piena di vita

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sopravvissi per venti giorni a cappuccini e cornetti, panini
imbottiti di mortadella, buondì Motta e cartoni di latte. Il
giorno del giuramento, quando, dopo un viaggio terribile,
i miei genitori con la ragazza mi vennero a trovare, avevo
perso sei chili. Dopo i baci e gli abbracci, al termine della
cerimonia, finalmente uscii per la prima volta dalla
caserma, per andare a fare un pranzo vero. Franco, che
non aveva ricevuto visite, venne a mangiare con noi.
Nella ventina di giorni successivi, prima della
destinazione finale, riuscii a cavarmela con quanto potevo
reperire al bar della caserma e con un buon pasto in
trattoria, la sera. Arrivammo così al momento in cui ci
sarebbe stato comunicato dove avremmo trascorso il resto
della ferma. Le grandi manovre per trovare gli agganci
giusti, atti a farci avvicinare a casa, erano in corso da
tempo, ma l’ennesima delusione si stava profilando
all’orizzonte. Su sollecitazione di mio padre, la sorella di
un ufficiale pilota di stanza al comando della Terza
Regione Aerea di Bari, invitò il fratello ad adoperarsi
affinché potessi essere destinato al Comando della Prima
Regione Aerea di Milano. Di quello scaglione però,
pochissimi sarebbero stati trasferiti al Nord e, quei pochi,
avevano appoggi più potenti del mio. Così la mia
destinazione finale fu Martina Franca, dove, in teoria,
avrei potuto contare sull’amicizia che legava il
mio…gancio al vice comandante del 3° S.O.C.. Avrei così
trascorso il resto della ferma a mille chilometri dagli
affetti. Alquanto disperato, ma forzatamente rassegnato
alla triste prospettiva, cercai di darmi da fare per rendere
meno amaro il periodo che mi separava dalla fine del
servizio. Riuscii ad essere assegnato all’ Ufficio Viveri,