piena di vita

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nessuno di noi in grado di riconoscerli con certezza, come
esecutori della rapina, i capi d’accusa si sgretolarono
progressivamente e se la cavarono con miti condanne per
“ricettazione”. Non poterono infatti negare il possesso
della merce e quindi furono condannati per aver
“acquistato” da sconosciuti quant’era stato trovato nelle
loro mani. L’assurdo fu che, nel giro di un paio d’anni,
questa gentaglia, era già in libertà e pronta a riprendere
quell’infame attività, come e più di prima.
Quando accadde il fatto, il “Signor Franco”,
profondamente scosso dagli avvenimenti, a “botta calda”,
dopo essersi consultato con il padre, prese la decisione di
ritirarsi dagli affari. Non riusciva a sopportare l’idea che,
un gruppetto di maledetti farabutti, nel giro di pochi minuti,
potessero distruggere oltre vent’anni di lavoro e, in un
attimo, metterti in ginocchio. Lo zio “Dottor Gastone” e il
cugino “Dottor Luca” erano le persone maggiormente
interessate a rilevare l’azienda, sia perché godevano di un
diritto di prelazione, sia per evitare che il nome “Gobbi”,
potesse finire in mano di estranei. Presa la decisione,
cominciarono le trattative per la cessione dell’attività ai
parenti, che, negli anni precedenti, avevano già acquistato
un negozio in Galleria Vittorio Emanuele (la famosa
Galleria di Milano che si affaccia sulla Piazza del Duomo)
ed uno in Piazza Cordusio. In breve si accordarono sui
dettagli dell’operazione e, nonostante la soluzione, tutto
sommato positiva, dell’evento delittuoso, con il
ritrovamento di una parte importante della refurtiva,
dettero corso a quanto convenuto. Il 31 di marzo del 1983
la “Franco Gobbi S.r.l. Orologiaio - Gioielliere” cessava
ogni attività e, dal giorno successivo, lo storico negozio di