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La recezione del Concilio Vaticano II nella teologia ... - Studia Moralia

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STUDIA MORALIA / SUPPLEMENTO<br />

2<br />

<strong>La</strong> <strong>recezione</strong> <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong><br />

<strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> morale<br />

Atti <strong>del</strong> convegno<br />

Accademia Alfonsiana, Roma,<br />

25-26 marzo 2004<br />

Est Ecclesia agricultura seu ager Dei<br />

(Lumen gentium 6)<br />

EDITIONES ACADEMIAE ALFONSIANAE<br />

ROMA


<strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> / Supplemento<br />

2<br />

INDICE<br />

Presentazione <strong>del</strong> volume<br />

5<br />

COMMEMORAZIONI<br />

E. SCHOCKENHOFF, Pater Bernhard Häring als<br />

Wegbereiter einer konziliaren Moraltheologie.<br />

50. Jahre: „Das Gesetz Christi“ . . . . . . . . . . . . . .<br />

A. CÓRDOBA, Leonardo Buijs y la Accademia<br />

Alfonsiana de Teología Moral . . . . . . . . . . . . . . .<br />

L. VEREECKE, Ricordo <strong>del</strong> R.mo Padre Leonardo<br />

Buijs, C.Ss.R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

9<br />

39<br />

61<br />

LA RECEZIONE DEL CONCILIO VATICANO <strong>II</strong><br />

NELLA TEOLOGIA MORALE<br />

Relazioni<br />

L. ÁLVAREZ, <strong>La</strong> centralidad de la Sagrada Escritura en<br />

la reflexión teológico-moral postconciliar.<br />

Criterios hermeneuticos . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

M. DOLDI, Il rinnovamento postconciliare <strong>del</strong> contatto<br />

<strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale con il mistero di Cristo e<br />

la storia <strong>del</strong>la salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

T. KENNEDY, Paths of Reception: How Gaudium et<br />

spes shaped Fundamental Moral Theology. . . . .<br />

G. RUSSO, Lo sviluppo postconciliare <strong>del</strong>l’etica <strong>del</strong>la<br />

vita (Bioetica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

G. GATTI, Lo sviluppo postconciliare <strong>del</strong>la morale<br />

<strong>del</strong>la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

63<br />

99<br />

115<br />

147<br />

169


4<br />

M. MCKEEVER, Quale questione sociale? Interrogativi,<br />

risposte e sfide nell’insegnamento sociale<br />

postconciliare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Tavola rotonda<br />

Quale <strong>teologia</strong> morale per il XXI secolo? (B. PETRÀ,<br />

B. JOHNSTONE, D. BILLY) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

201<br />

215


A 40 ANNI DAL CONCILIO VATICANO <strong>II</strong>,<br />

UN CONVEGNO ALL’ACCADEMIA ALFONSIANA<br />

In data 25 e 26 marzo, si è tenuto all’Accademia Alfonsiana<br />

un convegno sul tema “<strong>La</strong> <strong>recezione</strong> <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong><br />

<strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> morale”. L’evento <strong>del</strong> concilio (1962-1965), che<br />

quaranta anni fa stava in pieno svolgimento, non ha esaurito la<br />

sua fecondità ecclesiale. Ma da quel momento, la situazione <strong>del</strong><br />

mondo è già evoluta notevolmente e rapidamente. L’appello che<br />

il <strong>Concilio</strong> rivolgeva proprio alla <strong>teologia</strong> morale perché i cristiani<br />

siano in grado di “portare frutto <strong>nella</strong> carità per la vita <strong>del</strong><br />

mondo” (Optatam totius 16) esige una costante interpretazione<br />

di questa evoluzione e la sua rilettura alla luce <strong>del</strong> Vangelo.<br />

Dopo il messaggio di benvenuto <strong>del</strong> Preside, e prima di<br />

entrare <strong>nella</strong> tematica specifica <strong>del</strong> convegno, l’Accademia ha<br />

voluto sottolineare due altre ricorrenze legate alla sua storia.<br />

Dapprima, il 50º anniversario <strong>del</strong>la pubblicazione <strong>del</strong>l’opera <strong>del</strong><br />

P. Bernhard Häring (professore all’Accademia per più di 40<br />

anni): Das Gesetz Christi (<strong>La</strong> legge di Cristo), che ha conosciuto<br />

decine di edizioni in più di 10 lingue. I partecipanti al convegno<br />

potevano vedere in mostra i volumi <strong>del</strong>la prima edizione tedesca<br />

nonché un esemplare <strong>del</strong>le traduzioni esistenti. Per l’occasione,<br />

il Prof. Eberhard Schockenhoff, <strong>del</strong>l’Università Albert-Ludwigs<br />

in Friburgo (Germania), ha presentato una relazione intitolata:<br />

“Il padre Häring, pioniere di una <strong>teologia</strong> morale conciliare. I 50<br />

anni de <strong>La</strong> Legge di Cristo”. Il relatore ha sottolineato il contributo<br />

<strong>del</strong> P. Häring al rinnovamento <strong>del</strong>la morale, anticipando<br />

sulle richieste <strong>del</strong> concilio che ne indicava una chiave nel “contatto<br />

più vivo col mistero di Cristo e con la storia <strong>del</strong>la salvezza”.<br />

Questo orientamento fondamentale era già stato impresso<br />

all’Accademia dal suo fondatore, P. Leonardo Buijs, Superiore<br />

generale <strong>del</strong>la Congregazione <strong>del</strong> Santissimo Redentore dal 1947<br />

al 1953, di cui abbiamo commemorato il 50º anniversario <strong>del</strong><br />

decesso. Dopo una presentazione biografica <strong>del</strong> P. Buijs e <strong>del</strong><br />

suo ruolo <strong>nella</strong> fondazione <strong>del</strong>l’Accademia, presentazione corredata<br />

da un interessante materiale visivo, offertaci dal Prof.<br />

Álvaro Córdoba, abbiamo ascoltato la testimonianza di uno che<br />

l’ha conosciuto personalmente: P. Louis Vereecke, C.Ss.R., pro-


6 PRESENTAZIONE<br />

fessore all’Accademia già <strong>nella</strong> prima ora ed emerito dal 1990.<br />

(<strong>La</strong> testimonianza <strong>del</strong> P. Vereecke, che non ha potuto essere presente<br />

per motivi di salute, è stata letta dal Preside<br />

<strong>del</strong>l’Accademia, il Prof. Sabatino Majorano).<br />

Questa prima mattinata <strong>del</strong> convegno, dal carattere celebrativo<br />

e così opportunamente conclusa con un rinfresco, è stata<br />

onorata dalla presenza di rappresentanti <strong>del</strong>le province redentoriste<br />

di origine <strong>del</strong> Prof. Häring e <strong>del</strong> P. Buijs, rispettivamente P.<br />

Karl Borst <strong>del</strong>la provincia di Monaco (Baviera) e P. Joseph<br />

Konings, <strong>del</strong>la provincia di Amsterdam.<br />

Nel pomeriggio, si è attaccato la tematica specifica <strong>del</strong> convegno<br />

con due relazioni che hanno cercato di leggere la storia<br />

recente <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale alla luce di due indicazioni <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> nel suo documento sulla formazione dei sacerdoti,<br />

Optatam totius. Il Prof. Lorenzo Álvarez, <strong>del</strong>l’Accademia<br />

Alfonsiana, ci ha intrattenuti su “<strong>La</strong> centralità <strong>del</strong>la Sacra<br />

Scrittura <strong>nella</strong> riflessione teologico-morale post-conciliare” e il<br />

Prof. Marco Doldi (ex-studente <strong>del</strong>l’Accademia e attualmente<br />

Direttore <strong>del</strong>la Sezione di Genova <strong>del</strong>la Facoltà di Teologia<br />

<strong>del</strong>l’Italia settentrionale) su “Il rinnovamento postconciliare <strong>del</strong><br />

contatto <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale con il mistero di Cristo e la storia<br />

<strong>del</strong>la salvezza”.<br />

Nel pomeriggio l’attenzione si è dapprima rivolta al documento<br />

<strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> che ha voluto esaminare i problemi contemporanei<br />

“alla luce <strong>del</strong> vangelo e <strong>del</strong>l’esperienza umana” (Gaudium<br />

et spes, 46): il Prof. Terence Kennedy ci ha offerto una riflessione<br />

sull’influsso <strong>del</strong>la Gaudium et spes nello sviluppo postconciliare<br />

<strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale fondamentale. Si è fatto così anche transizione<br />

verso i tre temi di morale speciale (o settoriale) che si è voluto<br />

privilegiare nel convegno: la bioetica, la famiglia e la società.<br />

Il Prof. Giovanni Russo (ex-studente <strong>del</strong>l’Accademia e oggi<br />

professore di bioetica presso l’Istituto “S. Tommaso” di Messina)<br />

ha tenuto una relazione su “lo sviluppo postconciliare <strong>del</strong>l’etica<br />

<strong>del</strong>la vita (bioetica). Hanno seguito il Prof. Guido Gatti, professore<br />

emerito <strong>del</strong>la Pontificia Università Salesiana, su “lo sviluppo<br />

postconciliare <strong>del</strong>la morale <strong>del</strong>la famiglia” e il Prof. Martin<br />

McKeever, <strong>del</strong>l’Accademia Alfonsiana che ci intrattenuti sul<br />

tema: “Quale questione sociale? Interrogativi, risposte e sfide<br />

nell’insegnamento sociale post-conciliare”.<br />

Dopo questo penetrante sguardo dato al passato recente,


PRESENTAZIONE 7<br />

occorreva rivolgersi verso il futuro. I Professori Basilio Petrà,<br />

Brian Johnstone e Dennis Billy, tutti e tre <strong>del</strong>l’Accademia, hanno<br />

dibattuto in tavola rotonda, con la partecipazione <strong>del</strong>l’assemblea,<br />

sulla domanda: “Quale <strong>teologia</strong> morale per il XXI secolo?<br />

Evento accademico, il convegno è stato anche per i suoi partecipanti<br />

un evento ecclesiale in cui l’impegno <strong>del</strong>la riflessione<br />

scientifica ha voluto iscriversi <strong>nella</strong> disponibilità allo Spirito che<br />

rinnova la terra (cf. Salmo 104, 30).<br />

JULES MIMEAULT, C.SS.R.


StMor 42 (2004) 9-37<br />

EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER<br />

EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE<br />

50 Jahre: „Das Gesetz Christi“<br />

Das Streben nach gedanklicher Originalität ist der Theologie<br />

wie aller geistig-wissenschaftlicher Tätigkeit bis zu einem gewissen<br />

Grade immanent. Doch während sich das philosophische<br />

Denken als individuelle Wahrheitssuche des einzelnen Denkers<br />

versteht, ist die Theologie in stärkerem Maß von einem Ethos<br />

gemeinsamer Erkenntnisbemühung geprägt. Innerhalb ihres<br />

Fächerkanons trifft das Eingebundensein eines Autors in eine<br />

überindividuelle Aufgabenstellung und Schultradition für die<br />

Moraltheologie sogar in noch höherem Maß als für die anderen<br />

theologischen Disziplinen zu. Im Blick auf den gegenwärtigen<br />

Zustand des Faches, der durch eine hochgradige<br />

Differenzierung und Pluralität von Fragestellungen, Methoden<br />

und Argumentationsweisen geprägt ist, mag diese Diagnose<br />

überraschen. Doch trifft sie auf die Zeit, in der Bernhard Häring<br />

die Arbeit an dem moraltheologischen Handbuch „Das Gesetz<br />

Christi“ begann, also für die 50er-Jahre des vergangenen<br />

Jahrhunderts, zweifellos noch zu. Als Redemptorist stand er<br />

nicht nur in der langen Schultradition eines Ordens, dessen<br />

gemeinsame Zielsetzung ausdrücklich der wissenschaftlichen<br />

Tätigkeit auf dem Gebiet der Moraltheologie gewidmet ist, sondern<br />

wollte durch sein eigenes theologisches Arbeiten die<br />

Erneuerungstendenzen fortführen, die sich seit dem Ende des<br />

18. Jahrhunderts zunächst gegen die vorherrschende (neu)scholastische<br />

Tradition und seit der Thomas-Renaissance des 20.<br />

Jahrhunderts in bewusstem Anschluss an sie zu Wort meldeten.


