta al primer hombre con<br />

una nostalgia especial del ‘otro’; ha visto a todos los seres creados en<br />

pareja y él se halla solo y no encuentra sentido a su soledad.<br />

El hecho de sentir nostalgia es muy explicable: creado “a imagen y<br />

semejanza de Dios”, una Comunidad de personas, una Comunidad de<br />

amor y de vida, es comprensible que experimente el deseo de sentise<br />

también un ‘nosotros’. Es esto lo que sucede en el momento en que<br />

Yahvé le presenta la compañera que le ha formado de una de sus costillas:<br />

Adán prorumpe en un grito de júbilo exclamando: “ésta sí que<br />

es carne de mi carne, hueso de mis huesos” (Gn. 2,23). El autor sagrado<br />

completa el relato escribiendo: “por eso el hombre deja a su padre<br />

y a su madre, se une a su mujer y se harán los dos una sola carne”.<br />

Los exegetas han intuido que la expresión “se harán los dos una<br />

sola carne” conlleva reminiscencias a una unión interpersonal muy<br />

singular 20 . A partir de estas pistas (bíblica, filosófica y teológica) es<br />

posible elaborar una reflexión en vista a hacer tomar conciencia a la<br />

pareja humana de ser un auténtico ‘nosotros’. La cultura del ‘UNO’ 21<br />

(machismo), y hoy a la inversa, del ‘Feminismo’ ha impedido recuperar<br />

lo que ya estaba en el pensamiento del Creador 22 : hacer del hombre<br />

y de la mujer una ‘persona conyugal’.<br />

18 Cfr. MAURICE NÉDONCELLE, Vers une philosophie de l’amour et de la personne,<br />

Aubier, Paris 1957, 145-155 y 242-248.<br />

19 Cfr. PEDRO LAÍN ENTRALGO, Teoría y realidad del otro, vol. II, Revista de<br />

Occidente, Madrid 1961, 94-113.<br />

20 Cfr. MAURICE GILBERT, “Une seule chair (Gn. 2,24)”, Nouvelle Revue Théologique<br />

100 (1978) 66-89.<br />

21 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., Una nuova morale matrimoniale, Logos, Roma<br />

2007, 23-30.<br />

22 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., “La conciencia del ‘nosotros conyugal’: raíces


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 531<br />

La teología de la pareja del post-concilio ha ido progresivamente<br />

enriqueciendo con elementos nuevos esta categoría de la conciencia<br />

de pareja. Entre otros, vale la pena citar el ‘perfeccionamiento de la<br />

pareja’, el ‘bonum conjugum’, y el principio de ‘totalidad’. Son elementos<br />

que refuerzan la realidad de la ‘conciencia del nosotros conyugal’.<br />

El ‘perfeccionamiento de la pareja’ es un elemento al que la Gaudium<br />

et Spes alude cinco veces (48ª, 48b, 49ª, 50b, 50c); la insistencia<br />

en este elemento hace pensar en el relieve que el concilio le reconoce.<br />

Sin duda que el texto más significativo y explícito es éste: “el marido<br />

y la mujer (...) con la unión íntima de sus personas y actividades<br />

se ayudan y se sostienen mutuamente, adquieren conciencia de su<br />

unidad y la logran cada vez más plenamente” (48ª). Los textos emplean<br />

generalmente verbos en tiempo futuro (‘plenius in diem adipiscuntur’,<br />

‘pervaditur magis ad magis ad propriam suam perfectionem’,<br />

‘perficitur et crescit’, ‘humanam perfectionem impellit’), como<br />

si quisiera reafirmar el processo de crecimiento progresivo en que se<br />

inscribe la vida de pareja.<br />

Las referencias de la Gaudium et Spes hacen expresa relación a la<br />

perfección de la pareja, no a la perfección de él o de ella por separado.<br />

Se trata de perfeccionar la condición de ser ‘una sola carne’, y esto<br />

dentro de un proceso: con razón que el texto bíblico emplee la expresión<br />

en futuro: “se harán los dos una sola carne”. Esta condición<br />

progresiva de crecimiento de la conciencia de ser un ‘nosotros conyugal’<br />

pone de presente que no es algo mágico, mécanico, automático.<br />

Es la misma pareja la que debe cultivar y alimentar este proceso.<br />

Es significativo que la Gaudium et Spes, refiriéndose al ‘bien de los<br />

esposos’ y al ‘bien de la prole’ dé la prioridad al ‘bonum conjugum’,<br />

cambiando de este modo una tradición de varios siglos que había<br />

abonado fuertemente la prole como ‘fin primario del matrimonio’.<br />

Uno de los textos conciliares afirma: “la propia naturaleza del víncu-<br />

en el pasado y perspectivas de futuro”, Laurentianum 42/1-3 (2002) 397-415;<br />

ID., La conciencia de pareja. De la rivalidad a la comunicación interpersonal, San Pablo,<br />

Bogotá 2006.


532 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

lo entre las personas y el bien de la prole requieren que también el<br />

amor mutuo de los esposos se manifieste, progrese y vaya madurando<br />

ordenadamente” (50c). Parece que el concilio quisiera decir que<br />

una buena realización del bien de la pareja contribuye eficazmente al<br />

bien de la prole.<br />

Es posible relacionar el perfeccionamiento de la pareja con el bien<br />

de los esposos; más aún: es posible identificarlos. Perfeccionar la vocación<br />

conyugal mediante el desarrollo de la donación mutua, total y<br />

contínua de los esposos es conquistar, asegurar el bien de la pareja.<br />

Para unos esposos cristianos el bien de la pareja tiene un sentido muy<br />

particular: es realizar aquello que Yahvé tenía en mente al momento<br />

de crearlos como pareja.<br />

La mente del Creador se descubre en el mismo texto bíblico:<br />

cuando el autor sagrado escribe que “el hombre se unirá a su mujer...”,<br />

emplea el verbo hebreo (dabaq) que tuvo una evolución especial<br />

hasta llegar a adquirir un profundo sentido religioso: el israelita<br />

al unirse a su esposa tenía muy claro en su mente que de este modo<br />

estaba haciendo también alianza con Yahvé 23 .<br />

Unirse al ‘aliado’ de Dios (‘Ezer kegnedo’) que el Creador daba a<br />

uno y otra como garantía de la presencia divina junto a ellos es afirmar<br />

que la vida de pareja en cristiano es ‘participar’ del ser de Dios-<br />

Trino, Comunidad de personas, Comunidad de amor. Y no sólo participar,<br />

también ‘significar’, es decir, manifestar esta unión con Dios-<br />

Trino a la comunidad eclesial y humana 24 . ‘Participar’ y ‘significar’ la<br />

unión de Dios con la humanidad, de Cristo con la iglesia, ésta es la realización<br />

auténtica de una pareja cristiana; ésta es la vocación a la que<br />

la pareja cristiana está llamada. La Constitución dogmática Lumen<br />

Gentium lo ha puesto en claro: “los cónyuges cristianos, en virtud del<br />

sacramento del matrimonio, por el cual significan y participan el misterio<br />

de unidad y de amor fecundo entre Cristo y la iglesia...” (11).<br />

23 Cfr. LUIS ALONSO SCHÖKEL, “Dabaq”, en Diccionario bíblico hebreo-español,<br />

Trotta, Madrid 1994, 167.<br />

24 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., Chiamati alla perfezione come coppia umana, Logos,<br />

Roma 2006, 64-68; ID., La famiglia: dalla realtà al mistero, Logos, Roma<br />

2005, 59-83.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 533<br />

El tercer elemento de la conciencia conyugal al que se hizo alusión<br />

anteriormente es la noción de ‘totalidad’. Fue Pío XII quien introdujo<br />

dentro de la teología católica el concepto de ‘totalidad’ 25 . El<br />

Concilio Vaticano II aludió a totalidad refiriéndose a la unidad integral<br />

del hombre: “es la persona del hombre la que hay que salvar (...);<br />

pero el hombre todo entero, cuerpo y alma, corazón y conciencia, inteligencia<br />

y voluntad” (GS 3).<br />

También la unidad de varón y mujer en “una sola carne” constituye<br />

una ‘totalidad’ 26 . Juan Pablo II en la Carta Apostólica Mulieris dignitatem<br />

emplea la expresión de H. Doms 27 – ‘uni-dualidad’ – para referirse<br />

a la unión de varón-mujer que “es signo de la comunión interpersonal”<br />

(n. 7). El hecho de haber sido convocados a formar “una<br />

sola carne” sugiere la totalidad de la persona conyugal, del ‘yo conyugal’,<br />

a que aludía K. Wojtyla.<br />

Pablo VI era consciente de que la totalidad tenía que ver con la vida<br />

de pareja; en la Humanae vitae se refirió a esta totalidad (nn. 3, 7,<br />

14, 17). En el n. 3 se preguntaba:<br />

No se podría admitir que la intención de una fecundidad menos exuberante<br />

pero más racional, transformase la intervención esterilizadora<br />

en un control lícito y prudente de los naciminentos?. No se podría<br />

admitir que la finalidad procreadora pertenezca al conjunto de la vida<br />

conyugal más bien que a cada uno de los actos?<br />

En el n. 14 parece responder a estos interrogantes: “es un error<br />

pensar que un acto conyugal, hecho voluntariamente infecundo, y<br />

por tanto intrínsecamente deshonesto, pueda ser cohonestado por el<br />

conjunto de una vida conyugal fecunda”. Sin embargo, al n. 7 había<br />

afirmado:<br />

25 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., De la norma a la vida. Evolución de los principios<br />

morales, P.S., Madrid 2002, 69-77.<br />

26 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., “La pareja conyugal, una totalidad. Implicaciones<br />

éticas”, Compostellanum 50/1-4 (2005) 291-306.<br />

27 Cfr. HERBERT DOMS, Significato e scopo del matrimonio, Cathedra, Roma19<strong>46</strong>,<br />

58, 78, 90, 92.


534 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

El problema de la natalidad, como cualquiera otro referente a la vida<br />

humana, hay que considerarlo, por encima de las perspectivas parciales<br />

de orden biológico o psicológico, demográfico o sociológico, a la<br />

luz de una visión integral del hombre y de su vocación, no sólo natural<br />

y terrena, sino también sobrenatural y eterna.<br />

López Millán se refiere al principio de totalidad, aplicado a la pareja<br />

humana: “no se puede hablar de una inviolabilidad absoluta de<br />

los procesos naturales cuando es en beneficio del todo personal, cuidando<br />

de no perjudicar la unión física personal de los esposos, enraizada<br />

en el amor y orientada al crecimiento de su comunión en él”. Y<br />

añade: “la totalidad conyugal y familiar se concretiza como criterio o<br />

norma reguladora de los diversos valores que la integran” 28 . Quiere<br />

decir que, en adelante, no es la ley fría y absolutista la que regula la<br />

conducta del ser humano, sino que es la persona humana la que se<br />

convierte en parámetro de guía y orientación de la actividad humana.<br />

Häring afirma algo que puede aplicarse al contexto presente:<br />

En la medida en que la ciencia moderna y una gran parte de la cultura<br />

de nuestros días tienden a dar la primacía a sectores específicos de<br />

la vida, prefiriéndolos a la significación de totalidad, las personas se<br />

incapacitan más aún para ver en todos los acontecimientos la totalidad<br />

de la significación, el cuadro completo 29 .<br />

La Gaudium et Spes plantea la posibilidad de solución en una perspectiva<br />

de integración: “el concilio sabe que los esposos, al ordenar<br />

armoniosamente su vida conyugal, con frecuencia se encuentran impedidos<br />

por algunas circunstancias actuales de la vida, y pueden hallarse<br />

en situaciones en las que el número de hijos, al menos por cierto<br />

tiempo, no puede aumentarse, y el cultivo del amor fiel y la plena<br />

28 VICENTE LÓPEZ MILLÁN, “Anticoncepción: conflictos de deberes, imposibilidad<br />

moral y mal menor”, Miscelánea Comillas 33/62 (1975) 8 y 10.<br />

29 BERNHARD HÄRING, Libertad y fidelidad en Cristo. Teología moral para sacerdotes<br />

y seglares, vol. II, Herder, Barcelona 1982, 382.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 535<br />

intimidad de vida tienen sus dificultades para mantenerse. Cuando la<br />

intimidad conyugal se interrumpe, puede no raras veces correr riesgos<br />

la fidelidad y quedar comprometido el bien de la prole” (51).<br />

Implícitamente, el concilio está planteando una solución dialéctica<br />

con esta sentencia: el orden moral objetivo sí, pero sin perder de<br />

vista el amor conyugal que, en última instancia, acaba por favorecer<br />

y defender el mismo orden objetivo.<br />

La dialéctica moral entre ‘doctrina y vida’ habría que relacionarla<br />

con el principio de la ‘tensión dinámica’ 30 : la persona, y en especial la<br />

pareja humana, vive la experiencia de ‘tensión’ entre una serie de<br />

aporías o antinomias: eterno-temporal, interno-externo, objetivosubjetivo,<br />

ideal-realidad, verdad-amor, ley-excepción, etc. Algunos<br />

teólogos protestantes han visto en el principio del ‘compromiso ético’<br />

31 una vía de solución a la ‘tensión’ o conflicto de deberes morales;<br />

también algunos teólogos católicos admiten la validez de este<br />

principio 32 ; B. Häring afirmó a este propósito:<br />

Necesitamos una estrategia para lograr una cabal reconciliación que<br />

exprese la auténtica justicia y el amor. Forma parte de esta estrategia<br />

una ética de compromiso que rechace cualquier componenda insensata<br />

pero que promueva concesiones dinámicas que faciliten la posibilidad<br />

de dar un paso más hacia una situación menos inhumana y<br />

menos injusta. Se acepta la concesión como un mal menor mientras<br />

continúa la lucha contra el mal 33 .<br />

El Pontificio Consejo para la Familia, con el Vademecum para confesores<br />

sobre algunos temas de moral conyugal (1997) reconoció la com-<br />

30 Cfr. J. SILVIO BOTERO G., “La tensión dinámica: un elemento de encuentro<br />

en el Diálogo Ecuménico”, <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> 42 (2005) 281-296.<br />

31 Cfr. ROBERT GRIMM, L’Institution du mariage. Essai d’éthique fondamentale,<br />

Cerf, París 1984, 257-258; Helmut WEBER, “Il compromesso etico”, en Problemi<br />

e prospettive di Teologia Morale, Queriniana, Brescia 1996, 199-219.<br />

32 Cfr. COENRAAD OUWERKERK. “Gospel Morality and human Compromis”,<br />

Concilium 1 (1965) 5-12.<br />

33 BERNHARD HÄRING, Libertad y fidelidad en Cristo, vol. II, Herder, Barcelona<br />

1983, 282.


536 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

petencia de las parejas para actuar con sabiduría y libertad en la vida<br />

conyugal; al mismo tiempo recomendó ‘la formación de la conciencia’<br />

de los cónyuges:<br />

Compete a los esposos deliberar, en modo ponderado y con espíritu<br />

de fe, acerca de la dimensión de su familia y decidir el modo concreto<br />

de realizarla respetando los criterios morales de la vida conyugal 34 .<br />

Benedicto XVI clausuraba en Roma el Congreso Internacional (10<br />

Mayo <strong>2008</strong>) con que la Universidad de Letrán conmemoraba los 40<br />

años de la promulgación de la Humanae vitae; en esta ocasión el Papa<br />

subrayó varios binomios que hacen referencia a una postura dialéctica<br />

de frente al mensaje de la encíclica de Pablo VI: amor y libertad,<br />

amor y dignidad de la persona, razón y amor 35 . Mons. R. Fisichella,<br />

en la audiencia concedida por Benedicto XVI a los participantes<br />

a este Congreso, afirmó que la Humanae vitae “había logrado<br />

conjugar y salvaguardar en modo coherente la ley natural y la libertad<br />

de los esposos” 36 .<br />

Conclusión<br />

Una semana después de la promulgación de la Humanae vitae (31<br />

Julio 1968) Pablo VI volvía a referirse a su encíclica:<br />

El contenido esencial de la Humanae vitae no es la declaración de una<br />

ley negativa que excluye cualquier acción que intente hacer imposible<br />

la procreación, sino que es la presentación positiva de la moralidad<br />

conyugal en orden a su misión de amor y de fecundidad dentro<br />

34 PONTIFICIO CONSEJO PARA LA FAMILIA, Vademecum para los confesores sobre<br />

algunos temas de moral conyugal (12 Febr. 1997), n. 2,3.<br />

35 Cfr. BENEDICTO XVI, “Un insegnamento vero e lungimirante”, L’Osservatore<br />

Romano 11 Maggio <strong>2008</strong>, 1.<br />

36 RINO FISICHELLA, “Coerenza tra legge naturale e libertà dei coniugi”,<br />

L’Osservatore Romano 11 Maggio <strong>2008</strong>, 8.


“DOCTRINA-VIDA”: UNA POSTURA DIALÉCTICA DE FRENTE A LA HUMANAE VITAE 537<br />

de la visión integral del hombre y de su vocación no solo natural sino<br />

también sobrenatural y eterna 37 .<br />

Este pronunciamiento del Papa pone en claro los dos aspectos de<br />

la dialéctica que se ha intentado subrayar a lo largo de esta reflexión:<br />

amor y fecundidad, vocación natural y sobrenatural del hombre. En<br />

este mismo discurso aludía Pablo VI al binomio ‘verdad-amor’ que<br />

comporta también el sentido dialéctico.<br />

Pocos días después (4 Agosto 1968) tornaba a poner de presente<br />

que la norma que impartía en la encíclica no ignoraba las condiciones<br />

sociológicas y demográficas de nuestro tiempo; la encíclica no es contraria<br />

-afirmaba Pablo VI- a una razonable limitación de la natalidad,<br />

ni a la investigación científica, ni a la cura terapéutica y mucho menos<br />

a una paternidad verdaderamente responsable, como tampoco a la paz<br />

y armonía familiar 38 . Que el Papa acogiera los diversos polos, que en<br />

un principio, parecían contrapuestos, es señal de una genuina postura<br />

dialéctica: fidelidad a la tradición y apertura a la renovación.<br />

A 40 años de distancia, se continúa subrayando la presencia de diversas<br />

aporías latentes en la Humanae vitae que la reflexión de estas<br />

cuatro décadas ha iluminado doctrinalmente y concretizado pastoralmente.<br />

De este modo se verifica la sentencia que Benedicto XVI reportaba<br />

en su mensaje con ocasión de la celebración de los 8 lustros<br />

de la Humanae vitae: “si la razón instruye al amor y éste ilumina la razón,<br />

si la razón se convierte en amor y el amor se deja ubicar dentro<br />

de los límites de la razón, entonces razón y amor pueden hacer algo<br />

grande” 39 ; este ‘algo grande’ que prevé el Papa es el “surgir de la responsabilidad<br />

de frente a la vida que hace fecundo el don que cada uno<br />

de los esposos hace de sí al otro”.<br />

37 PAULO VI, “Le indicazioni del Sto. Padre per meglio comprendere l’enciclica,<br />

(Discorso del 31 <strong>Luglio</strong> 1968)”, Presenza Pastorale 39/1 (1969) 114. La traducción<br />

es mía.<br />

38 Cfr. PAULO VI, “Saluto del 4 Agosto 1968”, Presenza Pastorale 39/1 (1969)<br />

117.<br />

39 BENEDICTO XVI, “Un insegnamento vero e lungimirante”, L’Osservatore<br />

Romano 11 Maggio <strong>2008</strong>, 1. La traducción es mía.


538 J. SILVIO BOTERO GIRALDO<br />

SUMMARIES<br />

This year was the commemoration of the 40th Anniversary of Humanae vitae<br />

(25 July 1968) of Paul VI. This Celebration offers us the opportunity to underline<br />

the ‘dialectical Structure’ of this Encyclical: Doctrine in contrast with concrete<br />

Situations, Fidelity to moral Norms in contrast with Flexibility, Totality in<br />

contrast with Singularity. The Episcopal Conferences of the World have been<br />

Exemplary in this dialectical Comprehension. And also, the married Laity is invited<br />

to assume this Conduct.<br />

* * *<br />

La celebración del 40º aniversario de la promulgación de la Humanae vitae ha<br />

sido la ocasión para poner de presente el marco ‘dialéctico’ en que se inscribe<br />

esta encíclica de Pablo VI. Han sido, en especial, las Conferencias Episcopales<br />

las que han hecho el paso de la doctrina pontificia a la vida de la comunidad<br />

local, conjugando sabiamente el principio ètico con la situación concreta,<br />

la firmeza con la flexibilidad, la visión global con el caso particular. El relieve<br />

dado en el post-concilio al laicado pide que las parejas humanas asuman<br />

esta tarea de actuar siempre en forma dialéctica en su vida conyugal.<br />

* * *<br />

Quest’anno si è commemorato il 40º Anniversario della Humanae vitae (25 <strong>Luglio</strong><br />

1968). Avvenimento che ha fornito l’occasione per scoprire nell’insegnamento<br />

di Paolo VI la cornice ‘dialettica’ per la conciliazione della dottrina con<br />

la vita concreta, della fermezza con la flessibilità, della totalità con la singolarità.<br />

Sono state le Conferenze Episcopali a mettere in rilievo il bisogno di conciliare<br />

queste antinomie. Anche i laici sposati sono chiamati ad assumere questo<br />

atteggiamento dialettico in ordine alla vita coniugale.


Reviews/Recensiones /Recensioni<br />

FRATTICCI WALTER, Il bivio di Parmenide ovvero la gratuità della<br />

verità. Modalità di ricerca filosofica di inizio millennio, Edizioni<br />

Cantagalli, Siena <strong>2008</strong>, 191 p.<br />

There is a revival of interest in Parmenides in the last 30 years,<br />

witness to which is the extensive bibliography at the end of this book<br />

(pp. 181-190). The fact that major philosophers of the last century –<br />

Heidegger, Popper, Gadamer, Lévinas and Jaspers, to name some –<br />

have returned to the study of the philosopher of Elea (modern Velia<br />

in the southeast of Italy) has been a stimulus to this renewal of interest.<br />

Parmenides was always considered important for his formal notion<br />

of being, which was passed on through Aristotle and Neo-Platonism<br />

and had a notable influence on the development of scholastic<br />

metaphysics, with the interesting exception of St. Thomas Aquinas.<br />

Intriguing in this revival of interest is the fact that the corpus of Parmenides<br />

writing is miniscule, not more than a couple of hundred<br />

lines of poetry, and scholars are still divided on the exact transcription<br />

of the poem, not to mention the interpretation of its highly allegorical<br />

form. Parmenides doctrine of being, abstracted from its poetic<br />

form, has been variously regarded as an abstract dialectic, a mystical<br />

experience, a philosophical monotone or even the sedimentary<br />

remains of previous but now unknown philosophers.<br />

A return to Parmenides is, therefore, not easy to interpret. The key<br />

to understanding the book of Fratticci is implied in the sub-title. The<br />

author posits that we are in a period of cultural crisis where the dominance<br />

of the heirs of the Übermensch mentality has left the philosophical<br />

cupboard empty, in the sense that there is no content, formally<br />

speaking, to the project of nihilism. Philosophers may, indeed,<br />

be called upon for a sound-bite on every issue of the day (p. 11) but


540 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

this seeming popularity hides the crisis of philosophical thinking. In<br />

the author’s view, the heart of the crisis is the emergence of a metaphysical<br />

philosophy with a minimal content, which he links to the<br />

dominance of the rational and technical sciences which have little to<br />

do with the project of philosophical thinking, in its pure sense (pp. 14-<br />

16). To resolve the crisis, and this is the main proposal of the book, it<br />

is necessary to return to the origins of philosophical speculation (in<br />

this case, Parmenides) so that we may recover the primacy of the original<br />

myth over the subsequent logic that, trying to explain the myth,<br />

in fact destroyed it. It is a daring project which Fratticci embarks on.<br />

That there are problems with the philosophical content of technical<br />

efficiency or a juridical affirmation of rights will be generally admitted:<br />

Fratticci pushes this analysis further. Parmenides is preoccupied<br />

with one key question – why is there something rather than nothing.<br />

Where Fratticci makes his contribution is in his effort to explain modern<br />

nihilism in terms of the Eleatic fragmentary philosophic poem<br />

and, more specifically, by interpreting the philosophy of Parmenides<br />

in terms of the gratuity of being. The book is, therefore, a contribution<br />

to the theory of philosophy, in the light of Parmenides certainly,<br />

but without going into the technical questions of the text of the original<br />

poem. The author accepts the generally accepted interpretations<br />

on this (p. 17) and does not pursue this aspect of the question.<br />

The book presumes a technical knowledge of philosophy and the<br />

argument is structured in three stages. In a first move (pp. 23-58)<br />

Fratticci argues that there has been a metamorphosis within philosophy’s<br />

self-understanding. Etymologically, Filosofi/a seems rather<br />

straightforward (love of wisdom): Fratticci argues, with conviction,<br />

that sofi/a has been replaced by the narrower concept of ÂpistËmh:<br />

instead of being consumed with the love of wisdom, philosophy has<br />

degenerated into a type of technical knowledge. This may have its<br />

uses, but when the force of the wisdom of the originating mëqoj is replaced<br />

by the conventional phrases of the lãgoj, then there is a<br />

metamorphosis within the history of strict philosophical thinking<br />

(pp. 37-39). I have only given the outlines of a technical argument in<br />

the book, but hopefully indicated enough to show why Fratticci justifies<br />

his choice of Parmenides as the best route to recover the orig-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 541<br />

inal sense of philosophy as ‘love of wisdom’ rather than ‘love of<br />

knowledge’ to which it has been reduced by later historical forces.<br />

The second move of the book’s argument (pp. 59-91) is an examination<br />

of Parmenides original thought. As noted, and accepted by all<br />

commentators, the primary concern of Parmenides is with the idea<br />

of being: why there is something rather than nothing. Being is understood<br />

in terms of the myth that creates it, not of the logic that<br />

tries to explain it (pp. 62-63). The betrayal of Parmenides by his successors,<br />

in Fratticci’s view, is a direct consequence of this: the gift of<br />

existence has been jettisoned for the poorer fare of logically explained<br />

essences. The author praises those who have tried to make<br />

Parmenides better known for our generation, and he particularly appreciates<br />

the work of Emanuele Severino (p. 75 and following). But,<br />

for Fratticci, this textual recovery of Parmenides will not be sufficient<br />

if it does not go a step further: the widespread acceptance of nihilism<br />

as a plausible philosophical position is a nonsense, in the author’s<br />

view, and will only be properly addressed if the roots of nihilism,<br />

which Fratticci locates in the failure of classic metaphysics to ask the<br />

proper questions, are forced to wither away in the light of the truth<br />

of being itself.<br />

In his third move (pp. 93-169) Fratticci gives the core of his argument,<br />

largely through an exegesis of the poem of Parmenides. There<br />

is a choice to be made, indicated by the title of this third chapter: Il<br />

bivio di Parmenide. The fork in the road of philosophic thought imposes<br />

a decision, and one must choose one of the roads, much as in<br />

Robert Frost’s poem on such choices. Fratticci admits that affirming<br />

that there has to be something rather than nothing could appear a<br />

meaningless tautology (p. 99). He faces this possibility with honesty<br />

by a careful reading of the meaning of the original principle of existence<br />

(a/ rcË) which Fratticci interprets as a sense of wonder before<br />

the myth that creates something rather than nothing. The method of<br />

argument here is unusual: Fratticci insists on the possibility of conviction<br />

through fascination with a truth that imposes itself by the<br />

power of its own myth (p. 101 and following). The junction (il bivio)<br />

is reached (p. 123 and following). The Goddess leads Parmenides to<br />

truth, not by a series of logical deductions more typical of post-So-


542 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

cratic thought, but by a revelation of a/ lËqei/a as truth. Once again, it<br />

is the power of the revealed myth of existence that has precedence<br />

over the logical explanations of any essences that may be identified at<br />

a second stage.<br />

The book concludes with a short chapter (pp. 171-179) which is<br />

best read as an apologia by Fratticci for what he has argued in the previous<br />

three chapters. The book is an invitation to go on a journey<br />

with Parmenides as our companion. Given the temper of the age,<br />

dominated by pragmatism and technical utility and ending with the<br />

vacuity of nihilism, Parmenides will not be well understood by our<br />

contemporaries who, in Fratticci’s view, have abandoned the heroic<br />

search for the true and the good for lesser formulae of what is practical<br />

and useful. As the Goddess led Parmenides, by the hand, into<br />

the mystery of being so, Fratticci suggests, a true philosopher will be<br />

humble in allowing the truth be revealed to her rather than he imposing<br />

finite answers on a question that is, by affirmation of its being,<br />

an infinite search. This is the gift promised by Fratticci in his<br />

sub-title: truth as something gratuitously revealed, not the exchange<br />

of human presents which are handed over in the expectation of getting<br />

an even nicer present in return.<br />

There are a number of levels at which moral theologians can benefit<br />

from this book. We are familiar with the injunction of Optatam<br />

totius 16 to develop a moral theology more thoroughly based on Sacred<br />

Scripture: have we forgotten an even more fundamental orientation<br />

of that Conciliar Decree, just two paragraphs previously? “In<br />

the revision of ecclesiastical studies the main object to be kept in mind is a<br />

more effective coordination of philosophy and theology so that they supplement<br />

one another in revealing to the minds of students with ever increasing<br />

clarity the Mystery of Christ...”. (OT 14). A fundamentalist approach to<br />

Scripture has been happily eliminated from moral theology. Can the<br />

same be said of our approach to philosophy? I fear not. Too many<br />

moral theology books are still using philosophy in a proof-text way:<br />

a reference to St. Thomas here, a quote from Kant there. Fratticci’s<br />

book is a model of rigorous philosophical thinking, and it could be<br />

instructive for moral theologians to see how the autonomous science<br />

of philosophy constructs arguments in a painstaking way.


