piena di vita

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Gualtiero de Rota è nato a Milano il 2 gennaio del 1941. Conseguito il diploma di Scuola Media Supe riore, inizia l’attività lavorativa presso la Divisione Elettronica del l’Olivetti. Nel 1966 viene assunto da una prestigiosa orologeria - gio ielleria nel centro del capoluogo lombardo. Vi trascorre circa 30 an ni diventandone il direttore. Due matrimoni, un figlio e tanta voglia di vivere. E’ alla sua prima esperi enza letteraria. Ha praticato nume rosi sports e fa parte tuttora della squadra agonistica dello Sci Club Alaska. Si diletta nel dipingere con discreto successo, ma la sua grande passione è quella di girare il mondo alla scoperta delle bellezze naturali che ci offre il nostro vecchio, caro, misterioso pianeta. in copertina: ROSY (sullo sfondo Parigi e la Senna)
-- prefazione -- Da tempo pensavo di mettere nero su bianco le cose che ho in mente, ma, solo recentemente, quest’idea ha preso consistenza, anche in relazione al fatto che mi sono dotato di un computer che mi permette, in qualsiasi momento, di scrivere tutto quello che mi passa per la testa e, successivamente, rileggere, correggere, cancellare, ripristinare o buttare via tutto ed eventualmente ricominciare daccapo. Ovviamente, per scrivere, bisogna avere qualcosa da dire, e, possibilmente, qualcosa che possa interessare qualcuno. C’è sempre la possibilità di scrivere solo per il piacere di farlo, per me stesso o per la gloria. Ma che gloria se poi nessuno mi leggerà? Potrei sempre farmi leggere da qualche parente o da qualche amico compiacente, ai quali potrei graziosamente donare le mie opere. Con quest’espediente raggiungerei sicuramente lo scopo di farmi leggere, ma anche quello, del tutto indesiderabile, di attirare sulla mia persona falsi complimenti o mal celate maledizioni. A prescindere da queste considerazioni, resta il fatto che desidero scrivere qualcosa! Nella peggiore delle ipotesi resteranno pagine gelosamente custodite nella memoria del mio computer che, a babbo morto, mio figlio andrà a leggere. Ma giacché il BABBO MORTO sarei poi io, toccandomi in mezzo alle cosce, come si usa nelle migliori famiglie (checché se ne dica), sarà meglio che l’erede non abbia accesso al mio computer per un tempo che valuterei pessimisticamente in alcune decine d’anni. E così mi sono fatto anche un bell’augurio di lunga vita. Ma torniamo al pensiero
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