Avv. Antonio Pavan (70 KB) - Provincia di Treviso

IL PUNTO DI VISTA DEI
PRIVATI CITTADINI E DELLE
IMPRESE
Antonio Pavan
Avvocato del Foro di Treviso

Art. 2, legge n. 241 del 1990
L’art. 2, commi 2, 3, e 4 della l. n. 241 del 7.8.1990, nel testo oggi in
vigore - (frutto di alcune manipolazioni legislative ad opera della l. n. 69
del 18.6.2009 e del d.lgs n. 104 del 2.7.2010) - individua in 30 giorni il
termine generale di conclusione di un procedimento amministrativo,
stabilendo che lo stesso può essere allungato sino ad un massimo di 180
giorni, eccezion fatta per la materia della cittadinanza e
dell’immigrazione, ove il termine può anche essere superato.
Una volta individuato il termine entro cui l’amministrazione deve
provvedere, decorso questo lasso di tempo, tre sono le situazioni che si
possono configurare:

Art. 2, legge n. 241 del 1990: segue
• 1° ipotesi, non viene adottato alcun provvedimento, ma la legge
attribuisce al silenzio serbato dall’amministrazione un significato, nel
senso che quel silenzio equivale ad accoglimento o rigetto dell’istanza.
In questi casi si parla di silenzio significativo;
• 2° ipotesi, si ha quando non viene adottato alcun provvedimento e la
legge non attribuisce significato al silenzio mantenuto
dall’amministrazione. Siamo di fronte ad una vera e propria inerzia
amministrativa;
• 3 ° ipotesi, si ha, infine, quando l’inerzia amministrativa perdura ed il
privato decide di non avvalersi dello strumento di cui all’art. 31 del
Codice del processo amministrativo (c.d. ricorso avverso il silenzioinadempimento
della p.a.).

L’art. 2 bis, legge n. 241 del 1990
• Art. 2 bis della l. n. 241 del 1990: “le pubbliche amministrazioni …
sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento”.
• La norma, in modo chiaro, afferma che la pubblica amministrazione
che, con dolo (e quindi volutamente) o per colpa (e quindi per
negligenza) non conclude il procedimento nel termine stabilito, è
tenuta a risarcire il danno sofferto da chi ha presentato la domanda.

Cons. Stato, Ad. Pl., 15.9.2005, n. 7
Prima dell’introduzione dell’art. 2 bis, all’interno della l. n. 241 del
7.8.1990, la giurisprudenza prevalente (in particolare cfr. Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, n. 7 del 15.9.2005) affermava che il
ritardo era risarcibile solo se seguito da un provvedimento favorevole
al privato, non già nel caso opposto.

Il cambio di prospettiva imposto
dall’art. 2 bis, legge n. 241 del 1990
L’art. 2 bis, della l. n. 241 del 7.8.1990, impone invece, almeno secondo
un certa tesi, un cambio di rotta.
Quando un privato presenta una domanda all’amministrazione vengono in
gioco due distinti beni della vita, due interessi:
•il primo è quello che i tempi di risposta prescritti vengano rispettati;
•il secondo, invece, è sotteso all’accoglimento della domanda.

Cons. Stato, Sez. V, 28.2.2011, n.
1271
«In caso di ritardo nel rilascio di un permesso di costruire in variante…il
privato è abilitato a richiedere innanzi al g.a. il risarcimento del "danno
da ritardo"...L'art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/90, presuppone che anche il
tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella
conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal
momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella
predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi
intervento, condizionandone la relativa convenienza economica».

La natura e i presupposti della
responsabilità della p.a.
La giurisprudenza prevalente (cfr. a titolo esemplificativo Cons. Stato.,
Sez. V, 15.4.2010, n. 2150) riconduce la responsabilità della pubblica
amministrazione al modello della responsabilità extracontrattuale di cui
all’art. 2043 c.c.. “…la responsabilità civile della p.a. per danni cagionati
dall’esercizio non corretto del potere pubblicistico è riconducibile al
modello della responsabilità aquiliana…In tal senso si pone il
condivisibile orientamento della prevalente giurisprudenza
amministrativa in uno allo ius superveniens di cui all’art. 2 bis, l. 7
agosto 1990, n. 241 (inserito dall’art. 7, l. 18 giugno 2009, n. 69), che, in
tema, di danno da ritardo procedimentale, richiede il requisito
dell’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c…”.