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 543<br />

Given the particular interpretation which the book offers on Parmenides<br />

notion of truth (as a gratuitous gift), Fratticci’s book may be<br />

of particular interest to those moral theologians, like Brian V. Johnstone<br />

and Aristide Gnada, who are exploring seriously the importance<br />

of gift as a foundational category for moral reflection. In doing<br />

this, these theologians rely heavily on other researchers like Jean-<br />

Luc Marion and Claude Bruaire. Fratticci may encourage them to<br />

look at the possibilities of Parmenides, as well.<br />

The premises of this book include the current challenge of nihilism<br />

and utilitarian scientism, which encourage genuine seekers of<br />

the true and the good to return to the sources of philosophy. While<br />

appreciating the meticulous way in which Fratticci does this, his<br />

book will not replace the analogous historical investigations of these<br />

general problems done from a wider canvas by Alisdair MacIntyre,<br />

Charles Taylor and others. Fratticci will stimulate an interest in Parmenides,<br />

and this is to be welcomed. Moral theologians should supplement<br />

this interest with already established investigations into similar<br />

problems, while appreciating the company of Parmenides in the<br />

mode suggested by Fratticci.<br />

RAPHAEL GALLAGHER, C.Ss.R.<br />

JAN PAWEŁ II, Encyklopedia nauczania moralnego (JOHN PAUL II,<br />

Encyclopedia of Moral Teaching), Ed. J. Nagórny, K. Jez·yna,<br />

Polskie Wydawnictwo Encyklopedyczne (Polish Encyclopedic<br />

Distributor) Polwen, Radom 2005, 636 p.<br />

For over a quarter of a century, Christ and the Church spoke to<br />

the world of today through the voice of John Paul II. For many, his<br />

steadfast and clearly proclaimed Christian message continues to stand<br />

as a point of reference. At the turn of the millennium, in the wake of<br />

the crises and the fall of many falsely created moral authorities, the<br />

Pope always spoke as a guardian of values and a defender of truth and<br />

good. On the other hand, in Catholic Church circles and among<br />

some Catholic theologians, there is some disagreement with his


544 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

teaching and a tendency to just simply pass over his teaching in silence.<br />

Attitudes like these are particularly manifested towards the<br />

moral teaching of the Pope. It seems that apart from instances of<br />

completely bad will, one of the reasons for lack of acceptance of his<br />

teaching is knowing it superficially or even a complete ignorance of it.<br />

The moral issue encompasses one of the most essential areas of<br />

the Pope’s teachings. It resounds in many documents, among which<br />

the most important ought to be considered the encyclical “Veritatis<br />

splendor” directly dedicated to Christian morality; the documents in<br />

the field of the Church’s social teaching, especially the encyclical<br />

“Evangelium vitae”; the documents dedicated to marriage and family<br />

and the particular vocation in the Church; as well as the numerous<br />

addresses delivered on various occasions. Without a doubt they<br />

typify his teaching which is not easy to grasp and they need to be read<br />

and interpreted correctly. This brings up the need for a certain kind<br />

of guide through the moral message of John Paul II intends to fulfill<br />

such a function.<br />

The project arose through the initiative of the Polish Encyclopedic<br />

Distributor (Polskie Wydawnictwo Encyklopedyczne) POL-<br />

WEN. It is a series of four encyclopedias a encompassing the person<br />

and teaching of John Paul II. Besides the Encyclopedia of Moral Teaching,<br />

it contains the Encyclopedia of Social Teaching, the Encyclopedia of<br />

Dialogue and Ecumenism and the Encyclopedas of the Pontificate (1978-<br />

2005). Academic supervision of the project was taken up by the Institute<br />

of Moral Theology of the John Paul II Catholic University of<br />

Lublin, which for several years has done research work on the contemporary<br />

moral message of the Church. Editorship was done by Fr.<br />

Professor Janusz Nagórny, the then director of the Society of Polish<br />

Moral Theologians (Stowarzyszenie Polskich Teologów Moralistów)<br />

along with Fr. Professor Krzysztof Jeżyna.<br />

The Encyclopedia contains 165 entries by 34 moral theologians<br />

from the most important theological centers in Poland. They discuss<br />

the important moral issues, that were the subject of the teaching of<br />

John Paul II.<br />

The structure of every entry encompasses four parts. In the first<br />

place, the definition and short description of a given issue are pre-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 545<br />

sented, paying attention to how a given problem was grasped in the<br />

tradition of ethics, primarily Christian, particularly taking into account<br />

the teachings of the Second Vatican Council and the immediate<br />

predecessors of John Paul II in Peter’s Chair. Next, a wide presentation<br />

of issues based on the teaching of John Paul II is done. It<br />

ought to be noted that with some issues, in order to better understand<br />

Papal teaching, it was essential to have a broader reference to<br />

his teaching on philosophy and ethics from the time of his academic-didactic<br />

work at the Catholic University of Lublin. For this, the<br />

most important documents and speeches of John Paul II were referred<br />

to, which dealt with the discussed issue and select literature on<br />

the subject in the Polish language, which can help in a more broader<br />

and deeper reading of the Papal message.<br />

Apart from the cognitive function, it is the intention of the authors<br />

that the encyclopedia fulfills the role of a certain type of guide<br />

through the moral teaching of John Paul II, which encourages one to<br />

a personal reading of the Papal message and does not attempt to replace<br />

it. The nature of the encyclopedia causes that it undertakes<br />

everything according to its aspect, striving at the same time to show<br />

the mutual ties of particular issues. Therefore, the encyclopedia has<br />

some entries which are characteristic of reviews, giving a greater<br />

chance for getting to know the fundamental assumptions upon which<br />

are based decisions that are more detailed and concrete.<br />

The Encyclopedia is directed to a broad group of recipients, not<br />

only for priests, students of theology and catechists, but to all who<br />

desire to better understand the contemporary moral message of the<br />

Church and make it the basis of forming one’s life and for the moral<br />

upbringing of younger generations. One ought to express the conviction<br />

and hope that the person and teaching of John Paul II will for<br />

a long time illumine the search for the truth and the true goal of life<br />

by people of good will.<br />

JERZY GOCKO, SDB


5<strong>46</strong> REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

MELINA LIVIO – NORIEGA JOSÉ – PÉREZ-SOBA JUAN JOSÉ, Camminare<br />

nella Luce dell’Amore. I fondamenti della morale cristiana,<br />

Edizioni Cantagalli, Siena <strong>2008</strong>, 678 p.<br />

Il libro pur essere considerato uno strumento di approfondimento<br />

in materia di teologia morale, esso raccoglie studi sui argomenti<br />

decisivi per il rinnovamento della teologia morale, quali: la prospettiva<br />

teologica dell’agire e la dimora ecclesiale della vita morale cristiana.<br />

Queste sono anche le questioni a cui intende dare risposta<br />

questo manuale, pensato per offrire, un’introduzione organica e sistematica<br />

alla materia, sia agli studenti che agli studiosi di Teologia<br />

morale.<br />

Questo libro rappresenta il tentativo di ripresentare scientificamente<br />

ed esporre sistematicamente la Rivelazione, negli aspetti riguardanti<br />

la vita morale dell’uomo preso nella sua storicità, chiamato<br />

da Dio a vivere come figlio nel Figlio in comunione di vita con<br />

Lui. L’impostazione cristologica della morale cristiana invita a rileggere<br />

i diversi parametri dell’agire morale dell’uomo partendo dal suo<br />

fondamento cristologico.<br />

Dopo l’Introduzione Generale segue la parte Preliminare, ed i<br />

suoi tre capitoli illustrano alcuni aspetti introduttivi della teologia<br />

morale. Il capitolo primo (L’annuncio del regno, l’appello alla conversione<br />

e la rilevanza salvifica dell’agire umano, pp. 17-24) parla<br />

dell’orizzonte ermeneutico dell’agire umano che ha luogo all’interno<br />

della storia della salvezza, nella quale Dio è il protagonista principale.<br />

Già all’inizio viene offerta la prospettiva teologico-cristiana sull’agire<br />

umano dentro della chiamata alla conversione con cui Gesù annuncia<br />

il Regno. Parallelamente viene sottolineata la rilevanza salvifica<br />

dell’agire umano con lo scopo di illuminare il legame tra fede e<br />

morale che trova il suo significato nella costruzione di una vita buona.<br />

All’agire umano è affidata la responsabilità di compiere l’azione<br />

salvifica in Gesù Cristo. Ogni azione ha una dimensione eterna, attraverso<br />

di essa l’uomo può salvarsi o perdersi perché essa è rivolta a<br />

Cristo che è Dio fatto uomo. Egli si identifica con ogni uomo, soprattutto<br />

coi più piccoli, bisognosi e abbandonati (Mt 25, 40). L’azione<br />

di Dio nel mondo, che culmina nella missione di Gesù Cristo dà


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 547<br />

il senso all’azione umana nel suo contesto storico. Il capitolo secondo<br />

(La tradizione come orizzonte ermeneutica dell’agire cristiano,<br />

pp. 25-80) mette in rilievo l’importanza della comprensione ecclesiale<br />

della prospettiva morale. Si sottolinea la relazione interna tra morale<br />

e tradizione mettendo in rilievo proprio la tradizione cristiana e<br />

il suo valore normativo. La relazione esistente tra le diverse formulazioni<br />

morali e la situazione culturale nelle vicende storiche dimostra<br />

che la scienza morale è aperta e in dialogo con un referente magisteriale.<br />

E infine il terzo capitolo della parte Preliminare (Fonti e metodo<br />

della teologia morale, pp. 81-97) tenta di proporre una definizione<br />

della teologia morale e coglierne le fonti e il metodo.<br />

La parte centrale del libro è suddivisa in tre parti secondo l’itinerario<br />

della divina comunione trinitaria. Nella prima parte (Per la gloria<br />

del Padre. La vocazione originaria all’amore) gli autori valutano<br />

l’importanza della ricerca della comprensione della vocazione originaria,<br />

che scaturisce dall’amore del Padre verso l’uomo. L’esperienza<br />

morale comincia dalla ricerca da parte dell’uomo del senso del suo<br />

agire. Lo fa il giovane ricco (Primo capitolo, pp. 101-134) cercando<br />

il senso della vita. Egli aspira a dare una risposta definitiva ed ideale<br />

su come condurre la vita buona (Secondo capitolo, pp. 135-179).<br />

Guardando alla struttura dell’agire, l’amore si rivela come il principio<br />

di ogni azione. Ma sulla via verso la risposta definitiva all’amore<br />

divino si trova il peccato; incapacità di realizzare la vita nell’agire e<br />

dramma della libertà umana. L’uomo essendo un essere creato con<br />

una libertà finita è capace di peccare. La realtà del peccato ci porta<br />

all’esperienza della colpa illuminata della Rivelazione. Soltanto la misericordia<br />

divina dà la speranza di una vera liberazione attraverso la<br />

croce. Un grande aiuto al discernimento della giusta via nell’agire è<br />

la legge naturale che ci ricorda la nostra chiamata originaria. Il tema<br />

della legge naturale viene analizzato in chiave teologica (storia della<br />

salvezza) e personalistica. Il capitolo terzo (pp. 181-211) parla del<br />

peccato come il dramma della libertà umana. E il capitolo quarto (pp.<br />

213-235) si occupa della legge naturale come memoria della chiamata<br />

all’amore.<br />

La seconda parte del libro (Figli nel Figlio. Il costituirsi del soggetto<br />

morale cristiano. “Se vuoi essere perfetto... seguimi”) è suddivisa in


548 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

sei capitoli. In essi si analizza la costituzione del soggetto cristiano in<br />

Cristo e il dinamismo del suo agire morale. La morale si basa sull’incontro<br />

personale con Cristo in cui si scopre la rivelazione della propria<br />

vocazione all’amore, il significato di una chiamata personale a<br />

cui bisogna rispondere con libera responsabilità. Di fronte alla chiamata<br />

di Dio la risposta dell’uomo presuppone una pienezza di vita insospettabile.<br />

Alla chiamata divina l’uomo risponde con la conversione<br />

a Cristo (Capitolo primo, pp. 239-265). Il soggetto morale cristiano<br />

si costituisce nel suo incontro con Cristo: nell’azione temporale<br />

che rivela all’uomo la complessità dei suoi dinamismi e nel fatto<br />

della singolare l’amicizia con Cristo, che dà unità a tutti questi dinamismi<br />

(Capitolo secondo, pp. 267-306). La libertà umana è segnata<br />

dal dono dell’amore che la risveglia e conduce alla pienezza di una<br />

comunione. Così possiamo comprendere il ruolo e la necessità delle<br />

virtù morali (Capitolo terzo, pp. 307-378). La Chiesa è la dimora e il<br />

cammino dell’agire morale del cristiano, come educazione alle virtù.<br />

(Capitolo quarto, pp. 379-400). Il cristiano come “figlio nel Figlio” è<br />

chiamato a vivere la legge in riferimento alla verità sul bene che la<br />

fonda, e all’amore, che è il fine cui sta in servizio. La legge mantiene<br />

il suo valore obbligatorio, ma è collocata in una nuova economia salvifica,<br />

che permette di viverla come un cammino di libertà e di verità<br />

nell’amore (Capitolo quinto, pp. 401-434). Nella realtà della vita<br />

cristiana hanno luogo atti morali cattivi chiamati peccati. La coscienza<br />

di questi peccati viene dalla rivelazione divina, nella quale Dio mostra<br />

la gravità del peccato nella misura in cui rivela la sua esistenza e<br />

il suo piano all’uomo. Il centro di questa rivelazione si trova nell’Alleanza<br />

e nel Mistero Pasquale di Cristo (Capitolo sesto, pp. 435-477).<br />

Nella terza parte del libro (Guidati dallo Spirito. Il realizzarsi della<br />

comunione nell’agire. “Se rimarrete nel mio amore, porterete molto<br />

frutto”) si osserva come l’uomo realizza se stesso per mezzo delle sue<br />

azioni, in quella relazione unica, sinergica e misteriosa che esiste nella<br />

Chiesa tra l’uomo e Dio. Il protagonista dell’azione interna di Dio<br />

nell’uomo, che lo configura a Cristo è lo Spirito Santo. La comprensione<br />

e ricezione del dono di sé che Dio fa nello Spirito Santo comporta<br />

tre mediazioni in relazione tra loro: Cristo, la Chiesa e i sacramenti<br />

che alla luce dell’azione di Cristo, per opera dello Spirito San-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 549<br />

to hanno un particolare valore morale (Capitolo primo, pp. 481-517).<br />

L’uomo introdotto nella ricezione del dono divino si trova di fronte<br />

al mistero dell’azione personale che influirà nel suo destino. Ogni sua<br />

azione comprende una somma di dinamismi nei quali la persona si<br />

esprime e si realizza in quanto tale. Gli autori sottolineano il vincolo<br />

che esiste tra la persona e la sua azione. Questo è uno degli aspetti<br />

più importanti del rinnovamento degli studi morali che pone l’accento<br />

su un metodo specifico di conoscenza dell’azione (Capitolo secondo,<br />

pp. 519-560). L’agire cristiano non è solo frutto dell’iniziativa<br />

dell’uomo, ma sulla sua origine sta una dimensione impulsiva dell’azione<br />

dello Spirito. I suoi doni rendono possibile una sinergia dell’azione<br />

divina con l’azione umana (Capitolo terzo, pp. 561-586). La<br />

presenza dello Spirito Santo nell’uomo corrisponde anche una dimensione<br />

normativa, poiché ordina e regola il movimento della creatura<br />

razionale affinché raggiunga Dio. Questa categoria normativa è<br />

chiamata “legge nuova” che è la pienezza della legge antica. Grazie a<br />

questa legge nuova la persona può essere liberata dalla schiavitù della<br />

legge mosaica e inaugurare una vita nuova in Cristo (Capitolo<br />

quarto, pp. 587-596). Il tema della legge nuova scritta nel cuore, ci<br />

conduce al tema della coscienza definita come il giudizio riflesso della<br />

ragione pratica sulla moralità di un atto concreto. La formazione<br />

della coscienza si basa sull’apertura alla verità e fa riferimento alla<br />

partecipazione alla coscienza filiale di Gesù, in quella perfetta obbedienza<br />

alla volontà del Padre, che lo Spirito assicura. Essa ha la sua<br />

dimora nella Chiesa, comunione umano-divina (Capitolo quinto, pp.<br />

597-628). Nel capitolo sesto (pp. 629-640) e conclusivo, la vita morale<br />

è vista come vocazione in Cristo, sia nel suo aspetto fondamentale,<br />

sia nella distinzione dei diversi stati di Vita. Inoltre è esaminata<br />

la missione del cristiano nel mondo vista tanto nel suo aspetto di efficacia<br />

quanto in quello di testimonianza al Padre.<br />

La Conclusione Generale dell’opera sottolinea due aspetti specifici<br />

dell’agire cristiano: la testimonianza e il martirio nell’orizzonte<br />

dell’evangelizzazione.<br />

Il volume è stato scritto in una forma scorrevole e ci offre un’esposizione<br />

chiara dei fondamenti della morale cristiana visti nella<br />

prospettiva trinitaria. Essa è un’opera preziosa in quanto espone i


550 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

principi dell’agire morale del cristiano. Mette in risalto le fonti da cui<br />

si alimenta il suo dinamismo di crescita, fino a raggiungere la perfezione<br />

del dono di sé. E alla fine pone la domanda, quale è il suo significato<br />

nel tempo della Chiesa, per la vita del mondo. Gli autori di<br />

questa opera hanno cercato di seguire le linee di rinnovamento indicate<br />

dall’enciclica Veritatis splendor, in particolare quelle che urgono a<br />

ritrovare i nessi costitutivi tra libertà e verità e tra fede e morale. Seguendo<br />

tali indicazioni hanno superato il legalismo sul piano filosofico<br />

e l’estrinsecismo su quello teologico che caratterizzavano la tradizione<br />

manualistica postridentina. Gli autori hanno posto in risalto<br />

la prospettiva fondamentale dell’amore trattando il fondamento della<br />

morale cristiana. In primo luogo hanno posto il soggetto cristiano<br />

che agisce sottolineando nello stesso tempo tanto l’originalità dell’azione<br />

umana, quanto il dinamismo umano-divino implicito nel suo<br />

svolgersi. La caratteristica della morale cristiana è seguire Cristo. Gli<br />

autori del libro fanno riferimento anche all’orizzonte dell’amore, secondo<br />

l’Enciclica Deus caritas est. Il contenuto dell’incontro con Cristo<br />

è proprio un’esperienza di amore che spiega più radicalmente il<br />

dinamismo dell’agire e apre l’azione all’orizzonte ulteriore della comunione<br />

con Dio.<br />

L’opera strutturata in questa maniera guida il lettore alla riscoperta<br />

della sinergia di fondo tra l’azione divina e quella umana. Il cardinale<br />

Joseph Ratzinger ha scritto che il filo conduttore di tutta la morale<br />

cristiana è “la collaborazione dell’agire umano e dell’agire divino<br />

nella realizzazione piena dell’uomo” (J. RATZINGER, “Genesi e<br />

contenuti essenziali dell’enciclica Veritatis splendor”, in La vita della<br />

fede. Saggi sull’etica cristiana nell’epoca presente, Edizioni Ares, Milano<br />

1996, 96).<br />

È un libro che lascia soddisfatti dal punto di vista teologico di aver<br />

dedicato molte pagine alla teologia biblica. Il dato scritturistico non<br />

è trattato come materiale grezzo ma plasmato e interpretato all’interno<br />

di un orizzonte cristologico sul cui sfondo risaltano le linee essenziali<br />

della rilevanza morale della Rivelazione.<br />

GABRIEL WITASZEK, C.Ss.R.


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 551<br />

SCHALLENBERG PETER, Jenseits des Paradieses. Ethische Anstöße<br />

für den Alltag, Aschendorff Verlag, Münster 2007, 144 p.<br />

„Und dann werden wir trachten, unser Leben weiterhin zu ertragen,<br />

ein jeder nach seiner Weise. Denn dies wird ja von uns gefordert.”<br />

Die letzten Worte in Werner Bergengruens Roman von 1935<br />

„Der Großtyrann und das Gericht”, dessen Thema, die „Versuchungen<br />

der Mächtigen und der Leichtverführbarkeit der Unmächtigen<br />

und Bedrohten”, zeitlos und je neu aktuell ist, gehören dem Großtyrannen<br />

selbst.<br />

Das Gericht, das er, der Mächtige von Cassano, eigentlich über<br />

die Bewohner seiner Stadt hatte sprechen wollen, wird zuletzt aus<br />

dem Mund des Paters Don Luca über ihn selbst gehalten. Der Mord<br />

nämlich, dessen Aufklärung er innerhalb von drei Tagen befohlen<br />

hatte und infolge dessen fast alle Menschen zu Lüge, Verbrechen<br />

und Verrat verleitet wurden, war von ihm selbst begangen worden.<br />

Er wollte so das Verhalten und die Herzen seiner Untergebenen prüfen<br />

– jetzt, am Ende, aber muss er erkennen, nicht sie an ihm, sondern<br />

er an ihnen war schuldig geworden.<br />

Gleichwohl unser Leben meist auf etwas weniger verschlungen<br />

Pfaden abläuft, als es in der Stadt Cassano der Fall war, ist doch überdeutlich:<br />

„Die Schuld war uns gemeinsam, und so bedürfen wir einer<br />

gleichen Vergebung.” Was sich hier Romanfiguren rückblickend<br />

gegenseitig eingestehen müssen, spiegelt eine existentielle Erfahrung<br />

der Menschen als solche wider. Die Wirklichkeit, in die sie gestellt<br />

sind, trägt das Prädikat „Jenseits der Paradieses”. So lautet auch der<br />

von Peter Schallenberg, Professor für Moraltheologie und Christliche<br />

Sozialwissenschaft an der Theologischen Fakultät Fulda, gewählte<br />

Titel seines 2007 beim Verlag Aschendorff in Münster erschienenen<br />

Buches. Sein Untertitel („Ethische Anstöße für den Alltag”)<br />

zeigt ein Zweifaches auf:<br />

Einerseits geht es geht dem Autor auf 144 Seiten darum, ausgehend<br />

vom christlichen Menschenbild, in dem weiten Feld der Ethik Orientierungspunke<br />

zu setzen und Leitlinien aufzuzeigen, die Anstöße für<br />

ein gelingendes und geglücktes Leben sein wollen. Gleichzeitig können<br />

sie im Hinblick auf aktuelle gesellschaftliche Fragen als Grenz-


552 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

steine verstanden werden: Wie weit kann und darf der Mensch gehen,<br />

ohne Personalität und Würde zu verletzen? – die der anderen Menschen<br />

sowie auch die eigene! Im Blick sind hier etwa Fragen der Bioethik<br />

am Lebensanfang und Lebensende. Was ist ferner zu vermeiden<br />

oder geradezu not-wendig, soll der Anspruch und die Verantwortung<br />

des Christentums innerhalb und für die Gesellschaft nicht aufweichen?<br />

Peter Schallenberg markiert hier einige unhintergehbare Referenzpunkte.<br />

Als vor- und nachgängige Reflexion über (moralisches)<br />

Handeln fordert Ethik den Bezug eigener Positionen, die das Verhalten<br />

dann nachhaltig bestimmen. Nach der Lektüre, die am liebsten in<br />

einem Zug geschieht, kommt der Leser auch gar nicht umhin, die<br />

vom Autor in gewohnt heiterer Weise vorgetragenen Gedanken auf<br />

ihre Bedeutung für den Alltag hin zu durchdenken und umzusetzen:<br />

die ethische Reflexion mündet in eine Spiritualität des Alltags.<br />

Andererseits könnte der Untertitel eigentlich auch entfallen. Keineswegs<br />

ist er überflüssig, aber (idealerweise) selbstverständlich – bei<br />

Licht besehen: welche Bedeutung sollte eine Ethik haben, die nicht<br />

tauglich für den Alltag ist? Oder welchen Alltag gibt es, der uns nicht<br />

zugleich ethisch-moralisches Handeln abverlangt (auch wenn wir<br />

nicht wie die Bewohner von Cassano immer nur absichtlich auf die<br />

Probe gestellt werden)?<br />

Die Notwendigkeit von Ethik ist Folge der Vertreibung des Menschen<br />

aus dem Paradies. Dort war die Sorge um das richtige Verhalten<br />

gleichsam nicht an der Tagesordnung. Der Mensch lebte im Wissen<br />

um das Gute und im Einklang mit dem Guten, das personal gedacht<br />

wird und Gott selbst ist. Im Horizont diesen guten Anfangs<br />

macht Peter Schallenberg eindrucksvoll deutlich, wie es dem Menschen<br />

– bei aller Schwäche – gelingen und verständlicher werden<br />

kann, dass „der Mensch nicht am Menschen verzweifeln muß.... Was<br />

wäre, wenn ein ursprünglich guter Anfang und parallel dazu auch ein<br />

endzeitlich gutes und vollkommenes Ende... gedacht würde?... Und<br />

was, wenn solcher Anfang und solche Vollendung personal gedacht<br />

würden, also nicht einfach als das Beste, sondern als der Beste, mithin<br />

als Gott? Was würde sich, wiederum gefragt und jetzt zugespitzt,<br />

ändern, wenn Gott gedacht würde?” Garant dafür, nicht an sich und<br />

an den Mitmenschen verzweifeln zu müssen, ist ebendieser Gott, der


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 553<br />

sich als Gipfelpunkt aller Möglichkeiten in Jesus Christus offenbart<br />

und so den Menschen als Geschöpft vollendet und aus der Verzweiflung<br />

befreit hat, die ohne Hoffnung ist. Eine Lebensweise, die im<br />

Sinne Gottes gelungenes Leben ermöglicht sowie eine adäquate, in<br />

den Alltag hineinreichende Ethik, ist dann gleichsam Ausdruck und<br />

Folge eines vorgreifenden Bekenntnisses: Ernst machen damit, dass<br />

Gott ist! So heißt es bereits im Vorwort.<br />

Spätestens seit Thomas von Aquin und dessen Prolog zum zweiten<br />

Teil der theologischen Summe ist klar, dass das Gottes- und Menschenbild<br />

untrennbar miteinander verbunden sind. Die immer drängenden<br />

Fragen „Was ist gut? Was ist das Ziel meines Lebens?”<br />

drücken viel von der menschlichen Sehnsucht aus, anzukommen;<br />

dort sein zu können, wo ich einfach bin und wo es gut ist, dass ich bin.<br />

Entsprechend des thomistischen exitus-reditus Schemas – es steht<br />

auch im Hintergrund des Buches – kommt der Mensch dann zu sich<br />

selbst, wenn er zu Gott gelangt ist, wenn er ihn als Erfüllung aller<br />

Sehnsucht ergriffen hat.<br />

Wie gesagt, wer Gott und wer der Mensch sei, ist ganz eng miteinander<br />

verbunden. Dennoch greift Gott dem Menschen dabei<br />

nicht vor. Er lässt ihn als Eigenständigen unbedingt gelten, auf dass<br />

er aus freien Stücken zu ihm gelange, wie es Romano Guardini einmal<br />

im Hinblick auf die Vollkommenheit ausgedrückt hat: „Ich will<br />

zu Gott, aber auf meinem Weg und auf meinen Füßen. Dann erst beginnt<br />

das eigentliche Ringen.” Gott lässt uns unsere Füße und trägt,<br />

wenn sie im Ringen schwach geworden sind.<br />

In seiner Diktion vermittelt diese gute Nachricht auch der Autor,<br />

wenn er den Leser mit auf eine Reise durch Wesen und Bedeutung<br />

des christlichen Menschenbildes nimmt. Angesichts des persönlichen<br />

An-Spruchs ist sie freilich nicht immer nur bequem. Anhand dieses<br />

„Fahrplans” wird auch deutlich, dass viele Aspekte immer wieder zu<br />

hörender Religionskritik am Christentum eigentlich fehl gehen. Und<br />

das ist hilfreich für so manche leidvolle aber wichtige Diskussion.<br />

Die Kritik stellt nämlich zumeist auf das Christentums als Moralinstanz,<br />

als Ethik ab. Diese ist es aber erst in einem zweiten Schritt. Es<br />

fragt nicht zuerst, „Was soll ich tun?”, sondern „Wer will ich sein?”<br />

(Wer bin ich?). An erster Stelle ist es Ontologie, Seinslehre!


554 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

Die Ausführungen sind an drei einschneidenden Fragen oder<br />

Mahnungen aus dem Alten Testament orientiert, die den Text zugleich<br />

sinnvoll gliedern.<br />

„Adam, wo bist du?” (Gen 3, 9): die nach dem Sündenfall von Gott<br />

an den Menschen gerichtete Frage verweist auf fundamentalmoralische<br />

Grundlegungen, dieser erste Teil ist mit „Ethik des Individuums”<br />

überschrieben. Peter Schallenberg greift hier die schon angeklungene<br />

grundlegendste aller Fragen des Menschen auf: „Wie kann<br />

ich leben?” Mehr noch: „Wie kann ich geglückt und nicht nur überlebend<br />

leben?” Eine Antwort vermag der Mensch, so die Überzeugung,<br />

nur zu finden, wenn er das wirkliche Gute von den scheinbaren<br />

Gütern zu unterscheiden vermag. Völlig umfassen könne alle<br />

Möglichkeiten des Seins jedoch nur Gott selbst, der Schöpfer aller<br />

Dinge. Für den Menschen bedeute dies, dass er bei seinem Unternehmen<br />

auf die Verbindung zu Gott, dem Sein an sich, nicht verzichten<br />

dürfe, diese vielmehr noch fördern solle (wofür das Gebet<br />

stehe). Der Mensch könne als Wesen der Freiheit, das bedeutet für<br />

Schallenberg, ausgestattet mit einer doppelten Freiheit, „positiv”<br />

und existentiell zum Guten hin und „negativ” als vergleichende und<br />

auswählende Freiheit, ganz auf Gott hin leben. Auf der anderen Seite<br />

sei es ihm jedoch auch möglich, sich von Gott zu trennen. Darin<br />

finde sich die Wurzel aller Sünde: Schuld und Sünde als Trennung<br />

vom Schöpfer, als „Abwendung von Gott und Hinwendung zum Geschaffenen”,<br />

wie es Thomas von Aquin formuliert habe. In diesem<br />

Sinn durchschneidet die Sünde quasi immer mehr die das Leben garantierende<br />

„Nabelschnurverbindung” zu Gott. Sie trennt den Menschen<br />

wesentlich von seiner geistigen Nahrung, von seinem Sinn.<br />

Die Folge ist der Tod der Seele: Der Schwerpunkt, so weiter, sei gelegt<br />

auf „eine innere Entscheidung des Menschen für das Gott-Widrige<br />

und für eine äußere Tat.” Dies stelle sich als „schlummernde(n)<br />

und alles mit dem erstickenden Ölfilm des Desinteresses überziehende(n)<br />

Lieblosigkeit” dem Anderen gegenüber dar.<br />

Ut anima sanetur – die von Augustinus so bezeichnete „Mission”<br />

Christi und des Christentums wird sodann mit Sören Kierkegaard<br />

eindrucksvoll aufgegriffen, denn: „Alles Christliche muß in der Darstellung<br />

Ähnlichkeit haben mit dem Vortrag eines Arztes am Kran-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 555<br />

kenbett!” Nun bringt der Arzt bringt nicht immer nur gute Neuigkeiten,<br />

er ist aber stets bemüht um die Gesundung des Patienten – an<br />

Leib und Seele! – und ist getragen von einer positiven Grundhaltung<br />

ihm gegenüber. Orientiert an dem Begriffspaar Gnade und Freiheit<br />

vermag es Peter Schallenberg daraufhin klug zwischen evangelischer<br />

und katholischer Ethik zu vermitteln und greift aus auf einen „ökumenischen<br />

Konsens”, in dessen Mitte menschliche Personalität, die<br />

Person als Ebenbild Gottes, steht.<br />

Von dem antiken Konzept als Habitus, als zum geglückten Leben<br />

befähigende Haltung, ausgehend, werden dann die verschiedenen<br />

Formen der Tugenden (Kardinaltugenden und göttliche Tugenden)<br />

benannt und erklärt. Ebenso präzise gelingt die Auseinandersetzung<br />

mit Fragen der Moderne, etwa auf dem bio-technischen Problemfeld.<br />

Hier mangele es im Hinblick auf das zuvor Dargelegte besonders<br />

der Beachtung ontologischer Kategorien – was will das das<br />

Naturrecht und wie ist es (neu) zu verstehen und zu vermitteln? –,<br />

und einem rechten Verständnis von Vernunft. Dem in Moderne und<br />

Postmoderne immer größer werdenden Verlust an Letztorientierung<br />

und Sinn für Wahrheit müsse (wieder) der Sinn für die Bedeutung<br />

von Heil und Heiligkeit des Menschen Lebens gegenübergestellt<br />

werden: Wo bricht Gott in die Unsicherheiten und den Dschungel<br />

selbstgemachter Unklarheiten ein? Wo lassen wir ihn einbrechen?<br />

Ihre sozial-gesellschaftlich relevante Realisierung finden die fundamentalmoralischen<br />

Überlegungen innerhalb des anthropologischen<br />

Konzepts im zweiten Teil des Buches.<br />

Es entfaltet sich die mit der Frage „Kain, wo ist dein Bruder Abel”<br />

(Gen 4, 9) überschriebene „Ethik des Sozialen”. Hier wird der geschärfte<br />

Blick wesentlich auf Fragen der Christlichen Soziallehre gerichtet,<br />

denn spätestens mit dieser Gottes-Frage nach dem Brudermord<br />

sei die Sorge um den Nächsten dem Menschen als Aufgabe gegeben.<br />

Von dem Kern zwischenmenschlicher Solidarität ausgehend –<br />

Gerechtigkeit und Sorge für den Nächsten findet ihren Höhenpunkt<br />

und bündelt sich brennglasartig in der Familie, die idealerweise<br />

zweckfreie Liebe verbürgt –, gewinne christliche Sozialethik eine<br />

umfassende Bedeutung: „Wie muß das Fundament einer Gesellschaft<br />

gebaut sein, die als Kirche Gemeinschaft sein will?... Wie muß


556 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

eine Gesellschaft von Menschen organisiert und aufgebaut werden,<br />

die wenigstens die Idee eines Besten als dauerhaften Zustand... nicht<br />

ausschließt und dennoch lebt unter der Bedingung „als gäbe es Gott<br />

nicht?” Den Herausforderungen und Aufgaben des Christlichen<br />

innerhalb eines säkularen Staates und für ihn widmet sich der Autor<br />

– augustinisch vermittelt – mit dem Blick auf die Verhältnisse Kirche<br />

und Staat, Politik und Kirche oder Mensch und Welt. Dabei finden<br />

auch solche Fragen Beachtung, die möglicherweise näher liegen, als<br />

das große, oft unverständliche, Staatsgebilde. Peter Schallenberg<br />

wendet sich auch zunächst scheinbar kleinen Dingen zu und fragt,<br />

wie es dem Menschen damit geht und gehen kann. Wie etwa vermag<br />

er es, seine Arbeit nicht nur als Broterwerb, sondern auch als Berufung<br />

zu verstehen? Nach welchem Maßstab entscheide und handle<br />

ich, auch im Kleinen; anders: dürfte und sollte ich nicht so leben, als<br />

hätte ich möglichst viele Talente erhalten?<br />

„Bedenke, was ich an dir getan habe!” Die aus 1Kön 19 genommene<br />

Mahnung überschreibt zugleich den letzten Teil: „Spiritualität im<br />

Alltag”. Sie wird vom Autor aber weniger als eine drohende und lähmende<br />

Mahnung verstanden, sondern als Evangelium, als eine frohe<br />

Botschaft, vorgestellt. Peter Schallenberg vermag es, dem Leser<br />

überzeugend zu vermitteln, dass das Christentum inklusive auch erhobener<br />

Forderungen keine Wege verbaut, sondern neue Möglichkeiten<br />

eröffnet, wie es einmal Klaus Demmer sagte. Die uns von Gott<br />

angebotenen Möglichkeiten sind aber groß, ja immer die größeren;<br />

das wird am Ende sehr deutlich. Kinder erlernen von ihren Eltern<br />

mit dem, was sie erhalten haben, verantwortungsvoll und dankbar<br />

umzugehen. Als Kinder Gottes haben wir das Leben als ein Gewinn<br />

und Geschenk erhalten. Freilich, so die richtige Feststellung, erscheine<br />

es oft als ein Paradoxon – das das Christentum aber biete<br />

Antwort. Der christliche Glaube sei „vom Wesen her Erklärung dieses<br />

Widerspruchs, den jeder Mensch im eigenen Leben erlebt und<br />

doch keiner letztgültig mit den Kategorien dieser Welt erklären<br />

kann: Wer sein Leben bewahren will, verliert es; wer es hingibt, wird<br />

es gewinnen.” Wie aber lautet für den Autor, der dabei für den Christen<br />

als solchen (und eigentlich für jeden Menschen) spricht, die Antwort<br />

auf die Frage nach dem Letztgültigen des Lebens? „Die Antwort


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 557<br />

ist immer und überall: Liebe! Liebe aber schärfer zugespitzt als hingebende<br />