10 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

I. Die Situierung Härings in der jüngeren Geschichte<br />

der Moraltheologie<br />

Am Anfang des propädeutischen Kapitels von „Das Gesetz<br />

Christi“ gibt Häring deshalb nicht nur einen geschichtlichen<br />

Überblick über die Entwicklung seines Faches, wie es dem<br />

Charakter eines Handbuches entspricht; er verortet vielmehr<br />

sich selbst und seinem theologischen Neuansatz in dem verzweigten<br />

Gelände, als das sich die katholische Moraltheologie in<br />

der Mitte des 20. Jahrhunderts präsentiert. Schon der Untertitel<br />

seines Handbuchs enthält ein verstecktes theologisches<br />

Bekenntnis. Hinter der Angabe „dargestellt für Priester und<br />

<strong>La</strong>ien“ verbirgt sich nicht nur die Abkehr von einer kasuistischen<br />

Beichtmoral, die sich nach der tridentinischen Reform<br />

vor allem als Handreichung zur Verwaltung des<br />

Bußsakramentes verstand. Die Ausrichtung auf Priester und<br />

<strong>La</strong>ien enthält vielmehr eine versteckte Hommage an einen<br />

großen Vorgänger, in dessen Tradition sich Häring mit dem<br />

erweiterten Adressatenkreis seines Werkes stellt: den Dillinger<br />

Moraltheologen und späteren Regensburger Bischof Johann<br />

Michael Sailer, der als Überwinder der Aufklärung und<br />

Erneuerer des kirchlichen Lebens in die neuere Theologie- und<br />

Kirchengeschichte einging. (Wer um die historischen<br />

Zusammenhänge weiß, wird darin auch eine späte<br />

Wiedergutmachung erkennen, die Häring stellverstretend für<br />

den ganzen Redemptoristenorden und seine bayrische Provinz<br />

dieser markanten Gestalt des deutschen Katholizismus im Übergang<br />

von der Aufklärung zur Romantik erwies.) 1<br />

Nachdem er seine rationalistische Frühphase eines aufgeklärten<br />

Christentums überwunden hatte, veröffentlichte Sailer im<br />

Jahre 1817 das „Handbuch der christlichen Moral zunächst für<br />

künftige katholische Seelsorger und dann für jeden gebildeten<br />

1<br />

Vgl. dazu O. Weiß, Die Redemptoristen in Bayern, 1790-1909. Ein<br />

Beitrag zur Geschichte des Ultramontanismus (Münchener Theologische<br />

Studien. I. Historische Abteilung 22), St. Ottilien 1983 und H. Wolf, Johann<br />

Michael Sailer. Das postume Inquisitionsverfahren (Römische Inquisition<br />

und Indexkongregation, Bd. <strong>II</strong>), Paderborn u.a. 2002.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 11<br />

Christen“. Schon der Titel bringt die Zielsetzung zum Ausdruck,<br />

über die pastorale Beichtunterweisung hinaus eine Anleitung „zu<br />

einem gottseligen Leben“ für alle Christen und Berufsstände zu<br />

geben. Was Häring zur Charakterisierung Sailers sagt, trifft ebenso<br />

für sein eigenes moraltheologisches Programm zu: „Er will ein<br />

Gesamtgebäude der Lehre vom christlichen Leben bieten, eine<br />

systematische Darstellung des vollen Ideals.“ 2 Insbesondere übernimmt<br />

Häring von Sailer die Idee, wonach die Moraltheologie in<br />

erster Linie das dynamische Wachstum und die seinshafte<br />

Vollendung des christlichen Lebens zu beschreiben hat und sich<br />

keineswegs mit einer „Umzäunung der Mindestgrenzen“ nach Art<br />

einer legalistischen Minimalmoral zufrieden geben darf. 3 Ebenso<br />

zeigt sich Häring dem „bayerischen Kirchenvater“ in der pastoralen<br />

Ausrichtung seines moraltheologischen Denkens und in dem<br />

Bemühen um eine Sprachgestalt verwandt, die dürre<br />

Begrifflichkeit vermeidet und statt dessen (in bisweilen freilich<br />

sehr zeitbedingter Form) auf gemütsbetonte, zu Herzen gehende<br />

rhetorische Wirkungen setzt.<br />

Unter den großen Moraltheologen des 19. Jahrhunderts<br />

stellt Häring Sailer als zweiten „große(n) Überwinder und<br />

Bahnbrecher“ 4 den Tübinger (und später Freiburger) Johann<br />

Baptist Hirscher zur Seite, dessen Denken ganz unter dem biblischen<br />

Zentralbegriff vom Reich Gottes stand. Das Anliegen, zu<br />

einer Überwindung des für beide Seiten verhängnisvollen<br />

Schismas zwischen Christentum und moderner Kultur beizutragen,<br />

sieht Häring unter den späteren Moraltheologen vor allem<br />

von Franz Xaver Linsenmann fortgeführt. Seinem 1878 erschienenen<br />

Lehrbuch attestiert er eine „glückliche Verbindung der<br />

spekulativen mit der praktischen, den Zeitproblemen zugewandten<br />

Methode“ sowie eine Sichtweise der christlichen<br />

Freiheit, die im paulinischen Geist deren inneres Wachstum und<br />

fortschreitende Bindung an Gott betont. Wiederum formuliert<br />

Häring dabei zentrale Denkmotive seiner eigenen Theologie im<br />

2<br />

B. Häring, Das Gesetz Christi. Moraltheologie in drei Bänden,<br />

dargestellt für Priester und <strong>La</strong>ien 1. Bd., Freiburg i.Br. 7 1963, 63.<br />

3<br />

A.a.O., 64.<br />

4<br />

A.a.O., 65.


12 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

Spiegel der jüngeren Geschichte seines Fachs. Unter den bedeutenderen<br />

Moraltheologen des 20. Jahrhunderts hebt Häring vor<br />

allem Josef Mausbach und Otto Schilling hervor – den erstgenannten,<br />

weil er im engen Anschluss an Augustinus den<br />

Charakter der Moraltheologie als Glaubenswissenschaft wieder<br />

stärker betont und daher einer „Theologisierung der Moral“ das<br />

Wort redet, den zweiten, weil er auf dem Boden der thomanischen<br />

Ethik in der Gottesliebe das Formalprinzip der gesamten<br />

Moraltheologie erkennt und diese konsequent am Gedanken des<br />

finis ultimus ausrichtet.<br />

Als unmittelbare Vorgänger erwähnt Häring schließlich Fritz<br />

Tillmann, dessen „ganz und gar biblisch fundierte Moral“ auf<br />

das Prinzip der Nachfolge Christi aufbaut und seinen Tübinger<br />

Lehrer Theodor Steinbüchel, dessen philosophisches Bemühen<br />

eine Versöhnung der thomanischen Wesensphilosophie mit den<br />

personalistischen, wertphilosophischen und existentialistischen<br />

Strömungen des 20. Jahrhunderts gewidmet ist. Indem Häring<br />

in diesen theologischen Kurzbiographien bedeutende moraltheologische<br />

Profile bis zur zeitgenössischen Gegenwart vorstellt,<br />

gibt er zugleich Rechenschaft von seiner individuellen<br />

Entwicklung und den Anregungen, die für sein eigenes Denken<br />

prägend wurden. Dabei versäumt er es jedoch nicht, durch<br />

ebenso markante Korrekturen die Richtung anzudeuten, in der<br />

er seinen Beitrag zu der gemeinsamen Erneuerungsbewegung in<br />

seinem Fach vorantreiben möchte. So bemängelt er an der thomanischen<br />

Konzeption Schillings, dass sie die caritas nicht personal-dynamisch<br />

und responsorisch, sondern nur von ihrer<br />

Zielgerichtetheit und ihrem Gegenstand her sieht, während er<br />

bei Tillmann eine Unterbelichtung der sakramentalen<br />

Christusverbundenheit beklagt, die nicht angemessen als<br />

„Bauelement der Nachfolge Christi“ herausgestellt werde. 5 Wie<br />

in einem Fächer liegen am Ende des historischen Durchgangs<br />

durch die Geschichte seiner Disziplin die Denkmotive und<br />

Facetten bereit, die Häring in seinem eigenen Entwurf einer<br />

Fundamentalmoral zu einem systematischen Ganzen zusammenzufügen<br />

versucht.<br />

5<br />

Vgl. a.a.O., 71f.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 13<br />

<strong>II</strong>. Zentralbegriffe und Grundanliegen in „Das Gesetz<br />

Christi“<br />

Im zweiten Schritt seiner Einleitung in die allgemeine<br />

Moraltheologie gibt Häring einen systematischen Überblick<br />

über die Zentralbegriffe seiner Disziplin. Er wechselt nunmehr<br />

die Blickrichtung und fragt nicht mehr nach dem historisch<br />

gewachsenen Problemstand, sondern stellt die wichtigsten<br />

Denkformen und Anliegen vor, die ihn bei seinem fundamentalethischen<br />

Entwurf leiten. Ein erster charakteristischer<br />

Grundzug, der wie ein Wasserzeichen durch alle späteren<br />

Einzelausführungen hindurchscheint, liegt in der ausgesprochen<br />

christozentrischen Anordnung des Werkes. Schon der<br />

Eröffnungssatz verweist auf dieses zentrale Motiv Häring’scher<br />

Theologie: „Die Norm, die Mitte und das Ziel der christlichen<br />

Moraltheologie ist Christus.“ 6 Dieses biblische Grunddatum<br />

wird zum bleibenden Referenzpunkt aller fundamentalethischen<br />

Zentralbegriffe. Ihrem formalen Prinzip nach ist die<br />

Moraltheologie weder Tugendethik noch Pflichtenethik, weder<br />

allgemeine Normwissenschaft noch konkrete Entscheidungsethik,<br />

weder Gebotsmoral noch Gewissenslehre, sondern<br />

immer nur eines: Ethik der Nachfolge Christi. Doch als umfassende<br />

Theorie der menschlichen Lebensführung unter dem<br />

Anspruch des Evangeliums fragt eine christozentrische Ethik<br />

notwendig nach moralischen Prinzipien, nach dem letzten<br />

Grund des sittlichen Sollens, nach der Funktion von Tugenden<br />

und Geboten sowie der Rolle des Gewissens im moralischen<br />

Leben. Sie enthält daher als Gegenstandsbereiche auch eine<br />

Prinzipienethik, eine Tugendethik, eine Gesetzesethik und eine<br />

Gewissenslehre. Mit anderen Worten: Was ihre grundlegenden<br />

Fragestellungen und Themenfelder anbelangt, so präsentiert<br />

sich die Fundamentalethik von „Das Gesetz Christi“ bewusst als<br />

Mischform. Die christologische Struktur der Gesamtanlage des<br />

Werkes verdrängt nicht die klassischen materialen<br />

Problemfelder der Moraltheologie; sie gibt vielmehr den architektonischen<br />

Rahmen vor, innerhalb dessen diese ihren von der<br />

Leitidee der Nachfolge Christi zugewiesenen Platz finden.<br />

6<br />

A.a.O., 25.


14 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

Bevor Häring den architektonischen Gesamtrahmen vorstellt,<br />

dem in der Anlage des Werkes die materialen<br />

Einzelthemen zugeordnet werden, erläutert er den formalen<br />

Grundzug einer christologischen Nachfolge-Ethik. Mit einer<br />

gängigen Formel der theologischen Gegenwartssprache gesagt:<br />

Er bestimmt den theologischen Charakter der christlichen<br />

Moral und arbeitet das Unterscheidend-Christliche heraus, das<br />

diese im Gegensatz zu einer philosophischen Ethik prägt.<br />

Dabei orientiert er sich nicht an der späteren Streitfrage, ob es<br />

ein materiales Proprium christlicher Ethik gibt, das als Überschuss<br />

über eine philosophische Moraltheorie hinausweist und<br />

der natürlichen Vernunft des Menschen unerreichbar ist.<br />

Entgegen einer solchen Mehrwert-Theorie, die das<br />

Unterscheidend-Christliche in die Randzonen des Lebens<br />

abdrängt, sieht Häring die Besonderheit der christlichen Moral<br />

in ihrer formalen Grundstruktur, die das gesamte Ethos prägt<br />

und somit auch den allen Menschen gemeinsamen, der natürlichen<br />

Vernunft zugänglichen Grundbestand praktischen<br />

Wissens umfasst.<br />

Dieses durchgängige Formalprinzip benennt Häring mit<br />

Hilfe der zeitgenössischen Philosophie des Personalismus und<br />

einer phänomenologischen Analyse des religiösen Aktes als responsorisch-dialogische<br />

