piena di vita

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che, visto il persistere delle difficoltà finanziarie in cui
l’esercizio si dibatteva, non avrebbe potuto più a lungo
sopportare il peso del suo, anche se modesto, stipendio. La
invitava pertanto a trovarsi un’altra occupazione,
vedendosi costretta dagli eventi, a “lasciarla a casa”. Fu
Rosy stessa allora, che prese la palla al balzo e sfruttò
l’occasione che avevo offerto all’amica. Dopo le
opportune verifiche sulle sue capacità e sulla sua onestà
(ovviamente basilari soprattutto nel nostro settore), nel
marzo del ’78, Rosy prendeva servizio e veniva affiancata
a Marisa per “imparare il mestiere”. Per diversi mesi si
applicò puntigliosamente per conoscere le nuove merci
che avrebbe dovuto vendere, pur non amando
particolarmente il settore o, quantomeno, prediligendo i
“vecchi” articoli della profumeria. Per la fine dell’anno,
quando Marisa lasciò definitivamente l’azienda, era
perfettamente pronta a prenderne il posto.
Nel ’78 i rapporti con mia moglie si deteriorarono
ulteriormente. In primavera decidemmo di fare un
viaggetto da soli, per cercare di rimettere insieme, lontani
da tutto e da tutti (figlio compreso), i cocci di un
matrimonio sull’orlo di una crisi sempre più profonda.
Andammo qualche giorno a Ponza e successivamente
all’Isola del Giglio, dove avevamo trascorso, qualche
anno prima, le vacanze estive in compagnia di Paolo e
Mina. Il risultato fu deprimente. Rientrati a Milano, i
nostri rapporti erano sempre più difficili. Il negozio
divenne per me un rifugio e, sempre più spesso, non
andavo neppure a casa a pranzare. Le liti e le discussioni
erano sempre più frequenti e, spessissimo, si protraevano
fino a tarda notte. Incominciavo a temere anche per la mia