und zunächst von sich selbst weggebende Liebe.” Im Angesicht<br />

der Liebe könne deshalb ein Verzicht, wie ihn das Leben oft fordere,<br />

als sinn-voll verstanden werden. Mit Romano Guardini gesprochen<br />

soll hier m.A.n. ausgedrückt werden, dass es um die Annahme<br />

meiner selbst geht. Den Sinn meiner Existenz hat Gott gegeben,<br />

Dingen, mit denen der Mensch von der Welt her konfrontiert wird,<br />

gibt jedoch der Mensch Sinn. Sinn werde, so Peter Schallenberg,<br />

eben nicht gefunden, sondern erfunden.<br />

Einen großen Schatz an Möglichkeiten zur Einübung in das<br />

Letztgültige des Lebens, die Liebe, bieten die dichten hinteren Seiten<br />

des Buches. Hier erhält man ebenso Anregungen zur Achtsamkeit<br />

und Freundschaft mit Gott und dem Nächsten, wie zur Begleitung<br />

anderer in Not und Trauer und (auch für sich selbst) die Zusage<br />

des unbedingten „Ja” Gottes zu jedem Menschen angesichts etwa<br />

von Leid und Sterben. Oder aber dazu – auch das ist Einübung in<br />

Liebe –, einen Menschen von der Schönheit einer Stadt und des Lebens<br />

begeistern. So sei es vielleicht angesichts der gedanklichen<br />

Romreise gesagt, die am Ende des Buches begonnen wird und so für<br />

den Leser zum (neuen) Anfang eigener „Fahrt” werden kann. By the<br />

way: sinn-voll ist die Buchlektüre unbedingt – nicht nur bei der<br />

nächsten Fahrt in die Ewige Stadt.<br />

MANUEL WLUKA<br />

VENDEMIATI ALDO, Universalismo e relativismo nell’etica contemporanea,<br />

Marietti, Genova-Milano 2007, 200 p.<br />

Aldo Vendemiati è docente di Filosofia morale e dal 2007 è Decano<br />

della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana<br />

(Roma). La sua opera che qui presentiamo è composta da quattro capitoli<br />

di natura squisitamente filosofica intorno al problema della ragione<br />

e dell’universalismo nell’etica. Di primo acchito potrebbe sembrare<br />

un po’ anacronistico tentare una tale via, ma come l’autore stesso<br />

ci indica, viste le conseguenze che il sapere scientifico insieme agli<br />

interessi economici provocano nel mondo, oggi non solo è possibile


558 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

fare filosofia, ma vige l’imperativo morale che i filosofi riprendano il<br />

loro ruolo nel contesto sociale e politico contemporaneo, per rielevare<br />

l’uomo ormai faber ad essere nuovamente sapiens.<br />

Dopo l’avvento del post-modernismo e del nichilismo, l’autore si<br />

interroga se sia ancora possibile fare filosofia. Per questo nel primo<br />

capitolo, armato solo degli strumenti della riflessione logica, Vendemiati<br />

affronta la “disintegrazione” teorizzata da J.F. Lyotard, lo<br />

“smembramento” di R. Rorty e, infine, “l’autosuperamento” di J. Derrida.<br />

In ognuno di questi autori, secondo prospettive diverse, l’impossibilità<br />

di fare filosofia dipenderebbe dalla inesorabile frattura tra<br />

la verità della scienza e la verità etica. Essendoci ormai molti saperi,<br />

ciascuno dotato di proprie “verità” sembrerebbe impossibile approdare<br />

ad un unico sapere-linguaggio in grado di giungere alla Verità.<br />

Una realtà così frammentata non può più essere ricondotta ad un<br />

principio universale, e pertanto l’istanza metafisica viene rigettata.<br />

Vendemiati obbietta che, se fosse effettivamente così, Lyotard stesso<br />

non potrebbe asserire in modo universale e quasi dogmatico ciò che<br />

afferma. Infatti, se non esiste alcuna metanarrazione, non è neppure<br />

legittimo parlarne. Ma se la ragione non è più lo strumento per giungere<br />

a scelte etiche, rimarrà solo la volontà dei più forti che imporranno<br />

le loro decisioni.<br />

Il discorso procede similmente anche per Rorty e Derrida che cadono<br />

nella stessa incoerenza nell’uso del linguaggio. Al contrario, le<br />

conclusioni di questa prima parte rivelano che «la verità è possibile:<br />

difficile, parziale, incompleta, “povera e nuda” – come la filosofia nel<br />

noto sonetto di Petrarca – ma possibile» (pp. 48-49).<br />

Nel secondo capitolo: “Globalizzazione e universalismo”, l’autore<br />

delimita l’inizio della globalizzazione con la caduta dei regimi comunisti<br />

dell’Europa orientale nel 1989. Non essendoci più i blocchi divisi<br />

dalla cortina di ferro, il mondo si apre ad una nuova epoca culturale<br />

ed economica. Se i nichilisti sottolineano che la frammentarietà<br />

delle culture impedisce alla ragione di giungere ad una universalizzazione<br />

dell’etica, in realtà la globalizzazione, come fenomeno mondiale,<br />

richiede in se stessa un approccio universale. Da qui Vendemiati<br />

presenta le posizioni politico-etiche di F. Fukuyama e di S.P.<br />

Huntington, le prime di tipo escatologico-utopico, le seconde apoca-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 559<br />

littico-conflittuali. Fukuyama, in uno sguardo globale, sostiene che<br />

«la fine della guerra fredda avrebbe segnato la fine dei grandi conflitti<br />

internazionali e la nascita di un mondo relativamente armonioso»<br />

(p. 57) decretando così una possibile fine della storia. Huntington<br />

invece profetizza uno scontro tra civiltà e in particolare tra l’Occidente<br />

e il resto del mondo, che considera i diritti umani un prodotto<br />

dell’imperialismo occidentale. Di fronte a ciò M. Walzer e H.<br />

Küng propongono una soluzione etica mondiale ricorrendo ad un<br />

minimalismo morale. In ogni cultura ci sono valori comuni come il diritto<br />

alla vita o il diritto ad essere trattati in modo giusto, sebbene<br />

ogni cultura articoli in maniera differenziata le applicazioni pratiche<br />

di tali valori, secondo la propria tradizione. Le due istanze risultano<br />

però insufficienti: Walzer si preoccupa solo di tracciare una procedura<br />

corretta che permetta di giungere ad un etica globale senza fondare<br />

il minimum morale comune; mentre Küng fonda l’etica mondiale<br />

su una sorta di consenso morale sui valori condivisi, senza dare una<br />

risposta alla domanda sul perchè essi debbano essere condivisi.<br />

Il contesto pluralistico delle culture coinvolte nella riflessione etica<br />

porta l’autore ad affrontare il centro del problema nel terzo capitolo<br />

intitolato “Relativismo”. Oggi, in Occidente, gli uomini di cultura<br />

usano un linguaggio politically correct ripetendo spesso che una<br />

cultura non è né peggiore né migliore delle altre, esse sono solo diverse.<br />

Perciò, dai dibattiti vengono banditi i giudizi di valore, interpretando<br />

l’uguaglianza delle persone come un dogma che impedisce<br />

ogni forma di valutazione etica.<br />

L’autore analizza, allora, le forme di relativismo più conosciute, da<br />

quello politico del multiculturalismo, a quello antropologico scientista,<br />

dall’ermeneutica di Gadamer, alle aporie epistemologiche di Feyerabend,<br />

per concludere con il relativismo etico non-cognitivista. Il<br />

mondo del relativismo etico appare come un vero arcipelago che si<br />

diversifica a partire dall’antropologia ispirata al mero determinismo<br />

biologico, alle etiche eteronome giuridiste e volontariste, al pragmatismo<br />

anglosassone fondato sull’accordo e il contratto, di cui H.T.<br />

Engelhardt in bioetica è il più noto. In ultimo troviamo i tentativi decostruzionisti<br />

di H. Albert che vuole applicare, con il “trilemma di<br />

Münchhausen”, la teoria della falsificabilità di K. Popper alla morale


560 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

e alla fondazione della norma. L’autore sottolinea con acutezza che le<br />

falle di queste impostazioni si trovano nella dicotomia teorizzata da<br />

Hume tra la verità dell’essere e la verità etica, e nell’ansia cartesiana<br />

del dubbio metodico, valido per la ricerca scientifica, ma non adatto<br />

per la fondazione etica. L’autore riconosce alcuni spunti originali e<br />

profondi provenienti da alcune posizione relativiste, quali l’attenzione<br />

al singolo individuo come essere originale e irripetibile; alla sua<br />

autorealizzazione, al valore dell’autenticità e del riconoscimento.<br />

Il quarto capitolo intitolato “Figure di razionalità pratica” presenta<br />

quattro tentativi per superare la crisi relativista: l’utilitarismo, il<br />

contestualismo, l’etica del discorso e l’etica della relazione. L’utilitarismo<br />

cerca di mettere al centro della riflessione etica il fine del benessere<br />

della maggioranza degli individui, utilizzando come confine<br />

la libertà di ciascuno. I suoi sviluppi hanno cercato di sopperire alle<br />

inevitabili conflittualità che questa impostazione porta con sé, segnando<br />

il passaggio dall’utilitarismo dell’atto a quello della norma, in<br />

cui le scelte personali devono comunque far riferimento alle conseguenze<br />

che provocano sulla maggioranza, rappresentate da un insieme<br />

di norme comunque soggette ad eccezioni. L’utilitarismo, con i<br />

suoi numerosi correttivi, rimane comunque a livello formale, non indagando<br />

sulla bontà morale del benessere desiderabile da parte del<br />

singolo, ma valutandone solo le conseguenze.<br />

Il contestualismo cerca di recuperare tre dimensioni dell’etica aristotelica:<br />

la phrónesis, la prâxis el’ethos, rispettivamente ad opera di<br />

Gadamer, R. Bubner e A. MacIntyre. La ricontestualizzazione dell’etica<br />

nella storia e, in particolare, nella storia di una cultura secondo<br />

Vendemiati risulta positiva, sebbene egli si interroghi sulla legittimità<br />

di una rilettura di queste categorie aristoteliche attraverso un filtro<br />

che in ultima analisi è sempre di stampo relativista e senza considerare<br />

necessaria una fondazione del fine ultimo della vita morale.<br />

J. Habermas e K.O. Apel sono i rappresentanti dell’etica del discorso<br />

che parte da un presupposto fondamentale: per superare la crisi<br />

relativista è necessario fondare l’etica sulle regole universalmente<br />

riconosciute della comunicazione. Il pregio di tale impostazione assicura<br />

la possibilità di condurre discussioni etiche corrette da un punto<br />

di vista procedurale della formulazione della norma. Tali autori,


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 561<br />

però, non affrontano il problema della fondazione dei contenuti, generando<br />

un’etica “in terza persona”, in cui l’agire etico è oggettivato<br />

e ricondotto solo ai termini della giustizia. In Habermas questo valore<br />

evidenzia il dovere fondamentale della persona di proteggere la<br />

vulnerabilità del debole.<br />

In un ultimo Vendemiati prende in esame l’etica della relazione di<br />

M. Buber e di E. Lévinas, secondo i quali vi sono due atteggiamenti<br />

fondamentali dell’uomo: la rappresentazione e la relazione. Il primo<br />

descrive il soggetto in un atto di conoscenza della realtà in modo oggettivante<br />

e rappresentativo, tipico del conoscere scientifico; la relazione,<br />

invece, è un evento in cui il soggetto entra in rapporto con un<br />

altro soggetto, un Io di fronte a un Tu, in cui c’è una conoscenza profonda,<br />

un incontro con una totalità. La relazione non è da fondare filosoficamente,<br />

perchè farebbe parte dell’a-priori di ogni individuo.<br />

Dall’incontro dei volti nasce il comandamento fondamentale del rispetto<br />

reciproco. Riconosciuto il fascino dell’etica della relazione,<br />

per l’autore rimane comunque necessaria la fondazione teoretica della<br />

dimensione costitutiva della relazione.<br />

In conclusione Vendemiati offre una “Postilla” che in sintesi presenta<br />

la sua posizione umanistico-scientifica. È evidente che le etiche<br />

moderne hanno ristretto il loro campo visivo a causa dell’ansia cartesiana<br />

e hanno acquisito un metodo scientifico-empirista che le ha<br />

portate a proclamare l’impossibilità fondativa di un’etica universale.<br />

Vendemiati illustra sinteticamente come l’esclusione a-priori della<br />

dimensione metafisica – senza distinguere tra una metafisica classica<br />

(non per forza religiosa) e una metafisica idealista-totalizzante –, abbia<br />

tolto il senso ultimo alla domanda fondamentale sul perchè si<br />

debba essere buoni. Svuotare il significato ultimo della morale ha solo<br />

reso impossibile universalizzare il discorso etico. Per questo l’autore,<br />

con la consapevolezza della precarietà della riflessione indica<br />

nella vita buona-virtuosa il fine dell’etica e la realizzazione della persona.<br />

I diritti umani non sono che un espressione della strada da percorrere<br />

per realizzare l’uomo. In questa riflessione Vendemiati sottolinea<br />

la necessità di recuperare la finalità della natura razionale dell’uomo<br />

e di coniugare le istanze dei diritti con quelle dei doveri, le<br />

aspirazioni della libertà con l’impegno della responsabilità. Implici-


562 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

tamente l’autore ci rimanda ai suoi studi sull’etica “in prima persona”<br />

dove si approfondisce proprio la fondazione dell’etica filosofica 1 .<br />

“Universalismo e relativismo nell’etica contemporanea” è un libro<br />

complesso, ma necessario per affrontare i temi etici legati alla bioetica<br />

e all’economia in un contesto globalizzato. Vendemiati indica una<br />

strada possibile per risolvere il problema della fondazione di un’etica<br />

globale. Uno dei pregi di quest’opera è sicuramente rimettere al centro<br />

del dibattito etico l’importanza della ragione e del suo insostituibile<br />

ruolo nella fondazione etica.<br />

Certamente il quadro offerto dal capitolo sul relativismo, non del<br />

tutto negativo, evidenzia la necessità di una riflessione onesta, che non<br />

esca dal sentiero, a volte scosceso, di una logica serrata e coerente. In<br />

questo l’autore si dimostra all’altezza di un dialogo che non lascia nulla<br />

all’opinione e alle geralizzazioni. Forse è questa la peculiarità che lo<br />

rende originale e che lo spinge a proporre strade di riflessione “un po’<br />

antiche e un po’ nuove”, smontando con lucidità le obiezioni “deboli”<br />

di alcuni filosofi contemporanei. In tal modo Vendemiati ridona<br />

respiro alla facoltà che più ci rende umani: la ragione.<br />

ALBERTO ONOFRI<br />

WETTACH-ZEITZ TANIA, Ethnopolitische Konflikte und interreligiöser<br />

Dialog. Die Effektivität interreligiöser Konfliktmediationsprojekte<br />

analysiert am Beispiel der World Conference on<br />

Religion and Peace-Initiative in Bosnien-Herzegowina (= Theologie<br />

und Frieden, Band 33), Kohlhammer, Stuttgart <strong>2008</strong>,<br />

284 p.<br />

Dal 1986 l’Institut für Theologie und Frieden (Istituto per la teologia<br />

e la pace) di Amburgo (Germania) pubblica con l’editrice Kohlhammer<br />

una collana di notevole pregio, intitolata “Theologie und Frieden”.<br />

Essa raccoglie dei contributi (spesso lavori di giovani studiosi) che<br />

1 Cfr. VENDEMIATI A., In prima persona. Lineamenti di etica generale, Manuali<br />

Filosofia 21, Urbaniana University Press, Roma <strong>2008</strong> 3 .


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 563<br />

ruotano attorno alle due aree di ricerca dell’Istituto, fondato nel 1978<br />

dalla Chiesa cattolica in Germania con il sostegno dell’Ordinariato<br />

militare: (a) i temi dell’etica della pace alla luce delle sfide attuali delle<br />

politiche in materia di pace e sicurezza; (b) i temi che riguardano l’elaborazione<br />

della tradizione di pensiero relativa all’etica della pace.<br />

Il volume della giovane studiosa Tania Wettach-Zeitz appartiene<br />

alla prima area di ricerca, in quanto intende indagare l’effettività della<br />

cooperazione interreligiosa in Bosnia-Erzegovina nell’ambito delle<br />

iniziative per la pace promosse dalla “World Conference on Religion<br />

and Peace” (WCRP) e poi dal Consiglio interreligioso della Bosnia-<br />

Erzegovina (IRC), all’indomani della cessazione del conflitto armato<br />

(1995) in quella terra dei Balcani occidentali che fino ad oggi non è<br />

riuscita a chiudere le sue ferite.<br />

Proprio lì sul campo e poi anche presso la sede centrale della<br />

WCRP, accreditata presso l’ONU a New York, si è recata T. Wettach-<br />

Zeitz per raccogliere buona parte delle interviste che poi sono state<br />

poste alla base della sua ricerca, presentata nel 2006 come tesi dottorale<br />

alla Facoltà di teologia protestante della Humboldt-Universität di<br />

Berlino sotto la guida del professor Andreas Feldtkeller. La ricerca è<br />

un’interessante «Fallstudie»: cioè l’analisi di «un caso concreto» per<br />

tentare di rispondere alla domanda cruciale se «il dialogo interreligioso<br />

riesce effettivamente ad ottenere ciò che si promette per il raggiungimento<br />

della pace» (p. 12), specialmente laddove, come in Bosnia-Erzegovina,<br />

le religioni assumono la caratteristica di «identity-makers» (produttori<br />

di identità) per le diverse parti in conflitto tra di loro.<br />

Sullo sfondo di questa domanda, l’Autrice suddivide il suo lavoro<br />

in tre parti e undici capitoletti, che si sviluppano in maniera coerente:<br />

dapprima si offrono al lettore i fondamenti teoretici della cooperazione<br />

interreligiosa e della trasformazione sociale e culturale dei<br />

conflitti (pp. 17-60). Questi capitoli introduttivi ci sembrano un passaggio<br />

obbligatorio specialmente per il lettore teologo o non addentro<br />

al linguaggio delle scienze politiche e sociali, in quanto chiariscono<br />

i termini ricorrenti nell’intera indagine. Così ad esempio viene<br />

determinato il concetto di «conflitto etnopolitico» che sembra caratterizzarsi<br />

per la speciale combinazione di due conflitti, quello degli<br />

interessi a livello economico-politico e quello delle identità a livello psico-


564 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

sociale. Come anche i concetti di «etno-nazionalismo» e di «etno-religioni/clericalismo»<br />

focalizzati tra le diverse definizioni ricorrenti<br />

nella letteratura scientifica.<br />

La prima parte si conclude con un panorama sulle varie teorie di<br />

mediazione dei conflitti sociali e politici (pp. 48-60). In particolare<br />

viene illustrato il «peacebuilding»-modello di uno dei più noti e stimati<br />

peace-researcher del panorama internazionale, John Paul Lederach,<br />

professore dell’Università cattolica di Notre Dame (Indiana,<br />

USA) e dell’Eastern Mennonite University (Virginia, USA). L’approccio<br />

di Lederach, sviluppato sullo sfondo della tradizione cristiana<br />

(mennonita), è anche alla base dei programmi di «conflict-transformation»<br />

adottati dalla WCRP. Esso si distingue per il suo carattere<br />

olistico, in quanto considera i conflitti come «costruzione sociale, cioè<br />

strettamente connessi con la realtà complessiva della società» (p. 53) e non<br />

riducibili solo all’aspetto dei beni oggettivi contestati. Pertanto i conflitti<br />

non sono «risolvibili» con l’uso del potere che vorrebbe «imporre»<br />

la pace o ottenerla solo con i trattati internazionali, quanto<br />

piuttosto «trasformabili» (questo è il termine preferito da Lederach)<br />

in una situazione sociale complessiva, che tiene conto degli aspetti<br />

culturali, psico-sociali, cognitivi e relazionali delle rivalità. La pace,<br />

più che una «condizione cronologicamente determinabile», è piuttosto un<br />

«processo sociale complessivo e dinamico, che occorre costruire e sostenere continuamente»<br />

(p. 55), attraverso una riformulazione delle «strutture relazionali»<br />

di tutti gli attori coinvolti, dai vertici alla base («grass-rootleadership»),<br />

in vista della «riconciliazione che unisce in sè i diversi aspetti<br />

della verità, della misericordia, della giustizia e della pace» (pp. 55-56).<br />

La seconda parte (capitoli 3-6), entra nell’analisi del conflitto sanguinoso<br />

verificatosi in Bosnia-Erzegovina tra il 1992-1995 e del ruolo<br />

che vi hanno assunto le tre principali correnti religiose direttamente<br />

coinvolte (islamica, cattolica, serbo-ortodossa). Un piccolo capitolo<br />

introduttivo chiarisce la metodologia adottata per le interviste,<br />

nonché i criteri per la valutazione dei programmi di pace (pp. 61-77):<br />

il riferimento teoretico è dato dalla cosiddetta «sociologia qualitativa»<br />

(più interpretativa e olistica di quella «quantitativa» di matrice<br />

positivista) e dal pensiero di Lederach che funge come «base metodica»<br />

(p. 75) per la valutazione.


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 565<br />

Diventa chiaro in questa seconda parte che la guerra in Bosnia-<br />

Erzegovina «non può essere definita una guerra di religione» (p. 95), ma<br />

un «conflitto etnopolitico» (p. 79), dove le comunità religiose hanno<br />

avuto un peso non indifferente, aggravato dal fatto che già prima della<br />

guerra (a parte le forme di convivenza a livello locale) «le religioni,<br />

specialmente le due confessioni cristiane, hanno perso l’occasione di raggiungere<br />

una profonda pacificazione e riconciliazione tramite il riconoscimento<br />

reciproco delle colpe del passato e la richiesta di perdono» (p. 115).<br />

La terza ed ultima parte (pp. 117-252), si apre con un’esauriente<br />

informazione sulle origini del movimento mondiale e interreligioso<br />

della WCRP, sulle sue radici spirituali e sulle iniziative di pace realizzate<br />

col sostegno delle Nazioni Unite. I programmi della WCRP<br />

si reggono sull’idea che tutte le religioni possono contribuire per la<br />

pacificazione del mondo, in quanto dispongono degli «standards etici»<br />

utili per il superamento pacifico dei conflitti. In Bosnia-Erzegovina<br />

la WCRP ha tentato di realizzare il suo obiettivo proprio attraverso<br />

l’istituzione di un “Consiglio interreligioso” (IRC) formato dai più<br />

alti rappresenti religiosi della zona.<br />

In questa parte emerge anche lo spessore più teologico della ricerca.<br />

Infatti, l’Autrice tenta di cogliere in che modo i rappresentanti<br />

delle diverse religioni presenti nel territorio (giudaismo, islam, ortodossia<br />

e cattolicesimo) interpretano e applicano nella loro particolare<br />

situazione i concetti di «giustizia», di «verità» e di «convivenza»<br />

(pp. 179-226), particolarmente carichi di significato religioso e determinanti<br />

per la pacificazione. L’analisi delle interviste, viene preceduta<br />

da una sintetica ricostruzione dei riferimenti teologici che si<br />

trovano alla base delle diverse tradizioni religiose circa la concezione<br />

dell’uomo, l’idea della giustizia e le sue implicazioni etiche (pp. 143-178).<br />

Le interviste mettono purtroppo in luce che «tutti i rappresentanti ufficiali<br />

delle istituzioni religiose [coinvolte nel conflitto] considerano se stessi<br />

e il proprio gruppo etnico come vittima più grande della guerra in Bosnia,<br />

sviluppando scenari di attuale e futura minaccia. Come colpevoli vengono<br />

percepiti quasi sempre solamente gli altri [...]; l’autocritica manca quasi del<br />

tutto» (p. 226).<br />

In conclusione si arriva alla valutazione dell’iniziativa di pace promossa<br />

dalla WCRP in Bosnia-Erzegovina e ad alcune pregnanti ri-


566 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

flessioni sintetiche (pp. 227-255). Il bilancio, anche se ancora provvisorio,<br />

è piuttosto negativo e i motivi sono molteplici: anzitutto si sottolinea<br />

un «deficit strutturale» insito alla stessa prassi della WCRP<br />

che sembra concentrarsi troppo sui rappresentanti della medio-alta<br />

gerarchia religiosa, trascurando il cosiddetto livello «grass-root», cioè<br />

della base popolare e del clero locale. Pieno di insidie è stato anche il<br />

lavoro del Consiglio interreligioso, segnato dalla ripetuta interruzione<br />

dei lavori e da un certo «lobbismo politico» che lo ha trasformato<br />

spesso in «un forum per la difesa di interessi di potere da parte dell’élite<br />

religiosa» (p.230). Non ha giovato poi, secondo la studiosa, la prassi<br />

della WCRP di glissare preferibilmente sui contenuti dei conflitti, ricercando<br />

solo gli interessi e i punti in comune, secondo la «presupposizione<br />

di un consenso transreligioso e transculturale sui valori [...] che però,<br />

nel caso dello studio sulla Bosnia, non è stato possibile rintracciare né in<br />

senso religioso né in senso politico» (p. 251). La concentrazione sugli interessi<br />

meramente politici e l’assenza di un consenso a livello di valori<br />

etici o di una visione comune del futuro, «impediscono di fatto un<br />

opportuno processo di elaborazione dei conflitti che invece potrebbe ottenere<br />

una sostanziale trasformazione degli schemi conflittuali e di relazione reciproca»<br />

(p. 251).<br />

Un importante risultato positivo del Consiglio, accanto ad una<br />

probabile «funzione simbolica e morale», è stato invece raggiunto<br />

con la proposta comune del principio di uguaglianza tra i cittadini di<br />

diverse religioni e del principio di libertà religiosa, entrambi recepiti<br />

nel recente ordinamento giuridico. Ma rimane, per l’Autrice, la<br />

convinzione finale che nel caso specifico della Bosnia-Erzegovina «la<br />

cooperazione interreligiosa [promossa dalla WCRP] a livello degli alti rappresentanti<br />

religiosi ha avuto un effetto piuttosto limitato e scarsamente incisivo<br />

sul resto della società, potendo così contribuire solo indirettamente all’elaborazione<br />

dei conflitti tuttora esistenti» (pp. 253-254).<br />

La ricerca empirica ha messo poi in rilievo che un concetto essenzialistico<br />

delle religioni, come anche una visione ingenua di un presunto<br />

codice morale transreligioso o della stessa idea di pace conducono<br />

facilmente a dimenticare il contesto reale di tali situazioni. In<br />

questi casi, i modelli di cooperazione interreligiosa rischiano di fallire,<br />

anche perché non si affrontano realmente i contenuti conflittuali


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 567<br />

e il ruolo del clero. Alcuni concetti inoltre, tipicamente cristiani e<br />

messi al centro della teoria di Lederach, come quelli di «riconciliazione»,<br />

«giustizia» e «grazia» possono assumere in questi contesti<br />

locali significati piuttosto variabili, rendendoli difficilmente assumibili<br />

come concetti-guida senza un’adeguata contestualizzazione.<br />

Le conclusioni apparentemente severe della Wettach-Zeitz, non<br />

devono però trarre in inganno: la cooperazione interreligiosa può dare<br />

effettivamente il suo contributo alla pace, ma non senza un’adeguata<br />

considerazione dello specifico contesto in cui un programma di<br />

trasformazione dei conflitti si intende realizzare. Questa lezione, di<br />

aderenza alla realtà, ci sembra poi anche salutare per la ricerca teologica<br />

nel suo complesso. Il presente lavoro è un bel esempio di una riflessione<br />

interdisciplinare, che spinge la teologia a mettersi in ascolto<br />

dei risultati che sono venuti fuori da un’indagine fatta direttamente<br />

«sul campo». Meno apprezzabili, in quanto peraltro non bene argomentati,<br />

ci sono sembrati invece alcuni giudizi nella parte del libro<br />

che ricostruisce in senso generale il ruolo delle religioni nel conflitto<br />

bosniaco (forse il capitolo meno felice e più vago): specialmente il<br />

giudizio sulle commemorazioni ecclesiali del cardinale martire A.<br />

Stepinac (1898-1960), viste dall’Autrice come «mistificazione» (p.<br />

102) della sua figura, sembra essere messo lì in modo più preconcetto<br />

che ragionato. Un indice per autori e una tabella per le numerose<br />

sigle utilizzate nel testo, avrebbero poi aiutato la lettura che già di per<br />

sé richiede un certo impegno, trattandosi ovviamente di un lavoro di<br />

tesi. Resta però il merito di un libro che stimola non solo il teologo<br />

a riflettere sull’etica della pace, a partire dall’analisi empirica di un<br />

caso specifico, ma l’intera comunità ecclesiale che è chiamata a farsi<br />

operatrice di pace, rivedendo autocriticamente la propria prassi<br />

quando di mezzo a queste tragedie del nostro tempo vi è la religione<br />

che si presta facilmente ad essere strumentalizzata.<br />

VINCENZO VIVA


568 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

WOODS THOMAS E. JR., Come la Chiesa cattolica ha costruito<br />

la civiltà occidentale, prefazione di Lucetta Scaraffia, Cantagalli,<br />

Siena 2007, 270 p. (orig.: How the catholic Church built<br />

western civilization, Regnery Publishing, Washington DC 2001,<br />

traduzione italiana di Laura Orsi).<br />

Agli uomini di oggi che hanno smarrito o vedono in pericolo la<br />

coltivazione e la conservazione del sapere perché indotti da fonti storiche<br />

parziali e non sempre corrette provenienti da ambienti culturali<br />

pregiudizialmente ideologici nel trasmettere quanto pur rientrerebbe<br />

nelle loro competenze, il testo dello storico americano T. E.<br />

Woods, Jr. giunge quanto mai opportuno perché consegna al lettore<br />

attento e non superficiale in cerca di verità quanto la Chiesa cattolica<br />

ha realmente operato e promosso attraverso il suo plurisecolare impegno<br />

nel favorire, costruire e difendere la civiltà occidentale. Nel<br />

suo sforzo di edificare e plasmare ciò che su ogni fronte del vivere<br />

umano ha consentito un autentico sviluppo a quei popoli che nel continente<br />

occidentale si sono insediati, la Chiesa cattolica e con essa tutti<br />

coloro che hanno a cuore l’educazione umana e la cura per la formazione<br />

intellettuale, in particolare delle giovani generazioni, sanno<br />

che il rischio di far dimenticare ogni legame con la tradizione cristiana<br />

è quanto mai serio e reale. Basta soffermarsi a dialogare con uno<br />

studente di scuola media superiore o universitario e domandargli cosa<br />

conosce della Chiesa cattolica: non sarebbe difficile ascoltare che<br />

Essa e la sua stessa storia sarebbe intessuta di “ignoranza, repressione<br />

e stagnazione” (p. 9). In realtà ciò, se e quando emerge, è notevolmente<br />

sbagliato proprio in virtù di una corretta e seria disamina storica,<br />

possibilmente non ‘di parte’, dei fatti ed avvenimenti che hanno<br />

costruito la civiltà, nel caso di specie, quella occidentale. Ma, visto che<br />

nessuno può dichiararsi di essere non ‘di qualche parte’, crediamo –<br />

dopo la lettura di questo avvincente e appassionato excursus storico<br />

che, basandosi su una bibliografia di provenienza americana e apertamente<br />

cattolica, una volta tanto aiuta a riequilibrare con una certa verità<br />

quanto storicamente accaduto – che la parola più adatta a spiegare<br />

il ruolo realmente svolto dalla Chiesa cattolica dovrebbe essere:<br />

‘costruttrice di civiltà’. Come ha potuto realizzarsi ciò?


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 569<br />

In ognuno dei capitoli del testo l’Autore si sofferma a esporre in<br />

maniera semplice e con uno stile divulgativo – quasi a convincere –<br />

attraverso il reperimento di dati non comuni, il lettore (specialmente<br />

quello non specialista) proprio su ‘come’ questo sia potuto avvenire<br />

storicamente, grazie all’opera di tutti coloro che – in nome della<br />

propria fede cristiana: gerarchia, religiosi o laici che fossero – hanno<br />

saputo porre nei vari ambiti del sapere le basi e i pilastri della civiltà<br />

occidentale. In particolare, è noto che la civiltà occidentale ha inventato:<br />

i miracoli della scienza moderna, la ricchezza dell’economia del<br />

libero mercato, la sicurezza della norma di legge, un senso unico dei<br />

diritti dell’uomo e del valore della libertà umana, la carità come virtù,<br />

la bellezza dell’arte e della musica, una filosofia sapiente e razionale,<br />

ed altri elementi che in genere diamo per scontato e senza soffermarci<br />

adeguatamente su ciò che ha potuto costituire l’ambiente<br />

idoneo alla loro maturazione e sviluppo, tanto che quella occidentale<br />

può ben essere additata come una delle più ricche e potenti civiltà<br />

mai esistite.<br />

Nel testo in questione, il giovane professor Woods aiuta a svelare<br />

con una intenzione dichiaratamente apologetica – a prima vista forse<br />

un po’ troppo spinta – proprio le radici cristiane della nostra cultura.<br />

Infatti, il testo fa risaltare alcuni dei diversi settori da cui emerge in maniera<br />

più chiara ed evidente il contributo ampiamente inosservato o<br />

sconosciuto della Chiesa cattolica allo sviluppo culturale occidentale.<br />

Riprendendo allora l’avverbio posto come incipit al titolo del libro<br />

e chiave di lettura di tutto il percorso tracciato, esplicitiamo in sintesi<br />

alcuni di questi ambiti, così che il lettore interessato potrà imparare:<br />

‘come’ lontano da ogni ostilità o chiusura allo sviluppo della<br />

scienza, la Chiesa ha svolto un ruolo indispensabile nella sua promozione;<br />

‘come’ l’idea di un universo razionale e ordinato – fondamento<br />

del punto di vista cattolico, ma diversamente inteso nelle culture<br />

non cristiane – abbia reso possibile la fioritura della scienza in Occidente;<br />

‘come’ nel Medio Evo il sistema universitario europeo, si sia<br />

sviluppato sotto il patrocinio del Papato; ‘come’ l’impegno e la ricerca<br />

delle università con metodo rigoroso e razionale ha fornito la<br />

struttura per le rivoluzioni scientifiche e culturali successive; ‘come’<br />

il contributo cattolico alla scienza moderna è andato ben oltre le idee


570 REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI<br />

degli scienziati, tra i quali molti erano religiosi; ‘come’ i contributi<br />

della Chiesa cattolica in astronomia e geologia eccedono quelli di<br />

qualunque altra istituzione; ‘come’ siano stati i teologi cattolici del<br />

sedicesimo secolo in Spagna – e non Adam Smith due secoli dopo –<br />

a fondare le basi dell’economia moderna; ‘come’ l’idea occidentale di<br />

diritto internazionale provenga dai grandi teologi-giuristi del Cinquecento;<br />

‘come’ l’idea dei diritti umani universali non derivi da<br />

John Locke e da Thomas Jefferson, ma sia di chiara matrice cattolica,<br />

al punto che molti dei princìpi più importanti della tradizione<br />

giuridico-morale occidentale derivano dal concetto propriamente<br />

cattolico della sacralità della vita umana; ‘come’ la pratica delle opere<br />

di carità si sia evoluta ben presto nella storia ispirandosi direttamente<br />

all’esempio e allo spirito di Gesù Cristo; ‘come’ forse prima<br />

di ogni altro contributo, si debba situare il ruolo molto attivo dei<br />

monaci – particolarmente benedettini – tra i padri della civilizzazione<br />

europea.<br />

Queste alcune tra le principali verità recuperate dal testo in questione.<br />

Se è vero che un dialogo onesto e qualificato può avvenire soltanto<br />

attraverso “l’esaltazione della ragione umana e delle sue capacità,<br />

l’impegno in un dibattito rigoroso e razionale, una promozione dell’indagine<br />

intellettuale e dello scambio di idee – tutti elementi promossi<br />

dalla Chiesa –” (pp. 11-12), l’analisi che il testo recensito offre<br />

si rivela indubbiamente interessante. Il rimandare buona parte di<br />

quanto esiste di positivo nella civiltà occidentale anche al Cattolicesimo<br />

è quanto mai essenziale per comprendere quello che ancora oggi<br />

manca nelle odierne discussioni nutrite troppo spesso di magro e<br />

asciutto secolarismo, inadatto da sé soltanto a modellare e plasmare<br />

la vita di un Continente (quello europeo) che, se vuole affrontare seriamente<br />

la sua crisi di identità da più parti problematizzata, ha certo<br />

bisogno di recuperare – a fianco e insieme alle altre Tradizioni su<br />

di esso esistenti – almeno quel sostanziale ed essenziale contributo<br />

che anche la Chiesa cattolica ha potuto offrire in merito. Ci auguriamo<br />

che sulla scia del prof. Woods altri scienziati, non solo americani,<br />

ma anche e preferibilmente del vecchio Continente, nei diversi<br />

ambiti del sapere possano compiere indagini accurate per sviscera-


REVIEWS / RECENSIONES / RECENSIONI 571<br />

re (sforzandosi di essere il meno ‘di parte’ possibile) ciò che in troppi<br />

settori culturali è oggi tenuto ai margini e che invece merita di essere<br />

portato alla luce: si, è proprio vero che “la civiltà occidentale deve<br />

alla Chiesa cattolica molto più di quanto la maggior parte delle<br />

persone – cattolici inclusi – spesso siano consapevoli: la Chiesa, si<br />

può dire, ha edificato la civiltà occidentale” (p. 9). Ribadiamolo: oltre<br />

la forma, il messaggio è forte, ma adatto ad un continente oggi<br />

un po’ troppo debole.<br />

DOMENICO SANTANGELO


Book Presentation / Presentación del libro<br />

Presentazione del libro<br />

TREMBLAY RÉAL – ZAMBONI STEFANO (a cura di),<br />

Figli nel Figlio. Una teologia morale fondamentale,<br />

EDB, Bologna <strong>2008</strong>, 432 p.<br />

Relazioni tenute in occasione della presentazione del libro<br />

Accademia Alfonsiana, 17 aprile <strong>2008</strong><br />

L’USO DELLA SACRA SCRITTURA<br />

Klemens Stock, S.J.*<br />

Il mio compito è quello di valutare l’uso della sacra Scrittura nel<br />

volume ‘Figli nel Figlio’, se esso corrisponde a ciò che il Concilio Vaticano<br />

Secondo ha desiderato e determinato per l’esposizione scientifica<br />

della teologia morale. Il Concilio si occupa della formazione sacerdotale<br />

nel suo decreto “Optatam totius”. Ivi dichiara: “Si ponga<br />

speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua<br />

esposizione scientifica maggiormente fondata sulla sacra Scrittura, illustri<br />

l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di<br />

apportare frutto nella carità per la vita del mondo” (n. 16). Il Concilio<br />

chiede quindi l’esposizione dell’alta vocazione dei fedeli in Cristo<br />

determinando così più o meno l’oggetto della teologia morale fondamentale,<br />

e pure l’esposizione dell’agire che ne segue indicando l’oggetto<br />

della teologia morale speciale. E tutto deve essere fondato sulla<br />

Sacra Scrittura. La nostra domanda è se il volume che si presenta<br />

oggi corrisponda alla richiesta del Concilio e sia, nelle sue esposizioni,<br />

veramente fondato sulla Sacra Scrittura.<br />

* Segretario della Pontificia Commissione Biblica; Professore emerito di Esegesi del<br />

Nuovo Testamento presso il Pontificio Istituto Biblico (Roma).