Struktur: Christliches Ethos versteht<br />

sich immer vom Gegenüber zu dem heiligen, dreieinigen Gott<br />

her als geschöpfliche Antwort auf dessen Ruf zur beseeligenden<br />

Gemeinschaft mit ihm. In der grundlegenden Bestimmung des<br />

moralischen Han<strong>del</strong>ns als tätigem Vollzug der Gemeinschaft mit<br />

dem lebendigen Gott sieht Häring die genuine Urform einer religiösen<br />

Ethik, die schon von ihrem ersten Einsatz her durch den<br />

Gottesbezug geprägt ist und die Religion nicht nur als sekundäre<br />

Sanktionierung gewissermaßen nachträglich ins Spiel bringt.<br />

„Der reine Typus der religiösen Ethik ist der responsorische, wo<br />

das sittliche Tun als Antwort auf den Anruf einer heiligen, absoluten<br />

Person verstanden wird.“ 7<br />

7<br />

A.a.O., 76.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 15<br />

Im Gegensatz zur dialogischen Struktur einer religiösen<br />

Ethik sieht Häring das gemeinsame Kennzeichen aller Varianten<br />

einer philosophischen Ethik in ihrem monologischen Charakter:<br />

Ob es sich um die platonische Theorie des Guten, die aristotelische<br />

Tugendlehre, die kantische Vernunftmoral oder Nietzsches<br />

Anti-Moral einer dionysischen Lebenssteigerung han<strong>del</strong>t –<br />

immer bleibt die natürliche Ethik im Bannkreis eines monologischen<br />

Ich und seiner Suche nach Selbstvervollkommnung gefangen.<br />

8 Diesem ersten Gegensatz entspricht ein zweiter, der in dem<br />

tragenden Wort-Antwort-Geschehen angelegt ist, worin das<br />

christliche Ethos seinen Ursprung hat. Während im Gedanken<br />

der Nachfolge Christi die besondere Berufung des Einzelnen im<br />

Mittelpunkt steht, stelle eine natürliche Vernunftethik die sittliche<br />

Forderung unter dem Titel des Gesetzes, der Pflicht oder<br />

auch des kategorischen Imperativs immer als eine unpersönliche<br />

Macht oder ein abstraktes Prinzip dar. Für die gesamte neuzeitliche<br />

Ethik und einen ihr verwandten Typus theologischer<br />

Aufklärung gilt nach Härings Urteil: „In Wirklichkeit sind die<br />

Vernunftgesetze nur Abstraktionen, die in keiner Weise den<br />

Reichtum des Individuellen wiedergeben können.“ 9 Dagegen ist<br />

die responsorisch-dialogische Ethik des Christentums dadurch<br />

bestimmt, dass der Einzelne als Einzelner vor Gott gestellt ist:<br />

„In personaler, religiöser Sittlichkeit steht der Mensch nicht vor<br />

einem allgemeinen Gesetz (es gibt selbstverständlich auch dieses!),<br />

sondern vor dem persönlichen Anruf Gottes an ihn, den er<br />

aus den besonderen Gaben und Kräften und aus der jeweiligen<br />

Situation vernehmen kann.“ 10<br />

Ein drittes Kennzeichen der religiösen Ethik sieht Häring in<br />

dem Umstand, dass diese sich nicht nur an allgemein gültigen<br />

Mindestforderungen orientiert, wie es für eine rationale<br />

8<br />

Vgl. dazu a.a.O., 84.<br />

9<br />

A.a.O., 85.<br />

10<br />

Ebd. Vgl. auch a.a.O., 188: „Je mehr der Mensch aus seiner Persontiefe<br />

lebt, um so sicherer und unverlierbarer wird ihm sein geistiges Gespür sagen:<br />

Es ist nicht ein totes absolutes Prinzip, sondern es ist eine lebendige Person, die<br />

hinter allem Fordern der Werte steht.“


16 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

Gesetzesethik typisch ist, sondern dem Einzelnen einen persönlichen<br />

Weg der Liebe und des Gehorsams gegenüber dem göttlichen<br />

Du aufzeigt, der seinen individuellen Fähigkeiten entspricht.<br />

Anders als in einer „anthropozentrischen Selbstvervollkommnungsethik“<br />

11 , bei der immer der Mensch im Mittelpunkt<br />

steht und die deshalb zwangsläufig in der Sackgasse einer „todbringenden<br />

Anthropozentrik“ 12 endet, liegt der christlichen<br />

Ethik eine anspruchsvolle Vorstellung vom Glück (oder wie<br />

Häring sagt: vom „Seelenheil“) des Menschen zugrunde, die den<br />

sündigen Menschen in die „Liebesgemeinschaft mit dem lebendigen<br />

Gott“ 13 ruft.<br />

Ein vierter Grundzug der religiösen Ethik des Christentums<br />

zeigt sich schließlich in ihrem ekklesiologischen Charakter. Wird<br />

die menschliche Person radikal von Gott her verstanden, so sieht<br />

sie nicht nur zu sich selbst, sondern zugleich in die<br />

Gemeinschaft derer gerufen, die den heiligen, lebendigen Gott<br />

verehren. Weil Nachfolge Christi nicht nur als persönliches<br />

Gefolgschaftsverhältnis gedacht werden kann, sondern als dialogischer<br />

Vollzug sakramentaler Christusgemeinschaft<br />

bestimmt werden muss, ist der Einzelne, indem er sich Christus<br />

anschließt, zugleich in die Gemeinschaft seines mystischen<br />

Leibes aufgenommen. Daher steht die Moraltheologie vor der<br />

Aufgabe, eine spannungsvolle Balance zwischen zwei Polen zu<br />

wahren: Einerseits sind die Getauften in ihrem personalen<br />

Eigenwert von Gott zur Gemeinschaft mit ihm berufen, andererseits<br />

trifft sie diese Berufung nicht nur als Einzelne, sondern<br />

zugleich als Glieder der Kirche. „In Christus sein heißt notwendig<br />

auch denen verbunden sein, die in Christus sind, die von<br />

Christus gerufen werden.“ 14 Die sakramentale Christusgemeinschaft,<br />

welche die ontologische Grundlage für die persönliche<br />

Nachfolge jedes Einzelnen bildet, lässt sich von der Realität des<br />

mystischen Leibes Christi nicht trennen, die ihn in seiner<br />

Antwort trägt und umfängt. „Der Ruf zur Nachfolge Christi trifft<br />

11<br />

A.a.O., 80.<br />

12<br />

A.a.O., 94.<br />

13<br />

A.a.O., 81.<br />

14<br />

A.a.O., 79.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 17<br />

uns in der Kirche und durch die Kirche.“ 15 An mehreren Stellen<br />

seines Werkes bezeichnet Häring die Kirche mit einem Wort des<br />

Tübinger Theologen Johann Adam Möhler, auf das später auch<br />

die Kirchenkonstitution des Zweiten Vatikanischen Konzils<br />

anspielen wird, explizit als den „fortlebenden Christus“ 16 . Eine<br />

christozentrische Nachfolge-Ethik, wie sie Häring vorschwebt,<br />

setzt als dogmatische Bezugspunkte notwendigerweise die<br />

Theologie der Inkarnation und die Lehre von der Kirche in ihrer<br />

für das sakramentale Denken typischen Verschränkung voraus.<br />

Es überrascht daher nicht, dass sich bei Häring in den späteren<br />

Auflagen seines Handbuchs auch die Kennzeichnung der Kirche<br />

als Ursakrament findet, die das Konzil zum Angelpunkt seiner<br />

Lehre über das Mysterium der Kirche machen wird. 17<br />

Nachdem Häring die dialogische Struktur, die personale<br />

Einmaligkeit, die damit verbundene hochethische Tendenz und<br />

den heilssozialen (= kirchlichen) Charakter des christlichen<br />

Ethos herausgestellt hat, fragt er abschließend nach einem<br />

Grundbegriff, der dem religiösen Konzept der Nachfolge Christi<br />

als moralischer „Zentralbegriff der katholischen Sittenlehre“ 18<br />

zur Seite treten kann. Wiederum kommt dafür keiner der herkömmlichen<br />

Grundbegriffe moraltheologischer Theoriebildung<br />

in Frage. Weder Tugend noch Gesetz, weder Gebot noch Norm,<br />

sondern das religiös interpretierte Wort „Verantwortung“ stellt<br />

das gesuchte Korrelat zur Zentralidee der Nachfolge Christi dar.<br />

„Es erscheint uns als der beste Ausdruck für den personalen Ich-<br />

Du-Bezug zwischen Gott und Mensch in Wort und Antwort bzw.<br />

in Anruf und Entscheidung.“ 19 Wie in einem Prisma versammelt<br />

der in einen theologischen Bezugsrahmen gestellte Begriff der<br />

Verantwortung die bisher ausgezogenen Linien. Der Gedanke<br />

der Verantwortung umfasst nicht nur den dialogischen<br />

Charakter des christlichen Ethos (als Antwort-Geben gegenüber<br />

dem göttlichen Du) und die Selbstverantwortung der menschli-<br />

15<br />

Ebd.<br />

16<br />

Vgl. a.a.O., 109.<br />

17<br />

A.a.O., 109.<br />

18<br />

A.a.O., 86.<br />

19<br />

Ebd.


18 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

chen Person, die das Wesen des sittlichen Aktes ausmacht, sondern<br />

auch die aufgezeigten dogmatischen Fundamente des<br />

christlichen Lebens. Die Bedeutung der Gestalt Christi geht in<br />

einer theologischen Moral der Verantwortung über die Funktion<br />

hinaus, die sie in einer menschlichen Vorbild-Ethik haben könnte.<br />

In Christus ereignet sich das Geschehen der Verantwortung<br />

im Dialog zwischen Gott und Mensch in höchster urbildlicher<br />

Vollendung, so dass alle menschliche Verantwortung nichts<br />

anderes als den geschöpflichen Nachvollzug dieses urbildlichen<br />

Geschehens im freien menschlichen Tätigsein bedeutet. In<br />

Christus ist die bleibende und endgültige Koinzidenz der beiden<br />

Bewegungen gegeben, die in ihrem Aufeinandertreffen den<br />

Rahmen geschöpflicher Verantwortung eröffnen: dem göttlichen<br />

Wort und der menschlichen Antwort. „Christus, das menschgewordene<br />

Wort des Vaters, ist in einem und zugleich das<br />

letztgültige Wort des Vaters an uns Menschen und die vollgültige<br />

Antwort des Hauptes der erneuerten Menschheit auf den Vater<br />

zu.“ 20 Am Ende des propädeutischen Kapitels, in dem Häring wie<br />

in einem Präludium die Einzelmotive seines fundamentalethischen<br />

Neuansatzes anklingen lässt, greift er deshalb auf den programmatischen<br />

Anfangssatz der Einleitung zurück, in dem er<br />

Christus als die Norm, die Mitte und das Ziel der Moraltheologie<br />

bestimmt. „Ihm nachfolgen und in ihm sein bedeutet lebensspendende<br />

Theozentrik, gnadengeschenkte Gemeinschaft mit<br />

Gott, in Wort und Antwort, in ‚Ver-antwortung’.“ 21 Die<br />

Moraltheologie ist, so lautet das theologische Programm, dem<br />

Häring sich selbst unterstellt, nur dann recht bei ihrer Sache,<br />

wenn sie der Sache Christi zugewandt ist. Sie kann in all ihren<br />

Einzelanalysen, in denen sie die moralischen Grundworte<br />

Freiheit, Gesinnung, Motiv, Situation, Tugend, Gesetz und<br />

Gewissen durchbuchstabiert, nur so recht von ihrer Sache<br />

reden, dass sie in all dem auf das „Urwort“ verweist, „in dem und<br />

20<br />

A.a.O., 92. (Kursivschrift jeweils im Original)<br />

21<br />

A.a.O., 94.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 19<br />

durch das der gottebenbildliche Mensch lebt und in dem er<br />

Antwort geben kann“ 22 .<br />

<strong>II</strong>I. Der äußere Aufbau der Fundamentalethik<br />

Die responsorisch-dialogische Anlage der Häring’schen<br />

Moraltheologie zeigt sich bereits im äußeren Aufbau, nach dem<br />

er die fundamentalethischen Einzelstoffe anordnet. Die grundlegende<br />

Zweiteilung erfolgt nicht entlang der Trennungslinie zwischen<br />

natürlicher und heilsgeschichtlich-biblischer Ethik (analog<br />

zur Dissoziation von Weltethos und Heilsethos in der späteren<br />

autonomen Moral) oder nach dem Schema: zuerst die objektiven<br />

Grundlagen der Moral und dann deren Aneignung durch<br />

das han<strong>del</strong>nde Subjekt, sondern entsprechend der Sequenz: Ruf<br />

Christi – Antwort des Menschen. Der Nachfolgegedanke<br />

bestimmt die Moraltheologie also nicht nur in der Form einer<br />

feierlichen Anfangsproklamation, die auf deren konkrete<br />

Stoffeinteilung keinen Einfluss mehr hätte. Er prägt vielmehr<br />

den Gesamtaufbau der Fundamentalethik wie ein Begleitfaden,<br />

der in die Durchführung aller Themenfelder hineinverwoben ist.<br />

Der erste Hauptteil unter dem Titel „Der Ruf Christi“ geht in<br />

zwei Schritten vor, indem er zunächst den Mensch als<br />

Adressaten dieses Rufes behan<strong>del</strong>t. Der umfangreiche Abschnitt<br />

„Der zur Nachfolge gerufene Mensch“ enthält die anthropologische<br />

Grundlegung der Ethik, die entsprechend dem heilsgeschichtlich-biblischen<br />

Charakter des Gesamtwerkes in dezidiert<br />

theologischer Absicht erfolgt. Der Mensch wird nicht als neutrales<br />

Wesen, sondern als die konkrete Person beschrieben, die in<br />

der faktischen Heilsordnung unter dem Anruf der göttlichen<br />

Gnade steht und sich in ihrem sittlichen Selbstvollzug unausweichlich<br />

für die Annahme dieses Rufes entscheidet oder sich<br />

ihm im Nein der Sünde verschließt. Was Häring hier entwickelt,<br />

sind die klassischen Themenfelder der theologischen<br />

Anthropologie, die in Form einer aufgelockerten Schultradition<br />

22<br />

Ebd.


