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piena di vita

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Fiat mille cento d’occasione (prima faceva il<br />

rappresentante, ma da quando ha cambiato mestiere, ha<br />

fatto i sol<strong>di</strong>); quell’altro che era un “ barbun” ed è<br />

<strong>di</strong>ventato un “sciur” perché, alla fine della guerra, faceva<br />

“borsanera”. Ricordo con nostalgia le sere <strong>di</strong> primavera<br />

quando, dopo cena, ci si ritrovava “sotto il portone”.<br />

C’erano i cugini Tarsi, che erano sotto un asfissiante<br />

controllo della mamma <strong>di</strong> Franchino, la quale spesso ci<br />

raggiungeva in Piazza Piola, dov’eravamo “spaparanzati”<br />

su una panchina a chiacchierare e che, con militaresco<br />

cipiglio, or<strong>di</strong>nava al figlio <strong>di</strong> rientrare imme<strong>di</strong>atamente a<br />

casa perché “era già tar<strong>di</strong>”. C’era Roberto Velzi, che ha<br />

trascorso una <strong>vita</strong> da bancario. L’ho incontrato<br />

casualmente qualche anno fa in centro ed era felice perché<br />

prossimo a collocarsi in pensione. C’erano Carletto<br />

Pericoli, con il quale ho trascorso un breve periodo da<br />

scout, che “guai se sudava” e Ferrone del 5 che, con Luigi<br />

del 3, erano molto legati fra <strong>di</strong> loro. Poi c’era Arca<strong>di</strong>o, che<br />

ho rivisto un po’ <strong>di</strong> anni fa, quando mi ha venduto due<br />

con<strong>di</strong>zionatori d’aria. Qualche volta c’era Gigi, il figlio del<br />

falegname del 13, che invi<strong>di</strong>avamo moltissimo perché<br />

faceva “belle arti” a Brera e fra i suoi cómpiti scolastici<br />

c’era quello <strong>di</strong> fare il <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> una modella “senza veli”<br />

dal vivo. Qualche volta ci degnava della sua attenzione<br />

“Cipollone”, che era più grande <strong>di</strong> noi e c’intratteneva con<br />

entusiasmanti lezioni <strong>di</strong> sesso (sue esperienze personali<br />

raccontate con dovizia <strong>di</strong> particolari che ci eccitavano<br />

all’inverosimile). Il guaio era che noi dovevamo<br />

accontentarci dei suoi racconti e arrangiarci con “la<br />

sorella della mancina”, mentre lui poteva andare al<br />

“casino”, perché allora la Merlin non li aveva ancora<br />

chiusi. Un altro danno collaterale della legge Merlin fu che,

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