574 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

Divido il mio contributo in due parti. Nella prima parte mi occupo<br />

del modo e della misura in cui il nostro volume fa uso della S.<br />

Scrittura. Aggiungo poi nella seconda parte alcune osservazioni.<br />

Prima parte. L’uso della Sacra Scrittura<br />

La fondazione sulla S. Scrittura si manifesta già nel titolo dell’opera:<br />

Figli nel Figlio. L’uso della Bibbia è specialmente ampio ed essenziale<br />

nella prima e seconda parte, ma ne partecipano anche la terza<br />

e quarta parte che esprimono le conseguenze per le categorie morali<br />

fondamentali e per la vita dei fedeli nella Chiesa.<br />

L’espressione ‘figli nel Figlio’ che serve come titolo del volume<br />

non si trova letteralmente in un testo del NT. Ma ci sono alcuni passi<br />

paolini nei quali essa è ben fondata e dei quali può essere considerata<br />

come una specie di sintesi. In Rm 8, 29 Paolo scrive: “Poiché<br />

quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere<br />

conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito<br />

tra molti fratelli”. Figlio di Dio in modo originale e fondamentale<br />

è Gesù. Ma i credenti e giustificati sono figli di Dio secondo<br />

l’immagine del Figlio di Dio, Gesù, e sono glorificati per mezzo di lui<br />

e in lui. Nella lettera ai Galati Paolo presenta la nostra adozione a figli<br />

direttamente come scopo dell’invio del Figlio di Dio da parte del<br />

Padre. Egli dice: “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò<br />

il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare<br />

quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”<br />

(Gal 4, 4-5). Gesù è il primogenito, naturale ed eterno Figlio di Dio.<br />

Mediante il suo invio e il riscatto da lui realizzato noi diventiamo figli<br />

adottivi di Dio. Ciò viene provato dal fatto “che Dio mandò nei<br />

nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!”<br />

(Gal 4, 6). Come figli di Dio partecipiamo dello Spirito del Figlio e<br />

come il Figlio siamo autorizzati a chiamare Dio Padre! E siamo chiamati<br />

a lasciarci guidare dal suo Spirito (Gal 5, 25). Un altro testo significativo<br />

è l’assicurazione con la quale Paolo conclude l’esordio della<br />

prima lettera ai Corinzi: “Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati<br />

alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro”


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 575<br />

(1, 9). Paolo parla del Figlio di Dio piuttosto raramente. Lo fa nella<br />

prima lettera ai Corinzi solo due volte (ancora in 15, 28). Ma qui ove<br />

menziona la loro fondamentale vocazione da parte di Dio, chiama<br />

Gesù esplicitamente “il Figlio suo”. La comunione alla quale sono<br />

chiamati è quella con il Figlio di Dio e attraverso di lui con lo stesso<br />

Dio Padre. Sono chiamati ad essere figli con il Figlio. Non si può dubitare:<br />

il titolo del volume esprime in linguaggio biblico questa alta<br />

“vocazione dei fedeli in Cristo” nella quale è interessato il Concilio.<br />

La prima parte del volume viene presentata come “una specie di<br />

giustificazione biblica e storica dell’opzione filiale” (p. 21). Il primo<br />

capitolo si occupa dell’AT e descrive il rapporto fra Dio e il popolo<br />

d’Israele come un rapporto fra padre e figlio e usa spesso il termine<br />

“il popolo-figlio” (pp. 27-43). Si appoggia su testi importanti e impressionanti<br />

e sulla loro esegesi. Si constata chiaramente la differenza<br />

fra l’AT e il NT in quanto solo “con l’avvenimento di Gesù il rapporto<br />

filiale non è più solo estrinseco, giuridico e morale, ma «reale»,<br />

«ontologico»” (p. 43). Giustamente si mette in rilievo che alla base<br />

della morale è il rapporto personale fra Dio e il suo popolo; il popolo<br />

vive nel rapporto con il Dio vivente e non si riferisce, in un rapporto<br />

impersonale, a degli elenchi di leggi, virtù, ideali. Ma ci si può<br />

domandare se questo rapporto personale venga nell’AT compreso<br />

principalmente come un rapporto filiale. Vogliamo prescindere dal<br />

dato esterno statistico che solo una decina di testi dell’AT parlano del<br />

rapporto Dio-popolo nei termini di padre-figlio. Un concetto fondamentale<br />

dell’AT per questo rapporto è quello di ‘alleanza’. L’alleanza<br />

però non viene stipulata fra padre e figlio bensì fra sovrani o fra un<br />

sovrano e il suo vassallo. È anche indicativo che nel libro dei salmi nel<br />

quale assistiamo allo scambio più vivo e personale fra la persona umana<br />

e Dio, non si parla nei termini di ‘padre’ e ‘figlio’ (Sal 2; 89; 27-28<br />

sono riferiti al re davidico) ma in quelli di ‘Signore’ e ‘servo’. È certamente<br />

legittimo mettere in rilievo gli aspetti dell’AT nei quali si<br />

preparano e adombrano delle realtà che sono più chiare e centrali nel<br />

NT. Ma dobbiamo anche notare il contesto nel quale Israele utilizza<br />

raramente i termini ‘padre’ e ‘figlio’ per il rapporto fra Dio e l’uomo.<br />

Israele è circondato da popoli i cui dèi sono molto simili agli uomini,<br />

vengono generati e generano e si comportano in maniere poco degne.


576 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

In questo contesto Israele mette in rilievo la santità, la maestà e la trascendenza<br />

di Dio, cerca di evitare ogni malinteso e intende il rapporto<br />

fra Dio e l’uomo come quello fra Creatore e creatura. Tale insistenza<br />

rimane sempre valida e costituisce anche lo sfondo per comprendere<br />

giustamente la rivelazione neotestamentaria di Dio Padre e<br />

del Figlio di Dio in un senso reale e ontologico.<br />

Il secondo capitolo della prima parte (pp. 45-60) espone in modo<br />

riassuntivo e chiaro ciò che il NT, nei suoi diversi scritti, dice su Gesù<br />

Figlio di Dio e sulla sua rivelazione di Dio Padre. Non c’è dubbio<br />

che questa rivelazione costituisce il vero centro del NT ed anche la<br />

differenza più incisiva fra NT e AT. Ed è il più grande dono di Dio<br />

che egli ci assume come figli adottivi nel suo Figlio. Giustamente si<br />

menziona che gli scritti del NT in modo diversamente esplicito parlano<br />

di questa rivelazione e di questo dono. Possiamo chiamare Matteo<br />

il vangelo del Padre perché più spesso di ogni altro scritto menziona<br />

Dio come Padre degli uomini (20 volte) e Dio come Padre di<br />

Gesù (25 volte), sempre in chiara distinzione. Ancora più frequente è<br />

la menzione di Dio come Padre in Giovanni, ma sempre come Padre<br />

di Gesù (117 volte) e solo una volta come Padre dei discepoli (Gv 20,<br />

17); la netta distinzione si manifesta anche nel fatto che solo Gesù viene<br />

chiamato figlio (‘hyios’) mentre si usa il termine ‘fanciulli’ (‘tekna’)<br />

per gli altri (anche in 1 Gv). Il fatto che gli scritti del NT parlino di<br />

questo rapporto con relativa rarezza, può essere interpretato come indizio<br />

di quanto sia non comune e non scontato questo rapporto di figliolanza<br />

e di quanto sia assolutamente straordinario e inaspettato<br />

questo dono. Non in modo indipendente, autonomo ma solo in Gesù<br />

il Figlio possiamo essere figli, abbiamo accesso al Padre. Ed appartiene<br />

alla stessa natura e costituzione del Figlio – e dei figli nel Figlio –<br />

di essere orientati verso il Padre, di essere in comunione con il Padre.<br />

I due capitoli seguenti della prima parte, che presentano ‘la giustificazione<br />

storica’ (p. 21), hanno come criterio la Sacra Scrittura. Il<br />

terzo (pp. 61-85) valuta alcune tappe dello sviluppo della teologia<br />

morale secondo la loro fedeltà alla Sacra Scrittura. Mostra come essa<br />

fosse dominante nel tempo patristico e come più tardi altri fattori<br />

(giudizio sui peccati, obbligatorietà delle leggi) siano diventati prevalenti.<br />

Il quarto capitolo (pp. 87-103) espone poi come il Concilio Va-


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 577<br />

ticano Secondo si orienti completamente secondo la Sacra Scrittura<br />

e come chieda la stessa cosa per tutta la formazione teologica, inclusa<br />

la teologia morale.<br />

La seconda parte (pp. 107-180) con i suoi quattro capitoli appare<br />

come la parte veramente centrale e fondamentale. In essa viene chiaramente<br />

e profondamente mostrato chi è il Figlio e chi sono, rivelati<br />

attraverso di lui e radicati in lui, i figli. Tutta l’esposizione è basata<br />

sul mistero pasquale (“la croce gloriosa”) nel quale si manifesta secondo<br />

la sua vera e piena realtà il Figlio. In un amore sconfinato reciproco<br />

Gesù si rivela proprio come il Figlio che è stato mandato da<br />

Dio Padre, che ha ricevuto e riceve tutto dal Padre e che dona se stesso<br />

completamente e perfettamente al Padre. La rivelazione del Figlio<br />

è allo stesso tempo, e non separatamente ma in se stessa, la rivelazione<br />

dei figli. È il mistero pasquale che attesta lo smisurato amore di<br />

Dio Padre e di Gesù Figlio di Dio per noi uomini, ed è proprio questo<br />

amore che ci fa diventare figli di Dio e fratelli e sorelle del Figlio.<br />

Al centro è il Figlio e noi uomini siamo figli di Dio mai in un modo<br />

separato, indipendente, autonomo, ma solo e sempre in comunione<br />

con lui. Si intende da sé che questa comunione nell’essere deve attuarsi<br />

in una comunione nell’agire.<br />

Questa seconda parte è una vera esposizione di ciò che dice il NT.<br />

È basata principalmente sugli scritti giovannei e paolini che presentano<br />

la riflessione più approfondita ed esplicita sul mistero pasquale,<br />

ma si riferisce anche al vangelo di Marco e agli altri vangeli. L’esposizione<br />

è caratterizzata da un’ampia e precisa informazione sulla letteratura<br />

esegetica e da una profonda e fruttuosa riflessione su ciò che<br />

ci dicono i testimoni biblici. Non si cercano ‘dicta probantia’ per un<br />

sistema preconcepito, ma si cerca, con grande attenzione e apertura,<br />

di ascoltare e comprendere ciò che dicono gli scritti e si cerca di presentarlo<br />

in un modo fedele e organico. Non si può negare ma solo<br />

constatare un esemplare adempimento del desiderio espresso dal<br />

Concilio Vaticano Secondo.<br />

La terza parte “Il dinamismo etico dell’antropologia filiale” (pp.<br />

181-318) e la quarta parte “La vita filiale” (pp. 319-413) sono basate<br />

sul fondamento appena descritto e partecipano al suo radicamento<br />

nel NT. Sviluppano poi le loro tematiche in un continuo riferimen-


578 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

to alla Sacra Scrittura. Perciò possiamo dire che tutta l’opera alla cui<br />

presentazione assistiamo, è, secondo la richiesta del Concilio, “fondata<br />

sulla sacra Scrittura” (OT 16).<br />

Seconda parte. Qualche osservazione conclusiva<br />

Vorrei notare ancora che gli autori dell’opera sono molto gentili<br />

verso i loro lettori in quanto presentano le loro considerazioni in maniera<br />

veramente chiara e ordinata. Per me sono state specialmente utili<br />

le quattro introduzioni alle quattro parti. Mostrano nettamente la<br />

logica, ‘il filo rosso’ che connette le parti e i capitoli. Servono non solo<br />

come introduzioni ma anche durante la lettura si può tornare ad esse<br />

per orientarsi di nuovo e rendersi conto delle connessioni logiche.<br />

Riguardo poi al contenuto fa impressione il coraggio con cui si<br />

ascolta apertamente il messaggio biblico. È un ascolto vero e semplice,<br />

non storto e non condizionato e quasi assordito dalla preoccupazione:<br />

ma, i nostri destinatari, la generazione odierna cosa vogliono<br />

sentire, cosa sono disposti ad accettare? Non si tiene conto delle tante<br />

tendenze e desideri che sono orientati verso l’autarchia, l’autonomia,<br />

l’autodeterminazione, l’indipendenza, verso una libertà totale e<br />

assoluta. Ma si espone francamente la comprensione dell’essere e agire<br />

umani che è completamente determinata dalla persona del Figlio,<br />

da tutte le caratteristiche del suo rapporto con Dio Padre. Questa è<br />

una vita non in autarchia e in isolamento, ma in comunione, è una vita<br />

da figli nel Figlio. La comunione è ispirata dall’amore che Dio ha<br />

rivelato nel suo Figlio e viene vissuta nell’amore del prossimo.<br />

Si intende da sé che questa comprensione della vita umana è una<br />

sfida per la nostra fede. Con la grazia di Dio ci vuole il coraggio di<br />

ascoltare e seguire Gesù e di dare poi testimonianza della gioia e felicità<br />

che si sperimenta nella comunione con lui e con Dio Padre.<br />

In uno dei contributi dell’opera si dice: “Atanasio è affascinato dal<br />

rinnovamento che il Verbo ha portato nell’uomo e nel cosmo” (p.<br />

65). Abbiamo bisogno di tale fascino ed entusiasmo. Ciò che presenta<br />

il volume può essere un vero aiuto su questo cammino, si offre come<br />

acqua fresca attinta alla stessa sorgente.


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 579<br />

ASPETTI ETICI<br />

Angel Rodríguez Luño *<br />

Si deve notare innanzitutto che il volume “Figli nel Figlio. Una<br />

teologia morale fondamentale” intende offrire una trattazione rigorosamente<br />

cristiana e quindi teologica dell’etica. Si tratta di una scelta<br />

sostanziale di fondo che viene mantenuta coerentemente e senza<br />

tentennamenti lungo tutto il volume, dalla prima pagina fino all’ultima.<br />

Nella questione che apre tutta la Summa Theologiae, dice san<br />

Tommaso d’Aquino che la teologia (la «sacra doctrina») è un sapere<br />

che procede a partire dai principi conosciuti mediante la luce di una<br />

scienza superiore, cioè quella di Dio e dei beati 1 , e perciò si può affermare<br />

di seguito che la teologia è «velut quaedam impressio divinae<br />

scientiae» 2 . Una considerazione veramente teologica dell’etica deve<br />

essere imperniata per forza su ciò che la persona umana, il soggetto<br />

morale, è secondo la scienza divina comunicataci tramite la Rivelazione,<br />

e non solo su ciò che è, ma su ciò che dall’eterno è sempre stata,<br />

secondo quanto affermato dalla Lettera agli Efesini: prima della<br />

creazione del mondo il Padre ci ha scelti in Cristo «per essere santi<br />

e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere<br />

suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» 3 . L’uomo è stato creato<br />

per essere figlio nel Figlio, avendo questo “essere figlio” una valenza<br />

innanzitutto ontologica, e non solo morale. Certamente possiede<br />

anche una valenza morale, ma si tratta sempre, come detto più volte<br />

nel volume che presentiamo, di un agire che segue all’essere sul<br />

quale si fonda (per esempio pp. 183. 187). La più intima essenza di<br />

tale agire consiste nell’assumere consapevolmente la filiazione e<br />

quindi nel porsi di fronte al Padre, insieme con Cristo e lasciandosi<br />

* Professore stabile di teologia morale alla Facoltà di Teologia<br />

* della Pontificia Università della Santa Croce (Roma).<br />

1 Cf. Summa Theologiae, I, q. 1, a. 2 co.<br />

2 Ibid., I, q. 1, a. 3, ad 2.<br />

3 Ef 1, 4-5.


580 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

trascinare dallo Spirito, con una disposizione totale di lode, obbedienza<br />

e amore.<br />

Di questa scelta fondamentale si sono già occupati gli altri interventi.<br />

Ma era necessario riprenderla brevemente, perché altrimenti<br />

non si potrebbe comprendere l’intenzionalità profonda della parte<br />

etica, che consiste nel far sì che la fondazione cristologica informi e<br />

sia operante in tutte le tematiche etiche, e quindi nell’evitare accuratamente<br />

che essa finisca per essere una semplice prefazione o una<br />

considerazione giustapposta a una morale elaborata secondo altri criteri.<br />

Qui sta, a mio avviso, la maggiore originalità e l’intento principale<br />

della teologia morale fondamentale che ora ci viene proposta.<br />

Gli Autori del libro dimostrano coraggio e semplicità evangelica.<br />

Coraggio, perché non hanno paura di offrirsi come facile bersaglio a<br />

quanti potrebbero obiettare che procedendo in questo modo viene<br />

meno la comunicabilità e l’universalità dell’etica cristiana. Semplicità<br />

evangelica perché agiscono coerentemente con la loro convinzione<br />

che l’eterna predestinazione a essere figli nel Figlio, e a comportarsi<br />

come tali, rappresenti la più profonda verità e la regola morale<br />

ultima dell’uomo, di tutti e ciascuno degli uomini, qualunque sia<br />

la razza o la cultura umana alla quale appartengano. E così offrono<br />

direttamente un’etica teologica cristiana che, attendendo alla struttura<br />

profonda della persona umana e non alle regole pragmatiche per<br />

ottenere il consenso, è intrinsecamente umana, e perciò universale e<br />

riconoscibile. Per gli Autori di questo volume lo scopo della teologia<br />

morale fondamentale non è quello di rendere le norme etiche accettabili<br />

per coloro che non conoscono o che non accolgono Cristo, ma<br />

piuttosto quello di annunciare Cristo che, lungi da alterare o mortificare<br />

l’humanum, rappresenta la salvezza, la felicità e la vita di ogni<br />

uomo. Non è necessario avere una conoscenza molto profonda della<br />

prospettiva giovannea o di quella paolina per capire che dell’accoglienza<br />

del Figlio da parte dell’uomo non si può fare astrazione.<br />

Alla luce dell’impostazione teologica ora brevemente richiamata,<br />

la Parte Terza del libro affronta, lungo 7 capitoli (capp. 9-15), le tematiche<br />

più propriamente etiche della teologia morale fondamentale:<br />

l’agire morale filiale (cap. 9); la libertà filiale, corrispondenza nello<br />

Spirito all’amore del Padre (cap. 10); la coscienza morale filiale


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 581<br />

(cap. 11); i doni dello Spirito per l’agire filiale (cap. 12); le virtù per<br />

l’agire filiale (cap. 13); la legge di Dio per i figli (cap. 14); e l’allontanamento<br />

e ritorno alla casa del Padre: peccato e conversione (cap.<br />

15). La sola lettura dei titoli di questi capitoli mette in evidenza il<br />

proposito di offrire un trattamento delle diverse tematiche che sia<br />

unitario e coerente con l’antropologia filiale che sorregge tutto il libro.<br />

Nell’impossibilità di ripercorrere qui il contenuto dei 7 capitoli,<br />

mi soffermerò su alcuni aspetti tra i più significativi.<br />

Lo studio dell’agire morale filiale prende atto di quanto i tentativi<br />

di rinnovamento della teologia morale hanno detto sulla sequela<br />

Christi e sulla necessità di una mediazione antropologica (p. 185). Ma<br />

anche ne rileva i limiti, in quanto il legame dell’agire morale con Cristo<br />

non si può ridurre alla sola imitazione e neppure alla partecipazione<br />

all’autocoscienza di Gesù. «Il modello filiale [...] offre la possibilità<br />

di radicare la morale nella persona stessa del Figlio di Dio. È in<br />

lui, con lui e per lui che l’uomo filializzato può entrare nella perfezione<br />

del Padre, chiave di volta dell’agire morale cristiano. Cristo risorto<br />

esercita una potenza attrattiva, non solo mimetica, ma ontologica<br />

che tocca l’uomo nel suo cuore e lo porta a entrare, in lui e con<br />

lui, nella vita filiale e a manifestarla nel suo agire» (p. 185). Il dinamismo<br />

di fondo che orienta l’uomo «nel senso della gloria del Padre»<br />

(p. 189), e che fa sì che la vita morale «prima di essere una morale<br />

della perfezione di sé che dona la felicità», sia «una morale della glorificazione<br />

di Dio Padre» (p. 190), «è chiamato a manifestarsi nella<br />

concretezza delle scelte particolari dell’uomo, che lo portano a porre<br />

atti ben precisi degni del suo essere filiale» (p. 190). Lontani da ogni<br />

considerazione atomistica degli atti singolari, questi ultimi «hanno<br />

una valenza rivelatrice della dimensione filiale e, insieme, hanno il<br />

compito di portare a maturità l’icona filiale» (p. 190). «Il compimento<br />

di un atto significa la realizzazione o meno della persona filiale»<br />

(p. 191). Da questa prospettiva viene messo efficacemente in luce il<br />

carattere personalista della dottrina sulla specificazione morale delle<br />

azioni umane riproposta dall’enciclica Veritatis splendor (pp. 190-192).<br />

Nello stesso capitolo nono c’è un primo cenno al ruolo delle virtù.<br />

Intendo sottolineare unicamente che è veramente azzeccato far entrare<br />

in gioco subito il ruolo delle virtù teologali – fede, speranza e


582 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

carità –, cosa che per disgrazia non sempre avviene nei manuali di<br />

teologia morale.<br />

Il tema delle virtù viene ampiamente ripreso nel capitolo 13. Le<br />

virtù vengono studiate prima di aver proceduto allo studio della legge,<br />

che avviene nel capitolo 14. Ciò non è una novità assoluta. Così<br />

lo fa san Tommaso nella Prima secundae, e così lo fanno altri autori,<br />

non molti comunque. Ma il fatto mi sembra importante, perché rivela<br />

consapevolezza del ruolo delle virtù nella vita e nella riflessione etica,<br />

ed evita ogni visione normativista o legalistica della regola morale.<br />

Ugualmente importante è l’avviso secondo il quale, andando oltre<br />

la sistematica classica delle virtù cardinali e delle sue parti, viene evidenziato<br />

il ruolo di primo piano svolto dalla mitezza e dall’umiltà,<br />

«virtù morali fondamentali dei figli del Padre» (p. 260), perché costituiscono<br />

l’atteggiamento di fondo di Gesù. La scelta viene giustificata<br />

in modo soddisfacente svolgendo la prospettiva relazionale articolata<br />

nei «quattro grandi orizzonti dell’umiltà filiale» (pp. 263-265).<br />

Il capitolo 10 affronta il difficile problema della libertà. La prospettiva<br />

dell’antropologia filiale consente di superare l’autoreferenzialità<br />

chiusa di certe concezioni moderne (p. 201), senza tuttavia venir<br />

meno a ciò che di irrinunciabile c’è nel concetto di autonomia. La libertà<br />

umana è un dono che viene dal Padre e a Lui deve tornare (pp.<br />

210. 215), ma questo essenziale riferimento scaturisce dall’essere stesso<br />

dell’uomo, che nella sua verità più profonda è figlio.<br />

Forse è il delicatissimo tema della coscienza dove l’approccio teologico<br />

di quest’opera dimostra tutta la sua fecondità. Le riflessioni<br />

iniziali sulla coscienza come presenza incoativa di Cristo nell’uomo<br />

(pp. 221-224) sono veramente suggestive. Alla luce del Vangelo e delle<br />

più belle pagine di Newman sulla coscienza il capitolo 11 si sofferma<br />

sulla corrispondenza tra il Figlio e la coscienza dell’uomo (pp.<br />

225-231) e sulla presenza dello Spirito Santo. Lo studio si conclude<br />

affrontando il problema della formazione della coscienza all’interno<br />

della Chiesa (pp. 236-239). Pregevoli sono le considerazioni finali<br />

sull’apertura della coscienza cristiana alla storia (pp. 239-240).<br />

Il capitolo 14, dedicato allo studio della legge, parte dalla convinzione<br />

che alla luce dell’antropologia filiale il trattato sulla legge «può<br />

essere recuperato in un senso scritturistico e personalista, superando


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 583<br />

una concezione “astratta” e “negativa” della legge» (p. 275). Mi sembra<br />

che sia molto importante che la legge eterna venga presentata come<br />

«ordinatio universale alla filiazione» (p. 277). Sono infatti convinto<br />

che non esista migliore espressione del centro dell’eterno disegno<br />

di Dio che le parole della Lettera agli Efesini prima citate. Come affermò<br />

Giovanni Paolo II: «la predestinazione precede “la fondazione<br />

del mondo”, cioè la creazione, giacché questa si realizza nella prospettiva<br />

della predestinazione dell’uomo. Applicando alla vita divina le<br />

analogie temporali del linguaggio umano, possiamo dire che Dio [...]<br />

“prima” elegge [l’uomo], nel Figlio eterno e consostanziale, a partecipare<br />

alla sua figliolanza (mediante la grazia), e solo “dopo” (“a sua<br />

volta”) vuole la creazione, vuole il mondo, al quale l’uomo appartiene.<br />

In questo modo il mistero della predestinazione entra in un certo<br />

senso “organicamente” in tutto il piano della Divina Provvidenza» 4 .<br />

A partire da questa prospettiva non è teologicamente illegittimo<br />

parlare della legge naturale in prospettiva filiale (p. 279), in quanto<br />

che l’intelligenza umana coglie la legge eterna, che è stata definita prima<br />

come un «ordinatio filiale» (p. 277). Così si evita certamente che<br />

l’affermazione della giusta autonomia dell’ordine naturale porti ad un<br />

estrinsecismo con l’ordine soprannaturale (p. 279) e non si toglie nulla<br />

alla gratuità della filiazione effettiva (p. 282). D’altra parte – si aggiunge<br />

nel testo – questa prospettiva non dimentica «lo schema tradizionale<br />

secondo il quale si afferma la capacità naturale della ragione di<br />

accedere alla verità» (p. 282). Ciò che si fa è muovere «dal Cristo<br />

all’humanum e dunque alla ragione. Con ciò si tenta una fondazione<br />

ancora più forte della dignità della ragione, messa in pericolo dal pensiero<br />

debole» (p. 282). La enciclica Veritatis splendor, si afferma ancora<br />

nel testo, presenta la legge naturale come «riflesso nell’uomo dello<br />

splendore del volto di Dio» (VS 42), e «giustifica la legge naturale<br />

teologicamente (VS 45), rimandando al progetto unico voluto dall’amore<br />

del Padre: fare dell’uomo l’icona del Figlio» (p. 282). Tale progetto<br />

implica che vi sia nell’humanum «come un decalco, una traccia,<br />

4 GIOVANNI PAOLO II, Discorso 28-V-1986, n. 4: Insegnamenti, IX-1 (1986)<br />

1699. Si veda anche Discorso 5-III-1986, n. 3: Insegnamenti, IX-1 (1986) 614-615.


584 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

un’impronta di questa filiazione, impronta che è riconoscibile nell’essere<br />

persona o nell’essere-in-relazione-con-l’Altro» (p. 282).<br />

L’espressione «legge naturale “filiale”» (p. 281), anche se filiale<br />

viene messo tra virgolette, è certamente audace e poco convenzionale.<br />

Tuttavia penso che sia teologicamente legittima, nel senso che andando<br />

alla verità profonda delle cose, così come può essere vista compiutamente<br />

alla luce della Rivelazione, la legge morale naturale è un<br />

ordinamento oggettivamente cristocentrico, nel senso indicato sopra:<br />

la ragione è in grado di cogliere e di elaborare, in virtù delle sue forze<br />

naturali, un ordine che oggettivamente è un frammento di un ordine<br />

divino più ampio che ha il suo centro nella destinazione di ogni<br />

uomo alla filiazione adottiva in Cristo.<br />

Mi permetterei tuttavia di proporre due suggerimenti. Il primo è<br />

che se il concetto di legge morale naturale deve avere un suo senso<br />

specifico, si deve sostenere con uguale forza una sua relativa autonomia<br />

gnoseologica, nel senso che dal punto di vista dell’acquisizione<br />

del nostro sapere la legge morale naturale continua a possedere<br />

un’intelligibilità propria in termini di ragionevolezza morale (recta<br />

ratio). L’enciclica Veritatis splendor parla a questo proposito di una<br />

«giusta autonomia della ragione pratica» (VS 40), e ciò significa che<br />

esiste un livello di conoscenze etiche fondamentali che si muove all’interno<br />

di una metodologia razionale specifica, che in linea di principio<br />

non ha bisogno della metodologia teologica, anche se attraverso<br />

questa riceverà certamente un’ulteriore e più solida fondazione.<br />

Così l’ambito della legge morale naturale è per eccellenza l’ambito in<br />

cui è sempre possibile il dialogo con i non credenti, ed è anche l’ambito<br />

in cui è determinante – anche per motivi teologici – usare la ragione<br />

con rigore, facendo il massimo sforzo per adeguare gli schemi<br />

interpretativi a ciò che veramente è l’attività morale umana.<br />

Il secondo suggerimento parte da una riflessione sul testo di Rm 2,<br />

14-15, dal quale prende giustamente le mosse il paragrafo dedicato<br />

alla legge naturale. San Paolo richiama la legge scritta nel cuore in<br />

rapporto ai pagani, per mostrare che essi, pur non avendo ricevuto la<br />

legge di Mosè, sono ugualmente inescusabili, perché avevano un’altra<br />

legge alla quale però non hanno dato ascolto. Riguardo agli ebrei<br />

il richiamo alla legge scritta nel cuore sarebbe stato inutile, appunto


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 585<br />

perché loro conoscevano i precetti morali in forma più immediata<br />

mediante la legge di Mosè. Con questo intendo dire che se è vero che<br />

la fondazione teologica della legge morale naturale a partire dalla<br />

prospettiva filiale è oggettivamente vera e ne costituisce un valido<br />

rafforzamento, è anche vero che la legge naturale dovrebbe essere un<br />

aiuto soprattutto per coloro che la prospettiva teologica filiale non la<br />

raggiungono o non l’hanno raggiunta ancora. Attraverso un dialogo<br />

sulla legge naturale queste persone dovrebbero essere portate a scoprire<br />

la traccia, l’impronta che la destinazione alla filiazione adottiva<br />

lascia negli strati più profondi del cuore umano.<br />

Questi due miei suggerimenti intendono contestualizzare, e non<br />

certo criticare, l’impostazione teologica sviluppata lungo il libro. Se<br />

non ho capito male, il presente volume non ha la pretesa di dire tutto<br />

ciò che potrebbe essere detto, e che già altri hanno detto, sulle tematiche<br />

studiate. Piuttosto intende colmare una lacuna che certamente<br />

c’è in non pochi tentativi di rinnovamento della teologia morale<br />

postconciliare. Di fronte ad alcune di queste proposte ci si trova<br />

spesso come di fronte ad un uomo zoppicante, perché ha una gamba<br />

più lunga dell’altra: una delle gambe, la ragione, è ben più lunga dell’altra,<br />

la fede, dato che l’approccio propriamente teologico viene ingiustamente<br />

relegato all’ambito dell’intenzionalità e delle motivazioni<br />

interne. A me sembra che il rapporto ragione-fede in teologia morale<br />

deve essere concepito, sulla base di una cristologia adeguata, secondo<br />

uno schema non dialettico, ma «sponsale», come diceva<br />

Scheeben, in modo che si può considerare Cristo, «l’Uomo-Dio quale<br />

risulta dai due principi di attività, quello della natura divina e quello<br />

della natura umana, come tipo della relazione tra la ragione e la fede in<br />

quanto sono due principi di conoscenza» 5 . Così si prende sul serio la logica<br />

dell’Incarnazione. In questo senso, il libro che oggi presentiamo<br />

rappresenta, a mio avviso, un contributo la cui necessità si faceva sentire<br />

vivamente, e che è da ricevere con gioia e sentito ringraziamento<br />

verso gli Autori.<br />

5 M. J. SCHEEBEN, I misteri del Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1960 3 , 797.


586 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

L’IMPOSTAZIONE FILIALE<br />

Ignazio Sanna *<br />

1. La prima domanda spontanea dinanzi al volume Figli nel Figlio:<br />

Una teologia morale fondamentale è: perché un altro testo di morale<br />

fondamentale? Dopo tutto, un testo di morale fondamentale si concentra<br />

sui contenuti di base della morale e questi non cambiano da<br />

una stagione culturale all’altra. Le contingenze storiche e le stagioni<br />

culturali possono spingere i teologi ad occuparsi di problematiche<br />

speciali. Ma i fondamenti sono sempre gli stessi. C’era, dunque, bisogno<br />

di un testo nuovo, e soprattutto di un testo con questa impostazione<br />

particolare? Ora, siccome una risposta è valida se incrocia<br />

una domanda giusta, la domanda giusta, a mio parere, è questa: una<br />

morale filiale è richiesta dallo spirito del tempo? Risponde alle attese<br />

della gente e ai problemi dei fedeli? Per venire incontro a queste<br />

domande, il mio intervento, di conseguenza, si divide in due parti: la<br />

prima vuole rispondere alla domanda se la richiesta di filialità sia veramente<br />

urgente e attuale; la seconda risponde alla domanda se il volume<br />

presenti di fatto una vera indole filiale, che venga incontro al bisogno<br />

esistenziale del tempo.<br />

2. Per quanto riguarda la prima domanda, mi pare che non si possa<br />

negare che la richiesta di filialità sia oggi più urgente che mai e<br />

che tale urgenza sia determinata dalla crisi della figura e del ruolo<br />

del padre. Dal punto di vista sociale, il padre è molto spesso assente<br />

dalla famiglia, intesa, questa, ovviamente, come istituzione sociale e<br />

non solo come casa paterna e materna. L’organizzazione sociale costringe<br />

spesso l’uomo fuori dalla famiglia. Esiste come una forza<br />

centrifuga che lo allontana dalla famiglia, lo porta lontano dall’esercizio<br />

della paternità. Dal punto di vista biologico, poi, fenomeni temuti<br />

come la clonazione umana, che produce più fotocopie di genitori<br />

che figli, o fenomeni attuali come la procreazione eterologa,<br />

* Arcivescovo Metropolita di Oristano, Sardegna.