L’onere probatorio a carico del
privato
Accettata la tesi della natura extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., della
responsabilità della p.a. per ritardo, cosa deve provare il privato?
• a) l’avvenuta violazione da parte della p.a. dell’obbligo di provvedere
entro il termine prescritto;
• b) la condotta dolosa o colposa dell’amministrazione;
• c) la produzione di un danno ingiusto;
• d) la circostanza che il danno patito è conseguenza del ritardo con cui
l’amministrazione ha provveduto.

a) Violazione del termine
La prima prova, quella dell’avvenuta violazione del termine di
conclusione del procedimento sarà relativamente semplice. Sarà infatti
sufficiente individuare il termine entro il quale l’amministrazione
avrebbe dovuto provvedere, dar conto della data in cui è stata
depositata la domanda o avviato d’ufficio il procedimento e, attraverso
un semplice calcolo, evidenziare come tale termine sia trascorso senza
che l’amministrazione si sia pronunziata.

) L’elemento soggettivo
• Quanto all’elemento soggettivo, dice la giurisprudenza che pur non
essendo configurabile una generalizzata presunzione (relativa) di colpa
dell’amministrazione, possono operare regole di comune esperienza e
la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola
fattispecie.
• Spetterà di contro all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un
errore scusabile. Prova, questa, difficile da fornire per
l’amministrazione, essendo suo compito predisporre misure
organizzative idonee a consentire il rispetto dei termini
normativamente previsti.

c) Il nesso di causalità
• La prova del nesso di causalità, ovvero la prova che il danno patito è
conseguenza della violazione dell’obbligo di provvedere
tempestivamente, andrà offerta seguendo i parametri dettati dalla Corte
di Cassazione nella lettura degli artt. 40 e 41 del codice penale per cui
“tale nesso” sussisterà “in tutti i casi in cui possa ritenersi che la
condotta colposamente omessa, ove fosse stata tenuta, avrebbe
impedito l’evento”.
• Questa prova, a differenza di quanto accade nel processo penale, potrà
ritenersi sussistente in tutti i casi in cui si riesca dimostrare che se
l’amministrazione avesse provveduto tempestivamente, il danno si
sarebbe evitato con ragionevole probabilità, ovvero con una probabilità
superiore al 50 %.

Le voci di danno risarcibili
Possiamo distinguere almeno 6 situazioni che possono discendere dalla
mancata adozione tempestiva di un provvedimento amministrativo.
Le prime tre sono le seguenti:
•l'amministrazione non adotta alcun provvedimento ed il richiedente,
nonostante il tempo trascorso, mantiene interesse alla sua emanazione;
•l'amministrazione adotta in ritardo il provvedimento dovuto, che è di
accoglimento della domanda del privato;
•l'amministrazione adotta dapprima un provvedimento negativo, ma poi lo
riforma, accogliendo la richiesta del privato, in via di autotutela, o in forza
di una pronuncia giurisdizionale.

Le voci di danno risarcibili: segue
In queste prime 3 ipotesi (sub 1, 2 e 3) il comune denominatore è dato
dalla determinazione del danno risarcibile, che è pari alla minore utilità
patrimoniale conseguita a causa del tempo illegittimamente trascorso tra la
scadenza del termine entro cui l’amministrazione avrebbe dovuto
provvedere ed il momento in cui il provvedimento viene effettivamente
adottato.