20 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

mit einem kräftigen Schuss zeitgenössischer Philosophie und<br />

Psychologie angereichert werden. Insbesondere machen sich die<br />

Einflüsse des dialogischen Personalismus, der Phänomenologie<br />

und der Wertethik als innovative, dem philosophischen<br />

Zeitgespräch gegenüber anschlussfähige Elemente des moraltheologischen<br />

Denkens bemerkbar. Diese Verbindungslinien lassen<br />

sich anhand der Werke des frühen Max Scheler, der katholischen<br />

Heidegger-Schülerin Edith Stein oder christlicher<br />

Philosophen wie Dietrich von Hildebrandt und Hedwig Conrad-<br />

Martius auch in den ausdrücklichen Zitaten verfolgen.<br />

Entsprechend der philosophischen Anthropologie des 20.<br />

Jahrhunderts, die in diesem Punkt dem ganzheitlichen<br />

Menschenbild der Bibel und dem thomanischen Hylemorphismus<br />

sehr nahe kommt, stellt Häring als anthropologischen<br />

Ausgangspunkt des christlichen Ethos die leib-seelische<br />

Ganzheit des Menschen heraus. Dieser Einsatz bei einem<br />

anthropologischen Einheitsdenken hat unmittelbare<br />

Konsequenzen für die Handlungstheorie, die allen normativen<br />

Einzelaussagen voransteht: Die Einzelhandlung wird nicht<br />

primär in ihrer physischen Außenseite wahrgenommen, sondern<br />

sie erhält sittliche Bedeutsamkeit erst in dem Maß, wie sie zum<br />

Ausdruck der „Gesamtperson“ wird. Träger des sittlich Guten ist<br />

nach dieser Analyse, durch die Häring die klassische<br />

Unterscheidung von actus humanus und actus hominis mit<br />

Einsichten der phänomenologischen Wertforschung verbindet,<br />

weder allein der gute Wille und die richtige Gesinnung (wie bei<br />

Kant), noch primär der äußere Vollzug einer isolierten<br />

Handlung (wie in einer einseitigen Aktmoral), sondern die<br />

Gesamtperson, die sich in ihrem Han<strong>del</strong>n ein konkretes<br />

Ausdrucksfeld in der sozialen Welt des Mit-Seins mit den anderen<br />

erwirkt. 23 Unter den weiteren anthropologischen<br />

Grundzügen, die Härings fundamentalethischen Entwurf prägen,<br />

sind vor allem die Geschichtlichkeit der menschlichen<br />

Existenz, ihre Ausrichtung an einem transzendenten Ziel und<br />

die eschatologische Dynamik der menschlichen Lebensgeschichte<br />

sowie die kultische Bestimmung des Menschen zum<br />

23<br />

Vgl. a.a.O., 107.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 21<br />

Lobpreis Gottes hervorzuheben.<br />

Nachdem auf diese Weise Wesen und Ziel des Menschen<br />

umschrieben sind, werden unter der Überschrift „Der eigentliche<br />

Sitz des Sittlichen“ die dynamische Entwicklung der<br />

menschlichen Freiheit, die Fähigkeit des Menschen zur sittlichen<br />

Werterkenntnis, das Gewissen als sittliche Anlage, die einzelne<br />

Handlung als abgeleiteter Träger des sittlichen Wertes<br />

sowie die Bedeutung von Gesinnung, Motiv und Intention des<br />

Guten behan<strong>del</strong>t. Erst nach diesen anthropologischen<br />

Vorklärungen, die den Menschen als Adressaten des göttlichen<br />

Rufes in den Blick nehmen, kommen unter dem Titel „Form und<br />

Inhalt des Rufes Christi“ die ethischen Zentralbegriffe zur<br />

Sprache, die in der herkömmlichen Gesetzesmoral der<br />

Manualistik im Mittelpunkt standen. Nacheinander han<strong>del</strong>t<br />

Häring das Verhältnis von Norm und Wert, von moralischem<br />

Prinzip (Sittennorm) und Einzelnorm, von Gebot und Rat ab.<br />

Während er hier auf weite Strecken wiederum der<br />

Schultradition folgt, verraten die Ausführungen zur<br />

Verpflichtungskraft supererogatorischer Handlungen und der<br />

individuellen Berufung des Einzelnen, die Unterscheidung von<br />

Erfüllungsgebot und Zielgebot und die positive Würdigung der<br />

berechtigten Anliegen einer gemäßigten Situationsethik deutlich<br />

die persönliche Handschrift ihres Autors. 24<br />

Entsprechend der Grundeinteilung des Werkes folgt auf die<br />

theologische und anthropologische Exposition des existenzbegründenden<br />

Rufes Christi (erster Hauptteil) die von der Gnade<br />

getragene und ermöglichte Antwort des Menschen (zweiter<br />

Hauptteil). Während sich im ersten Hauptteil die Überfülle einzelner<br />

Stoffelemente störend bemerkbar macht, so dass diese<br />

bisweilen etwas gewaltsam verbunden erscheinen oder an unterschiedlichen<br />

Orten mehrfach abgehan<strong>del</strong>t werden, 25 zeichnet<br />

24<br />

Vgl. vor allem 330-347.<br />

25<br />

Vgl. etwa die Ausführungen zur Bedeutsamkeit des sittlichen Motivs<br />

a.a.O., 243ff. und 348ff. oder die wiederholte Behandlung des<br />

Lohngedankens.


22 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

sich der zweite Hauptteil durch eine klar gegliederte, logisch<br />

folgerichtige Systematik aus. Die Antwort des Menschen auf den<br />

Ruf zur Nachfolge Christi wird in dreifacher Ausprägung analysiert,<br />

wobei entsprechend der stets gefährdeten<br />

Wachstumsdynamik des moralischen Lebens eine aufsteigende<br />

Linie erkennbar ist.<br />

Im ersten Schritt werden Wesen und Folge der Sünde als<br />

Verweigerung und fortgesetzte Gefährdung der Nachfolge<br />

beschrieben. Schon dabei ist eine Schwerpunktverlagerung<br />

unverkennbar, insofern Häring nämlich die Artbestimmtheit der<br />

einzelnen Sünden von dem Wert abhängig macht, den sie verletzen<br />

und somit das scholastische Axiom actus specificantur ab<br />

obiecto im Hinblick auf die verschiedenen Wertrücksichten (und<br />

nicht auf den materialen Gegenstand als solchen) interpretiert. 26<br />

Weiterhin wird die Abkehr von einer reinen Sündenmoral in der<br />

Betonung der Haupt- und Wurzelsünden sowie in der Warnung<br />

vor einer nur negativ orientierten Verbotsmoral sichtbar.<br />

Zurecht erinnert Häring daran, dass der Christ auch für sein<br />

unterlassenes Tun Verantwortung trägt und dass die verweigerte<br />

Mitwirkung an der göttlichen Gnade die eigentliche Ur-Sünde<br />

des Menschen darstellt, sodass dem Reich Gottes durch das<br />

Nicht-Tun des Guten oftmals größerer Schaden entsteht, als<br />

durch die Sünden, die durch das Tun des Bösen begangen werden.<br />

27<br />

Im zweiten Schritt wird das Geschehen der Bekehrung als<br />

Aufbruch zur Nachfolge Christi thematisiert. In moraltheologischer<br />

Perspektive steht dabei weniger die anfängliche<br />

Bekehrung zum Glauben, als vielmehr die Notwendigkeit von<br />

Reue und Bußgesinnung als dauerhaften Grundhaltungen des<br />

Christseins im Mittelpunkt; unter dem Stichwort „erste und<br />

zweite Bekehrung“ arbeitet Häring das Grundgesetz des christlichen<br />

Lebens heraus, das zu jeder Zeit „einer fortwährenden<br />

Verinnerlichung und Vertiefung der Bekehrung“ bedarf. 28 Im<br />

26<br />

Vgl. a.a.O., 405f.<br />

27<br />

Vgl. a.a.O., 410.<br />

28<br />

A.a.O., 423, vgl. auch die Ausführungen zum eschatologischen


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 23<br />

dritten Schritt schließlich erfolgt die Grundlegung der<br />

Tugendlehre, die unter der Überschrift „Das sich vollendende Ja“<br />

nichts anderes als den Weg der Nachfolge Christi beschreibt.<br />

Dabei legt Häring im Anschluss an Schelers Versuch der<br />

Rehabilitierung des Tugendbegriffs besonderen Wert darauf, die<br />

Tugend von mechanischer Gewohnheit abzugrenzen und den<br />

Entscheidungscharakter des Guten hervorzuheben. Die eigentliche<br />

Pointe des Tugendbegriffs liegt demnach nicht so sehr darin,<br />

dass regelmäßig das Gleiche getan wird, sondern in dem „tiefen<br />

Erfaßtsein von ihrem Wertgehalt“ 29 und in einem „Erfaßtsein<br />

vom Guten in seiner ganzen Breite“ 30 , das im Fall der eingegossenen<br />

Tugend einen „neuen Richtungssinn und eine ganz neue<br />

Gestalt“ 31 insofern annimmt, als die Tugenden der Christen entsprechend<br />

der Theologie der griechischen Väter als Teilhabe an<br />

der urbildlichen Tugend Christi verstanden werden können.<br />

Gegenüber der Versuchung zu einer platonisierenden<br />

Entwertung des Leibhaft-Konkreten betont Häring mit einem<br />

kritischen Seitenhieb auf zeitgenössische Tendenzen, dass die<br />

Tugend nicht am idealen „Werthimmel“ der Theorie oder als<br />

Reflexionsbegriff der Ethik, sondern nur in ihrem jeweiligen<br />

personalen Träger real gegeben ist. Das Grundgesetz der<br />

Verleiblichung, das zuvor anhand des dynamischen<br />

Wachstumsprozesses der sittlichen Freiheit und der Bedeutung<br />

der Einzelhandlung aufgezeigt wurde, gilt auch für den<br />

Tugendbegriff, der bei Häring wie alle moraltheologischen<br />

Zentralbegriffe dem Gesamtrahmen einer christologischen<br />

Nachfolge-Ethik zugeordnet bleibt. Der Christ sieht sich nämlich<br />

„nicht einer idealen Forderung eines abstrakten<br />

Wertgebildes gegenüber. Er steht vor der unendlich vollkommenen<br />

Person Christi, in dem die Tugend im vollsten Sinn leibhaftig<br />

geworden ist.“ 32 So bringt Häring das proprium christianum<br />

auch gegenüber den philosophischen Zeitströmungen zur<br />

Entscheidungscharakter der Reich-Gottes-Botschaft Jesu a.a.O., 429ff. und<br />

zur Reue als dauerhafter Grundhaltung a.a.O., 481ff.<br />

29<br />

A.a.O., 540.<br />

30<br />

A.a.O., 533.<br />

31<br />

A.a.O., 539.<br />

32<br />

A.a.O., 542.