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 587<br />

che, in quanto tale, dà la vita a nuovi esseri umani ma non a dei figli,<br />

ne minacciano la scomparsa della stessa origine per così dire naturale.<br />

La famiglia in quanto comunione di persone e coppia di uomo<br />

e donna è trasformata in un laboratorio chimico e i genitori naturali<br />

sono trasformati in semplici committenti esterni. In ultima<br />

analisi, società e biologia, cultura e natura sembrano rendere difficile<br />

sia l’esercizio che la stessa origine della paternità. In realtà, il padre,<br />

se è solo considerato come genitore, è ridotto al ruolo di un<br />

soggetto di diritti e doveri davanti alla legge, perché proprietario di<br />

un seme che dà l’esistenza ad un altro individuo diverso da sé. Ma<br />

nei confronti di questo individuo altro da sé egli non diventa un interlocutore<br />

carico di affetto e di amore. Il rapporto di paternità, speculare<br />

a quello di filialità, si stabilisce solo tra due persone e non tra<br />

due cellule. Il padre, in quanto tale, non è di per sé il genitore, perché<br />

esiste la figura del padre adottivo, del padre spirituale, che non<br />

implica la generazione fisica. Ma anche il genitore, di per sé, non è<br />

il padre, perché non basta generare un figlio per avere con esso un<br />

rapporto di paternità. Per generare basta l’unione di due cellule. Per<br />

essere padre è necessario l’incontro di due volontà e di due libertà.<br />

Possiamo dire che basta un istante per diventare genitore, mentre è<br />

necessaria una vita intera per essere padre. Se il genitore non diventa<br />

padre, rimane solo sul piano puramente biologico. Se invece il genitore<br />

diventa padre, allora passa dal piano biologico a quello più<br />

propriamente umano.<br />

Questa constatazione della realtà sociale e biologica della paternità<br />

aiuta a capire meglio ed interpretare correttamente la realtà soprannaturale<br />

della medesima. Se, infatti, dall’ordine della natura passiamo<br />

a quello della grazia, dall’ordine della storia, cioè, a quello della<br />

fede, il problema genitore-padre si pone anche nei confronti di come<br />

noi viviamo il nostro rapporto con Dio e di come concepiamo il<br />

rapporto di Dio con noi. Non è difficile constatare, a mio giudizio,<br />

che Dio, talvolta o anche spesso, viene da molti considerato più come<br />

un genitore che come un padre. Molti cristiani vivono il loro rapporto<br />

con Dio solo come il genitore della loro vita fisica, il creatore<br />

della loro esistenza terrena, l’orologiaio che ha dato la carica iniziale<br />

al corso della loro esistenza, ma non come un padre che si cura di lo-


588 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

ro e che vive con loro e per loro. Dio sarebbe un Dio dell’inizio del<br />

tempo, ma non un Dio della vita presente e futura.<br />

Ora, data questa situazione, si ha bisogno di una idea pura di Dio<br />

e questa, a mio parere, la si ottiene soprattutto se Dio viene concepito<br />

come padre. Infatti, il vero nome di Dio è: “padre”. È questo il nome<br />

che Gesù stesso ha dato a Dio. Non per nulla, la prima verità e,<br />

forse, anche la più importante del simbolo apostolico, in diretta derivazione<br />

dall’evento del Cristo, è la paternità di Dio. Già il Canto di<br />

Mosè, nel Deuteronomio, proclama che il Dio che si è preso cura di<br />

Israele è “il padre che vi ha dato la vita, che vi ha creati e resi sicuri”<br />

(Dt 32, 6). Ma è soprattutto nel NT che Gesù benedice il Signore del<br />

cielo e della terra, perché è Padre (Mt 11, 25); che diventa egli stesso<br />

Signore dell’universo, “a gloria di Dio Padre”(Fil 2, 11). Il Padre crea<br />

nel Figlio, perché tutte le cose sono state create per mezzo di Lui ed<br />

in Lui (Col 1, 16).<br />

La preghiera cristiana per eccellenza chiama Dio padre. In tutte<br />

le formule dei simboli primitivi di fede battesimale e in tutte le varianti<br />

del simbolo apostolico Dio è affermato come padre, anche<br />

quando non è affermato come creatore. Il concetto di creatore è assorbito<br />

da quello di padre. Il pantocràtor è il Deus pater omnipotens.<br />

Il Dio cristiano, dunque, è un Dio Padre, non il Dio di Parmenide,<br />

ma il Dio di Gesù Cristo. Il Dio Padre di Gesù, colui che lo Spirito<br />

ci suggerisce di chiamare Abbà, Padre, è ridiventato, con il tempo, il<br />

Dio onnipotente, il Signore degli eserciti, l’espressione d’un volere<br />

arbitrario, che sta alla base di tante alienazioni esistenziali e sociali<br />

dell’uomo. Il volto di Dio che è stato percepito per primo dall’esperienza<br />

cristiana è, però, quello di padre. In esso sta l’originalità e la<br />

specificità della concezione cristiana della creazione. Gesù ha rivelato<br />

che l’onnipotenza di Dio si identifica con la sua paternità e si<br />

esercita generando. Egli, nella sua preghiera di lode, chiama “Padre”<br />

il “Signore del cielo e della terra”, il Signore dell’universo (Lc 10,<br />

21). Il rapporto delle creature con Dio creatore è percepito come un<br />

rapporto interpersonale, e non come un rapporto di causalità, in dipendenza<br />

da un principio di onnipotenza, da un primo motore immobile,<br />

o da un demiurgo. È necessario, allora, nel nostro rapporto<br />

con Dio, una specie di ritorno alle origini, e concepire il Dio crea-


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 589<br />

tore più che in termini di onnipotenza, in termini di paternità. Bisogna<br />

ritornare dal principio di causalità filosofico aristotelico al<br />

principio di paternità provvidente dei primi simboli di fede. Bisogna<br />

recuperare la valenza provvidenziale, amorosa, paterna dell’idea di<br />

pantokràtor, perché solo questa permette una migliore valorizzazione<br />

della dimensione comunionale e relazionale di cui è intessuta<br />

l’intera esistenza umana.<br />

Si può anche non essere d’accordo con la tesi difesa dai postnietzschiani,<br />

secondo cui la comprensione dell’essere come volontà di potenza<br />

avrebbe origine nell’idea del Dio biblico creatore dal nulla, la<br />

quale sarebbe alla base anche della concezione del dio orologiaio e<br />

architetto del deismo. Ma si può senz’altro sostenere che una sorgente<br />

dell’ateismo moderno in Occidente sia stata la progressiva degradazione<br />

cui l’idea di Dio è andata soggetta in larghi settori della<br />

cultura dal XVII al XIX secolo. Il dio orologiaio, il dio grande e indifferente<br />

architetto dell’universo sono raffigurazioni instabili di un<br />

essere che, sempre più lontano e silenzioso negli infiniti spazi del cosmo,<br />

prima o dopo non dà più segni di vita e sfocia quasi inevitabilmente<br />

nell’ateismo.<br />

A mio avviso, uno dei meriti principali di questo volume sta nel<br />

fatto che aiuta fortemente a concepire Dio come padre e vivere il<br />

rapporto filiale con Lui più come padre che come genitore. La preghiera<br />

cristiana per eccellenza, di fatto, chiama Dio padre e non genitore.<br />

Penso, però, che sia possibile e anche doveroso concepire Dio<br />

come padre, a condizione che si segua come via privilegiata per giungere<br />

ad un tale concetto non la comprensione ma l’esperienza di Dio<br />

come padre. Dio lo si trova nell’esperienza di un incontro, come è attestato<br />

dalla stessa Scrittura, la quale, più che fare un discorso su Dio,<br />

racconta la storia di una presenza e di un’opera di Dio e di una sua<br />

relativa esperienza. Conseguentemente, Dio non è un concetto da<br />

capire, ma una realtà da vivere ed un’esperienza da fare.<br />

Se è vero, ora, che si arriva al concetto di Dio padre attraverso la<br />

via privilegiata dell’esperienza, dobbiamo tener presente il fatto che<br />

il primo che ha sperimentato e pregato Dio come padre è stato il suo<br />

figlio Gesù. Egli era il Figlio. È stato generato da Dio Padre. In un<br />

certo senso, solo lui sarebbe autorizzato a pregare Dio come padre,


590 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

anche se i testi biblici che ci descrivono Gesù che prega Dio come<br />

padre non sono molti e si raggruppano sostanzialmente in Gv 17,<br />

cioè nella preghiera per la conservazione dell’unità dei discepoli. Sono<br />

molto più numerosi i testi in cui Gesù più che parlare in prima<br />

persona al Padre parla in terza persona del Padre, e, ciò facendo, indica<br />

Dio come padre ai discepoli. Questo fatto fa capire che Gesù ha<br />

dato sì un esempio di esperienza concreta di Dio come padre, ma ha<br />

anche fornito una indicazione ai discepoli, perché anch’essi facciano<br />

lo stesso e provino la stessa esperienza. Già nella sua esistenza storica<br />

Gesù aveva coscienza della sua verità, cioè di essere veramente il<br />

Figlio di Dio. Giovanni lo sottolinea a tal punto da affermare che fu,<br />

in definitiva, per questo, che fu respinto e condannato: infatti “i Giudei<br />

cercavano di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma anche<br />

chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5, 18). Negli<br />

eventi dell’orto del Getsemani e del Calvario, la coscienza umana<br />

di Gesù sarà sottoposta alla prova più dura. Tuttavia neanche la tragedia<br />

della passione e della morte potrà intaccare la sua tranquilla<br />

certezza di essere il Figlio del Padre celeste.”<br />

Il cristiano, allora, può sentire e pregare Dio come padre, seguendo<br />

l’esempio di Gesù. Ma se egli segue l’esempio di Gesù, vede che<br />

questi ha pregato Dio come padre soprattutto nel momento della<br />

preparazione alla sua passione e in quello dell’abbandono supremo<br />

sulla croce. Sulla croce, Gesù ha pregato sia con le parole del Salmo<br />

21 che chiama Dio “Signore” e non padre, nel vangelo di Matteo, sia<br />

con le parole del suo cuore, che hanno espresso l’affidamento totale<br />

alle mani del Padre, nel vangelo di Luca. Il Dio Signore che abbandona<br />

il figlio al suo destino di morte è anche il Dio Padre che accoglie<br />

l’abbandonato e la consegna della vita del figlio. Questa duplice<br />

preghiera di grido, di abbandono, e di manifestazione di fiducia<br />

esprime molto bene tutta la distanza drammatica tra il genitore e il<br />

padre, tutta la lotta tra il sentirsi abbandonato ed il sentirsi amato, tra<br />

la solitudine che porta alla morte e la fiducia che porta alla vita. In essa<br />

c’è il grido disperato per un Dio che sembra scomparso come padre<br />

e viene percepito solo come genitore. Ma c’è anche l’abbandono<br />

fiducioso a un Dio che è padre, proprio perché è genitore. Penso che<br />

la distanza drammatica vissuta da Gesù tra Dio concepito come ge-


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 591<br />

nitore e Dio concepito come padre dia ragioni di conforto e di coraggio<br />

a tutti coloro che vivono momenti di disperazione e di abbandono.<br />

Quante volte, infatti, il credente vede in Dio il Signore della<br />

vita e della storia, il Creatore dell’universo, l’Onnipotente, ma non il<br />

Dio Padre che ascolta e perdona! Il dinamismo della morale filiale,<br />

prospettato dal volume curato da R. Tremblay e S. Zamboni, offre<br />

una via maestra per vivere l’identità cristiana non come un insieme di<br />

doveri ma come una risposta di gratitudine.<br />

3. Per dare una risposta alla seconda domanda, relativa alla documentazione<br />

dell’indole filiale del presente volume di morale fondamentale,<br />

si può partire dalla constatazione che il nucleo dell’antropologia<br />

cristiana e della pedagogia è stato costituito finora dalla categoria<br />

dell’uomo “immagine di Dio”, mentre il volume presenta un<br />

nuovo indirizzo: la dignità dell’uomo è centrata nel suo essere “figlio<br />

di Dio”. Questo fatto costituisce, di per sé, una novità e una specificità<br />

nell’impostazione dell’antropologia cristiana. Perché, finché<br />

si prende come paradigma antropologico l’immagine, si rimane ancora<br />

nell’area semantica della cultura classica, nella quale Platone e<br />

Plotino, nel descrivere la natura dell’uomo, ne hanno tematizzato la<br />

parentela divina, la syn-ghéneia. La morale filiale, invece, propone<br />

qualcosa di scandaloso e di nuovo: la figliolanza divina. Figlio di Dio<br />

non è l’imperatore, il faraone, ma l’uomo creato da Dio e redento<br />

dal Figlio di Dio. Ogni uomo è figlio di Dio, perché Dio è Padre di<br />

tutti. L’antropologia dell’immagine si evolve nell’antropologia filiale.<br />

In questo modo, il rapporto tra cristologia e antropologia è previo<br />

a quello tra cristologia e morale. L’essere cristologico determina<br />

l’agire cristologico. La categoria della filiazione è determinante sia<br />

per comprendere l’identità di Gesù di Nazareth (figlio di Dio, Unigenito,<br />

Primogenito) sia l’identità dell’essere umano (figlio nel Figlio).<br />

Certamente, come osserva Luigi Lorenzetti, l’antropologia filiale<br />

non è l’unica né l’esclusiva negli scritti del NT, ma delinea un<br />

tratto fondamentale per la comprensione dell’uomo, analogamente<br />

al posto che occupa il titolo cristologico Figlio di Dio, rispetto ad altri<br />

titoli (p. 13).


592 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

3.1. Il volume “Figli nel figlio”, nella prima parte dedicata alla rilettura<br />

della tradizione morale cristiana in prospettiva filiale, fa vedere<br />

che già nell’AT la morale dell’alleanza possiede una struttura filiale<br />

fondata sulla relazione che esiste tra Dio e il suo popolo-figlio. Infatti,<br />

secondo F. X. Durrwell, “l’alleanza tra questo popolo e Dio è<br />

quella della paternità e della filiazione, quella di un padre che dona<br />

l’essere e di un figlio che lo riceve” 1 , senza tuttavia raggiungere il tipo<br />

di relazione che i profeti possono solo intravedere con l’avvento<br />

del Messia. A. M. Jerumanis osserva che senza l’idea del popolo-figlio<br />

e della morale dell’alleanza, alla morale filiale del NT mancherebbe<br />

un fondamento che permetta di cogliere tutta la sua importanza. Tra<br />

la struttura filiale della morale dell’alleanza nell’AT e la morale filiale<br />

del NT esiste una continuità nella discontinuità, poiché con l’avvenimento<br />

di Gesù il rapporto filiale non è più solo estrinseco, giuridico<br />

e morale, ma reale, ontologico (p. 42-43). Nel NT, la struttura<br />

filiale morale si fonda sulla persona di Cristo, che introduce in una<br />

nuova alleanza Dio e l’umanità e porta a compimento la promessa<br />

fatta ai profeti rendendo l’uomo realmente partecipe, mediante il dono<br />

dello Spirito filiale, della sua figliolanza.<br />

Gesù distingue tra la sua figliolanza e quella dei discepoli quando<br />

parla del Padre mio e del Padre vostro (Mt 5, 45; 25, 34; Lc 24, 49).<br />

Questa differenza ha un fondamento ontologico; la singolarità della<br />

relazione filiale di Gesù dipende dal suo essere nel Padre. La paternità<br />

di Dio si manifesta nell’arco di tutta la vita di Gesù: all’origine<br />

(Lc 1, 32-35; 2, 49), nella sua missione (Mt 3, 17) e nella sua passione<br />

(Mt 26, 26-29; Lc 23, 34).<br />

L’alleanza che faceva del popolo il figlio primogenito viene portata<br />

a compimento escatologico da Gesù, lui, il primogenito fra molti<br />

fratelli (Rm 8, 29). L’alleanza nuova non avviene per mezzo dei riti sacrificali<br />

esterni, ma in virtù dell’essere di Gesù Cristo che offre se<br />

stesso al Padre nello Spirito (Eb 9, 14). La morale filiale è così intrinsecamente<br />

morale eucaristica, perché morale della nuova alleanza,<br />

istituita nel sangue di Cristo (Mt 26, 28; Lc 22, 20; 1Cor 11, 25),<br />

1 F. X. DURRWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, Città Nuova, Roma 1988 4 , 40.


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 593<br />

la cui legge è il comandamento nuovo che scaturisce da un cuore rinnovato<br />

dallo Spirito (p. 59).<br />

3.2. Dopo un rapido esame delle tappe significative della Tradizione,<br />

dal periodo patristico alla teologia morale del postconcilio, la<br />

seconda parte prende in esame i fondamenti cristologici dell’antropologia<br />

filiale. Si lancia uno sguardo in alto e ci si porta al livello della<br />

decisione eterna di Dio di introdurre l’uomo nella sua intimità. Da<br />

questo punto di osservazione si constata che il disegno di Dio costituisce<br />

una priorità ontologica e ci si rende conto che la creazione è<br />

già inclusa in questo disegno come condizione della sua realizzazione.<br />

Essa, perciò, è “seconda” rispetto alla priorità assoluta dell’amore<br />

di Dio. Già Karl Barth aveva espresso questa convinzione asserendo<br />

che l’alleanza è il fine interno della creazione, mentre la creazione<br />

è il presupposto esterno dell’alleanza 2 .<br />

In questo stretto rapporto di alleanza e creazione, di amore e libertà,<br />

la croce di Gesù non è uno strumento di castigo divino inflitto<br />

in un secondo tempo, ma è la teofania dell’amore del Figlio incarnato,<br />

tanto che si può affermare che “la croce è piantata nel cuore<br />

dell’eternità”, come scrive R. Tremblay (p. 141). Il cuore del sacrificio<br />

di Gesù, che porta a compimento eccedente l’intenzione originaria<br />

del Padre, e cioè il generare il Figlio nel vinculum caritatis dello<br />

Spirito Santo, sta precisamente in questa dedizione libera, assoluta,<br />

incondizionata, filiale (p. 138).<br />

Lo studio di A. Chendi sulla croce gloriosa, rivelazione del Dio<br />

che è amore, dimostra che la paternità e la filiazione e la reciprocità<br />

del donarsi e dell’accogliersi come donato definiscono l’essere stesso<br />

di Dio come Amore. Il primo amato come Altro da Dio e in Dio è il<br />

Figlio, nel quale la stessa creazione e in particolare l’uomo sono da<br />

sempre eletti per essere resi partecipi della relazione filiale, a immagine<br />

del Figlio eterno di Dio. Si costituisce, così, una precedenza ontologica<br />

secondo la quale, se l’uomo è stato creato nella e per la li-<br />

2 K. BARTH, Die kirchliche Dogmatik, vol. III, Die Lehre von der Schoepfung,<br />

Zürich 1972, 44.


594 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

bertà filiale, per essere assimilato al Figlio eterno, non potrà essere<br />

l’uso distorto di tale libertà, e cioè il peccato, a condizionare il disegno<br />

di Dio nella sua attuazione. È il Figlio, invece, ad avere questa<br />

priorità. È lui che l’ha avuta, quando è andato fino al limite infimo al<br />

quale può giungere la libertà dell’uomo peccatore, per ricondurlo così<br />

nell’abbraccio paterno (p. 140).<br />

Nel descrivere la realizzazione e il fondamento del disegno divino<br />

di filiazione, R. Tremblay distingue anzitutto il fondamento immediato<br />

dell’agire morale, che è il credente, dal fondamento ultimo, che<br />

è il Cristo. Il Cristo modella il credente, perfeziona, cioè, quel processo<br />

di assimilazione divina iniziato con il battesimo, nella misura in<br />

cui gli dona la filiazione adottiva. Il dono della filiazione si inserisce<br />

negli elementi costitutivi dell’essere del credente al punto da poter<br />

dire che i figli prolungano la relazione del Figlio con il Padre in questo<br />

mondo e nell’altro. Passando, poi, alla descrizione del modo con<br />

cui il Cristo determina la costituzione stessa dell’uomo, Tremblay<br />

elenca quattro forme di solidarietà con l’uomo implicate nella sua incarnazione,<br />

nella sua morte e nella sua risurrezione. Gesù è solidale<br />

con l’umanità per somiglianza, perché la sua umanità è del tutto reale;<br />

per ricapitolazione, perché in lui si trovano ricapitolati il peccato<br />

di Adamo e i peccati di tutta l’umanità; per eccellenza, che è salvifica<br />

in quanto, mediante essa, il Figlio ci riconduce nell’intimità del mistero<br />

del Padre dopo averci purificato dal peccato che ne bloccava<br />

l’accesso; per naturale rapporto tra autore ed opera, in quanto nel mistero<br />

pasquale che fa di Gesù l’Uomo per eccellenza, l’eschatos, si costituisce<br />

una compatta unità del come noi, con noi e più che noi. Il Cristo<br />

in se stesso, nella sua identità di Redentore, di eschatos, e, per questo,<br />

di Creatore, di protos, raggiunge, tocca l’essere dell’uomo concreto<br />

e storico determinandone la consistenza (p. 141-163).<br />

Per il fatto che Gesù, in realtà, entra a far parte della definizione<br />

ontologica dell’uomo, può a buon diritto essere considerato come il<br />

fondamento ultimo dell’agire morale dei cristiani. Va precisato, comunque,<br />

che la trasformazione dell’uomo è l’opera delle tre persone<br />

della Trinità impegnate nel mistero pasquale. È tramite lo Spirito del<br />

Figlio – Figlio che il Padre invia nel mondo – che il credente riceve<br />

la sua dignità filiale. Se si prende in considerazione il dono della fi-


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 595<br />

liazione divina oltre che dall’alto o dal punto di vista della sua sorgente<br />

divina, dal basso, cioè dal punto di vista di ciò che produce nell’uomo,<br />

grazie alla venuta nella nostra carne del Verbo-Figlio inviato<br />

dal Padre, il dono dell’adozione filiale, fa del credente un dio, lo rende<br />

capace come uomo di comprendere e di vedere Dio, di entrare in<br />

comunione con l’essere stesso del Figlio e del Padre, di condividere<br />

l’immortalità e l’incorruttibilità propria di Dio e di vivere secondo gli<br />

atteggiamenti del Figlio morto e risorto, l’obbedienza al Padre. Questo<br />

dono è mediato dallo Spirito del Figlio concesso in caparra prima<br />

e in pienezza poi. La presenza del Cristo ai credenti, infine, si perfeziona<br />

nel sacramento dell’eucaristia. In questo modo la cristologia<br />

determina l’antropologia (p. 165-180).<br />

In sintesi, la condizione nuova nella quale si trova l’essere umano<br />

in seguito alla venuta di Gesù è ontologicamente la filialità. Questa<br />

consiste nel dono di grazia attraverso il quale l’uomo è chiamato a<br />

partecipare alla dignità del Figlio di Dio incarnato, crocifisso e risorto,<br />

che si rivela come l’Unigenito e Primogenito di molti fratelli. Alla<br />

luce della condizione di figlio del Verbo Incarnato, la condizione<br />

umana va considerata come una condizione di filialità, perché partecipa<br />

alla filiazione del Figlio nello Spirito: il cristiano è un figlio nel<br />

Figlio. Proprio perché partecipe della filiazione di Cristo, il cristiano<br />

può chiamare Dio suo Padre. Dio è Padre di Gesù perché lo ha generato,<br />

e padre del cristiano perché lo ha adottato come figlio. Poiché,<br />

ora, coloro che partecipano di un’unica natura umana hanno una<br />

specie di legame ontologico tra di loro, ne segue che, nell’assunzione<br />

della natura umana da parte del Verbo, si stabilisce un rapporto di<br />

Cristo con tutti gli uomini e un loro accesso, in Cristo, alla comunione<br />

con il Padre (1 Gv 5, 1; Ef 3, 14).<br />

3.3. La terza parte descrive il dinamismo etico dell’antropologia<br />

filiale, esaminandone l’agire morale (A. M. Jerumanis), la libertà (P.<br />

Laird), la coscienza (F. Maceri), i doni dello Spirito e le virtù per l’agire<br />

filiale (A. M. Z. Igirukwayo), la legge (A. M. Jerumanis), il peccato<br />

e la conversione (S. Zamboni). La quarta parte prende in esame<br />

la vita filiale scandita dai sacramenti del battesimo e della cresima,<br />

come i sacramenti che costituiscono la porta d’entrata nella filiazio-


596 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

ne (C. Cannizzaro), l’eucaristia descritta come approfondimento e<br />

sviluppo della vita filiale (R. Tremblay), la vita ecclesiale intesa come<br />

fratellanza, sponsalità e maternità dei figli (J. Mimeault). I tratti della<br />

vita filiale sono descritti dallo Zamboni come diakonia, koinonia e<br />

martyria, e Maria, la madre di Gesù, è presentata come icona della vita<br />

filiale (p. 387-403). La filiazione adottiva è una realtà che dipende<br />

dal Crocifisso risorto tanto nella sua genesi come nel suo sviluppo e<br />

nel suo compimento, e rimane e progredisce anche nell’aldilà.<br />

3.4. Vorrei, ora, richiamare l’attenzione, in modo particolare, sulla<br />

conseguenza più immediata della filialità in senso verticale, e cioè<br />

la condizione di fraternità in senso orizzontale. S. Giovanni indica<br />

come risposta del cristiano all’amore di Dio non l’amore per Dio ma<br />

l’amore per il fratello. E come è reale la filialità nei confronti di Dio<br />

così è altrettanto reale la fraternità nei confronti del prossimo. E come<br />

si va dall’essere all’operare così si va dal principio ontologico della<br />

fraternità all’imperativo etico della medesima. Il cristiano si comporta<br />

da fratello, perché è fratello di quanti sono uniti al Cristo e a<br />

lui appartengono.<br />

L’etica della fraternità ha in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che è<br />

l’Unigenito e il Primogenito di molti fratelli, il modello e archetipo<br />

normativo. Se si è fratelli e si vive sul serio la fraternità, uno si spende<br />

per l’altro, ciascuno è per sé nella misura in cui è per l’altro. I Padri<br />

della Chiesa hanno fondato l’etica privata e pubblica, personale e<br />

sociale, nella categoria teologica della fraternità cristiana. Certamente,<br />

vivere da fratello è un ideale altissimo e tra la fraternità voluta e la<br />

fraternità vissuta c’è la realtà del limite umano, del peccato, della<br />

provvisorietà della storia. Forse per questo la fraternità vissuta, come<br />

forma di vita e come messaggio da trasmettere all’umanità, nonostante<br />

sia la logica conseguenza della confessione della paternità di<br />

Dio, è stata relegata nelle comunità della vita religiosa. La stessa rivoluzione<br />

francese dei suoi tre ideali programmatici: libertà, uguaglianza,<br />

fraternità, ha conservato i primi due e ha messo da parte la<br />

fraternità sin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del<br />

1789. Il Corano parla di fraternità, ma la restringe agli appartenenti<br />

all’islam, considerando i non musulmani come infedeli, contraria-


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 597<br />

mente alla fraternità cristiana che è estesa a tutti gli uomini ed è quindi<br />

universale.<br />

Il Concilio Vaticano II insegna che la fraternità qualifica l’essere e<br />

l’agire del cristiano in quanto tale. Dei ventisei usi che fa del termine<br />

fraternità, scrive Vidal, dodici hanno un significato ecclesiale, nel senso<br />

che designano la Chiesa in quanto comunità e descrivono la natura<br />

del legame tra i cristiani, e quattordici hanno un significato sociale,<br />

nel senso che designano l’ideale della convivenza umana. Il Concilio,<br />

nella consapevolezza di proporre un ideale cristiano a un mondo<br />

pluralista, ha opportunamente formulato questa dinamica esteriore<br />

e universalizzante della fraternità cristiana con la categoria di segno<br />

e con l’immagine evangelica di fermento 3 . Esso assume di volta<br />

in volta la fraternità come categoria teologica e, insieme, etica; come<br />

dono e, nello stesso tempo, compito; come condizione reale (ontologica)<br />

e, ugualmente, realtà da costruire nella storia fino al pieno compimento<br />

oltre la storia. In breve, quello che è accaduto da parte di<br />

Dio, essere fratelli, è anche quello che deve accadere da parte dell’uomo<br />

con la forza dello Spirito: “Dio, che ha cura paterna di tutti,<br />

ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero<br />

tra loro con animo di fratelli” (GS 24); “Essendo Dio Padre e principio<br />

e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. Perciò, chiamati<br />

a questa stessa vocazione umana e divina senza violenza e senza<br />

inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del<br />

mondo nella vera pace” (GS 92). Il Concilio precisa che la fraternità<br />

non può chiudersi nemmeno entro i confini della comunità cristiana,<br />

perché “il Padre vuole che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente<br />

amiamo Cristo nostro fratello con la parola e con l’azione,<br />

rendendo così testimonianza alla verità e comunicando agli altri il<br />

mistero dell’amore del Padre celeste” (GS 93). Questo stile di vita dei<br />

cristiani deve essere adottato soprattutto verso coloro che seguono altre<br />

religioni, in quanto non si può invocare Dio Padre di tutti se ci si<br />

rifiuta di comportarsi da fratelli verso alcuni tra tutti gli uomini che<br />

3 M. VIDAL GARCÍA, Nuova morale fondamentale. La dimora teologica dell’etica,<br />

EDB, Bologna 2004, 97-98.