Le voci di danno risarcibili: segue
Una quarta ipotesi è la seguente:
•l'amministrazione adotta in ritardo il provvedimento positivo dovuto, ma
questo non è più satisfattivo dell'interesse del privato, perché il decorso
del tempo ha provocato l'irrimediabile inutilità dell'atto, ai fini
dell'attribuzione del bene o dell'utilità finale richiesta.
In questa ipotesi (n. 4), il danno risarcibile è diverso da quello delle
prime tre ipotesi. Si pensi, così, alla domanda di autorizzazione al
trasporto di un bene ai fini della sua successiva vendita, accolta dopo il
perimento della merce. In questa situazione, per l'istante, il ritardo nel
provvedere non determina l'ottenimento di una minore utilità patrimoniale,
ma gli impedisce di realizzare una qualsivoglia utilità Conseguentemente,
il ristoro è necessariamente pari all'intera utilità fallita.

Le voci di danno risarcibili: segue
La quinta ipotesi riguarda invece quest’altro caso:
•l'amministrazione adotta in ritardo il provvedimento, che, però, è
sfavorevole al privato.
In tale circostanza (n. 5) il risarcimento del danno sarà limitato al c.d.
“interesse negativo”. Il danno, infatti, non potrà essere quello che
discende dalla mancata emanazione del provvedimento, ma solo quello
che sia derivato al privato dalla situazione di incertezza protratta oltre il
termine.

Le voci di danno risarcibili: segue
Sesta ipotesi è la seguente:
•l'amministrazione non adotta alcun provvedimento perché, a causa del
tempo trascorso, non è più nelle condizioni di provvedere sull'istanza e,
per mutamento delle stesse, deve rigettarla.
In tale evenienza (n. 6), il risarcimento del danno potrebbe comprendere
oltre al ristoro dell’interesse negativo di cui al caso precedente, anche
l’equivalente di ciò di cui il privato avrebbe avuto diritto se
l’amministrazione si fosse pronunziata in tempo a condizione che l’istante
sia in grado di provare in giudizio il certo, o probabile, accoglimento della
sua domanda, se l’amministrazione si fosse pronunziata tempestivamente.

I criteri di prova del danno
Spetterà al privato fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del
danno.
•È legittimo il ricorso alle presunzioni semplici, ex art. 2729 c.c., a
condizione, tuttavia, che il ricorrente abbia allegato precise circostanze di
fatto sui cui si fonda il danno.
•È ammissibile il ricorso alla valutazione equitativa del danno, ex art.
1226 c.c. , ma solo se non è possibile provare il danno nel suo preciso
ammontare e non già per provare il danno nella sua esistenza.
•Non può il privato, al fine di assolvere al proprio onere probatorio,
invocare sic et simpliciter una consulenza tecnica d’ufficio, che ha la
funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di
cognizione tecniche.

Casi pratici: Cons. Stato, Sez. V,
21.3.2011, n. 1739
«…il tempestivo rilascio dell’autorizzazione avrebbe messo in condizione
l’impresa di rispettare il proprio programma di investimento, mentre il
ritardo ha determinato uno sfasamento tra ricorso al credito e attuazione
dell’intervento, che ha certamente determinato un danno all’impresa
ricorrente, che, - ove avesse conosciuto i reali tempi di durata del
procedimento amministrativo – avrebbe potuto desistere dall’investimento
o comunque non ricorrere subito al finanziamento, non pagando, in
entrambi i casi, gli interessi passivi in questione»

Casi pratici: Cons. Stato, Sez. V,
28.2.2011, n. 1271
• «In sede di determinazione del risarcimento del danno da ritardo nel
rilascio di un permesso di costruire, può essere liquidato anche il
danno biologico, il quale costituisce quell'aspetto del danno non
patrimoniale che afferisce all'integrità fisica della persona, derivante
nella specie dalla patologia "disturbo ansioso-depressivo reattivo con
somatizzazioni, quali l'alopecia", tenuto conto del fatto che la già
debole situazione psico-fisica del ricorrente è stata in concreto messa
duramente alla prova da una attesa, apparsa a volte interminabile,
della conclusione di un procedimento, da cui dipendeva la sorte
dell'unica attività imprenditoriale in quel momento svolta. La
quantificazione del danno biologico permanente (nella specie
determinato in sette punti percentuali), va effettuata in via equitativa,
anche tenendo conto dell'età del ricorrente e dei criteri di cui all'art.
139 d.lg. n. 209 del 2005, su cui vanno calcolati interessi e
rivalutazione monetaria.»