24 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

Geltung, denen er selbst entscheidende Anstöße zur Vertiefung<br />

und zum besseren Verständnis der moraltheologischen<br />

Tradition verdankt.<br />

IV. Charakteristische Einzelthemen der Fundamentalethik<br />

Abschließend seien noch einige Einzelthemen von Härings<br />

Fundamentalethik vorgestellt, die für dessen Denkstil zur Zeit<br />

seiner Arbeit an „Das Gesetz Christi“ besonders aufschlussreich<br />

sind. Ausgewählt werden dazu drei Fragestellungen, die zum<br />

klassischen Problembestand der Moraltheologie gehören, aber<br />

in Härings Sichtweise eine charakteristische Neuausrichtung<br />

erfahren. So lässt sich die Tragweiter seiner moraltheologischen<br />

Methode – der Kombination von traditionellem Stoffgut mit<br />

Gedankengängen der zeitgenössischen Wertphilosophie und<br />

einer breiten bibeltheologischen Fundierung – im Spiegel dreier<br />

Problemkreise überprüfen: der Lehre von der sittlichen Freiheit,<br />

dem Zusammenhang von Norm und Wert sowie der Bedeutung<br />

des Gewissens in der konkreten Situation.<br />

1. Die Lehre von der sittlichen Freiheit<br />

Die Auffassung der katholischen Moraltheologie vom Wesen<br />

der sittlichen Freiheit war in den Jahren vor und während des<br />

Konzils vor allem von dem Bestreben gekennzeichnet, eine legalistische<br />

Konzeption der bloßen Wahlfreiheit zu überwinden<br />

und die Grundintention oder die fundamentale Entschiedenheit<br />

des Menschen gegenüber dem Anspruch des Guten in den<br />

Mittelpunkt zu rücken. 33 Häring hat an dieser Entwicklung<br />

wesentlichen Anteil. Der Gedanke der Freiheit, der in der nachkonziliaren<br />

Phase seines Denkens noch stärker in den<br />

Vordergrund rückt, benennt von Anfang an ein wichtiges<br />

Anliegen, ja eine persönliche Stoßrichtung seiner Theologie.<br />

Schon die Grundbestimmung der Freiheit verrät die Abkehr von<br />

33<br />

Vgl. dazu auch die Studie von B. Schüller, Gesetz und Freiheit. Eine<br />

moraltheologische Untersuchung, Düsseldorf 1966.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 25<br />

einer philosophischen Konzeption, die in der Freiheit nichts<br />

anderes als die Indifferenz des Willens und ein neutrales<br />

Wahlvermögen zwischen Gut und Böse sieht. 34 Obwohl die<br />

Freiheit im Sollen des Guten ihren eigentlichen Grund findet<br />

und daher primär als „Mächtigkeit zum Guten“ verstanden werden<br />

muss, wird sie psychologisch stärker im Versuchtwerden<br />

zum Bösen und im Widerstand der Triebe, Leidenschaften und<br />

Affekte gegen das Gute erfahren. „Oft wird der Mensch sich seiner<br />

Freiheit am deutlichsten bewußt im Aufruhr vom Bösen her,<br />

dem zu widerstehen er sich mächtig genug fühlt.“ 35<br />

Die Freiheit meint nicht eine periphere Möglichkeit des<br />

Menschen oder ein weiteres Handlungsvermögen neben<br />

Verstand und Wille, sondern sie entspringt der Mitte der Person;<br />

in ihren einzelnen Wahlakten manifestiert sich die fundamentale<br />

Wertantwort, welche diese gegenüber dem Anruf des Guten<br />

und Wertvollen gibt. „Freiheit ist nur dort, wo die Person aus<br />

ihrem innersten Kern heraus Stellung nehmen kann zu Aufruf<br />

und Aufruhr.“ 36 Dennoch steht die Freiheit dem Anruf des Guten<br />

und dem Aufruhr des Bösen nicht wie zwei gleichberechtigten<br />

Alternativen gegenüber, die ihrer inneren Wesenstendenz gleichermaßen<br />

äußerlich wären. Denn die Indifferenz zum Guten<br />

und Bösen gehört, wie Häring in Übereinstimmung mit der<br />

Freiheitslehre des späten Thomas betont, 37 nicht zur Freiheit als<br />

solche, sie ist vielmehr ein charakteristisches Merkmal der endlichen<br />

Freiheit. Die Kraft zum Guten kommt dagegen aus der<br />

ursprünglichen Gottebenbildlichkeit des Menschen und ihrer<br />

gnadenhaften Erneuerung; in der realen Heilsordnung erwächst<br />

Freiheit immer „aus der geschöpflichen Teilnahme an der<br />

Freiheit Gottes“ 38 .<br />

34<br />

Der Mensch wird des Wesens seiner Freiheit inne, wenn er sich<br />

angerufen fühlt vom Werthaften. B. Häring, Das Gesetz Christi, Bd. I, 139.<br />

35<br />

Ebd.<br />

36<br />

Ebd.<br />

37<br />

Vgl. De Malo 16,5.<br />

38<br />

Ebd.


26 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

Freiheit ist dem Menschen daher nicht als eine statische<br />

Wesensauszeichnung oder als unverlierbares Differenzmerkmal<br />

gegenüber dem Tierreich, sondern immer nur als eine dynamische<br />

Vollzugsgröße gegeben. Im Gebrauch seiner Freiheit<br />

wächst der Mensch über sich selbst hinaus und gelangt so in<br />

eine dauerhaftere Entschiedenheit für das Gute. So sehr die einzelne<br />

Freiheitstat „immer ein schöpferischer Neuanfang“ ist, so<br />

wenig wird dieser blind und grundlos gesetzt; vielmehr „ist auch<br />

der schöpferische Neuanfang der Freiheit von Motiven, von<br />

Leitideen bestimmt“ 39 . Der tatsächliche Freiheitsgrad des<br />

menschlichen Han<strong>del</strong>ns bemisst sich daher nicht allein an seiner<br />

Beeinflussung durch äußere Determinanten oder der Frage,<br />

ob die äußere Willenshandlung frei aus ihrer inneren Setzung –<br />

in traditioneller Schulsprache: dem actus elicitus – hervorgeht.<br />

Entscheidend ist vielmehr, ob der innere Willensakt „selbst noch<br />

frei wählend über den Motiven (wenn auch nie völlig motivlos?)“<br />

40 steht oder ob er den sich ihm aufdrängenden Motiven<br />

mehr oder weniger ausgeliefert ist. An dieser entscheidenden<br />

Stelle der Freiheitsanalyse zeigt sich für Häring, worin der<br />

eigentliche Beitrag der Grundentscheidung und der Wahl des<br />

Letztzieles liegt: Nur auf dem Resonanzboden einer tieferen<br />

Entschiedenheit für das Gute lässt sich eine einzelne<br />

Wahlhandlung als frei, d.h. mit dieser Entschiedenheit übereinstimmend<br />

erkennen. Für sich genommen lassen sich die konkreten<br />

Motive einer Einzelhandlung nie eindeutig bewerten; sie<br />

erlangen ihre letztgültige Bestimmtheit erst auf dem<br />

Hintergrund einer positiven oder negativen Grundintention.<br />

„Wenn diese letzte Entscheidung gefallen ist (die Wahl des finis<br />

ultimus), werden die Motive des einzelnen Tuns im Raum derselben<br />

frei ausgewählt (natürlich immer im Rahmen der psychologischen<br />

Gesetze).“ 41 Der Han<strong>del</strong>nde wird sich seiner<br />

Freiheit daher immer nur indirekt bewusst, indem er vor seinem<br />

Gewissen seine Motivlage erforscht und sich Rechenschaft über<br />

die inneren Wurzeln seines Han<strong>del</strong>ns gibt.<br />

39<br />

A.a.O., 140.<br />

40<br />

A.a.O., 149.<br />

41<br />

A.a.O., 145.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 27<br />

Christliche Gewissensbildung meint insofern immer<br />

Erziehung zur Freiheit, jedoch nicht zur Freiheit ungebundenen<br />

Wählen-Könnens, die eine trügerische Schein-Freiheit ist, sondern<br />

zu jener Freiheit, die aus der bewussten Entschiedenheit<br />

für das Gute erwächst. Wiederum zeigt sich, wie sehr Härings<br />

Moraltheologie von einer pastoralen Zielsetzung bestimmt ist:<br />

Die Freiheitsanalyse steht im Dienst der moralischen<br />

Selbsterziehung des Menschen. Sie will zur aufmerksamen<br />

Selbstbeobachtung anleiten und den Einzelnen zu einer achtsamen<br />

Motivpflege seines inneren Lebens, zu einer affektiven<br />

Kultur des Guten führen. „Je tiefer die Hingabe an das Motiv,<br />

umso mächtiger die Freiheit. In der Wahl und Pflege des Motivs<br />

liegt also die letzte Entscheidung der Freiheit.“ 42<br />

Die Erziehung zur christlichen Freiheit ist für Häring – das<br />

betont schon der Titel seines dreibändigen Hauptwerkes – immer<br />

auch Erziehung zum Gesetz. Im neuen Bund der Gnade ist das<br />

Gesetz Christi zugleich das „vollkommene Gesetz der Freiheit“<br />

(Jak 2,12) und das „Geistgesetz des Lebens in Jesus Christus, das<br />

mich frei gemacht hat vom Gesetz der Sünde und des Todes“<br />

(Röm 8,2; dieses Pauluszitat steht dem ersten Band als Motto<br />

voran). Das Gesetz ist daher für den Christen, der sich der inneren<br />

Dynamik seiner Entschiedenheit für das Gute überlässt, nicht<br />

mehr Einengung und Zwang, sondern „Warnung und Schutz,<br />

Gabe und Aufgabe für die Freiheit“ 43 . Die Aussage, wonach echte<br />

Gehorsamserziehung Hinführung zum Gesetz und Gewöhnung<br />

an eine feste Regel des Guten ist, bedarf daher vom paulinischen<br />

Freiheitsverständnis her einer wichtigen Korrektur. So sehr das<br />

Gesetz Auflage und Schutzraum der Freiheit ist, so wenig kann<br />

sich diese mit einem bloßen Festhalten am Zaun des Gesetzes<br />

begnügen. Christliche Erziehung will deshalb sicher auch zu<br />

einem angemessenen Verständnis des moralischen Gesetzes, aber<br />

„mehr noch zur Freiheit über das allgemeine Gesetz hinaus, zur<br />

Freiheit aus innerster Einsicht und Liebe zum Guten und je<br />

Besseren“ erziehen. 44<br />

42<br />

Ebd.<br />

43<br />

A.a.O., 144.<br />

44<br />

A.a.O., 145.