598 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

sono creati ad immagine di Dio (NAe 5). Il Concilio, infine, “proclamando<br />

la grandezza somma della vocazione dell’uomo e affermando<br />

la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione<br />

sincera della Chiesa al fine di stabilire quella fraternità universale<br />

che corrisponde a tale vocazione” (GS 3). In definitiva, la dottrina del<br />

Concilio Vaticano II stabilisce le basi di una teologia della fraternità,<br />

che viene elaborata in base alla distinzione, da un lato, e alla stretta<br />

correlazione, dall’altro, tra la fraternità, la filialità e la paternità: la<br />

fraternità presuppone la filialità e questa a sua volta la paternità 4 .<br />

L’orizzonte sociale laico ha sostituito il termine di fraternità con<br />

quello di solidarietà, perché ritiene il primo troppo idilliaco e irrealizzabile<br />

ed il secondo più adatto a descrivere la condizione di conflittualità<br />

sociale attraverso la quale si passa necessariamente per arrivare<br />

al cambiamento della società. A questo proposito, il sociologo<br />

E. Morin osserva che la presa di coscienza correlativa dell’ambivalenza<br />

relazionale tra fratelli costringe ad ammettere che non basta essere<br />

fratelli per vivere da fratelli. La fraternità, infatti, porta con sé<br />

paradossalmente la morte del fratello, come insegnano i casi di Caino<br />

e Romolo, e i partiti nei quali ci si chiama fratello e compagno.<br />

Per realizzare l’ideale d’una vita veramente fraterna, allora, si richiede<br />

non solo il ritorno alle origini della fraternità fondatrice, ma una<br />

nuova fraternità, che, dal suo canto, deve risolvere un duplice problema.<br />

Si tratta, da un lato, di superare continuamente l’ineluttabile<br />

processo rivalitario che, continuamente, distrugge dall’interno questa<br />

fraternità (e conduce alla dominazione/sfruttamento all’interno<br />

del gruppo stesso). Dall’altro, e correlativamente, si tratta di aprire la<br />

fraternità, cioè di superare la fraternità chiusa, che si fonda e si alimenta<br />

nel e grazie al rigetto immunologico dell’estraneo, in una fraternità<br />

al contrario fondata sull’inclusione dell’estraneo 5 .<br />

Sul paradigma di riferimento della fraternità è doveroso rilevare<br />

l’esistenza di un problema oggi particolarmente attuale. Si tratta,<br />

4 L. LORENZETTI, “Fraternità o solidarietà?”, in Rivista di Teologia Morale,<br />

142 (2004) 219-220.<br />

5 E. MORIN, La vita della vita, II, Il metodo, Raffaello Cortina, Milano 2004.


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 599<br />

cioè, della possibilità o meno di coniugare in piena armonia il principio<br />

sin qui esposto della fraternità universale, fondata sul dato della<br />

paternità del Dio cristiano e il pluralismo religioso. Infatti, la paternità<br />

di Dio, per un verso, si deve estendere a tutte le creature, ma, per<br />

un altro verso, essa è basata almeno indirettamente sul dato della sola<br />

religione cristiana, che si ritiene la vera religione. Questa divaricazione<br />

tra un fondamento in una religione specifica, in questo caso<br />

nella religione cristiana, e l’estensione dell’applicazione di questo<br />

fondamento a tutte le altre religioni, rende problematica una fraternità<br />

interumana che sia paritaria e simmetrica. Lo stesso concilio Vaticano<br />

II, da un lato, ha precisato che “non possiamo, però, invocare<br />

Dio come Padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli<br />

verso alcuni uomini creati a immagine di Dio. L’atteggiamento dell’uomo<br />

verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini fratelli<br />

sono così connessi che la Scrittura dice: “Chi non ama non ha<br />

conosciuto Dio” (1Gv 4, 8)” (NAe 5). Su queste basi vengono rigettati<br />

razzismo e discriminazioni condotte per motivi sociali o religiosi.<br />

Dall’altro lato, tuttavia, lo stesso Concilio, come abbiamo già rilevato,<br />

chiamando a sostegno la prima lettera di Pietro (1 Pt 2, 12),<br />

scongiura i cristiani di mantenere una condotta irreprensibile in mezzo<br />

alle genti, e questa esortazione, di per sé, giustifica una distinzione<br />

tra gli appartenenti alla Chiesa e gli altri. Uguale posizione asimmetrica<br />

viene ribadita anche nelle parole che chiudono il documento,<br />

le quali invitano con insistenza i cristiani “per quanto dipende da<br />

loro, di stare in pace con tutti gli uomini, per essere realmente figli<br />

del Padre che è nei cieli” (Mt 5, 45). La figliolanza qui è, dunque, riservata<br />

in modo particolare ai credenti.<br />

È senz’altro vero che il Dio che ama ha caratteri universali, cioè<br />

ama tutto e ama tutti. Ma è altrettanto vero che non si possono amare<br />

tutti allo stesso modo, e neppure Dio può amare tutti allo stesso<br />

modo. Non è la stessa cosa, per esempio, amare la vittima e il carnefice.<br />

L’amore, infatti, è una relazione interpersonale e implica, perciò,<br />

anche la conoscenza e la risposta di chi è amato. Se si confronta la posizione<br />

del cristiano con quella di un membro di un’altra religione si<br />

deve onestamente dedurre che c’è chi, come il cristiano, sa di essere<br />

amato dal Padre, perché lo conosce, e chi, come il non cristiano, non


600 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

lo sa, perché non lo conosce. Non si può mettere sullo stesso piano di<br />

verità la impossibilità di amare Dio senza amare il prossimo, e la possibilità<br />

di amare il prossimo senza amare Dio. Non per nulla, nella<br />

prima lettera di Giovanni, ci si chiede retoricamente come si faccia ad<br />

amare Dio che non si vede, se non si ama il fratello che si vede (1Gv<br />

4, 20), mentre non ci si pone la domanda inversa, vale a dire come si<br />

faccia ad amare il fratello che si vede, qualora non si ami Dio che non<br />

si vede. Ci troviamo chiaramente davanti a una asimmetria.<br />

In ultima analisi, bisogna riconoscere che il dialogo interreligioso è<br />

sempre e comunque asimmetrico. Il che non vuol dire né che non possa<br />

essere svolto, né tanto meno che ai membri delle varie comunità religiose<br />

sia precluso l’accesso a un terreno laico su cui tutti possono trovarsi<br />

su un piano di parità. Il dialogo però va condotto in modo tale da<br />

mantenere uno statuto diverso da quello della semplice fraternità simmetrica.<br />

In un contesto interreligioso, l’incontro con l’altro può anche<br />

essere sorretto dalla fiducia che vi sarà un tempo in cui tutti si riconosceranno<br />

reciprocamente in modo pienamente paritario; si tratta, però,<br />

di una speranza che va collocata in un orizzonte escatologico. Una<br />

piena e paritetica uguaglianza reciproca si avrà solo oltre il velo della<br />

morte, quando i raggi confluiranno tutti verso un unico centro 6 . Nel<br />

frattempo, però, essa può essere sempre proposta a tutti gli uomini di<br />

buona volontà secondo le indicazioni del Concilio, e, cioè, come un segno<br />

di testimonianza ed un fermento di possibile realtà.<br />

6 P. STEFANI, “Paternità di Dio, fraternità umana”, in Il Regno, 2 (2005) 52-62.<br />

K. Rahner, nel suo saggio sul problema del cristiano anonimo, si chiede a quali<br />

condizioni il cristiano possa affermare, non in senso genericamente umanitario,<br />

ma in un senso precisamente cristiano, “ogni uomo è mio fratello.” “Occorre una<br />

teoria cristiana a tale scopo, scrive egli, secondo cui ognuno, che in fondo non<br />

resiste alla propria coscienza, può dire e dice a Dio “Abba” nel suo spirito, credendo,<br />

sperando e amando, ed è quindi in tutta verità fratello dei cristiani davanti<br />

a lui”: K. Rahner, “Osservazioni sul problema del “cristiano anonimo”, in Nuovi<br />

Saggi, V, Paoline, Roma 1975, 697. In fondo, ciò che il cristiano in senso stretto<br />

può riconoscere anche mediante una riflessione esplicita, non è precluso a chi<br />

non è battezzato. La grazia si estende tanto quanto si estende la possibilità di accogliere<br />

la rivelazione del nome “Abba” come nome proprio di Dio e di fare<br />

esperienza anche orante della paternità di Dio e della fraternità umana.


BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO 601<br />

EPILOGO<br />

“Un Figlio ci è stato dato” (Is 9, 5)<br />

Réal Tremblay*<br />

Questo oracolo del profeta Isaia che leggiamo durante la messa<br />

della notte del Natale del Signore sarebbe potuto servire da titolo al<br />

libro presentato stasera.<br />

Infatti, il cuore che batte al centro di quest’opera e che ne irriga<br />

tutte le ramificazioni è – come si è detto, e detto bene – il dono incommensurabile<br />

che l’“amore invincibile” del Signore ha fatto all’umanità:<br />

il Bambino di Betlemme destinato a divenire, come dicono<br />

gli Atti degli Apostoli, il Figlio della risurrezione (At 13, 33). È dunque<br />

per rispetto, per attenzione, meglio ancora per riverenza verso l’opera<br />

del Padre pro nobis che i miei collaboratori e io abbiamo creduto<br />

non solamente opportuno, ma necessario porre il “Figlio dato” al<br />

centro di questo libro e cercare di trarne tutte le conseguenze per la<br />

vita morale dei cristiani, che include l’antropologia, il dinamismo etico<br />

di questa e l’agire morale propriamente detto.<br />

A questo motivo di ordine teologico, se ne aggiunge un altro di<br />

ordine esegetico riconosciuto da numerosi esegeti e teologi di rango,<br />

secondo cui il pilastro centrale, il punto di convergenza della sessantina<br />

di titoli cristologici enumerati nel Nuovo Testamento è proprio<br />

il titolo di Figlio. Per farla breve, pensiamo al posto che occupa questo<br />

titolo negli scritti più tardivi del Nuovo Testamento come la letteratura<br />

giovannea e la Lettera agli Ebrei.<br />

Ponendo al centro di questo libro la figura del Figlio di Dio fatto<br />

uomo per manifestare la sua doxa lasciandosi aprire il Cuore sulla<br />

Croce – apertura che fa passare questa Croce dall’ignominia più totale<br />

alla dignità di un trono regale (Gv 18, 37; 19, 19), da albero della<br />

morte (Gn 2, 9) ad albero della Vita (Ez 47, 12; Ap 22, 2) –, noi crediamo<br />

fermamente che la morale diviene per i credenti e anche per i<br />

poco credenti o i non credenti una realtà attraente, affascinante. In-<br />

* Professore ordinario all’Accademia Alfonsiana (Roma).


602 BOOK PRESENTATION / PRESENTACIÓN DEL LIBRO / PRESENTAZIONE DEL LIBRO<br />

fatti, fatto dall’amore e per l’amore, quale uomo può resistere a lungo<br />

ad un amore così estremo e destinato ad una così grande felicità,<br />

quella di partecipare alla pericoresi agapica dei Tre? La ragione può<br />

tentare di aggirarlo, addirittura di rifiutarlo, ma alla fine dei conti,<br />

come dice così profondamente Pascal, il cuore ha le sue ragioni che<br />

la ragione non conosce (Pensées, fr. 91: Éd. Brunschwig).<br />

È in quest’ottica che il R. P. Stefano Zamboni ed io, appoggiati dal<br />

gruppo di ricerca Hypsosis, abbiamo lavorato e offriamo ora ai credenti<br />

in generale, e alla comunità dei moralisti (professori e studenti)<br />

in particolare, i frutti della nostra fatica. Speriamo che essi troveranno<br />

accoglienza benevola e trasformante nel senso precisato sopra.<br />

In conclusione a questo breve epilogo, vorrei, a nome mio personale,<br />

a quello di P. Zamboni e a quello dei miei collaboratori del<br />

gruppo di ricerca Hypsosis, ringraziare prima di tutto il R. P. Alfio Filippi,<br />

direttore delle Edizioni Dehoniane di Bologna, che ha accettato<br />

con grandissima prontezza di pubblicare il nostro progetto editoriale<br />

e il Prof. Luigi Lorenzetti, direttore della Rivista di Teologia Morale,<br />

che ha voluto appoggiarlo tramite il testo suo di “presentazione”.<br />

Vorrei poi ringraziare S. E. R. Mons. Ignazio Sanna e i Professori<br />

Klemens Stock, S. J. e Angel Rodríguez Luño che hanno accettato<br />

ben volentieri di essere presenti qui questa sera con le loro riflessioni<br />

più che pertinenti e illuminanti sulla concezione, il contenuto, il<br />

significato e il metodo di quest’opera. Con i loro interventi autorevoli,<br />

aiuteranno certamente al decollo di questo nostro Figli nel Figlio.<br />

Una teologia morale fondamentale.


Memorial Event on the Tenth Anniversary<br />

of the Death of Fr. Bernhard Häring<br />

(Gars am Inn, July 5th <strong>2008</strong>)<br />

Martin McKeever, C.Ss.R.<br />

In July <strong>2008</strong> the Munich Province of the Redemptorists organized<br />

a memorial event in Gars am Inn to mark the tenth anniversary<br />

of the death of Fr. Bernhard Häring. The event consisted in a liturgical<br />

celebration presided over by the present Provincial, V. Rev. Edmund<br />

Hipp C.Ss.R. In the homily Fr. Hipp emphasized the openness<br />

of Fr. Häring to the world of today and his dedication to the renewal<br />

of moral theology. The event included three commemorative<br />

lectures which focused in turn on Häring’s life in Böttingen, in Gars<br />

and in Rome.<br />

The first stage in Häring’s life-journey was depicted by Dr. Erwin<br />

Teufel, former President of Baden-Württemberg in Southern Germany.<br />

The prominent politician, who is also a former Mayor of nearby<br />

Spaichingen, emphasised how attached Fr. Häring was to his place<br />

of birth Böttingen. At the time of Häring’s childhood this small town<br />

did not enjoy the prosperity it knows today. Eleventh of twelve children,<br />

Häring grew up in a family marked by faith and prayer. Dr.<br />

Teufel went on to recount the contact he had with Fr. Häring when<br />

this latter came to Böttingen during the summer months. In a series<br />

of conversations, Dr. Teufel got to know directly Häring’s character<br />

and his views on many theological and social subjects. Most of all he<br />

was impressed by Häring’s intense commitment to the renewal of<br />

moral theology. “I bow my head in respect before Bernhard Häring”<br />

concluded Dr. Teufel, visibly moved.<br />

The second speaker was Dr. Augustin Schmied, a Redemptorist<br />

priest and former student of Fr. Häring. In his inimitable laconic<br />

style, Fr. Schmied depicted the life of Häring in Gars after the Second<br />

World War. The characteristic which most impressed the students<br />

at this time was the extraordinary dilegence of Häring. This is


604 MARTIN MCKEEVER<br />

the period in which he wrote The Law of Christ, a work which was to<br />

have a major influence in the renewal of moral theology in the 20 th<br />

century. It is fascinating to hear the story of how many people at<br />

Gars were involved in the production of this book. Seen through the<br />

eyes of the students of the time the figure of Häring emerges in all<br />

its humanity.<br />

Häring’s life in Rome was described by Prof. Dr. Bruno Hidber<br />

C.Ss.R., a former President of the Alphonsian Academy, who knew<br />

Häring as a colleague. Fr. Hidber traced the life of Häring before and<br />

during the Second Vatican Council. Explaining the complicated<br />

process involved in the production of the Council documents, Hidber<br />

illustrated how Häring had a key influence on certain texts, particularly<br />

on the Constitution on the Church in the Modern World,<br />

Gaudium et spes. At the same time Häring worked with students from<br />

all over the world, directing 74 Doctoral Theses and 103 Licentiate<br />

Theses. In the second part of his talk, Hidber analysed the major lines<br />

of thought in Häring’s many writings (his bibliography contains more<br />

than 100 books and 1000 articles). From the beginning to the end,<br />

the figure of Christ was central to Häring’s moral theology, particularly<br />

the figure of Christ the Redeemer and Healer. Having recovered<br />

from cancer of the throat, Häring continued his many academic and<br />

pastoral activities, even during his years of retirement in Gars.


“Carità e giustizia per il bene comune”<br />

Cronaca del XXII congresso nazionale<br />

dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale<br />

(Pescara, 8-11 settembre <strong>2008</strong>)<br />

Giuseppe Quaranta – Giovanni Del Missier<br />

Dall’8 all’11 settembre si è tenuto, presso l’Oasi dello Spirito di<br />

Montesilvano (Pescara), il XXII Congresso nazionale dell’Associazione<br />

Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM) dedicato<br />

all’approfondimento critico di alcuni temi fondamentali della morale<br />

sociale sotto il titolo Carità e giustizia per il bene comune.<br />

La riflessione è stata inaugurata da una tavola rotonda a quattro voci<br />

moderata da Dino Boffo, direttore del quotidiano Avvenire, e volta<br />

a individuare Il contributo della Chiesa per una società giusta. Gianni<br />

Manzone (Pontificia Università Lateranense – Roma), nel tentativo di<br />

precisare lo specifico apporto della missione sociale della Chiesa entro<br />

le dinamiche dell’attuale società complessa, ha insistito sulla necessità<br />

che il pensiero e l’agire delle comunità cristiane rendano manifesta<br />

la possibilità di intessere rapporti di autentica prossimità con<br />

l’altro, come occasione per realizzare la libertà del singolo nelle diverse<br />

forme del vivere sociale, senza ridurre la convivenza a necessità,<br />

a funzione o a contratto. Sebbene le modalità storiche dell’agire ecclesiale<br />

siano orientate unicamente a rendere testimonianza all’amore<br />

di Dio tra gli uomini, esse possono assumere rilevanza pubblica nella<br />

misura in cui informano la convivenza della consapevolezza del valore<br />

delle relazioni e concorrono a favorire la piena umanizzazione dei<br />

soggetti coinvolti. In tal modo, anche a una comunità cristiana che si<br />

trovasse in posizione di minoranza non mancherebbero le opportunità<br />

per arricchire il tessuto civile della società, per esercitare una funzione<br />

critica nei confronti di ogni forma di potere svincolata dall’etica,<br />

per proporsi come forza plasmatrice di una cultura ispirata alla solidarietà<br />

e al rispetto incondizionato della vita umana. Il successivo intervento<br />

di Michele Cascavilla (Università di Pescara-Chieti) ha con-


606 GIUSEPPE QUARANTA – GIOVANNI DEL MISSIER<br />

tribuito a chiarire in chiave filosofica il significato dei termini diritto,<br />

giustizia e carità e a illustrare la loro reciproca interconnessione. A<br />

giudizio del relatore, la conservazione dell’ordine sociale fonda ed esige<br />

come conditio sine qua non solamente l’obbligazione mediante la<br />

quale si impongono i doveri di giustizia comuni a tutti i cittadini,<br />

mentre l’ambito della carità – pur auspicabile per il perfezionamento<br />

della vita sociale – risulta strettamente legato alla particolare visione<br />

del bene veicolata dalle diverse tradizioni presenti nel tessuto sociale<br />

e, di conseguenza, difficilmente condivisibile al di fuori dello spazio<br />

comunitario e della testimonianza personale. Di fronte a questa visione<br />

piuttosto dicotomica del binomio giustizia e carità, l’economista<br />

Luigino Bruni (Università di Milano-Bicocca) ha mostrato, invece, le<br />

possibilità di una feconda conciliazione degli opposti nelle emergenti<br />

esperienze economiche di tipo comunitario e agapico (mercato equo<br />

e solidale, microcredito, movimento cooperativo, economia di comunione)<br />

intese non riduttivamente «come esperienze marginali nate<br />

per rimediare e supplire ai fallimenti dello Stato e del mercato, ma al<br />

contrario come semi di un nuovo (e antico) umanesimo del bene comune<br />

e della fraternità». Ciò suppone, però, una rivisitazione delle<br />

categorie fondamentali utilizzate dalla scienza economica, tradizionalmente<br />

estranea ai concetti di giustizia, bene comune e agape, superando<br />

una impostazione esclusivamente individualistica attraverso il recupero<br />

di nuove categorie teoriche quali “bene relazionale”, “prossimità<br />

interpersonale”, “reciprocità incondizionale”. Infine, Bruno Frediani<br />

(Caritas di Lucca) ha richiamato l’esigenza che la comunità cristiana<br />

rinnovi e incrementi la consapevolezza di essere soggetto della<br />

testimonianza della carità, dell’impegno per la giustizia e per la pace,<br />

quali dimensioni qualificanti della sequela Christi che trovano origine<br />

nella vita intratrinitaria e nell’evento della Croce, e che si esprimono<br />

preferenzialmente nell’amore per i poveri e verso i nemici. La teologia<br />

morale, pertanto, è chiamata a individuare le multiformi declinazioni<br />

teorico-pratiche di questo impegno, ad approfondire le modalità<br />

concrete per servire Cristo nei fratelli e per contrastare le conseguenze<br />

del peccato personale e strutturale.<br />

La prima sessione si è aperta con la relazione magistrale L’orizzonte<br />

di agape, l’umano che è comune: prospettiva teologica, nella quale


XXII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ATISM 607<br />

Pierangelo Sequeri (Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – Milano)<br />

ha inteso offrire le basi antropologiche e teologiche per l’elaborazione<br />

dei temi del congresso, a partire dal recupero della matrice<br />

semantica originaria del termine greco agape «che si riferisce ad un<br />

atteggiamento di ospitalità-condivisione, che iscrive in un contesto di<br />

familiarità domestica chi non appartiene alla propria carne e al proprio<br />

sangue». Evitata così l’enfasi erotica che contraddistingue la traduzione<br />

del termine con “amore” e la riduttiva denotazione pietistica<br />

di “carità”, l’agape, definita come l’«invenzione teologica per eccellenza<br />

del Nuovo Testamento», consente di maturare una rinnovata<br />

comprensione della giustizia umana (relazioni interpersonali improntate<br />

all’ospitalità-prossimità), della giustizia divina (giudizio ultimo<br />

basato sulla pratica concreta di agape) e di quella che il teologo<br />

milanese ha chiamato «metafisica degli affetti». Tale ripensamento<br />

radicale dovrebbe agire da correttivo nei confronti della deriva antropologica<br />

individualista, della concezione legalistica della giustizia<br />

e della riduzione sociologica della carità, favorendo il recupero della<br />

nozione di umano-che-è-comune capace di costituire un presupposto<br />

interculturale per l’incondizionato riconoscimento reciproco di tutti<br />

gli individui, compresi coloro che versano in situazione di limite:<br />

handicap, conflitto, povertà, condizionamento, rivendicazione... Tra<br />

le possibili attuazioni di questa prospettiva, Sequeri ha evidenziato la<br />

necessità di sottolineare il rilievo sociale della donazione come esperienza<br />

relazionale non confinabile nel ristretto perimetro dei rapporti<br />

di reciprocità; di dare spazio al sacrificio volontario del bene possibile,<br />

cioè al recupero del senso del limite come antidoto alla logica della<br />

saturazione del desiderio; alla cura dell’umano anonimo del bene comune,<br />

assicurato non per sommatoria di interessi individuali, ma attraverso<br />

l’impiego di beni privati posti a servizio della società.<br />

Sono seguite due relazioni complementari. Nella prima Carità e<br />

giustizia: saggio di lettura neo-testamentaria, Giuseppe De Virgilio<br />

(Istituto Teologico Abruzzese-Molisano – Chieti) ha proposto come<br />

esempi paradigmatici del superamento della logica meramente retributiva<br />

e legalistica della giustizia la parabola evangelica degli operai<br />

mandati nella vigna (Mt 20, 1-16) e l’istruzione paolina riguardante<br />

la questione degli idolotiti (1 Cor 8, 1-13), brani che suggeriscono


608 GIUSEPPE QUARANTA – GIOVANNI DEL MISSIER<br />

un’articolazione dei binomi giustizia-carità e libertà-carità assai dissonanti<br />

con la visione contemporanea dei rapporti sociali. Nel secondo<br />

contributo Bene comune: spunti per una storia del concetto, Giorgio<br />

Campanini (Università di Parma) ha offerto una sintetica panoramica<br />

dello sviluppo dell’idea di bene comune nel pensiero politico<br />

occidentale, individuando le cause del suo eclissarsi nel trasferimento<br />

del centro del potere dalla persona e dalla società allo Stato (N.<br />

Machiavelli), nella trasformazione del concetto di “bene” in quello di<br />

“interesse” (T. Hobbes, A. Smith), nella riduzione consumistica di<br />

entrambi a mero “benessere” ottenuto per accumulo di risorse disponibili.<br />

Tuttavia – ha sottolineato il relatore nella parte conclusiva<br />

del suo intervento – nel senso contrario di un recupero almeno ideale,<br />

se non terminologico, del concetto di bene comune sembrano<br />

orientarsi sia diverse voci critiche della modernità (H. Jonas, Ch.<br />

Taylor) sia autori cattolici (J. Maritain in particolare) accomunati dal<br />

tentativo di accentuare il senso soggettivo e relazionale della communitas<br />

in opposizione all’impersonalità della societas.<br />

La seconda sessione del convegno si è aperta con la relazione Il bene<br />

comune e la giustizia dell’amore: una prospettiva filosofica, nella quale<br />

Roberto Mancini (Università di Macerata) ha presentato la fisionomia<br />

della “costellazione bene-giustiza-amore” a partire dalla situazione attuale<br />

di pensabilità, segnata dalla falsa promessa della globalizzazione<br />

e dalla crescente consapevolezza dell’interdipendenza, dall’angoscia di<br />

morte e dalla logica del dominio, da ampi fraintendimenti dei contenuti<br />

del bene in senso individualistico e astratto, della giustizia in senso<br />

rigidamente retributivo e perfino vendicativo, dell’amore in senso<br />

sentimentalista e irrazionale. La svolta relazionale della filosofia contemporanea<br />

sembra, invece, suggerire una direzione alternativa che<br />

dischiuda all’uomo la possibilità di umanizzarsi pienamente attraverso<br />

il dono di sé nel rapporto con il bene. Esso si concretizza nelle dinamiche<br />

della reciprocità e nelle esperienze di comunione, possibili<br />

anche all’interno della società e sotto la tutela della giustizia, misura<br />

universale e forma permanente della condivisone del bene.<br />

Sono seguite due relazioni complementari. Originale e molto articolato<br />

si è rivelato il contributo di Martin M. Lintner (Facoltà Teologica<br />

“Marianum” – Roma) su Rilevanza teologico-morale dell’etica del do-


XXII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ATISM 609<br />

no nel quale, a partire dall’elaborazione filosofica di E. Lévinas, J. Derrida<br />

e J.-L. Marion si è cercato di mostrare un nuovo modo di comprendere<br />

la soggettività, la relazione e la responsabilità a partire dall’irruzione<br />

nell’esperienza personale del dono come «evento inappropriabile<br />

dell’alterità assoluta», capace di rompere il ciclo economico-mercantile<br />

dei rapporti e di aprirlo alla gratuità e alla gratitudine. Sebbene<br />

il percorso indicato appaia concettualmente molto impegnativo per<br />

non dire assai arduo, questa prospettiva, ben compresa e assimilata,<br />

sembra offrire interessanti prospettive di approfondimento: una chiave<br />

di lettura della crisi epistemologica che affligge l’etica contemporanea,<br />

una critica radicale della deriva autoreferenziale dell’individualismo,<br />

una via originale per ripensare l’interdipendenza sociale e, infine,<br />

un’opportunità per ricondurre la riflessione morale alla sua radice teologica,<br />

in particolare alla cristologia e alla dottrina della grazia. Successivamente<br />

Giuseppe Trentin (Facoltà Teologica del Triveneto – Padova),<br />

sotto il titolo Etica e diritti umani: nuovi scenari?, ha offerto una trattazione<br />

sistematica della questione dei diritti sullo sfondo dell’attuale<br />

scenario globale e locale. Partendo da una considerazione di tre fatti accaduti<br />

nella città di Padova, ma rimbalzati sulle cronache giornalistiche<br />

di tutto il Paese per il loro valore paradigmatico – stiamo parlando del<br />

“muro” di via Anelli, della moschea di via Longhin e della circoncisione<br />

di Evidence –, il relatore ha cercato di enucleare i problemi e i nodi<br />

teorici correlati allo spiccato pluralismo etico, culturale e religioso delle<br />

attuali società occidentali che ha frantumato la certezza di avere a disposizione<br />

un’interpretazione univoca del contenuto dei diritti medesimi<br />

e che, al contempo, invoca una formulazione più precisa della qualità<br />

cristiana che deve caratterizzare la riflessione teologica sul tema.<br />

La terza sessione è stata inaugurata dalla relazione magistrale La<br />

relazione amore-giustizia: chiave ermeneutica della morale cristiana, nella<br />

quale E. Schockenhoff (Università di Freiburg – Germania) ha<br />

evidenziato nel duplice comandamento dell’amore il centro interno e<br />

il principio ermeneutico di tutta l’etica cristiana. Considerando, però,<br />

come già nel Nuovo Testamento si ritrova una tensione tra amore<br />

e giustizia riscontrabile nel duplice tentativo di relativizzare il decalogo<br />

in nome della giustizia superiore del Regno o, alternativamente,<br />

di confermarlo come sviluppo concreto dell’amore stesso nel-


610 GIUSEPPE QUARANTA – GIOVANNI DEL MISSIER<br />

l’ordine fondamentale della giustizia, il relatore ha evidenziato il perdurare<br />

di tale antitesi nella storia della teologia. Essa, infatti, sembra<br />

offrire due modelli ermeneutici divergenti: da un lato, la riflessione<br />

agostiniana articola la coppia amore-giustizia secondo uno schema<br />

tendenzialmente oppositivo e dualista; dall’altro, l’impostazione di<br />

Tommaso d’Aquino riesce a correlare i due concetti analogamente a<br />

quelli di grazia-libertà e rivelazione-ragione. Secondo quest’ultimo<br />

modello, approfondito sistematicamente nella relazione, i doveri di<br />

giustizia precedono quelli di carità; al contempo, però, i doveri di carità<br />

permettono di superare e di portare al suo vero compimento una<br />

morale altrimenti basata solo sui precetti negativi. Inoltre, a livello<br />

teologico, la reciproca coordinazione dei termini permette di comprendere<br />

meglio l’amore e la giustizia di Dio nella prospettiva dei poveri<br />

e delle vittime della storia (cfr. J.B. Metz), senza indulgere in una<br />

visone religiosa sentimentalista e banalizzante della misericordia divina<br />

(cfr. Benedetto XVI, enciclica Spe salvi, nn. 43; 47).<br />

Nella prima delle relazioni complementari che sono seguite, Andrea<br />

Vicini (Facoltà Teologica dell’Italia meridionale – Napoli) ha<br />

approfondito il tema della Giustizia sanitaria e allocazione delle risorse,<br />

all’interno di una visione della società che ritiene possibile il bene<br />

comune. Il relatore ha così sottolineato la necessità di non accettare<br />

passivamente la tendenziale riorganizzazione di sistema sanitari “discriminanti”<br />

in quanto costruiti quasi esclusivamente sul criterio delle<br />

condizioni economiche di partenza e la conseguente proposta etica<br />

centrata sulla promozione di diritti intesi in maniera individualistica.<br />

Al contrario, Vicini ha indicato come categoria etica fondamentale<br />

l’opzione preferenziale per gli ultimi, istanza in grado di<br />

ispirare una dinamica etica che valorizzi e metta a disposizione della<br />

collettività le risorse disponibili nel contesto di una gestione responsabile<br />

delle medesime. Nella seconda relazione, Sabino Frigato (Pontificia<br />

Università Salesiana – Torino) ha affrontato Il rapporto giustizia-carità<br />

nello sviluppo dell’insegnamento sociale ecclesiale attraverso una<br />

lettura critica dei contenuti e dell’evoluzione della dottrina sociale<br />

della Chiesa dalla Rerum novarum alla Deus caritas est.<br />

A concludere il congresso, infine, è stato invitato Giannino Piana<br />

(Università di Urbino) che ha tenuto la relazione magistrale intitola-


XXII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ATISM 611<br />

ta Il bene comune come compito e virtù politica. Il noto teologo italiano<br />

ha focalizzato le possibilità oggi esistenti per un recupero della categoria<br />

di “bene comune” e i connotati che può e deve assumere per inserirsi<br />

efficacemente nei processi sociali in corso. In particolare, la ripresa<br />

post-conciliare del concetto secondo una prospettiva non individualista<br />

– non semplice somma di beni particolari, ma correlazione<br />

tra esigenze dei singoli e della collettività, perseguibile con il concorso<br />

di tutti – offre la possibilità di una rinnovata comprensione del<br />

rapporto tra “personale” e “sociale” che valorizzi i principi di sussidiarietà<br />

e di solidarietà sociale; di un’apertura in senso universalistico<br />

che consideri il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, in senso<br />

sincronico e diacronico; di un’equilibrata mediazione tra le diverse<br />

concezioni culturali presenti nella società pluralista e multietnica.<br />

Una simile concezione del bene comune, pertanto, si offre alla politica<br />

come criterio etico orientativo e prescrittivo, un antidoto efficace<br />

contro la sua tendenziale riduzione a mera ricerca e conservazione<br />

del potere; per i politici di professione, invece, il bene comune assume<br />

la fisionomia di habitus virtuoso, disposizione personale a elaborare<br />

scelte orientate all’autentica promozione sociale, con competenza,<br />

trasparenza e responsabilità. Il tutto in sintonia con il recente<br />

appello del Santo Padre a «evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia,<br />

della politica, che necessita di una nuova generazione di laici<br />

cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale<br />

soluzioni di sviluppo sostenibile» 1 .<br />

1 BENEDETTO XVI, omelia Lo spettacolo più bello (7 settembre <strong>2008</strong>) Celebrazione<br />

Eucaristica sul sagrato del santuario di Nostra Signora di Bonaria, in<br />

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/<strong>2008</strong>/documents/hf_<br />

ben-xvi_hom_<strong>2008</strong>0907_cagliari_it.html.


Chronicle / Crónica / Cronaca<br />

ACCADEMIA ALFONSIANA<br />

Cronaca relativa all’anno accademico 2007-<strong>2008</strong><br />

1. Eventi principali<br />

Danielle Gros*<br />

1.1. Inaugurazione dell’anno accademico<br />

L’anno accademico 2007-<strong>2008</strong> è stato inaugurato l’8 ottobre 2007,<br />

con l’eucaristia celebrata nella Chiesa di S. Alfonso.<br />

La liturgia è stata presieduta da S.E.R. Mons. Gianfranco Agostino<br />

Gardin, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita<br />

Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che ha anche tenuto l’omelia<br />

(Cf Inaugurazione dell’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, Roma, Edacalf,<br />

2007, pp. 7-9). La messa solenne è stata concelebrata dal R.P. Jacek<br />

Dembek, in rappresentanza del Rev.mo P. Joseph W. Tobin, Moderatore<br />

Generale dell’Accademia Alfonsiana, nonché Superiore Generale<br />

della Congregazione del Santissimo Redentore, dal Preside,<br />

Prof. Martin McKeever, dal Vicepreside, Prof. Seán Cannon, dal<br />

Rettore della Comunità Redentorista, R. P. Darci José Nicioli e da<br />

numerosi professori e studenti.<br />

Al termine della celebrazione, nell’aula magna dell’Accademia si è<br />

svolto l’atto inaugurale articolato in due momenti:<br />

• il primo, sostanziatosi nella Relazione del Preside sull’anno accademico<br />

2006-2007 (Cf Ibidem, pp. 11-19), durante il quale sono<br />

stati richiamati gli avvenimenti più significativi avvenuti durante<br />

lo scorso anno accademico;<br />

• il secondo, marcato dalla prolusione La vocazione del teologo moralista<br />

cattolico formato nella tradizione alfonsiana, tenuta dal Prof.<br />

* Segretaria Generale dell’Accademia Alfonsiana.


