Tricolore n.257 - Tricolore Italia
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EUROPA<br />
LA BATTAGLIA DI LEPANTO<br />
Ogni tanto una tregua è concordata da<br />
ambo le parti e così i veneziani ne approfittano<br />
per rabberciare le difese e i turchi<br />
per recuperare i feriti e rimuovere i cadaveri<br />
dal fossato. L’odore dei corpi in putrefazione<br />
è talmente forte che se i difensori<br />
a stento lo reggono stando sugli spalti,<br />
per gli altri è quasi impossibile avvicinarsi<br />
a sferrare un nuovo assalto. Il morale<br />
dei turchi comincia ad affievolirsi e la<br />
carneficina certo non giova allo spirito<br />
combattivo, che viene rintuzzato con esecuzioni<br />
e staffili.<br />
Mine turche e contromine veneziane<br />
Il pascià si spazientisce per la resistenza<br />
della fortificazione e lancia all’assalto i<br />
Giannizzeri, corpo scelto di soldati cristiani<br />
fatti prigionieri e convertiti all’islam.<br />
Non sortiscono migliore effetto di<br />
quello ottenuto dai cosiddetti “Immortali”<br />
persiani alle Termopili, duemila anni prima,<br />
contro gli Spartani e i fidi e nobili<br />
Tespiesi. Gli assedianti fanno ricorso<br />
anche alle mine, ovvero si avvicinano al<br />
tratto di cortina da minare, scalzano il<br />
paramento esterno del muro e scavano nel<br />
suo spessore un piccolo vano definito<br />
fornello o camera di mina, che viene stipato<br />
di esplosivo. Se l’approccio a cielo<br />
aperto rende il metodo rapido, di contro<br />
espone il personale di scavo al micidiale<br />
tiro dei difensori che inesorabilmente li<br />
falciano. Si procede allora con la cosiddetta<br />
“mina in profondità”: l’approccio<br />
alla cinta muraria da minare avviene in<br />
questo caso dal sottosuolo, perforando il<br />
terreno con un cunicolo armato da una<br />
struttura lignea. Questo può presentare<br />
una serie continua di angoli retti in modo<br />
tale che l’onda d’urto dell’esplosione non<br />
abbia la possibilità di sfogarsi lungo il<br />
condotto stesso. Al di sotto della cortina<br />
destinata alla distruzione si procede allo<br />
scavo di uno o più fornelli di mina. Collocato<br />
l’esplosivo, il cunicolo è colmato di<br />
terra in modo tale che l’esplosione si sfoghi<br />
verso l’alto, provocando distruzioni<br />
assai più serie del normale attacco di mina.<br />
Ma i difensori sono pronti e a loro volta<br />
scavano numerosi e lunghi cunicoli di<br />
contromina per andare a intercettare le<br />
mine avversarie. La lotta si trasferisce<br />
quindi nel sottosuolo, dove i veneziani<br />
procedono alacremente, poi si fermano ad<br />
ascoltare i rumori di scavo dei turchi.<br />
L’udito li guida, scavano piano, quasi<br />
trattenendo il respiro, fino ad essere quasi<br />
certi di trovarsi accanto alla galleria avversaria.<br />
Allora preparano le armi corte,<br />
maneggevoli negli spazi angusti: pistole,<br />
daghe, pugnali e aiutati da piccole lanterne<br />
abbattono l’ultimo diaframma di terra,<br />
balzando nelle gallerie turche. Uccisi i<br />
minatori, rubano la polvere da sparo, ma<br />
lasciandone quanto basta per fare saltare<br />
l’opera prima di ritirarsi.<br />
La resa condizionata<br />
Intanto gli assediati ricevono rinforzi e<br />
viveri in più di una occasione, da parte di<br />
coraggiose galee che forzano il blocco<br />
navale turco, ma tutto ciò non basta, perché<br />
le forze avversarie sono schiaccianti,<br />
le mura sono gravemente danneggiate in<br />
più punti e l’interno della fortezza è ridotto<br />
a un cumulo di rovine.<br />
A luglio del 1571, dopo quasi un anno<br />
d’assedio, i turchi hanno perso circa<br />
50.000 uomini, senza contare i pezzi d’artiglieria<br />
fuori uso. Nonostante abbiano<br />
aperto una breccia nelle mura mediante<br />
una mina, vengono respinti ancora. Ma i<br />
soldati veneziani sono ridotti a poche<br />
centinaia, con viveri e munizioni quasi<br />
esauriti e Marcantonio Bragadin concorda<br />
la resa della piazzaforte con Lala Mustafà<br />