28 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

So wird die Freiheit zur eigentlichen Tugend des Christen,<br />

durch die er den Raum seines Gehorsams gegenüber dem Ruf<br />

Christi mehr und mehr ausweitet. Das ist der Grundgedanke von<br />

Härings Freiheitstheologie, das entscheidende Vorzeichen, unter<br />

dem die nachfolgenden Analysen über die innere Gefährdung,<br />

Minderung oder Zerstörung der Freiheit gelesen werden müssen.<br />

In diesen langen Partien seines Werkes (schon der Umfang<br />

dieser Überlegungen belegt die Situation der kirchlichen<br />

Beichtpastoral vor dem Konzil) zeigt sich der pastorale Tenor<br />

von Härings Analysen vor allem darin, dass er die klassischen<br />

moraltheologischen Unterscheidungsregeln (voluntarium in<br />

causa, intentio virtualis, metus antecedens, concupiscentia antecedens,<br />

die Aufmerksamkeit auf die motus primo primi und die<br />

ignorantia affectata) von den Erkenntnissen der zeitgenössischen<br />

Moralpsychologie und Pastoralmedizin her erläutert.<br />

2. Norm und Wert<br />

Besonders deutlich macht sich der Einfluss der<br />

Wertphilosophie bei Häring auf das Verständnis moralischer<br />

Normen bemerkbar. Allerdings gelingt es ihm nicht bruchlos,<br />

das scholastische Erbe und die innertheologische Diskussion<br />

um die Verpflichtungskraft des moralischen Gesetzes mit den<br />

Einsichten der zeitgenössischen Phänomenologie und<br />

Wertphilosophie zu verbinden. Einerseits hält Häring mit der<br />

moraltheologischen Tradition an einem seinsethischen Ansatz<br />

fest, wonach der Inhalt der Sittennorm durch die wesensgemäßen<br />

Entfaltungsmöglichkeiten des Menschen festgelegt ist.<br />

Insofern betont er nachdrücklich die Dienstfunktion moralischer<br />

Normen; nicht die Norm als solche, als starre Formel ist<br />

normgebender Maßstab, sondern der sittliche Wert, dessen<br />

Wahrung und Pflege sie dient. „Eine Norm, die nicht in einem<br />

Wert gründet, und nicht eine werthafte Aufgabe stellt, hat keine<br />

sittliche Bindekraft.“ 45 Da der moralische Wert den<br />

Entfaltungsmöglichkeiten der menschlichen Freiheit nicht als<br />

äußere Einschränkung gegenübertritt, sondern deren Erfüllung<br />

45<br />

A.a.O., 260.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 29<br />

gerade in der Hingabe an den Wert besteht, kann man (wie<br />

Häring damals noch sehr zurückhaltend formuliert) mit einer<br />

gewissen Berechtigung sogar von Autonomie und<br />

„Selbstgesetzgebung“ sprechen. 46 Diese für die damalige<br />

Moraltheologie typische Vorsicht führt auch bei Häring noch<br />

nicht zu einer konsequenten Aufnahme des Autonomiegedankens.<br />

Er schwankt zwischen zwei Positionen hin und her, die<br />

sich in der Geschichte der Moraltheologie schon öfters gegenüberstanden.<br />

47 Von seinem wertphilosophischen Ansatz her neigt<br />

er einer Auffassung zu, nach der die Verbindlichkeit einer moralischen<br />

Norm ihren unmittelbaren Geltungs- und<br />

Erkenntnisgrund in dem Wertcharakter der entsprechenden<br />

Handlungsweise bzw. ihres Gegenstandes findet. Mit einer auf<br />

Suárez zurückgehenden scholastischen Tradition möchte er<br />

jedoch gleichzeitig daran festhalten, dass erst die<br />

Willensanordnung des göttlichen Gesetzgebers die absolute<br />

Verpflichtungskraft der Norm begründet. Wie sich das dem<br />

Wertcharakter des Guten entspringende Gesolltsein zu der absoluten<br />

Verbindlichkeit verhält, die im göttlichen Gebot zu dieser<br />

immanenten Werthaftigkeit noch hinzutreten muss – diese<br />

Frage bleibt bei Häring letztlich ungeklärt. Er verweist zwar auf<br />

die herkömmlichen Unterscheidungen zwischen norma proxima<br />

und norma remota oder zwischen subjektiver und objektiver<br />

Verbindlichkeit, aber diese harmonisierende Begrifflichkeit<br />

kann nicht über eine ausgeglichene Spannung, ja eine offene<br />

Bruchstelle zwischen zwei unvereinbaren Theoriebausteinen<br />

hinwegtäuschen. Härings wertethischer Ansatz steht im<br />

Widerspruch zu der suárezianischen Tradition, der er sich an<br />

diesem Punkt noch verpflichtet fühlt. Wenn allein der in der<br />

Offenbarung festgehaltene Wille Gottes die objektive Sittennorm<br />

enthält, erscheint es logisch unvermeidbar, dass der immanente<br />

Geltungsgrund des sittlichen Wertes zu einer nur vorläufig gültigen<br />

subjektiven Verpflichtungsregel herabgestuft wird, was<br />

46<br />

Vgl. a.a.O., 261.<br />

47<br />

Vgl. dazu B. Schüller, Sittliche Forderung und Erkenntnis Gottes.<br />

Überlegungen zu einer alten Kontroverse, in: ders., Der menschliche<br />

Mensch. Aufsätze zur Metaethik und zur Sprache der Moral, Düsseldorf<br />

1982, 28-53, bes. 32f.


30 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

jedoch den eigentlichen Intentionen der Wertphilosophie zuwiderläuft.<br />

Das theoretische Schwanken in der Frage, worin der eigentliche<br />

Verpflichtungsgrund sittlicher Normen besteht, meint<br />

jedoch nicht, dass Häring den praktischen Sinn einer wertethischen<br />

Begründung moralischer Normen am Ende wieder in<br />

Frage gestellt hätte. Vielmehr sieht er darin einen geeigneten<br />

und zu seiner Zeit hilfreichen Weg, um den Gefahren einer allzu<br />

engmaschigen Verbotsmoral zu entgehen, die dem moralischen<br />

Leben mehr schadet als nützt. Deren größter Fehler liegt seiner<br />

Ansicht nach darin, dass sie die Bereitschaft zu Kreativität und<br />

Wagnis durch ein starres Regelwerk erstickt. „Wer nur auf die<br />

formulierte Norm schaut, ohne den begründenden Wert zu meinen,<br />

wird zu einer toten, nur gesetzlichen Sittlichkeit kommen.“<br />

48 Die Inadäquatheit moralischer Normen rührt nicht nur<br />

daher, dass sie im Einzelfall nicht einschlägig sind oder von dem<br />

betreffenden Subjekt nur unvollkommen erfasst werden. Sie findet<br />

ihren letzten Grund vielmehr darin, dass eine satzhaft formulierte<br />

Norm den immanenten Wertcharakter des Guten niemals<br />

angemessen ausdrücken kann. „In Wirklichkeit ist der in<br />

der Norm aufgegebene Wert immer unendlich reicher, als es<br />

auch die beste Formulierung der Norm ahnen lassen kann.“ 49<br />

Die bleibende Unangemessenheit moralischer Normen kommt<br />

auch darin zum Ausdruck, dass diese dem Menschen die<br />

Wertordnung nur umrisshaft und in Allgemeinbegriffen vor<br />

Augen stellen können. Eine praktisch wirksame Werterkenntnis,<br />

die in einer konkreten Situation handlungsleitend werden kann,<br />

erfordert jedoch immer die Fähigkeit des richtigen Vorziehen-<br />

Könnens, 50 da kein geschaffener Wert den Menschen unabhängig<br />

von der Wertordnung im Ganzen so fordert, dass er nicht zu<br />

einem anderen in Konkurrenz treten könnte. 51 Damit stehen wir<br />

vor einer dritten Aufgabe, zu der Häring mit seinen moraltheologischen<br />

Überlegungen anleiten möchte: einer angemessenen<br />

48<br />

A.a.O., 268.<br />

49<br />

Ebd.<br />

50<br />

Vgl. a.a.O., 263.<br />

51<br />

Vgl. a.a.O., 324.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 31<br />

Einschätzung der jeweiligen Situation durch das individuelle<br />

Gewissen.<br />

3. Situation und Gewissen<br />

Das Bestreben derjenigen Moraltheologen, die sich in den<br />

50er-Jahren des 20. Jahrhunderts für eine Öffnung ihres Faches<br />

gegenüber den Fragestellungen der zeitgenössischen Ethik einsetzten,<br />

war auf eine Vermittlung von personaler Situationsethik<br />

und allgemeiner Wesensethik gerichtet. Sie suchten nach einem<br />

dritten Weg zwischen einer essentialistischen Wesensethik und<br />

einer radikalen Situationsethik, die jeden überindividuellen<br />

Anspruch des Sittlichen leugnete. 52 Häring schließt sich in der<br />

Phase von „Das Gesetz Christi“ diesen Bemühungen ausdrücklich<br />

an, wobei er gegenüber seinem Tübinger Lehrer Theodor<br />

Steinbüchel und Karl Rahner, den beiden bedeutendsten<br />

Wortführern dieses Anliegens im deutschsprachigen Raum,<br />

durchaus eigenständige Akzente setzt. Während nämlich<br />

Steinbüchel die Bedeutung der Situation von der Singularität<br />

der jeweiligen Ich-Du-Relation und dem Reichtum des einzelnen<br />

Augenblicks her begründet, um diese individuelle Situation<br />

sodann mit der gemeinsamen historischen Situation zu verbinden,<br />

in der sich das Wesen des Menschen geschichtlich<br />

erschließt, 53 setzt Häring auch in dieser Frage auf die Hilfe der<br />

Wertphilosophie. Da der sittliche Wert einer Einzelhandlung<br />

nicht allein von einem einzigen infrage stehenden Wert, sondern<br />

immer nur „von den wertbegründenden Beziehungen zum<br />

Wertganzen, von der Stellung in der Wertordnung“ 54 her zu<br />

beurteilen ist, erschließt sich ihm die sittliche Bedeutsamkeit<br />

der Situation über das reziproke Verhältnis, in dem die Werte<br />

zueinander stehen.<br />

52<br />

Ein typischer Vertreter dieser radikalen Variante der Situationsethik<br />

war Eberhard Grisebach mit seinem Buch „Gegenwart, eine Kritische Ethik“,<br />

Halle 1928.<br />

53<br />

Vgl. dazu Th. Steinbüchel, Die philosophische Grundlegung der<br />

katholischen Sittenlehre, Düsseldorf 1938, 242-255.<br />

54<br />

B. Häring, Das Gesetz Christi, Bd. I, 325.


32 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

So möchte er das klassische Lehrstück von den fontes moralitatis<br />

aus den Fesseln einer „allzu starre(n) rationalistische(n)<br />

Wesensethik“ 55 befreien und gewissermaßen „verflüssigen“,<br />

indem er unter dem Begriff der „Situation“ alle moralisch relevanten<br />

Umstände einer Handlung zusammenfasst. Gemäß dem<br />

scholastischen Axiom actus specificantur ab obiecto gibt der<br />

gegenständliche Wert einer Handlung (also das obiectum materiale)<br />

zwar den „ersten Ausschlag für ihre sittliche<br />

Beurteilung“ 56 , doch ist von dieser gegenstandsbezogenen<br />

objektiven Betrachtungsweise aus noch keine umfassende und<br />

endgültige Bewertung der Einzelhandlung möglich. „Zu einem<br />

Gesamturteil über die sittliche Qualität des Aktes aber ist der<br />

materielle Wert nicht für sich allein, sondern in der Situation<br />

mit all ihren Bestimmtheiten zu betrachten.“ 57 In gleicher<br />

Weise liest Häring den Grundsatz agere sequitur esse mit seinen<br />

durch die wertethische Brille geschärften Augen. Er entnimmt<br />

diesem Axiom die Forderung, dass immer „das ganze Sein, die<br />

allgemeine Wesenheit und die individuelle Wesensgestalt, das<br />

Seiende für sich und in der Situation“ 58 für die abschließende<br />

Bewertung des sittlichen Aktes heranzuziehen ist. Ebenso wie<br />

nämlich die eine, konstante Wesensnatur des Menschen real<br />

nur in der jeweiligen Verwirklichungsform existiert, die sie im<br />

einzelnen Menschen annimmt, muss die Bedingtheit und<br />

Formung durch die jeweilige Situation auch als eine unverzichtbare<br />

Bewandtnis der sittlichen Wahrheit angesehen werden.<br />

Innerhalb des Rahmens der allgemeinen Wesensnatur des<br />

Menschen und eines substantiellen Personbegriffs, der die individuelle<br />

Lebensgeschichte nicht in „eine Reihe von wesensunverbundenen<br />

Akten“ 59 auflöst, muss daher auch der<br />

Einmaligkeit und Unvertretbarkeit des Einzelnen Rechnung<br />

getragen werden. „Die allgemeinen Definitionen und<br />

Wesensgrundsätze können wohl die Grenzen abstecken, aber<br />

55<br />

A.a.O., 331.<br />

56<br />

A.a.O., 324.<br />

57<br />

Ebd.<br />

58<br />

A.a.O., 326.<br />

59<br />

A.a.O., 330.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 33<br />

nicht den individuellen Reichtum der Person ausschöpfen.“ 60<br />

Anders gesagt: Um diesem Reichtum gerecht zu werden, muss<br />

über die allgemeinen Wesensgrundsätze der Moral hinaus noch<br />

ein Weiteres in den Blick genommen werden, nämlich „das<br />

Unableitbare (und darum vom anderen nicht zu Beurteilende)<br />

der Einzelsituation, die gebildet wird vom Zusammentreffen<br />

eines individuellen Menschen mit der besonderen Gestalt der<br />

gegebenen Umstände“ 61 .<br />

Die Beachtung der individuellen Umstände des Han<strong>del</strong>ns<br />

darf allerdings nicht dazu dienen, sich dem Anspruch einer allgemeinen<br />

Norm im Sinne willkürlicher Selbstdispens zu entziehen.<br />

Dieser Gefahr einer einseitigen Situationsethik möchte<br />

Häring dadurch einen Riegel vorschieben, dass er das<br />

Ernstnehmen der Situation vom Ernst der persönlichen<br />

Berufung des Einzelnen her versteht. Die Unvertretbarkeit des<br />

Einzelnen meint ja keineswegs, dass er mit den anderen in keiner<br />

Weise vergleichbar wäre. Dass jeder an seiner Stelle in eigener<br />

Verantwortung zu han<strong>del</strong>n hat und dadurch dem Anspruch<br />

der jeweiligen Situation gerecht werden muss, gilt vielmehr für<br />

alle in durchaus analoger Weise. Der letzte Grund, warum wir<br />

Menschen in der jeweiligen Einmaligkeit unseres Tuns miteinander<br />

vergleichbar sind, erschließt sich Häring wiederum aus<br />

dem Prinzip der Nachfolge Christi. Im Sinne der<br />

Existentialethik Rahners, dessen Ansatz beim Individualwillen<br />

Gottes sich Häring ausdrücklich zu eigen macht, gibt es eine<br />

persönliche Berufung des Einzelnen, die innerhalb des<br />

Rahmens allgemeingültiger Normen über deren Anspruch hinausführt.<br />

62 Dieser Hinweis zeigt, dass die Betonung der jeweiligen<br />

Situation nicht eine periphere Forderung des christlichen<br />

Ethos ist; dieses Postulat ergibt sich vielmehr aus seiner strukturellen<br />

Besonderheit gegenüber einer an allgemeingültigen<br />

Mindestforderungen orientierten natürlichen Moral. In einer<br />

60<br />

A.a.O., 326.<br />

61<br />

A.a.O., 331.<br />

62<br />

Vgl. K. Rahner, Situationsethik und Sündenmystik, in: StZ 145<br />

(1949/50) 330-342, bes. 336.