614 DANIELLE GROS<br />

Dennis Billy, Professore Ordinario dell’Accademia Alfonsiana<br />

(Cf Ibidem, pp.21-31).<br />

Come ogni anno, l’atto accademico, conclusosi con un rinfresco,<br />

è stato occasione per uno scambio di idee tra professori, ufficiali e<br />

studenti.<br />

Il 25 ottobre 2007, nella Basilica di San Pietro, il Preside dell’Accademia,<br />

Prof. Martin McKeever, e numerosi studenti, hanno partecipato<br />

alla messa d’inaugurazione dell’anno accademico di tutti gli<br />

atenei ecclesiastici romani, presieduta dal Prefetto della Congregazione<br />

per l’Educazione Cattolica, Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Zenon<br />

Grocholewski. Al termine della celebrazione, il Santo Padre Benedetto<br />

XVI è sceso nella Basilica Vaticana per rivolgere la Sua parola<br />

ai presenti.<br />

1.2. Nomine<br />

Quest’anno accademico ha fatto registrare alcune nuove nomine<br />

da parte:<br />

• del Gran Cancelliere della Pontificia Università Lateranense,<br />

Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Camillo Ruini, che con decreto del<br />

27 settembre 2007 ha nominato professori straordinari dell’Accademia<br />

Alfonsiana i Professori Gabriel Witaszek e Andrzej<br />

Wodka, e professore consociato il Prof. Alfonso Amarante;<br />

• del Moderatore Generale dell’Accademia Alfonsiana, Rev.mo<br />

P. Joseph Tobin, che il 22 ottobre 2007, su designazione espressa<br />

dal Consiglio dei Professori, ha nominato Vicepreside dell’Accademia<br />

Alfonsiana il Prof. Bruno Hidber;<br />

• ancora del Moderatore Generale dell’Accademia Alfonsiana il<br />

quale, in data 14 gennaio <strong>2008</strong>, su designazione del Consiglio<br />

dei Professori, ha riconfermato la nomina della Sig.ra Danielle<br />

Gros quale Segretario Generale dell’Accademia Alfonsiana;<br />

• del Santo Padre Benedetto XVI che, in data 17 giugno <strong>2008</strong>,<br />

dopo aver accolto la rinunzia dell’Ecc.mo Mons. Elio Sgreccia,<br />

per raggiunti limiti di età, all’ufficio di Presidente della Pontificia<br />

Accademia per la Vita, ha chiamato a succedergli nel medesimo<br />

incarico S.E. Mons. Rino Fisichella, Vescovo titolare di


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 615<br />

Voghenza, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense,<br />

finora Ausiliare della Diocesi di Roma, elevandolo in<br />

pari tempo alla dignità di Arcivescovo;<br />

• ancora del Santo Padre che, in data 27 giugno <strong>2008</strong>, dopo aver<br />

accolto la rinunzia del Gran Cancelliere della Pontificia Università<br />

Lateranense, Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Camillo Ruini, per<br />

raggiunti limiti di età, agli incarichi di Vicario Generale di Sua<br />

Santità per la Diocesi di Roma e di Arciprete della Papale Arcibasilica<br />

Lateranense, ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi<br />

l’Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Agostino Vallini, finora<br />

Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.<br />

1.3. Attività accademiche, avvenimenti ed incontri<br />

1.3.1. Incontro Preside/Studenti<br />

Il 10 ottobre 2007, durante il consueto incontro d’inizio anno tra<br />

il Preside, la Segretaria Generale ed i nuovi studenti, questi ultimi<br />

sono stati informati su diversi aspetti riguardanti la struttura dell’Accademia<br />

e la vita accademica in generale. Al termine dell’incontro,<br />

i Consulenti accademici hanno ricevuto i nuovi studenti appartenenti<br />

ai rispettivi gruppi linguistici, per poterli orientare verso una<br />

programmazione sistematica dei corsi e seminari del biennio per la<br />

licenza.<br />

1.3.2. Inaugurazione dell’anno accademico<br />

1.3.2. alla Pontificia Università Lateranense<br />

Il 24 ottobre 2007, il Preside, il Prof. Réal Tremblay e la Segretaria<br />

Generale, Sig.ra Danielle Gros, hanno rappresentato l’Accademia<br />

all’atto d’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università<br />

Lateranense, svoltosi, come ogni anno, alla presenza di numerose<br />

autorità ecclesiali e civili.


616 DANIELLE GROS<br />

1.3.3. Presentazione del 3° volume della Collana<br />

1.3.3. Tesi Accademia Alfonsiana<br />

Il 7 novembre 2007, è stato presentato il terzo volume della Collana<br />

Tesi Accademia Alfonsiana. Si tratta della tesi di dottorato dello<br />

studente Michael Patrick Cullinan, intitolata Victor Paul Furnish’s<br />

Theology of Ethics in Saint Paul. An Ethic of Trasforming Grace. Relatore:<br />

il Prof. Prosper Grech, o.s.a., Professore ordinario del Pontificio<br />

Istituto Patristico Augustinianum di Roma.<br />

1.3.4. Elezione dei Rappresentanti degli Studenti<br />

Il 13 novembre 2007 l’assemblea degli studenti, presieduta dal Vicepreside,<br />

Prof. Bruno Hidber, ha eletto, quali propri rappresentanti,<br />

P. Hugo Ariel Elias Stang, c.ss.r. e P. Bernard Jalkh, c.m. entrambi<br />

studenti del primo anno di licenza. Questi rappresentanti, con la<br />

loro elezione, diventano membri del Consiglio Accademico, e fungono<br />

da portavoce degli studenti presso le autorità accademiche ed<br />

amministrative dell’Accademia.<br />

1.3.5. Presentazione del libro “Classics with Commentary series”<br />

1.3.5. del Prof. Dennis Billy<br />

Il libro in titolo è stato presentato il 22 novembre 2007 nell’aula<br />

delle difese dell’Accademia.<br />

1.3.6. Postazione Internet per gli studenti<br />

Su richiesta degli studenti, nel mese di novembre 2007 sono state<br />

installate 4 postazioni Internet a loro destinate.<br />

1.3.7. Messa commemorativa per il Prof. Lorenzo Alvarez<br />

Il 7 dicembre 2007 è stata celebrata una messa commemorativa<br />

per il Prof. Alvarez, deceduto il 1 novembre 2007. La celebrazione<br />

eucaristica è stata presieduta dal Moderatore Generale dell’Accademia,<br />

Rev.mo P. Joseph W. Tobin, mentre il Prof. Francisco Lage ha<br />

tenuto l’omelia.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 617<br />

1.3.8. Presentazione del X volume dell’Opera Omnia<br />

1.3.8. del B. Giovanni Duns Scoto<br />

L’11 gennaio <strong>2008</strong>, l’Accademia Alfonsiana e la Commissione<br />

Scotista hanno collaborato alla presentazione del volume in titolo.<br />

L’opera è stata presentata dal R.P. Barnaba Hechich, o.f.m., Presidente<br />

della Commissione Scotista. Ha fatto seguito una relazione del<br />

Prof. Leonardo Sileo, o.f.m., della Pontificia Università Urbaniana,<br />

intitolata Ente ordinato e ordinabilità delle virtù umane. Introduzione alla<br />

teoria etica di Giovanni Duns Scoto.<br />

1.3.9. Assemblea degli Studenti<br />

Gli studenti si sono riuniti in assemblea ordinaria il 19 febbraio<br />

<strong>2008</strong>. L’incontro è stato presieduto dai due Rappresentanti degli studenti<br />

ed ha permesso ai partecipanti di formulare alcune proposte da<br />

sottoporre al Consiglio Accademico.<br />

1.3.10. Incontro del Santo Padre con gli Universitari<br />

Sabato 1 marzo <strong>2008</strong>, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, numerosi<br />

studenti dell’Accademia hanno partecipato all’incontro con il Santo<br />

Padre in occasione della Quaresima, che si è svolto al termine della<br />

veglia mariana e della recita del Santo Rosario.<br />

1.3.11. Riunione annuale dell’ATISM<br />

Il 15 aprile <strong>2008</strong> si è tenuta, nei locali dell’Accademia, la riunione<br />

annuale dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo Studio<br />

della Morale), sezione centro.<br />

Argomento dell’incontro: Riflessione sull’Enciclica “Spe Salvi”. Relatore:<br />

Prof. Jürgen Moltmann.<br />

1.3.12. Festa di S. Alfonso<br />

Come ogni anno, il Preside ha invitato le autorità della Pontificia<br />

Università Lateranense, dell’Accademia Alfonsiana ed i Rettori dei


618 DANIELLE GROS<br />

collegi, seminari e convitti che affidano i loro studenti al nostro Istituto,<br />

ad un pranzo festivo che si è tenuto il 16 aprile <strong>2008</strong>. In questo<br />

giorno, come segno di ringraziamento, l’Accademia invita tutti coloro<br />

che, in vari modi, le sono vicini condividendo l’impegno per la formazione<br />

teologico-morale dei giovani.<br />

1.3.13. Presentazione del volume<br />

1.3.13. “Figli nel Figlio. Una teologia morale fondamentale”<br />

Il 17 aprile è stato presentato, nell’aula magna dell’Accademia, il<br />

volume in titolo, a cura del Prof. Réal Tremblay, c.ss.r., professore<br />

ordinario dell’Accademia Alfonsiana, e del Dott. Stefano Zamboni,<br />

s.c.i., ex-studente della stessa Accademia. Relatori: Prof. Klemens<br />

Stock del Pontificio Istituto Biblico (Roma), il Prof. Ángel Rodríguez<br />

Luño della Pontificia Università della Santa Croce (Roma) e S.E.R.<br />

Mons. Prof. Ignazio Sanna della Pontificia Università Lateranense<br />

(Roma), Arcivescovo Metropolita di Oristano.<br />

1.3.14. Tavola Rotonda<br />

Il 22 aprile <strong>2008</strong>, nell’aula magna dell’Accademia, gli studenti<br />

hanno organizzato una tavola rotonda sul tema La figura di B. Häring<br />

a dieci anni dalla sua morte (1998-<strong>2008</strong>): Suo contributo al Concilio Vaticano<br />

II e proiezione del suo pensiero teologico. I relatori hanno trattato i<br />

seguenti temi:<br />

• Introduzione biografica (Prof. Bruno Hidber, c.ss.r., professore<br />

ordinario dell’Accademia Alfonsiana);<br />

• Il contributo di B. Häring al Concilio (Prof. Raphael Gallagher,<br />

c.ss.r., professore invitato dell’Accademia Alfonsiana);<br />

• B. Häring: un teologo “capace” di futuro (Prof. Giuseppe Quaranta,<br />

o.f.m.conv., docente della Facoltà Teologica del Triveneto<br />

ed ex-studente dell’Accademia Alfonsiana).<br />

1.3.15. Gita a Pompei<br />

Il 25 aprile <strong>2008</strong> gli studenti hanno organizzato una gita al Santuario<br />

e agli scavi di Pompei. Anche quest’anno, la partecipazione è<br />

stata numerosissima.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 619<br />

1.3.16. Workshop<br />

Il 3 maggio <strong>2008</strong> è stato organizzato, per la prima volta, un workshop<br />

sulla teologia fondamentale con studenti ed ex-studenti dell’Accademia<br />

Alfonsiana.<br />

1.3.17. Presentazione dei volumi “Praticare la Parola”<br />

1.3.17. del Prof. Terence Kennedy<br />

Il 14 maggio <strong>2008</strong>, nell’aula magna dell’Accademia, sono stati presentati<br />

i volumi Praticare la Parola, Vol.1 – L’ascesa dell’uomo al Dio vivente<br />

e Praticare la Parola, Vol.2 – Luce per le nazioni che rende la vita<br />

umana degna del Vangelo del Prof. Terence Kennedy, c.ss.r., professore<br />

ordinario dell’Accademia Alfonsiana. Relatori: Prof. Mauro Cozzoli<br />

della Pontificia Università Lateranense, nonché professore invitato<br />

dell’Accademia Alfonsiana e Prof. Philipp Schmitz della Pontificia<br />

Università Gregoriana.<br />

2. Consiglio dei Professori<br />

I professori invitati si sono riuniti l’11 ottobre 2007 per eleggere i<br />

loro Rappresentanti per il Consiglio dei Professori e per il Consiglio<br />

Accademico. Sono stati eletti: i Professori Silvio Botero e Alvaro<br />

Córdoba, per il Consiglio dei Professori, ed i Professori Mauro Cozzoli<br />

e Giovanni Del Missier, per il Consiglio Accademico.<br />

Durante l’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, il Preside ha convocato 5<br />

volte il Consiglio dei Professori, che ha potuto così deliberare su numerosi<br />

temi attinenti alla vita dell’Accademia: preventivo, varie questioni<br />

accademiche, programmazione per l’anno <strong>2008</strong>-2009, promozione<br />

dei docenti, relazioni annuali delle commissioni permanenti,<br />

valutazione dell’anno accademico, ecc.<br />

3. Consiglio Accademico<br />

Il Preside ha convocato il Consiglio Accademico in data 28 febbraio<br />

<strong>2008</strong> e 3 aprile <strong>2008</strong>.


620 DANIELLE GROS<br />

Entrambe le riunioni hanno avuto come temi principali la discussione<br />

sulla programmazione accademica e il riordino del sistema di<br />

crediti su proposta della Commissione per il Programma.<br />

4. Consiglio di amministrazione<br />

Dal 15 al 17 gennaio <strong>2008</strong> si è riunito il Consiglio di Amministrazione<br />

dell’Accademia Alfonsiana, convocato dal Moderatore Generale<br />

che lo ha anche presieduto.<br />

A questo incontro hanno preso parte tra gli altri:<br />

• il Preside, Prof. Martin McKeever, che ha svolto un rapporto<br />

sulla situazione accademica;<br />

• la Segretaria Generale, Sig.ra Danielle Gros, che ha relazionato<br />

sulla situazione amministrativa e su vari aspetti attinenti<br />

agli studenti;<br />

• il Delegato del Consiglio dei Professori, Prof. Seán Cannon,<br />

per descrivere la situazione del corpo docente;<br />

• l’Economo, R.P. Alfeo Prandel, per esporre la situazione finanziaria;<br />

• l’Executive Director for Development, R.P. John Vargas, per informare<br />

sullo status delle pubbliche relazioni.<br />

Dopo aver esaminato i vari rapporti con grande attenzione, il<br />

C.d.A. ha constatato con soddisfazione il lavoro svolto per rinnovare<br />

e rafforzare le strutture dell’Accademia Alfonsiana, in modo da poter<br />

espandere le sue risorse, ed ha espresso il proprio apprezzamento per<br />

l’attività sviluppata dai singoli uffici.<br />

Il C.d.A. ha inoltre formulato alcune raccomandazioni, grazie alle<br />

quali potranno essere potenziati sia l’aspetto amministrativo che<br />

quello accademico.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 621<br />

5. Corpo docente<br />

5.1. Stato attuale<br />

In questo anno accademico, l’Accademia Alfonsiana si è avvalsa<br />

della collaborazione di 36 professori, di cui 7 ordinari, 6 straordinari,<br />

2 associati, 18 abitualmente invitati e 3 emeriti.<br />

Tra questi, 30 hanno svolto 32 corsi e diretto 23 seminari e numerose<br />

tesi di licenza e di dottorato. Altri ancora, in qualità di professori<br />

invitati, hanno anche insegnato presso diversi centri ecclesiastici<br />

romani, partecipando a numerosi convegni e congressi.<br />

5.2. In memoriam<br />

Il 1 novembre 2007 è deceduto il Prof. Lorenzo Alvarez, c.ss.r.,<br />

professore emerito dell’Accademia Alfonsiana. Il Prof. Alvarez era<br />

nato il 28 gennaio 1934 ed ha insegnato all’Accademia dal 1975 al<br />

2005 nel campo della morale biblica.<br />

5.3. Pubblicazioni dei Professori<br />

Da evidenziare che molti docenti, oltre alla loro principale attività<br />

didattica e di assistenza agli studenti, hanno anche pubblicato diverse<br />

opere, offrendo in tal modo un utile contributo alla ricerca<br />

scientifica (Cfr. Inaugurazione dell’anno accademico <strong>2008</strong>-2009, Roma,<br />

Edacalf, <strong>2008</strong>).<br />

6. <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong><br />

L’impegno della Commissione per <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> e la collaborazione<br />

dei Professori interni ed esterni, hanno permesso la regolare<br />

pubblicazione dei due fascicoli della rivista <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong>, per l’anno<br />

2007.


622 DANIELLE GROS<br />

7. Studenti<br />

Nell’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, gli studenti sono stati 328 (295<br />

uomini e 33 donne), di cui 305 ordinari (130 del secondo ciclo, 174<br />

del terzo ciclo ed 1 iscritto al programma per il diploma) che si sono<br />

preparati a conseguire i gradi accademici, 13 straordinari e 10 ospiti.<br />

La provenienza degli studenti è riferita a quasi tutti i continenti:<br />

142 dall’Europa, 61 dall’Asia, 89 dall’America (Nord, Centro e Sud),<br />

34 dall’Africa e 2 dall’Australia.<br />

Divisi per appartenenza religiosa, 172 sono del clero secolare, 125<br />

tra religiosi e religiose appartengono a 50 diversi ordini, mentre 31<br />

sono i laici.<br />

Durante l’anno accademico 2007-<strong>2008</strong> sono state difese con successo<br />

16 tesi di dottorato e 23 studenti, dopo la pubblicazione delle loro<br />

rispettive tesi, sono stati proclamati dottori in teologia della Pontificia<br />

Università Lateranense, con specializzazione in teologia morale.<br />

Inoltre, 45 studenti hanno conseguito la licenza in teologia morale.<br />

Da segnalare i numerosi incontri avvenuti tra il Preside ed i Rappresentanti<br />

degli Studenti, che hanno consentito di deliberare su varie<br />

questioni riguardanti gli studenti stessi.<br />

8. Informazioni sugli ex-studenti<br />

Durante l’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, 10 ex-studenti dell’Accademia<br />

Alfonsiana sono stati elevati alla dignità episcopale (o, se già<br />

Vescovi, hanno ottenuto incarichi superiori):<br />

• S.E.R. Mons. Jorge Alves Bezerra, s.s.s., finora Vice-Provinciale<br />

dei Sacramentini e Maestro dei Novizi presso il Noviziato<br />

dei Sacramentini situato nella diocesi di Três Lagoas, nominato<br />

Vescovo di Jardim (Brasile). È stato studente dell’Accademia<br />

dal 1996 al 1998;<br />

• S.E.R. Mons. James Douglas Conley, finora Parroco della<br />

“Blessed Sacrament Parish” a Wichita, nominato Vescovo Ausiliare<br />

dell’Arcidiocesi di Denver (U.S.A.). È stato studente dell’Accademia<br />

dal 1989 al 1991;


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 623<br />

• S.E.R. Mons. Fernando José Monteiro Guimarães, c.ss.r., finora<br />

Capo Ufficio della Congregazione per il Clero, nominato<br />

Vescovo di Garanhuns (Brasile). È stato studente dell’Accademia<br />

dal 1981 al 1983 e dal 1986 al 1989;<br />

• S.E.R. Mons. Edward Hiiboro Kussala, finora Professore di<br />

teologia morale al “St. Paul’s Seminary” di Khartoum, nominato<br />

Vescovo di Tombura-Yambio (Sudan). È stato studente dell’Accademia<br />

dal 2001 al 2005;<br />

• S.E.R. Mons. Gerald John Mathias, finora Vescovo di Simla<br />

and Chandigarth, nominato Vescovo di Lucknow (India). È<br />

stato studente dell’Accademia dal 1982 al 1987;<br />

• S.E.R. Mons. John Neinstedt, finora Coadiutore dell’Arcidiocesi<br />

di St. Paul-Minneapolis (U.S.A.), nominato Arivescovo<br />

della stessa. È stato studente dell’Accademia dal 1975 al 1977 e<br />

nel 1985;<br />

• S.E.R. Mons. Enrico Solmi, finora Responsabile diocesano<br />

della Pastorale Familiare e Direttore dell’Ufficio Regionale di<br />

Pastorale Familiare dell’Emilia Romagna, nominato Vescovo<br />

di Parma (Italia). È stato studente dell’Accademia dal 1983 al<br />

1990;<br />

• S.E.R. Mons. Marin Srakiċ, finora Vescovo di Djakovo e Srijem,<br />

nominato primo Arcivescovo metropolita di Djakovo-Osijek<br />

(Croazia). È stato studente dell’Accademia dal 1967 al 1972;<br />

• S.E.R. Mons. Józef Wróbel, s.c.i., finora Vescovo di Helsinki<br />

(Finlandia), nominato Vescovo titolare di Suas ed Ausiliare di<br />

Lublin (Polonia). È stato studente dell’Accademia dall’1980 al<br />

1985;<br />

• S.E.R. Mons. Patrick James Zurek, finora Vescovo titolare di<br />

Tamugadi ed Ausiliare di San Antonio, nominato Vescovo di<br />

Amarillo (U.S.A.). È stato studente dell’Accademia dal 1974 al<br />

1976.<br />

Inoltre, nel mese di marzo <strong>2008</strong>, il R.P. Varghese Manjaly, c.s.t., è<br />

stato eletto Superiore Generale del suo ordine. Padre Manjaly è stato<br />

studente dell’Accademia dal 2000 al 2006.


624 DANIELLE GROS<br />

9. Gradi accademici conferiti<br />

9.1. Dottori designati<br />

Nel corso dell’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, 16 studenti hanno difeso<br />

pubblicamente la loro dissertazione dottorale:<br />

BIZIMANA, Georges (Burundi – diocesi di Ngozi): La pastorale des<br />

communautés ecclésiales de base comme voie d’éducation à la justice et au<br />

pardon en vue de la réconciliation du peuple burundais – 16 giugno <strong>2008</strong>;<br />

Moderatore: Prof. Gallagher<br />

Depuis son accession à l’indépendance en 1962, le Burundi connaît<br />

des cycles de guerres civiles à caractère politique et ethnique.<br />

Comme l’origine de ces guerres est liée à une structure d’injustices<br />

entretenue depuis longtemps, la voie principale pour en sortir est celle<br />

de la justice et du pardon, valeurs chrétiennes fondées sur la loi de<br />

l’amour. Dans une culture où le sens de la famille est fort, la pastorale<br />

des communautés ecclésiales de base est la mieux indiquée pour incarner<br />

et inculquer ces valeurs. Dès lors, la réconciliation et la paix<br />

seront fondées sur des bases solides.<br />

CIUPA, Wiesław Piotr (Polonia – o.f.m.): Il dibattito sulla GIFT tra i<br />

moralisti cattolici – 11 ottobre 2007; Moderatore: Prof. Faggioni<br />

In questa dissertazione sono presentate le argomentazioni utilizzate<br />

nel dibattito sulla GIFT, lo stato attuale della riflessione teologica<br />

relativo a questa tecnica e, successivamente, la sua valutazione eticomorale.<br />

Il metodo GIFT è stato messo a punto nel 1984 dal Prof. Richard<br />

Asch. Benché siano ormai trascorsi più di venti anni dal momento<br />

della prima descrizione della tecnica, era interessante fare uno<br />

studio, che mostrasse in modo completo le argomentazioni e le conclusioni<br />

espresse da molti moralisti nella loro produzione scientifica.<br />

La tesi è costituita da tre capitoli, dei quali il primo è dedicato alla presentazione<br />

delle questioni bio-mediche, il secondo approfondisce il tema<br />

della procreazione assistita mediante un’analisi teologico-morale,<br />

mentre nella terza parte è presentata la valutazione etica della GIFT.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 625<br />

CONSORTE, Alfredo (Italia – o.f.m.cap.): Attività professionale e coscienza<br />

morale: Il contributo del Magistero della Conferenza Episcopale Italiana<br />

alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II – 5 aprile <strong>2008</strong>;<br />

Moderatore: Prof. Majorano<br />

L’attività lavorativa costituisce da sempre una dimensione fondamentale<br />

della vita umana. Alla luce delle innovazioni tecnologiche e<br />

del ruolo assunto dall’economia nelle vicende internazionali, essa si<br />

connota sempre più come “questione antropologica” e come ambito<br />

prevalente di questioni etiche e di trasformazione dei valori del mondo<br />

contemporaneo. Poiché nella responsabilità verso il mondo del lavoro<br />

è in gioco non solo l’esercizio dell’attività professionale ma la<br />

stessa dignità delle persone, la morale deve assumere la sfida di divenire<br />

la guida dei processi in atto. La dissertazione intende presentare<br />

il contributo offerto dal magistero della Conferenza episcopale italiana<br />

all’attuale dibattito sul tema del lavoro: sottolineando soprattutto<br />

i valori personali coinvolti, tale magistero propone un modello<br />

di coscienza professionale che valorizza le persone e le relazioni di tipo<br />

cooperativo e solidale.<br />

CORBELLA, Carla (Italia – s.a.): La proposta della fedeltà in un mondo<br />

che cambia: Un percorso dialogico tra magistero e psicologia – 3 marzo<br />

<strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Majorano<br />

La ricerca è partita da due domande: la fedeltà è categoria essenziale<br />

dell’identità umana o una forzatura esterna? La crisi della fedeltà<br />

negli stati di vita è imputabile a presunte fragilità del soggetto, ad<br />

una comprensione inadeguata del valore, ad entrambe insieme? L’analisi<br />

della proposta teologica e magisteriale sulla fedeltà è stata confrontata<br />

con quanto la psicologia del profondo è in grado di dire circa<br />

l’identità mostrando come la fedeltà sia in stretto legame con quest’ultima.<br />

Ciò ha introdotto la questione antropologica: è a questo livello<br />

che si è scoperto porsi la questione fondativa della possibilità,<br />

nel contesto attuale, del vivere fedele della persona umana. Solo se al<br />

centro dell’antropologia si colloca la figura del Cristo agganciandola<br />

all’identità della persona la fedeltà per sempre all’Altro/altro diviene<br />

sinonimo di vita buona, sì, ma anche bella.


626 DANIELLE GROS<br />

ĆURKOVIĆ, Jasna (Croazia – diocesi di Zagreb): Etica della memoria.<br />

Una proposta sull’esercizio della memoria – 19 giugno <strong>2008</strong>; Moderatore:<br />

Prof. Kowalski<br />

Lo scopo che si prefigge questa ricerca, articolata in cinque capitoli,<br />

è di esaminare la facoltà di memoria, estrapolandone i messaggi<br />

etici. Il primo capitolo chiarisce cosa è la memoria, quali sono le sue<br />

funzioni, e come essa si afferma nel postmoderno. Il secondo capitolo<br />

approfondisce i contributi biblico-teologici sulla memoria, nonché<br />

l’agire di alcune Chiese locali.<br />

Per rendere più comprensiva una valutazione etica, il terzo capitolo<br />

approfondisce i presupposti antropologici della memoria (emozioni,<br />

identità). Per la natura selettiva e perciò ambigua della memoria<br />

si sono spesso verificati gli abusi della memoria a livello individuale<br />

e collettivo, di cui tratta il quarto capitolo. L’ultimo capitolo invece,<br />

che ha lo scopo di porre la memoria come l’oggetto dell’analisi<br />

etica, cerca di chiarire i criteri che deve rispettare nella sua prassi<br />

affinché protegga dagli usi strumentali della memoria e contribuisca<br />

alla migliore convivenza umana.<br />

DUMA, Bernadin (Romania – o.f.m.conv.): La coscienza e la reciprocità<br />

delle coscienze nel discernimento morale. Il significato del contributo di<br />

Bernhard Häring – 8 marzo <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Johnstone<br />

La nostra ricerca sulla proposta della reciprocità delle coscienze<br />

del teologo Bernhard Häring ha voluto sondare e rilevare il suo significato<br />

per il rinnovamento della teologia morale, la sua autenticità<br />

e validità attuale. L’idea della reciprocità delle coscienze ha delle<br />

radici profonde ritrovabili all’interno della storia della teologia morale,<br />

fino ad oggi. Essa riguarda pienamente il duplice rapporto più<br />

profondo della persona con Dio e con l’altro che si riferisce alla coscienza<br />

personale impegnata nel discernimento morale. La sua applicazione<br />

risulta non solo possibile ma anche efficiente nella ricerca comune<br />

del vero e del bene specialmente nell’ambito personale, sociale<br />

ed ecclesiale.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 627<br />

FERNANDES, Earl Kenneth M. (U.S.A. – diocesi di Cincinnati):<br />

Marital Sexual Communion and the Challenge of AIDS: A Critical Inquiry<br />

into the Responses of the Scientific and Political Communities and of<br />

the Catholic Church to the Crisis of HIV and AIDS – 15 novembre 2007;<br />

Moderatore: Prof. Cannon<br />

HIV has infected 60 million people, of whom 20 million have died<br />

of AIDS-related illness. HIV infection continues to spread and a cure<br />

for AIDS has yet to be found. AIDS affects nearly every part of society,<br />

including married persons and the institution of marriage. This<br />

thesis examines the challenge of AIDS for marital sexual communion.<br />

This thesis proposes that the understandings of sexuality and<br />

marriage by each community engaged in the fight against AIDS shape<br />

and drive the respective approaches to HIV prevention. The purpose<br />

of this thesis is to illuminate these differences in the hope of improving<br />

the collective response to AIDS. The thesis examines and<br />

critiques the scientific response (largely biomedical); the political response<br />

(condom-promotion and the ABC approach); and the ecclesial<br />

response to the crisis (at the level of charity, teaching of values,<br />

and prevention). The thesis includes an examination of the recent<br />

debate within Catholic circles regarding the use of the condom to<br />

prevent HIV. The thesis also examines the possibility of using the Alphonsian<br />

moral system of equiprobabilism to find a practical solution<br />

to the problem.<br />

GIORDANO, Bernardino (Italia – diocesi di Saluzzo): La relazione<br />

uomo donna nell’attuale cammino della Chiesa italiana: Paradigma di ogni<br />

relazione – 18 aprile <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Majorano<br />

La ricerca promette di offrire un contributo all’approfondimento<br />

del significato antropologico e teologico del rapporto uomo-donna e<br />

delle sue più dirette implicazioni etiche a partire dalle coordinate di<br />

un progetto, chiamato Progetto Parrocchia Famiglia, ordinato dalla<br />

Conferenza Episcopale Italiana. La ricerca muove dal riconoscimento<br />

che la relazione uomo-donna è il nodo fondamentale dell’umano<br />

ed è quindi giusto e a pieno titolo riservarle e assegnarle una dignità<br />

ontologica come studiarne la portata teologica. La prospettiva di fon-


628 DANIELLE GROS<br />

do è quella che la riflessione uomo-donna, considerata nei propri ambiti<br />

concreti, naturali e rivelati, pur nella loro differenza è un fattore<br />

decisivo di rinnovamento delle categorie di pensiero e di giudizio con<br />

cui l’uomo riflette sulla sua realtà e sul suo fondamento. La riflessione<br />

uomo-donna sarà di primaria importanza perché tenteremo di dimostrare<br />

che può essere posta a paradigma di ogni relazione.<br />

HANSON, Donald W. (U.S.A. – diocesi di San Angelo): The Concept<br />

of “Restorative Justice” in relationship to the Current Judicial System of the<br />

U.S.A.: A Moral Theological Evaluation – 14 dicembre 2007; Moderatore:<br />

Prof. Johnstone<br />

The object of this study is to critically examine the present federal<br />

criminal justice system in the United States from a moral theological<br />

perspective. The just response of society towards criminal behavior<br />

in a country which incarcerates more of its citizens than any<br />

other country in the world is built upon the theories of retributive<br />

and utilitarian justices. A searched for solution to the problems of widespread<br />

incarceration and the crippling effects of punishment is<br />

found in restorative justice. Using the ideas of restorative justice, the<br />

Church, as a moral witness to these ideas, can enter the debate of legal<br />

justice and hopefully engage thoughtfully in transforming the criminal<br />

justice system in the United States.<br />

HERTZFELD, Adam (U.S.A. – diocesi di Toledo): The Role of Spiritual<br />

Affectivity in Religious Conversion: A Study in the Life and Work of<br />

Dietrich von Hildebrand – 21 maggio <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Hidber<br />

This thesis focuses on the role of affectivity in religious conversion.<br />

It does so through an exploration and assessment of the various interconnections<br />

between the anthropology, value philosophy, and spiritual<br />

and moral theories of the philosopher Dietrich von Hildebrand (1889-<br />

1977). In particular, this thesis raises the questions of whether affectivity<br />

plays a necessary role in conversion, and whether it gives conversion<br />

its plenitude. With respect to the question of plenitude, this thesis<br />

also explores the question of what, according to von Hildebrand,<br />

serves as the legitimate motivation for the affections in conversion.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 629<br />

LOPES RICCI, Luiz Antonio (Brasile – diocesi di Bauru): Mistanásia<br />

Infantil e Pastoral da Criança: avaliação ético-teológica da Pastoral da<br />

Criança no Brasil enquanto potencialização da cultura da vida – 17 dicembre<br />

2007; Moderatore: Prof. Majorano<br />

Mistanásia, para designar a morte precoce e evitável, é um conceito<br />

que nesta pesquisa aplica-se ao tipo de mortalidade na infância encontrado<br />

no contexto brasileiro, diante da qual a Pastoral da Criança,<br />

um Organismo de ação social da Igreja do Brasil, apresenta-se como<br />

resistência e alternativa. Ao ler a Pastoral da Criança pelo viés da mistanásia,<br />

enfatiza-se o caráter injusto da mortalidade na infância e,<br />

correspondentemente, o alcance da contribuição ética desta Pastoral.<br />

Para tanto, assume-se nesta reflexão ético-teológica uma metodologia<br />

que parte da concretude da vida, sobretudo dos mais pobres e vulneráveis,<br />

e propõe-se, ao final, um deslocamento de acento e alargamento<br />

da reflexão bioética para as questões quotidianas que afligem<br />

a maioria da população. Trata-se de refletir a respeito da sobrevivência<br />

e conservação da vida com dignidade na ótica da responsabilidade<br />

moral pela vida que é sempre confiada a outrem com perspectiva<br />

de futuro.<br />

MORUMBWA, Lawrence Mandere (Kenya – diocesi di Kisii): Abortion,<br />

a Threat to Human Life: A Moral Reflection in Connection to Kenya<br />

– 18 giugno <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Kowalski<br />

Medical practice, born through science and technology for the sake<br />

of health services in society, guided by the principle of Hippocratic<br />

Oath, is taking a different direction. In modern bioethics, it seems,<br />

nothing is valuable or inviolable, except utility. Pregnancies by extramarital<br />

sex, biological, and other socio-economic and political are<br />

“unwanted.” Private and autonomous morality claims that women<br />

should have a right to abortion. The pressure to have legal abortions<br />

in Kenya to curb maternal death, by “unwanted” pregnancies is false.<br />

While the Scriptures, indirectly, condemn abortion, the Church’s<br />

Magisterium and the Bantu (Abagusii) tradition teach and believe<br />

that a person is present in the human embryo from the moment of


630 DANIELLE GROS<br />

conception, and this life is sacred. Constitutionally, in Kenya abortion<br />

is a crime. In Abagusii, the purpose of existence is to transmit life.<br />

Legal abortion in Kenya will mean breaking chimuma (taboos)<br />

against killing of innocent persons.<br />

MURZINSKI, Pawel (Polonia – diocesi di Bialostocka): Il fenomeno<br />

New Age come una nuova sfida culturale e spirituale. Le caratteristiche<br />

principali nel confronto con la fede della Chiesa – 29 ottobre 2007; Moderatore:<br />

