piena di vita

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tutto normale che il sistema stesse impedendo l’accesso,
come d’abitudine in quei casi, l’azionai. Il finanziere entrò
seguìto da un collega in divisa e, successivamente, da due o
tre persone in borghese. Mentre mi chiedevo mentalmente
quale sarebbe stato lo scopo di quella visita, generalmente
poco gradita, il graduato che precedeva il gruppetto si
avvicinò al mio tavolo e, sorridendo, come per
rassicurarmi, depose la sua “ventiquattr’ore” sul banco.
Alla mia richiesta di “che cosa potessi fare per loro”,
rispondendomi che si trattava di una semplice formalità,
fece scattare le serrature della valigetta, l’aprì e
v’introdusse la mano, come se dovesse raccogliere delle
carte. In un attimo spuntò una pistola. Quelli dietro di lui si
servirono delle altre armi che erano riposte nel contenitore
aperto e rivolsero la loro attenzione agli altri impiegati
presenti in negozio. Ricordo che fui strattonato da una
parte, in modo che eventuali passanti, non potessero vedere
dall’esterno quanto stava succedendo davanti alla porta
d’ingresso. Fummo immediatamente sospinti nel soppalco
che sovrasta il locale e invitati, con modi bruschi, a
sdraiarci a terra, pancia all’ingiù. Ci legarono poi
saldamente mani e piedi con il fil di ferro e
c’imbavagliarono con strisce di carta adesiva. Mentre uno
degli uomini in borghese si tratteneva in “balconata” e,
con una pistola in mano, ci teneva sotto controllo, i suoi
“soci” si davano da fare, razziando preziosi a piene mani.
Cercando di riordinare i pensieri che si accavallavano nel
cervello, superando la paura che ci prese quando udimmo
distintamente il nostro guardiano che faceva scorrere il
carrello per mettere il colpo in canna, cercai di osservare
bene quell’uomo, per essere in grado, pensavo, di poterlo
descrivere, successivamente, nei minimi particolari. Nel