La possibile decurtazione della
richiesta di risarcimento
Art. 30, comma 3, del Codice del processo amministrativo “Nel
determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di
fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude
il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando
l’ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di
tutela previsti dall'ordinamento”.

Cons. Stato, Ad. Pl., 23.3.2011, n. 3
«La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione
del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti
di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3
codice del processo amministrativo, deve ritenersi ricognitiva di
principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del
co. 2 , art. 1227 c.c.. Pertanto l'omessa attivazione degli strumenti di
tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle
parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del
principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del
danno evitabile con l’ordinaria diligenza».

Il Giudice avente giurisdizione
sulla domanda risarcitoria
L’art. 133, comma 1, lett. a), del nuovo Codice del processo
amministrativo stabilisce la devoluzione in favore della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo (Tar e Consiglio di Stato) delle
controversie “in materia di: a) risarcimento del danno ingiusto cagionato
in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo”.

I termini per la proposizione della
domanda di risarcimento
I Ipotesi: ritardo dovuto all’adozione di un primo provvedimento di
rigetto della domanda del privato, poi annullato dal giudice e seguito dal
rilascio di un provvedimento positivo, di accoglimento della domanda.
Nel caso, troverà applicazione l’art. 30, comma 3, del Codice del processo
amministrativo, con la conseguenza che la domanda andrà proposta nel
termine di 120 giorni dalla conoscenza del provvedimento di diniego o, in
caso di impugnazione di tale provvedimento di diniego, nel corso del
giudizio di annullamento o, al più tardi, entro 120 giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza, con cui viene annullato l’atto fonte del danno.

I termini per la proposizione della
domanda di risarcimento: segue
II caso: risarcimento del danno derivante dall’inosservanza (dolosa o
colposa) del termine di conclusione del procedimento.
Ai sensi dell’art. 30, comma 4, del Codice del Processo amministrativo, il
termine per proporre l’azione di risarcimento del danno è di un anno e 120
giorni decorrenti dalla scadenza del termine per provvedere.

Il ritardo nei pagamenti (il d.lgs n.
231 del 2002 di attuazione della
Direttiva n. 35 del 2000 )
• Il decreto trova applicazione (art. 1) ad ogni pagamento effettuato a
titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.
• Il decreto prevede quindi che alla scadenza di pagamento pattuita (art.
4, comma 1) o, in assenza, entro 30 giorni dal ricevimento della fattura
o richiesta equivalente, decorrano automaticamente gli interessi
moratori, nella misura (art. 5) pari al saggio d’interesse del principale
strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato
alla sua più recente operazione di rifinanziamento effettuata il primo
giorno di calendario del semestre, maggiorato di 7 punti.

Il ritardo nei pagamenti (il d.lgs n.
231 del 2002 di attuazione della
Direttiva n. 35 del 2000 ): segue
• Viene precisato che il creditore ha diritto al risarcimento dei costi
sostenuti per il recupero delle somme non corrispostegli
tempestivamente (art. 6, comma 1).
• Vengono infine sanzionati con la nullità rilevabile d’ufficio (art. 7,
comma 1) gli accordi sulle scadenze di pagamento che risultino
gravemente iniqui a danno del creditore (art. 7, comma 1).

La Direttiva 2011/7/UE
Gli Stati membri, nel recepire la direttiva, dovranno assicurare, quando
debitore è una pubblica amministrazione:
•che il termine di pagamento non superi i 30 giorni dalla data di ricezione
della fattura (o documento equivalente di pagamento: ad es. preavviso di
fattura), o della merce o servizio, nel caso in cui non vi sia certezza circa
la data di ricezione della fattura, con la precisazione che se la fattura è
giunta prima della merce, il termine di 30 giorni decorre dalla ricezione di
quest’ultima (art. 4, comma 3, punto a);
•che la data di ricevimento della fattura non sia soggetta a un accordo
contrattuale tra debitore e creditore (art. 4, comma 3, punto b).