Prof. Kowalski<br />

Il fenomeno New Age è particolarmente importante a causa della<br />

sua presenza nei numerosi aspetti della cultura e della spiritualità<br />

contemporanee, che lo rende ben diverso dalle altre sette e nuovi<br />

movimenti religiosi che esistono e operano spesso al margine della<br />

società. Riguardo all’ampiezza del tema volevo, comunque, limitarmi<br />

ad argomenti a quanto pare particolarmente rilevanti: il fenomeno<br />

New Age sullo sfondo del mutamento dinamico della cultura, una<br />

percezione della realtà radicalmente nuova, un nuovo stile di vita e le<br />

sue radici e una nuova sensibilità religiosa.<br />

A partire da questi presupposti basilari si pretende di rendere<br />

comprensibile il fenomeno New Age e di ricavarne le idee fondamentali<br />

per poterle confrontare con la fede della Chiesa, che comprende<br />

la visione cristiana della realtà, l’ethos della vita cristiana e la sua gerarchia<br />

dei valori e, infine, la risposta pastorale della Chiesa adeguata<br />

alla sfida della New Age nella nostra cultura, soprattutto europea.<br />

MWANDANJI, Valerius Andrew (Tanzania – diocesi di Mbeya):<br />

Communal Ethics in the Political Thought of Nyerere – 9 giugno <strong>2008</strong>;<br />

Moderatore: Prof. McKeever<br />

This dissertation studies the moral thought of J. K. Nyerere under<br />

the following aspects; the scandal of human suffering, injustice,<br />

poverty and the widening gap between the poor and the rich as well<br />

as the cry of the oppressed for justice, equality and liberation. This<br />

situation indicates that certain values that could maintain harmonious<br />

life among the people in society have been lost. There is a


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 631<br />

need of conversion of heart and mind, change of personal and social<br />

structures. We are convinced that the lost of values of solidarity and<br />

fraternity can be recuparated fighting against individualism and egoistic<br />

ideologies which are the key obstacles to an authentic human<br />

community. The thesis proposes African community ethics enlighted<br />

by the Catholic social thought as a solution to cure wounds of the nation<br />

so as to create avenues for the promotion of greater justice, solidarity<br />

and love among the Tanzanian citizens.<br />

NDREMANDINY, Christophe (Madagascar – c.s.g.b.p.): Fihavanana<br />

e solidarietà cristiana nella società globalizzata in Madagascar – 2<br />

maggio <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Majorano<br />

Questa tesi è il frutto di una ricerca dottrinale e scientifica in vista<br />

di uno speciale approfondimento nell’ambito della Teologia Morale.<br />

La globalizzazione è un argomento molto attuale che sta al centro di<br />

un ampio dibattito. È un grande segno del nostro tempo e una vera<br />

sfida morale. È necessario non lasciar prevalere la complessità che<br />

questo fenomeno porta dentro di sé, bensì fare luce in esso per capire<br />

e risolvere le problematiche. Questa tesi si propone di studiare il fenomeno<br />

della globalizzazione emerso nel Madagascar, e vi è in essa un<br />

tentativo di risolvere i problemi della povertà in questo Paese.<br />

OFODUM, Anselm Ifeanyichukwu (Nigeria – diocesi di Onitsha): The<br />

Hermeneutics of Human Freedom as the Basic Attribute of Moral Responsibility.<br />

Moral Responsibility as the Ethical Implication of an Adequate Concept<br />

of Human Freedom – 22 maggio <strong>2008</strong>; Moderatore: Prof. Rehrauer<br />

This doctoral thesis underscores the moral truth that human freedom<br />

is the primary attribute of moral responsibility. It is impossible<br />

to talk about (moral) responsibility without a primary reference to<br />

the freedom of the human person.<br />

The issue of human freedom speaks of conscience which has a juridical<br />

function towards our use of freedom. Conscience makes our<br />

freedom responsible. Hence we have a moral obligation for adequate<br />

and authentic conscience. An adequate conscience needs a forma-


632 DANIELLE GROS<br />

tion of conscience. This study therefore has a target of establishing<br />

that an authentic morality requires interplay of freedom, conscience<br />

and a strong sense of responsibility.<br />

For a morally credible society there is need for a good harmony of<br />

these moral attributes in the individual persons in the society. The<br />

lack of such harmony creates anarchy in the society.<br />

9.2. Dottori proclamati<br />

Durante l’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, 23 studenti, ai quali è stato<br />

conferito il titolo di dottore in teologia con specializzazione in<br />

teologia morale, hanno pubblicato, alcuni in versione integrale, la loro<br />

tesi dottorale:<br />

BACCELLIERE, Domenico, La responsabilità e la sua rilevanza etica.<br />

Presentazione e attualità della proposta di Hans Jonas. Roma 2007,<br />

331 pp.<br />

BROWN, Grattan Taylor, Institutional Conscience in Catholic Health<br />

Care in the United States: Opening a Discussion. Excerpta, Roma<br />

2007, 168 pp.<br />

CHENDI, Augusto, La morte del Figlio. Il mistero del Crocifisso ed il suo<br />

significato per la fondazione della teologia morale nella riflessione teologica<br />

di Hans Urs von Balthasar. Excerpta, Roma <strong>2008</strong>, 202 pp.<br />

CIUPA, Wieslaw Piotr, Il dibattito sulla GIFT tra i moralisti cattolici.<br />

Excerpta, Roma <strong>2008</strong>, 154 pp.<br />

CONSORTE, Alfredo, Attività professionale e coscienza morale: Il contributo<br />

del Magistero della Conferenza Episcopale Italiana alla luce dell’insegnamento<br />

del Concilio Vaticano II. Excerpta, Napoli <strong>2008</strong>, 139 pp.<br />

CORBELLA, Carla, La proposta della fedeltà in un mondo che cambia:<br />

Un percorso dialogico tra magistero e psicologia. Excerpta, Roma <strong>2008</strong>,<br />

82 pp.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 633<br />

CULLINAN, Michael Patrick, Victor Paul Furnish’s Theology of Ethics<br />

in Saint Paul. An Ethic of Transforming Grace. Roma 2007, 406 pp.<br />

DE STEFANO, Dario, Morale cristiana e servizio ai “più piccoli”. Per<br />

la difesa dell’embrione e degli ammalati di fine vita. Excerpta, Roma<br />

2007, 228 pp.<br />

DUMA, Bernadin, La coscienza e la reciprocità delle coscienze nel discernimento<br />

morale. Il significato del contributo di Bernhard Häring. Excerpta,<br />

Roma <strong>2008</strong>, 128 pp.<br />

FERNANDES, Earl Kenneth M., Marital Sexual Communion and the<br />

Challenge of AIDS: A Critical Inquiry into the Responses of the Scientific<br />

and Political Communities and of the Catholic Church to the Crisis<br />

of HIV and AIDS. Roma 2007, 421 pp.<br />

GAVALDÀ RIBOT, Josep Maria, Cultura y homosexualidad. Consideraciones<br />

socioculturales, teológico-morales y pastorales del fenómeno en el<br />

mundo occidental. Tarracone <strong>2008</strong>, 280 pp.<br />

GIORDANO, Bernardino, La relazione uomo donna nell’attuale cammino<br />

della Chiesa italiana: Paradigma di ogni relazione. Excerpta,<br />

Roma <strong>2008</strong>, 85 pp.<br />

HANSON, Donald W., The Concept of “Restorative Justice” in relationship<br />

to the Current Judicial System of the U.S.A.: A Moral Theological<br />

Evaluation. Excerpta, San Antonio <strong>2008</strong>, 185 pp.<br />

HERTZFELD, Adam, The Role of Spiritual Affectivity in Religious<br />

Conversion: A Study in the Life and Work of Dietrich von Hildebrand.<br />

Roma <strong>2008</strong>, 267 pp.<br />

KIRUPANANTHAN, Alfred M., The Moral and Social Necessity for<br />

Redemptive Peace through Forgiveness and Reconciliation: The Need for<br />

Human Promotion and Inter-Ethnic Living in Sri Lanka. Excerpta,<br />

Roma 2007, 332 pp.


634 DANIELLE GROS<br />

LOPES RICCI, Luiz Antonio, Mistanásia Infantil e Pastoral da Criança:<br />

avaliação ético-teológica da Pastoral da Criança no Brasil enquanto<br />

potencialização da cultura da vida. Excerpta, Roma <strong>2008</strong>, 167 pp.<br />

MELEKU, Haile Gabriel, Monogamous Marriage: Among Wolaita<br />

Christians of Ethiopia (1894-2004). Roma 2007, 347 pp.<br />

MORUMBWA, Lawrence Mandere, Abortion, a Threat to Human Life:<br />

A Moral Reflection in Connection to Kenya. Excerpta, Roma <strong>2008</strong>,<br />

202 pp.<br />

MURZINSKI, Pawel, Il fenomeno new age come una nuova sfida culturale<br />

e spirituale. Le caratteristiche principali nel confronto con la fede<br />

della Chiesa. Excerpta, Roma 2007, 72 pp.<br />

MWANDANJI, Valerius Andrew, Communal Ethics in the Political<br />

Thought of Nyerere. Excerpta, Roma <strong>2008</strong>, 79 pp.<br />

TELLEZ VILLAMIL, Raul N., La Espiritualidad Conyugal en Perspectiva<br />

Latino americana a la Luz del Magisterio Conciliar y Pontificio<br />

mas reciente. Evolución Doctrinal, Fundamentación y Perspectivas<br />

Pastorales. Roma <strong>2008</strong>, 385 pp.<br />

TRAN, Quoc-Bao, Ultimate end, intention and consequences of human<br />

action. A critical reflection on Jeremy Bentham’s Utilitarian Ethics of<br />

Happiness in the light of St. Thomas Aquinas’s teaching. Roma <strong>2008</strong>,<br />

289 pp.<br />

VIZO, Visosieo Solomon, Children Should be Conceived and Born in<br />

and Through Marriage. A Study of Human Procreation in the Light of<br />

Relevant Church Documents – 1930 to 2005. Excerpta, Roma 2007,<br />

106 pp.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 635<br />

9.3. Licenziati in teologia morale<br />

Durante l’anno accademico 2007-<strong>2008</strong>, 45 studenti hanno ottenuto<br />

la licenza in teologia morale:<br />

AGUAYO VIRGEN, José de Jesus (Messico – diocesi di Guadalajara):<br />

Hacia una antropología de la sexualidad en una perspectiva teológico<br />

moral.<br />

ANELLI, Silvia (Italia – diocesi di Roma): Libertà creativa nel dialogo<br />

tra B. Häring e E. Erikson.<br />

BARRERA PINZON, Alvaro (Messico – diocesi di Campeche): El<br />

binomio verdad y amor en tensión dinamica. Una perspectiva teológica,<br />

moral y pastoral.<br />

BERARD, Wedner (Haiti – o.m.i.): La démocratie avec ses exigences<br />

morales pour la politique selon Paul Valadier.<br />

BEZERRA DE LIMA, Gilvan (Brasile – diocesi di Afogados Da Ingazeira):<br />

Ética comunitária nos empobrecidos do nordeste do Brasil a<br />

partir do pensamento de Enrique Dussel.<br />

BEZERRA DE QUEIROZ, Francisco Eliano (Brasile – s.d.b.): La<br />

carità come fulcro nella formazione della coscienza. Una rilettura delle<br />

indicazioni della Gaudium et Spes alla luce di Deus Caritas Est.<br />

BILOUS, Viktor (Ucraina – diocesi di Kamyanets-Podilskiy): La formazione<br />

della coscienza nella luce di Deus Caritas est.<br />

BORGES, Alexandre (Brasile – diocesi di Criciuma): O progresso da<br />

biotecnologia e a promoçao da dignidade da pessoa – A proposta ético-teológica<br />

de Antônio Moser.<br />

BORRELLI, Anna Paola (Italia – diocesi di Nocera-Sarno): Amore<br />

coniugale e procreazione responsabile nell’Humanae vitae.


636 DANIELLE GROS<br />

CHAVEZ CORDERO, José Felix (Messico – diocesi di Chihuahua):<br />

Las técnicas de reproducción humana: una alternativa digna de la misión<br />

de servicio a la vida?<br />

CIUCIUI, Florian (Romania – diocesi di Oradea): I cristiani di fronte<br />

alle leggi ingiuste.<br />

DALENG, Edward Daniang (Nigeria – o.s.a.): Contradiction in the<br />

Abortion Question: The Irreconcilable Claim that the Human Embryo<br />

is a Human Being but not a Human Person.<br />

DE SIMONE, Fiorenzo (Italia – diocesi di Rossano-Cariati): Il nuovo<br />

codice morale del cristiano nato dalla croce di Cristo. Un caso specifico:<br />

il matrimonio in Efesini 5,21-33.<br />

EPHREM, Shinto (India – c.r.m.): Catholic Youth in Kerala and Globalization:<br />

Towards an Adequate Itinerary of Moral Formation for the<br />

Catholic Youth in Kerala in the Era of Globalisation.<br />

FERRARI, Vittorio (Italia – o.f.m.conv.): Verso un’etica trinitaria. Il<br />

contributo di Chiara Lubich.<br />

GATERA, Emmanuel (Rwanda – diocesi di Kibungo): De la “culture<br />

de la mort” à la “culture de la vie”. Pour une lecture morale du génocide<br />

rwandais de 1994 à la lumière de l’Encyclique “Evangelium vitae”.<br />

GENTILE, Elisa (Italia – diocesi di Cassano Ionio): Rapporto tra spiritualità<br />

e morale in Santa Teresa di Lisieux.<br />

GONZALEZ, Rolando Danilo (Argentina – diocesi di Reconquista):<br />

Libertad fundamental y responsabilidad moral: El desafío de la decisión<br />

que “realiza” la persona en el amor.<br />

GRIGOLETO, Sérgio (Brasile – diocesi di Umuarama): A saúde e a<br />

pobreza no Brasil: um desafio ético-moral à luz da doutrina social da<br />

Igreja.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 637<br />

JOSEPH, Elsy (India – f.c.c.): Role of the Religious in the Moral Formation<br />

of the Youth towards Christian Maturity.<br />

KARRER, Roman Franz (Svizzera – diocesi di St. Gallen): Der Beichtvater:<br />

Zeichen und Werkzeug der Werkzeug der Barmherzigen Liebe<br />

Gottes zum Sünder.<br />

KOSTYK, Taras (Ucraina – diocesi di Stryj): Virtues in the works of<br />

Saint Maximus the Confessor.<br />

LAVILLA, Reginaldo (Filippine – m.s.p.): A Free Response to Ordained<br />

Priesthood and its Moral Implications in Seminary Education.<br />

LÉAL-LUNA, Claudia (Cile – diocesi di Santiago): Moral Social en<br />

Dialogo: Justicia Social en la Teoria de las Capacidades y en la Constitucion<br />

Gaudium et spes.<br />

MALDUCA, Angelo (Italia – diocesi di Ozieri): La sintesi morale della<br />

Summa contra Gentiles di San Tommaso d’Aquino.<br />

MANUEL, José Juma (Mozambico – o.f.m.): Impacto do mercado livre<br />

no sistema económico dos países africanos à luz da doutrina social da Igreja:<br />

o caso particular de Moçambique.<br />

MCTAVISH, James (Scozia – f.m.v.d.): Persuasion Through Character<br />

in Ancient Rhetoric.<br />

NJIRU, Angelus Njagi (Kenya – c.m.): The Moral Perspectives of Ethnic<br />

Violence in the Republic of Kenya.<br />

NSOYUNI, Bertha Yurika (Camerun – s.m.f.): Human Sexuality and<br />

the Call to Consecrated Life. A Case Study of Bamenda Ecclesiastical<br />

Province (Cameroon – West Africa).<br />

PAICKATTU, Thomas Joseph (India – c.m.i.): Religious Fanaticism<br />

and Terrorism: An Appraisal in the Light of Catholic Social Teaching.


638 DANIELLE GROS<br />

PEREIRA RODRIGUES, Gilvan (Brasile – diocesi di Caetite): Eutanásia<br />

e mistanásia: um confronto ético-teológico a partir do nordeste<br />

brasileiro.<br />

PIERRE, Arlain (Haiti – c.s.): La giustizia verso i migranti nell’insegnamento<br />

sociale della Chiesa.<br />

RADATTI, Michele (Italia – diocesi di Foggia-Bovino): L’uomo: creatura<br />

di Dio o prodotto delle biotecnologie?<br />

RANAIVOJAONA, Salomon T. F. (Madagascar – o.s.s.t.): Revalorisation<br />

de la personne humaine face à la dégradation des conditions carcérales<br />

à Madagascar.<br />

RUDAHIGWA CIZA, Louis Pasteur (Repubblica Democratica del<br />

Congo – diocesi di Bukavu): Réflexion sur les causes et les conséquences<br />

de la guerre pour une paix perenne. Cas de la République Démocratique<br />

du Congo. Étude critique à la lumière de la Doctrine Sociale de<br />

l’Église.<br />

SAW MYAING THAN, Philip (Myanmar – diocesi di Yangon): Promotion<br />

of Human Rights: A Moral Study in the Context of Myanmar<br />

(Burma).<br />

SEQUINO, Sebastiano (Italia – diocesi di Aversa): La dimensione cristocentrica<br />

della vita morale. Alla luce di Veritatis Splendor e Deus<br />

Caritas est.<br />

SESAY, Francis (Sierra Leone – diocesi di Makeni): Treading the Path<br />

to Fulfilment. The Response of Gaudium et spes to the Notion of the<br />

Common Good in Christian Ethics.<br />

STASHKIV, Iryna (Ucraina – diocesi di Buchach): La visione biblica<br />

dell’atteggiamento dei genitori verso i figli. Elementi di valutazione morale.


CHRONICLE / CRÓNICA / CRONACA 639<br />

TAMEZ VILLARREAL, Oscar Efrain (Messico – diocesi di Monterrey):<br />

Hacia el final de la vida. Propuesta cristiana para una adecuada<br />

atención médico-pastoral de los enfermos terminales.<br />

THOMAS PARUVANANI, Shaini (India – s.a.b.s.): Formation of Self<br />

Identity in Religious Life.<br />

TIN WAI, Peter (Myanmar – diocesi di Pyay): Promotion of Human<br />

Dignity: A Moral-Theological Question in the Contemporary Society of<br />

Myanmar.<br />

VEGA GERALDO, Tomas (Messico – diocesi di La Paz): La sociedad<br />

moderna en conflicto entre la cultura de la vida y la cultura de la muerte.<br />

VILELA DA SILVA, Mauro (Brasile – c.ss.r.): Violenza contemporanea:<br />

un intento di una risposta morale.<br />

ZHANG, Siqian (Cina – c.d.d.): Population, Civil Law and Abortion. A<br />

Moral Evaluation of the Birth Planning Policy in China.


Books Received / Libros recibidos<br />

Libri ricevuti<br />

ALBARELLO Duilio, La libertà e l’evento. Percorsi di teologia filosofica dopo<br />

Heidegger, “QUODLIBET” 19, Edizioni Glossa, Milano <strong>2008</strong>, 328 p.<br />

ALIOTTA M. P. – CONSOLI S. – LONGHITANO A. – ZITO G., Studio<br />

Teologico S. Paolo, istituzione, persone, attività 1969-<strong>2008</strong>, Klimax Edizioni,<br />

San Gregorio di Catania <strong>2008</strong>, 318 p.<br />

BENNÀSSAR BARTOMEU, Des de la finestra del càncer. Diari d’un Sézary<br />

(2005-2007). Pròleg: Dr. Damià Pons i Pons (Maregassa 12), Lleonard<br />

Muntaner Editor, Palma (Mallorca) <strong>2008</strong>, 392 p.<br />

BENTO LUIS ANTONIO, Bioética. Desafios éticos no debite contemporâneo,<br />

Paulinas, São Paulo <strong>2008</strong>, <strong>46</strong>2 p.<br />

BIANCARDI GIUSEPPE (a cura di), Pluralità di linguaggi e cammino di fede<br />

(Associazione Italiana Catecheti), ELLEDICI, Leumann (Torino)<br />

<strong>2008</strong>, 264 p.<br />

BORGONOVO G. – PETROSINO S. – SEGALLA G. – VIGNOLO R., Scrittura<br />

e memoria canonica. All’incrocio tra ontologia, storia e teologia (Atti<br />

del VII Seminario Biblico in onore di Mons. Giuseppe Segalla Milano,<br />

22 maggio 2006), Edizioni Glossa, Milano 2007, 120 p.<br />

CONIGLIARO FRANCESCO, Proceduralità e trascendentalità in J. Habermas.<br />

Una tensione non-contemporanea e il suo significato antropologico, etico<br />

e politico, Giunti, Studio Teologico S. Paolo, Catania 2007, 352 p.<br />

CONSOLI SALVATORE E ROCCA VITTORIO (a cura di), Embrioni, cellule<br />

e persona: biomedicina, giurisprudenza ed etica a confronto (Quaderni di<br />

Synaxis 21, Synaxis XXV/3 – 2007), Giunti, Studio Teologico S. Paolo,<br />

Catania <strong>2008</strong>, 178 p.


642 BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI<br />

CRAIG STEVEN TITUS (edited by), On wings of faith and reason. The<br />

Christian Difference in Culture and Science (The John Henry Cardinal<br />

Newman Lectures, vol. 2, The Institute for the Psychological Sciences<br />

Press), Arlington, Virginia <strong>2008</strong>, 155 p.<br />

CURRAN E. CHARLES, Catholic Moral Theology in The United States. A<br />

History, Georgetown University Press, Washington D. C. <strong>2008</strong>, 353 p.<br />

ELSNER THOMAS R., Josua und seine Kriege in jüdischer und christlicher<br />

Rezeptionsgeschichte, Theologie un Frieden, Bd. 37, Verlag W. Kohlhammer<br />

GmbH, Stuttagrt <strong>2008</strong>, 336 p.<br />

GRUPPO ITALIANO DOCENTI DI DIRITTO CANONICO (a cura di), Libertà<br />

religiosa e rapporti Chiesa – società politiche (XXXIII Incontro di<br />

Studio Hotel Planibel di La Thuile (AO) 3-7 luglio 2006, Associazione<br />

Canonistica Italiana), Edizioni Glossa, Milano 2007, 251 p.<br />

GUIDO GATTI, Etica della comunicazione, LAS, Roma <strong>2008</strong>, 208 p.<br />

HOLLENBACH DAVID (ed.), Refugee rights. Ethics, advocacy, and Africa,<br />

Georgetown University Press, Washington, D. C. <strong>2008</strong>, 264 p.<br />

KREMER MARKUS, Den Frieden verantworten. Politische Ethik bei Francisco<br />

Suárez (1548-1617) (Theologie und Frieden 35), Verlag W.<br />

Kohlhammer, Stuttgart <strong>2008</strong>, 291.<br />

LIEVENS THIERRY, L’éthique comme vocation. Se laisser choisir pour<br />

choisir. Préface de Jean-Marie Hennaux, Éditions Lessius, Bruxelles<br />

2007, 282 p.<br />

MATTISON III WILLIAM C., Introducing Moral Theology. True Happiness<br />

and the Virtues, Brazos Press a division of Baker Publishing<br />

Group, Grand Rapids (Michigan) <strong>2008</strong>, 429 p.<br />

NAICKANPARAMPIL MICHAEL, Following Jesus. The Vision of Christian<br />

Discipleship in the Gospels, Asian Trading Corporation, Bangalore<br />

2007, 253 p.


BOOKS RECEIVED / LIBROS RECIBIDOS / LIBRI RICEVUTI 643<br />

PARNOFIELLO GIULIO, Azione comunicativa e teologia morale. La rilevanza<br />

etica della teoria di J. Habermas, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani<br />

<strong>2008</strong>, 256 p.<br />

REPOLE ROBERTO (a cura di), Il corpo alla prova dell’antropologia cristiana<br />

(Associazione Teologica Italiana), Edizioni Glossa, Milano 2007,<br />

196 p.<br />

RICHTER PAUL, Der Beginn des Menschenlebens bei Thomas von Aquin,<br />

Studien der Moraltheologie, Band 38, LIT Verlag, Berlin <strong>2008</strong>, 234 p.<br />

RUGGIERI GIUSEPPE (a cura di), Io sono l’altro degli altri. L’ebraismo e il<br />

destino dell’Occidente (Quaderni di Synaxis 19, Quaderni del CeSIFeR<br />

4), Giunti, Studio Teologico S. Paolo, Catania 2006, 309 p.<br />

RUSSO GIOVANNI (a cura di), La speranza: attesa di un eterno già donato.<br />

Commenti all’Enciclica “Spe salvi” di Benedetto XVI, Editrice<br />

Coop. S. Tom., Messina <strong>2008</strong>, 199 p.<br />

SAPUPPO ANTONIO, Le cellule staminali e la terapia genetica. Aspetti<br />

scientifici, antropologici ed etici, Giunti, Studio Teologico S. Paolo, Catania<br />

2007, 152 p.<br />

SARACENO LUCA, La vertigine della libertà. L’angoscia in Sören<br />

Kierkegaard, Giunti, Studio Teologico S. Paolo, Catania 2007, 216 p.<br />

SARTORI LUIGI, Il gusto della verità. Scritti lasciati in eredità all’Istituto<br />

di Studi Ecumenici S. Bernardino – Venezia, Quaderni di Studi Ecumenici<br />

16, I. S. E. “San Bernardino”, Venezia <strong>2008</strong>, 610 p.<br />

SAUNDERS CICELY, Vegliate con me. Hospice: un’ispirazione per la cura<br />

della vita, EDB, Bologna <strong>2008</strong>, 106 p.<br />

SORAVITO LUCIO – BRESSAN LUCA (a cura di), Il rinnovamento della<br />

parrocchia in una società che cambia, Edizioni Messaggero Padova, Padova<br />

2007, 158 p.<br />

VICINI ANDREA, Genetica umana e bene comune, Edizioni San Paolo,<br />

Cinisello Balsamo (Milano) <strong>2008</strong>, 578 p.


INDEX OF VOLUME <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>)<br />

ÍNDICE DEL VOLUMEN <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>)<br />

INDICE DEL VOLUME <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>)<br />

In Memoriam<br />

LAGE Francisco, Omelia per il funerale del Padre Lorenzo Alvarez<br />

Verdes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

LAGE Francisco (a cura di), Pubblicazioni del Professore Lorenzo<br />

Alvarez Verdes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

7-13<br />

15-19<br />

Articles / Artículos /Articoli<br />

AMARANTE Alfonso V., Dottrina cristiana alfonsiana . . . . . . .<br />

BILLY Dennis J., Contemplating the Life and Ministry of<br />

Christ. Emerging Guidelines for Christian Living . . . . . .<br />

BILLY Dennis J., The Vocation of the Catholic Moral Theologian<br />

Formed in the Alphonsian Tradition . . . . . . . . . . . .<br />

BOTERO J. Silvio Giraldo, “Doctrina – vida”: una postura dialéctica<br />

de frente a la Humanae vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

BOTERO J. Silvio Giraldo, La teología del matrimonio cristiano<br />

en el pensamiento de Benedicto XVI. Nuevas perspectivas<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

GROCHOLEWSKI Zenon, La legge naturale nella dottrina della<br />

Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

JAKOVLJEVIĆ Dragan, Poppers Vorstoss zum “negativen Utilitarismus”?<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

KOWALSKI Edmund, Quale “qualità” della vita umana? Approccio<br />

antropologico-etico al concetto di vita nella discussione<br />

bioetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

MCKEEVER Martin, The Originality of Alasdair MacIntyre’s<br />

Reading of Aquinas on Justice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

PETRÀ Basilio, Costituzione ecclesiale del cristiano e formazione<br />

del giudizio della coscienza. Un saggio tra Oriente e Occidente<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

<strong>46</strong>9-485<br />

433-453<br />

105-114<br />

519-538<br />

115-145<br />

383-412<br />

203-232<br />

233-259<br />

501-518<br />

51-79


INDEX OF VOLUME <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) 645<br />

QUARANTA Giuseppe, Padre Bernhard Häring. Un teologo<br />

“capace di futuro”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

ROSSETTI Carlo L., “Filialità” e vita cristiana. Saggio sul fondamento<br />

antropologico della morale: coscienza filiale e solidarietà<br />

fraterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SCHALLENBERG Peter, „Der Mensch wird ein Wesen, das es<br />

nicht gibt“. Zur theologischen Ethik als Bewegung der<br />

Konversion bei Romano Guardini . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SCOLA Angelo, La luce della “Moral Insight” . . . . . . . . . . . . .<br />

TREMBLAY Réal, Sequela et radicalisme . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

WITASZEK Gabriel, La sapienza della sofferenza di Giobbe. La<br />

morale “non premiata” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

ŽÁK Lubomir, L’alternativa dell’azione cristiana di Max Josef<br />

Metzger al messianismo del Terzo Reich. Aspetto sociale,<br />

pacifista ed ecumenico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

487-500<br />

21-49<br />

147-164<br />

413-432<br />

455-<strong>46</strong>8<br />

81-103<br />

165-201<br />

Reviews / Recensiones / Recensioni<br />

ALCAMO Giuseppe, La catechesi in Sicilia: tra il Concilio Vaticano<br />

II e il Giubileo del 2000 (Alfonso V. Amarante) . . . . . . . . . .<br />

ASTI Francesco, Dire Dio. Linguaggio sponsale e materno nella<br />

mistica medioevale (Alfonso V. Amarante) . . . . . . . . . . . . . .<br />

CANTELMI Tonino – BARCHIESI Rachele, Amori difficili. La crisi<br />

della relazione interpersonale e il trionfo dell’ambiguità (J. Silvio<br />

Botero Giraldo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

CIATTINI Carlo, Presbitero e dottrina sociale della Chiesa (Domenico<br />

Santangelo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

CHIAVACCI Enrico, Teologia morale fondamentale (Henryk<br />

Ćmiel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

D’AGOSTINO Francesco – PALAZZANI Laura, Bioetica. Nozioni<br />

fondamentali (Maurizio P. Faggioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

FRATTICCI Walter, Il bivio di Parmenide ovvero la gratuità della<br />

verità. Modalità di ricerca filosofica di inizio millennio (Raphael<br />

Gallagher) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

JAN PAWEŁ II, Encyklopedia nauczania moralnego (JOHN PAUL II,<br />

Encyclopedia of Moral Teaching) ( Jerzy Gocko) . . . . . . . . . . .<br />

MELINA Livio – NORIEGA José – PÉREZ-SOBA Juan José, Camminare<br />

nella Luce dell’Amore. I fondamenti della morale cristiana<br />

(Gabriel Witaszek) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

293-296<br />

297-301<br />

301-304<br />

304-312<br />

312-317<br />

318-321<br />

539-543<br />

543-545<br />

5<strong>46</strong>-550


6<strong>46</strong> INDEX OF VOLUME <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>)<br />

NEBEL Matthias, La catégorie morale de péché structurel. Essai de<br />

systématique (Aristide Gnada) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

RUIZ ALDAZ Juan Ignacio, El concepto de Dios en la teología del<br />

siglo II. Reflexiones de J. Ratzinger, W. Pannenberg y otros<br />

(Czesław Rychlicki) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SCHALLENBERG Peter, Jenseits des Paradieses. Ethische Anstöße für<br />

den Alltag (Manuel Wluka) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

VENDEMIATI ALDO, Universalismo e relativismo nell’etica contemporanea<br />

(Alberto Onofri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

WETTACH-ZEITZ TANIA, Ethnopolitische Konflikte und interreligiöser<br />

Dialog. Die Effektivität interreligiöser Konfliktmediationsprojekte<br />

analysiert am Beispiel der World Conference on Religion<br />

and Peace-Initiative in Bosnien-Herzegowina (Vincenzo<br />

Viva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

WOODS Thomas E. JR., Come la Chiesa cattolica ha costruito la<br />

civiltà occidentale (Domenico Santangelo) . . . . . . . . . . . . . .<br />

ZAMBONI Stefano, «Chiamati a seguire l’Agnello». Il martirio,<br />

compimento della vita morale ( Jules Mimeault) . . . . . . . . . . .<br />

321-324<br />

324-330<br />

551-557<br />

557-562<br />

562-567<br />

568-571<br />

330-335<br />

Book Presentation / Presentación del libro /<br />

Presentazione del libro<br />

CULLINAN Michael Patrick, Victor Paul Furnish’s Theology of<br />

Ethics in Saint Paul. An Ethic of Transforming Grace.<br />

Relazione di Prosper GRECH . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

TREMBLAY Réal – ZAMBONI Stefano (a cura di), Figli nel Figlio.<br />

Una teologia morale fondamentale.<br />

STOCK Klemens, L’uso della Sacra Scrittura . . . . . . . . . . .<br />

LUÑO Angel Rodríguez, Aspetti etici . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SANNA Ignazio, L’impostazione filiale . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

TREMBLAY Réal, Epilogo. “Un Figlio ci è stato dato”<br />

(Is 9, 5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

337-3<strong>46</strong><br />

xxx-xxx<br />

573-578<br />

579-585<br />

586-600<br />

601-602<br />

Tesi Accademia Alfonsiana<br />

CULLINAN Michael Patrick, Victor Paul Furnish’s Theology of<br />

Ethics in Saint Paul. An Ethic of Transforming Grace . . . . . .<br />

261-291


INDEX OF VOLUME <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) 647<br />

International Conference / Congresso Internacional /<br />

Congresso Internazionale<br />

DEL MISSIER Giovanni, Cronaca del congresso internazionale<br />

della Pontificia Academia pro Vita “Accanto al malato inguaribile<br />

e al morente: orientamenti etici ed operativi” (Città<br />

del Vaticano, 25-26 febbraio <strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

MCKEEVER Martin, Memorial Event on the Tenth Anniversary<br />

of the Death of Fr. Bernhard Häring (Gars am Inn, July<br />

5 th <strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

QUARANTA Giuseppe – DEL MISSIER Giovanni, Cronaca del<br />

XXII congresso nazionale dell’Associazione Teologica Italiana<br />

per lo Studio della Morale “Carità e giustizia per il bene comune”<br />

(Pescara, 8-11 settembre <strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

SANTANGELO Domenico, “Quale contributo al bene comune?”,<br />

XLV Settimana Sociale dei cattolici italiani (Pistoia-<br />

Pisa, 18-21 ottobre 2007) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

347-355<br />

603-604<br />

605-611<br />

357-371<br />

Chronicle / Crónica / Cronaca<br />

GROS Danielle, Cronaca dell’Accademia Alfonsiana relativa<br />

all’Anno Accademico 2007-<strong>2008</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Books Received / Libros recibidos / Libri ricevuti . . . . .<br />

Index of volume <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) / Índice del volumen <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>)<br />

/ Indice del volume <strong>46</strong> (<strong>2008</strong>) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

613-639<br />

373-375<br />

641-643<br />

644-647


Realizzazione editoriale<br />

SERVIZI INTEGRATI PER LA GRAFICA,<br />

LA STAMPA E L’EDITORIA<br />

ingegno.grafico@tiscali.it<br />

Stampa<br />

Tipografia Mancini s.a.s. - <strong>2008</strong>

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