ai primi del mese d’agosto: “Il pascià<br />
accoglie in malafede le proposte del Bragadin,<br />
impegnandosi a trasportare incolumi<br />
a Candia ufficiali e soldati con armi e<br />
bagagli; agli abitanti di Famagosta si garantirono<br />
i beni e il libero esercizio delle<br />
rispettive religioni. Firmati i patti, il 4<br />
agosto, il Bragadin uscì dalla città; fu<br />
proditoriamente incatenato, mutilato del<br />
naso e delle orecchie e scorticato vivo; la<br />
sua pelle, riempita di paglia, fu mandata<br />
al Sultano a Costantinopoli per macabro<br />
scherno. La guarnigione fu decimata e<br />
trascinata in schiavitù” (Cassi Ramelli A.,<br />
op. cit., p. 383). Parrebbe che il pascià,<br />
visti quanti pochi difensori avessero tenuto<br />
in scacco la sua armata, sia stato colto<br />
non già da ammirazione per il valoroso<br />
avversario, ma da una forte ira, tale da<br />
sottolineare ancor più l’inettitudine sua<br />
come comandante e quella dei suoi uomini<br />
come soldati. Quindi fu la strage.<br />
Il rispetto per chi depone le armi<br />
Pochi giorni dopo la caduta di Famagosta<br />
la flotta europea, che così tanto tempo<br />
aveva impiegato a radunarsi, incontra e<br />
batte la flotta turca nella vicina località di<br />
Lepanto, dove ancora una volta i Veneziani<br />
si rivelarono maestri e innovatori in<br />
ogni senso. Così scrive Arrigo Petacco<br />
sulle vicende che portarono alla Battaglia<br />
di Lepanto nel 1571: “Nella loro storia, i<br />
turchi hanno sempre usato la crudeltà<br />
come strumento di dominio. La loro religione<br />
d’altronde non vietava di torturare,<br />
decapitare e fare scempio degli infedeli.<br />
Per molti di loro, la crudeltà era addirittura<br />
un godimento. Quello che accadde ai<br />
malcapitati prigionieri lo ricaviamo dal<br />
racconto di due giovani paggi che furono<br />
risparmiati, forse per la loro avvenenza, e<br />
che solo molti anni dopo furono riscattati<br />
dai loro familiari. I prigionieri, che erano<br />
circa un centinaio, furono riuniti nello<br />
spiazzo antistante la tenda e furono metodicamente<br />
fatti a pezzi a uno a uno, mentre<br />
Lala Mustafà assisteva impassibile e<br />
la folla intorno schiamazzava. Furono<br />
uccisi e squartati anche Gianantonio Querini<br />
e Astorre Baglioni. Soltanto Marcantonio<br />
Bragadin fu risparmiato perché Mustafà<br />
si limitò a ordinare che gli fossero<br />
tagliati il naso e le orecchie. Mentre lo<br />
scempio era in corso, il turco si godeva<br />
l’orrendo spettacolo divertendosi a chiedere<br />
al malcapitato dove fosse il suo Gesù<br />
Cristo che avrebbe dovuto salvarlo. Successivamente,<br />
anche tutti i soldati che<br />
avevano preso posto sulle navi, convinti<br />
di essere ormai in salvo, furono ricondotti<br />
a terra e in parte uccisi, in parte incatenati.<br />
Il giorno seguente, Lala Mustafà fece il<br />
suo ingresso trionfale a Famagosta e, dopo<br />
aver fatto impiccare Lorenzo Tiepolo,<br />
cui Bragadin aveva affidato il governo<br />
della città prima di recarsi al campo turco,<br />
scatenò i suoi soldati contro l’inerme<br />
popolazione con le conseguenze che è<br />
persino doloroso immaginare” (Petacco<br />
A., La croce e la mezzaluna. Lepanto 7<br />
ottobre 1571: quando la cristianità respinse<br />
l’Islam, Mondadori, Milano 2005, p.<br />
144). Come già accennato, dopo giorni di<br />
torture Bragadin è scuoiato vivo e la sua è<br />
pelle impagliata e appesa al pennone della<br />
nave ammiraglia per essere portata a<br />
Istanbul. Successivamente, con un atto di<br />
coraggio, Gerolamo Polidori riesce a trafugare<br />
le spoglie di Bragadin e portarle a<br />
Venezia, dove oggi riposano in un’urna<br />
custodita nella chiesa dedicata a Giovanni<br />
e Paolo. A noi rimane il ricordo del valore<br />
veneziano che servì a convincere almeno<br />
qualche stato europeo ad unirsi contro<br />
l’invasione turca.<br />
pagina 33 - numero 257, Maggio 2011 TRICOLORE www.tricolore-italia.com