La Direttiva 2011/7/UE: segue
Solo in casi eccezionali (art. 4, comma 4), il termine di pagamento potrà
essere prolungato sino a 60 giorni. Ciò in favore delle amministrazioni
pubbliche che svolgono attività di natura industriale o commerciale che
sia soggetta, come impresa pubblica ai requisiti di trasparenza della
direttiva 2006/111/CE, ovvero degli enti pubblici che forniscono
assistenza sanitaria (USL).

La Direttiva 2011/7/UE: altri
importanti novità
• Il saggio degli interessi moratori diverrà (art. 2, comma 1, punti 6 e 7)
pari a quello di riferimento (ovvero quello applicato dalla Banca
centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento),
maggiorato di 8 punti e non più, di 7, come previsto dall’art. 5, d.lgs n.
231 del 2002. Peraltro la pubblica amministrazione non potrà fissare
tassi inferiori a quello indicato (art. 4, comma 1).
• Il diritto, in capo al creditore che venga pagato in ritardo, di ottenere
dal debitore, oltre al pagamento degli interessi moratori, un importo
forfettario minimo di € 40,00, anche ove non si sia reso necessario
scrivere un sollecito di pagamento (art. 6, commi 1 e 2). Il creditore
avrà altresì diritto di essere risarcito delle spese ulteriori ad € 40,00
sopportate a causa del ritardo nel pagamento, ivi comprese quelle
sostenute per aver affidato l’attività di recupero del credito ad un legale
(art. 6, comma 3).

La Direttiva 2011/7/UE: campo di
applicazione
•La Direttiva (2011/7/UE) interesserà i contratti aventi ad oggetto la
fornitura di merci e la prestazioni di servizi (art. 1), non già i contratti
aventi ad oggetto i lavori.
•Il campo di applicazione, dunque, sarà il medesimo di quello della
Direttiva vigente (2000/35/CE) e del d.lgs di attuazione, n. 231 del 2002.
•Per gli appalti di lavori, si dovrà quindi continuare a far riferimento alla
disciplina contenuta negli artt. 141, 142 e 143 del citato d.p.r. 5.10.2010,
n. 207 (Regolamento di esecuzione del Codice del Contratti pubblici).

La Direttiva 2011/7/UE:
conseguenze per il suo mancato
recepimento da parte dello Stato
italiano
Tenuto conto che la Direttiva reca norme attributive di posizioni di
vantaggio sufficientemente dettagliate, è possibile ritenere che la stessa
possa trovare applicazione anche ove il legislatore italiano non dovesse, in
ipotesi, tempestivamente attuarne il recepimento. Ciò, limitatamente ai
c.d. «rapporti verticali», tra cittadini e Stato.

Altre considerazioni
• Il 28 luglio è stata presentata una proposta di legge alla Presidenza del
Consiglio della Regione Veneto, volta ad istituire un Codice regionale
dei pagamenti che, in attesa del recepimento della Direttiva da parte
dello Stato italiano, vuole, per così dire, costituire un passo intermedio
di preparazione verso il suo rispetto, prevedendo che i pagamenti
vengano evasi entro 60 giorni.
• L’art. 31 del d.l 31.5.010, n 78, prevede che “a partire dal 1° gennaio
2011, i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei
confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio
sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti”
potessero “essere compensati con le somme dovute a seguito di
iscrizione a ruolo”. Il citato articolo continua disponendo che “Le
modalità di attuazione…” fossero “stabilite con decreto del Ministero
dell'economia e delle finanze, anche al fine di garantire il rispetto
degli equilibri programmati di finanza pubblica”.

IL PUNTO DI VISTA DEI
PRIVATI CITTADINI E DELLE
IMPRESE
Antonio Pavan
Avvocato del Foro di Treviso