piena di vita

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ignaro di tutto, si trovò l’inaspettata brutta sorpresa. La
notizia della clamorosa rapina si diffuse velocemente in
città e fummo presi d’assalto da telefonate, fotoreporter e
giornalisti televisivi e della carta stampata, che volevano
conoscere i particolari dell’accaduto e ci richiedevano
interviste. Mentre le indagini partivano serrate, per qualche
giorno fummo protagonisti, nostro malgrado, di un evento
che destò molto scalpore. Ne parlarono i telegiornali
nazionali e furono pubblicate, sui maggiori quotidiani,
sotto articoli a molte colonne, le nostre fotografie, i nostri
nomi e le nostre parole. Dopo il clamore iniziale, come
spesso succede, il polverone sollevato si placò e si parlò
sempre meno della “rapina del secolo”. Restavamo noi soli,
titolari e personale, a leccarci le ferite, a fare l’inventario
della merce asportata, a disbrigare le procedure per
ottenere il risarcimento dei danni dal pool di Compagnie di
Assicurazione, e ad offrire tutta la nostra collaborazione
alle forze dell’ordine.
Quando vengono svolte delle indagini, come regola
generale, tutti i soggetti in qualche modo partecipi
dell’evento, sono considerati potenzialmente sospettabili.
Questa è la ragione per cui, anche se noi eravamo
sicuramente le vittime del fatto doloso, avremmo potuto, in
teoria, aver fornito indicazioni o informazioni agli esecutori
materiali della rapina. Sapevamo quindi, con ragionevole
certezza, che gli inquirenti non avrebbero scartato l’ipotesi
di un eventuale “basista”, se non dopo aver effettuato
adeguati accertamenti. Da notizie attendibili, sapemmo che
stavano svolgendo indagini nei confronti di un’ex impiegata
che da anni aveva lasciato l’azienda, e non veniva neppure
tralasciata l’ipotesi che, uno dei titolari, avrebbe potuto