34 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

christologischen Nachfolge-Ethik wird die Situation eben deshalb<br />

bedeutsam, weil hier nicht zuerst allgemeine Normen, sondern<br />

das Situative und Individuelle der persönlichen Berufung<br />

gefragt sind. Das bedeutet jedoch keineswegs, dass der sittliche<br />

Anspruch individueller Beliebigkeit ausgeliefert wird, denn niemand<br />

kann sich willkürlich irgendwelche Züge aus dem Leben<br />

Jesu zur Nachahmung aussuchen. An die Stelle einer solchen<br />

individuellen Auswahl, die zum Unterlaufen moralischer<br />

Grenzen verleiten würde, tritt in einer biblischen Nachfolge-<br />

Ethik vielmehr das Vertrauen auf die Führung des Geistes, der<br />

den Einzelnen in der jeweiligen Situation zum Tun des Guten<br />

anleitet, wie es seinen ihm angebotenen Fähigkeiten entspricht.<br />

Es ist der Geist, der jedem zuteilt, wie er will, und der den<br />

Glaubenden unter die fordernde Norm des konkreten Lebens<br />

Jesu stellt.<br />

Da viele der Taten Jesu nicht kopierbar sind, während andere<br />

nur analog nachgebildet werden können, erfordert eine personale<br />

Nachfolge-Ethik die Fähigkeit, zur kreativen<br />

Erschließung der jeweiligen Handlungsmöglichkeiten, die sich<br />

in einer gegebenen Situation eröffnen, wenn wir sie mit den<br />

Augen Jesu betrachten. 63 Um der Gefahr individueller<br />

Beliebigkeit zu entgehen, geben die folgenden Klugheitsregeln<br />

eine Hilfestellung zur verlässlichen Gewissensbildung: Sie erinnern<br />

nach Häring erstens daran, dass „der Ruf der Stunde (des<br />

kairos) nie ein Unterschreiten der allgemeinen Wesensforderung<br />

erheischt, sondern stets zu einem Überbieten der untersten<br />

Grenze drängt“. 64 Zweitens ist aufgrund der Heilssolidarität aller<br />

Gläubigen, ja aller Menschen überhaupt zu beachten, dass „alle<br />

individuellen Gaben und der Reichtum der aus der Situation zu<br />

erkennenden Werte auf das allgemeine Beste hingeordnet<br />

sind“. 65 Schließlich kann drittens eine selbstkritische Überprüfung<br />

der eigenen Handlungsmotive davor bewahren, den<br />

Auftrag der Situation mit dem Weg des geringsten Widerstandes<br />

63<br />

Vgl. B. Häring, Das Gesetz Christi, Bd. I, 267.<br />

64<br />

A.a.O., 334.<br />

65<br />

Ebd.


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 35<br />

und der Suche nach dem größtmöglichen Vorteil für sich selbst<br />

zu verwechseln.<br />

V. Kritische Würdigung<br />

Die begrenzte Perspektive dieses Beitrags, der nur der<br />

Anlage und den Einzelthemen des fundamentalethischen<br />

Konzeptes von „Das Gesetz Christi“ gewidmet ist, lässt es nicht<br />

zu, ein Urteil über Härings Gesamtwerk oder gar seine theologische<br />

Lebensleistung abzugeben. Dies ist aus berufenerem Mund<br />

andernorts bereits ausführlich geschehen. Daher können sich<br />

einige abschließende Bemerkungen auf die Frage beschränken,<br />

welchen Beitrag Häring mit seinem Handbuch zur Erneuerung<br />

der Moraltheologie nach den späteren Vorstellungen des Konzils<br />

zu seiner Zeit geleistet hat. Hält man sich die Zielvorgabe aus<br />

dem „Dekret über die Ausbildung der Priester“ (Optatam totius)<br />

vor Augen, wonach die Moraltheologie „reicher genährt aus der<br />

Lehre der Schrift, in wissenschaftlicher Darlegung die<br />

Erhabenheit der Berufung der Gläubigen in Christus und ihre<br />

Verpflichtung, in der Liebe Frucht zu tragen für das Leben der<br />

Welt, erhellen soll“ (Art. 16), so zeigt sich: Zweifellos fühlte sich<br />

schon Häring diesen Desideraten verpflichtet, als er mit der<br />

Ausarbeitung von „Das Gesetz Christi“ begann. Der formale<br />

Rahmen einer christologischen Nachfolge-Ethik, die bibeltheologische<br />

Fundierung wichtiger Einzelthemen, insbesondere der<br />

Lehrstücke von der sittlichen Freiheit, dem moralischen Gesetz,<br />

den göttlichen Tugenden und dem sittlichen Gewissen sowie die<br />

Einbeziehung der paulinischen Charismenlehre in den fundamentalethischen<br />

Gesamtplan dokumentieren die Entschlossenheit,<br />

die Moraltheologie als Offenbarungswissenschaft von<br />

deren Zentrum, der Heiligen Schrift aus zu konzipieren. Durch<br />

die Öffnung seines Faches für die Fragestellungen der zeitgenössischen<br />

Philosophie und die Einbeziehung wichtiger<br />

Forschungsergebnisse der damaligen Humanwissenschaften<br />

(der Psychologie, der Pädagogik und der Pastoralmedizin sowie<br />

innerhalb der sozialen und politischen Ethik auch der Staatsund<br />

Gesellschaftswissenschaften) greift Häring den Wunsch<br />

nach einer zeitgenössischen wissenschaftlichen Darstellungsform<br />

auf. Zumindest was die thematische Weite und die Vielfalt


36 EBERHARD SCHOCKENHOFF<br />

der verarbeiteten Perspektiven anbelangt, wird er damit der<br />

Doppelforderung des Konzils nach einer biblischen Inspiration<br />

und einer wissenschaftlichen Darlegung auf dem Stand der Zeit<br />

auch in ihrem zweiten Teil gerecht. Schließlich sind der ekklesiologische<br />

Charakter und die pastorale Ausrichtung dieses<br />

Werkes aus damaliger Sicht für ein moraltheologisches<br />

Handbuch ungewohnt und neu. Sie verleihen Härings<br />

Moraltheologie Lebensnähe, spirituellen Tiefgang und einen<br />

Sinn für das Mögliche, der gleichwohl nicht um den Preis einer<br />

Aufweichung der kirchlichen Morallehre erkauft ist.<br />

Dennoch ist die Entwicklung sehr bald nach dem Konzil<br />

über Härings ersten Ansatz in „Das Gesetz Christi“ hinweggegangen.<br />

Dazu haben sicherlich auch ein aus heutiger Sicht bisweilen<br />

pathetisch wirkender Sprachstil und ein gewisser<br />

Eklektizismus in der Stoffverarbeitung beigetragen; ebenso wurden<br />

manche schon absehbaren Konflikte durch harmonisierende<br />

Versöhnungsformeln nur vordergründig entschärft. Eine kritische<br />

Würdigung des fundamentalethischen Ansatzes von „Das<br />

Gesetz Christi“ führt deshalb zu einem paradoxen Ergebnis:<br />

Zweifellos war Häring, was seinen weltweiten Einfluss anbelangt,<br />

der wirkmächtigste Wegbereiter und Erneuerer der katholischen<br />

Moraltheologie vor dem Konzil. „Das Gesetz Christi“ war<br />

aus damaliger Sicht ein Zeugnis des Aufbruchs in eine noch<br />

ungewisse Zukunft, auch wenn es sich aus der Retrospektive,<br />

also fünfzig Jahre danach, als Dokument des Überganges darstellt.<br />

Häring hat in den Jahren nach dem Konzil selbst gespürt,<br />

dass die Herausforderungen der modernen Mediengesellschaft,<br />

die Krisenerscheinungen von Ehe und Familie und die<br />

Entwicklung des wissenschaftlichen und technischen<br />

Fortschritts, aber auch die Verschärfung innerkirchlicher<br />

Konflikte nach neuen Antworten verlangten. Die enorm gewachsene<br />

Perspektivenvielfalt der Forschungsansätze in allen<br />

Bereichen (nicht nur im Bereich der Humanwissenschaften und<br />

der philosophischen Ethik, sondern auch innerhalb der<br />

Theologie und ihrer Einzeldisziplinen) führen dazu, dass ein<br />

Einzelner diesen Erwartungen heute nicht mehr gerecht werden<br />

kann. Mehr denn je ist Moraltheologie zu einer<br />

Gemeinschaftsaufgabe geworden, deren Einlösung nur im<br />

Zueinander und Miteinander unterschiedlicher Ansätze,


PATER BERNHARD HÄRING ALS WEGBEREITER EINER KONZILIAREN MORALTHEOLOGIE 37<br />

Kompetenzen und Argumentationsformen gelingen kann. Es<br />

zeugt von der theologischen Kreativität und Arbeitskraft, vor<br />

allem aber vom Mut Härings, dass er nicht davor zurückschreckte,<br />

diese immense Aufgabe in der Zeit nach dem Konzil<br />

ein zweites Mal in Angriff zu nehmen.<br />

EBERHARD SCHOCKENHOFF, FREIBURG I.BR.


StMor 42 (2004) 39-60<br />

ÁLVARO CÓRDOBA C.Ss.R.<br />

LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA<br />

DE TEOLOGÍA MORAL<br />

1. FACTORES QUE LLEVARON A LA CREACIÓN DE LA ACADEMIA ALFONSIANA<br />

1.1 El doctorado de san Alfonso<br />

1.2 Los Capítulos Generales CSSR (1894-1947)<br />

1.3 El contexto de la postguerra<br />

2. ORGANIZACIÓN INICIAL DE LA ACADEMIA ALFONSIANA<br />

2.1 Leonardo Buijs<br />

2.2 Fundación y primeros cursos de la Academia Alfonsiana<br />

2.3 Conceptos y directrices de Buijs<br />

—-<br />

En febrero de 1949 nació la Academia Alfonsiana en Roma.<br />

Se cumplía un proyecto de la Congregación <strong>del</strong> Santísimo<br />

Redentor orientado a promover la herencia teológico-moral de<br />

su fundador, san Alfonso de Liguori, por medio de una institución<br />

universitaria.<br />

En las siguientes páginas queremos exponer los factores que<br />

contribuyeron a la creación de la Academia y la manera como<br />

fue organizada por el superior general Leonardo Buijs.<br />

1. FACTORES QUE LLEVARON A LA CREACIÓN DE LA<br />

ACADEMIA ALFONSIANA<br />

Tres fueron los factores que se encadenaron lentamente<br />

durante ocho décadas para la fundación de la Academia<br />

Alfonsiana: el título de Doctor de la Iglesia conferido a san<br />

Alfonso, los cinco Capítulos Generales redentoristas tenidos en<br />

Roma entre 1894 y 1947, y el contexto posterior a la segunda<br />

guerra mundial.


40 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

1.1 EL DOCTORADO DE SAN ALFONSO<br />

Antes de iniciarse el <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> I, los superiores de los<br />

redentoristas pidieron al padre Jules JACQUES, que compendiara<br />

algunos textos de san Alfonso para que los obispos y teólogos<br />

participantes en el <strong>Concilio</strong> conocieran sus ideas a favor <strong>del</strong><br />

papa, y así le fuera concedido más fácilmente el título de Doctor<br />

de la Iglesia.<br />

JACQUES publicó en 1869 el libro Du Pape et du Concile, ou<br />

doctrine complète de S. Alphonse de Liguori sur ce double sujet,<br />

<strong>del</strong> cual el superior general obsequió más de un centenar de<br />

ejemplares al papa y a los padres conciliares. Era evidente el<br />

interés <strong>del</strong> gobierno general redentorista en colaborar con la<br />

Santa Sede y en atraerse la benevolencia de los obispos participantes<br />

en el <strong>Concilio</strong>; 126 de éstos visitaron la casa general de<br />

los redentoristas (Villa Caserta), en la vía Merulana. 1<br />

En marzo de 1871, san Alfonso fue declarado Doctor de la<br />

Iglesia, título que se sumaba a los de fundador y obispo. 2<br />

Algunos opositores suscitaron polémicas, 3 contra las cuales los<br />

redentoristas trataron de llevar a<strong>del</strong>ante una defensa, sobre todo<br />

1<br />

Andreas SAMPERS, “Congregatio SS.MI Redemptoris et Concilium<br />

Vaticanum I, an. 1869-1870”, in Spicilegium Historicum Congregationis SSmi<br />

Redemptoris – SHCSR- 10 (1962) 426-428, 442; cf. Du Pape et du Concile, ou<br />

doctrine complète de S. Alphonse de Liguori sur ce double sujet, traités traduits,<br />

classés et annotés par le P. Jules Jacques, V ve H. Casterman, Tournai<br />

1869, 701 p.<br />

2<br />

Cf. PIUS IX, Decretum urbis et orbis Inter eos qui fecerunt et docuerunt<br />

(Romae, 20 Martii 1871), in Acta Sanctae Sedis 6 (1870) 318-320; PIUS IX,<br />

Litterae apostolicae Qui Ecclesiae suae nunquam (Romae, 7 Iulii 1871), de<br />

Sancto Alphonso Maria de Ligorio titulo Ecclesiae Doctoris aucto, in ASS 6<br />

(1870) 320-324; Giuseppe ORLANDI, “<strong>La</strong> causa per il Dottorato di S. Alfonso.<br />

Preparazione – Svolgimento – Ripercussioni (1866-1871)”, in SHCSR 19<br />

(1971) 25-240, hic 26, nota 3: únicamente habían sido declarados Doctores<br />

de la Iglesia otros 17; A. SAMPERS, “Bestreben und erste Ansätze den hl. Alfons<br />

zum Kirchenlehrer zu erklären kurz nach seiner Heiligsprechung, 1839-<br />

1844”, in SHCSR 19 (1971) 5-24.<br />

3<br />

Antonio Ballerini, S.J., figura entre los teólogos que originaron debates:<br />

G. ORLANDI, “<strong>La</strong> causa per il Dottorato…”, 28 ss.: presenta la aceptación<br />

o rechazo de san Alfonso en diversos países.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 41<br />

con la publicación de las Vindiciae alphonsianae 4 y los manuales<br />

de teología moral, 5 la traducción de sus obras y la publicación<br />

de diversas biografías 6 y revistas como <strong>La</strong> Sainte Famille (1875,<br />

Francia) y El Perpetuo Socorro (1899, España).<br />

Justo es reconocer que la concesión <strong>del</strong> título de Doctor de<br />

la Iglesia a san Alfonso: a) ayudó a que los mismos redentoristas<br />

incrementaran la devoción y el conocimiento de su fundador; b)<br />

favoreció la expansión de la CSSR por diversos continentes,<br />

pues muchos personajes comenzaron a pedir misioneros al<br />

superior general; c) el clero y los seminaristas se interesaron<br />

más en la doctrina alfonsiana.<br />

4<br />

Cf. Vindiciae Alphonsianae seu Doctoris Ecclesiae S. Alphonsi M. de<br />

Ligorio Episcopi et Fundatoris Congregationis SS. Redemptoris doctrina moralis<br />

vindicata a pluribus oppugnantibus Cl. P. Antonii Ballerini, Soc. Jesu in<br />

Collegio Romano professoris, cura et studio quorundam theologorum e<br />

Congregatione SS. Redemptoris [Rudolf von Smetana], Ex Typ. Polyglota S.<br />

C. de Propaganda Fide, Romae1873, LX<strong>II</strong>I-957 p. (segunda edición en 1874,<br />

2 vol.); G. ORLANDI, “<strong>La</strong> causa per il Dottorato…”, 61-64; Raphael GALLAGHER,<br />

“The moral method of st. Alphonsus in the light of the Vindiciae controversy”,<br />

in SHCSR 45 (1997) 331-349: las controversias se dieron sobre todo<br />

entre 1873-1875.<br />

5<br />

Cornelius SCHOLTEN, De kerkleeraarswaardigheid en de verheffing van<br />

den H. Alphonsus Maria de Liguori tot Kerkleeraar, F. H. J. Bekker,<br />

Amsterdam 1872, 507 p.; Anton KONINGS, Theologia moralis novissimi<br />

Ecclesiae Doctoris S. Alphonsi, in compendium redacta, et usui Venerabilis<br />

Cleri Americani accomodata, Typis Patricii Donahoe, Bostoniae 1874, X-898<br />

p. (dos años después Benziger Fratres publican dos volúmenes, Neo-Eboraci<br />

/ Cincinnati / S. Ludovici, Einsidlae 1876 2 , editio altera, aucta et emendata);<br />

Clement MARC, Institutiones morales Alphonsianae seu Doctoris Ecclesiae S.<br />

Alphonsi Mariae de Ligorio doctrina moralis ad usum scholarum accomodata,<br />

2 vol., ex typogr. Pacis, Romae 1885; Josef AERTNYS, Teologia moralis secundum<br />

doctrinam S. Alphonsi Mariae de Ligorio, 2 vol., H. Casterman, Tornaci<br />

1886-1887; Opera moralia sancti Alphonsi Mariae de Ligorio Doctoris<br />

Ecclesiae, Teologia Moralis, 4 vol., cura et studio P. Leonardi Gaudé, ex typographia<br />

Vaticana, Romae 1905-1912.<br />

6<br />

Victorio LOYÓDICE, Vida <strong>del</strong> glorioso Doctor de la Iglesia S. Alfonso María<br />

de Ligorio, Fundador de la Congregación <strong>del</strong> Santísimo Redentor y Obispo de<br />

Santa Águeda de los Godos, Juan Aguado, Madrid 1874, 654 p.; Augustin<br />

BERTHE, Saint Alphonse de Liguori 1696-1787, 2 vol., Victor Retaux, Paris<br />

1900.


42 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

1.2 LOS CAPÍTULOS GENERALES CSSR (1894-1947)<br />

Los Capítulos Generales son la más alta instancia jurídica y<br />

directiva de muchas familias religiosas. Los acá mencionados<br />

fueron realizados por la CSSR en Roma y a ellos se refiere Buijs<br />

cuando afirma que la Academia Alfonsiana tuvo su prehistoria. 7<br />

En el X Capítulo General CSSR de 1894, se lanzó la idea de<br />

crear una Schola Maior Generalis en Roma para sacerdotes<br />

redentoristas jóvenes que hicieran estudios de filosofía y teología.<br />

<strong>La</strong> idea era sembrar una fuerte inspiración alfonsiana que<br />

fuese transmitida posteriormente. 8 Guillermo van Rossum,<br />

holandés y futuro cardenal, fue comisionado en 1895 para iniciar<br />

este proyecto con la ayuda de Juan Bautista Favre, pero no<br />

cristalizó. 9<br />

En 1909, el XI Capítulo General ordena que se establezca en<br />

Roma la Schola Maior con el nombre de Collegium Maius Sancti<br />

Alphonsi, para sacerdotes redentoristas jóvenes, que estudiaran<br />

sobre todo la teología moral por lo menos durante dos años, con<br />

la guía de un prefecto de estudios. 10 Esta vez sí pudo organizarse,<br />

de modo que en el curso de 1909-1910 aparecen 26 estudiantes<br />

inscritos. Pero la obra se clausura en 1914, al comienzo de la<br />

primera guerra mundial.<br />

El X<strong>II</strong> Capítulo General de 1921 restablece el Collegium<br />

Maius Sancti Alphonsi in Urbe, para sacerdotes redentoristas<br />

jóvenes que estudien al menos durante dos años, bajo la guía de<br />

un director, en algún ateneo pontificio, pero que reciban clases<br />

7<br />

“Accademiae Alfonsianae cursus scholasticus die 21 Octobris 1951 a<br />

Sua Paternitate inauguratus”, in Analecta Congregationis SS. Redemptoris =<br />

Analecta CSSR 23/4 (1951) 151.<br />

8<br />

X Capitulum Generale anno 1894 Romae celebratum, n. 1354, in Acta<br />

integra Capitulorum Generalium Congregationis SS. Redemptoris ab anno<br />

1749 usque ad annum 1894 celebratorum, ex typ. <strong>del</strong>la Pace, Romae 1899,<br />

671-672.<br />

9<br />

Cf. Cronica <strong>del</strong>la Casa Generalizia <strong>del</strong> Santissimo Redentore, I, ms, in<br />

Roma, AGHR, 10 diciembre 1895, p. 405.<br />

10<br />

Acta integra Capituli Generalis XI Congregationis SS. Redemptoris<br />

Romae celebrati anno MCMIX, n. 1459, Cuggiani, Romae 1909, 23.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 43<br />

internas sobre la doctrina de san Alfonso. 11<br />

<strong>La</strong> CSSR cumplió sus 200 años de existencia en 1932, ocasión<br />

que sirvió para evocar su historia y, en especial a su fundador.<br />

El X<strong>II</strong>I Capítulo General de 1936 recomienda al superior<br />

general que promueva la preparación de profesores de teología<br />

moral y que se empiece oportunamente el Instituto Alfonsiano de<br />

Moral en Roma para divulgar y defender la doctrina de san<br />

Alfonso, primero entre los redentoristas y después entre los no<br />

redentoristas; Cornelio Damen fue encargado de examinar las<br />

posibilidades. 12 Entre tanto vino la segunda guerra mundial y<br />

nada se pudo llevar a la práctica.<br />

El XIV Capítulo General de 1947 le dio el impulso decisivo al<br />

proyecto de crear la Academia Alfonsiana. El Capítulo pide que<br />

a partir <strong>del</strong> año 1948 se ponga en práctica lo decidido en 1936,<br />

es decir: que se establezca un Instituto de Teología Moral, pues<br />

no existía ninguno especializado en esta disciplina. 13<br />

1.3 EL CONTEXTO DE LA POSTGUERRA<br />

En el contexto que sigue a la ‘segunda guerra mundial’, se<br />

dan varias coyunturas que podemos relacionar con la Academia<br />

11<br />

Acta integra Capituli Generalis X<strong>II</strong> Congregationis SS. Redemptoris<br />

Romae celebrati anno MCMXXI, n. 1554-1555, Cuggiani, Romae 1922, 68-70.<br />

Se sugería el Instituto Bíblico para la sagrada escritura, el Seminario<br />

<strong>La</strong>teranense para derecho canónico y el Angélico para filosofía.<br />

12<br />

Acta integra Capituli Generalis X<strong>II</strong>I Congregationis SS. Redemptoris<br />

Romae celebrati anno MCMXXXVI, n. 1598 y 1605, Cuggiani, Romae 1936,<br />

19-20, 25; en el n. 1605 se lee: “ut tales efformentur Professores Theologiae<br />

Moralis scientifice instructi, quales ratio temporis exigit, qui postea, apto<br />

tempore, incipiant Institutum Morale Alphonsianum a Congregatione tantopere<br />

desideratum”. Murray manifestó que era muy difícil, pero no imposible.<br />

13<br />

Acta integra Capituli Generalis XIV Congregationis SS. Redemptoris<br />

Romae celebrati anno MCMXLV<strong>II</strong>, n. 1658, Cuggiani, Romae 1948, 45; cf.<br />

CAPITULUM GENERALE (Romae 1947), Postulata, “De Facultate Theologiae<br />

Moralis Alphonsianae instituenda”, in Roma, biblioteca <strong>del</strong> AGHR, K 14,3,<br />

copia dactilografiada, folio 009; AGHR, DG Collegium Maius: postulado de<br />

Damen al Capítulo de 1947; “Aliquae Capituli Generalis a. 1947 declarationes”,<br />

en Analecta CSSR 19 (1947) 196, n. 31.


44 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

Alfonsiana. Señalemos sólo tres:<br />

Coyuntura política: se sufren las consecuencias de la segunda<br />

guerra mundial y se vive la tensión política internacional con<br />

la llamada guerra fría. Comienzan a funcionar dos organismos<br />

internacionales que irán tomando fuerza: la ONU en 1945 y la<br />

OTAN (NATO) en 1949. Naciones como Filipinas, Indonesia e<br />

India declaran su independencia en 1945; Italia se proclama<br />

república en 1946, e Israel se anuncia Estado en 1948. Comienza<br />

la guerra de Corea en 1950.<br />

Coyuntura eclesial: se siente el influjo de Pío X<strong>II</strong> con sus<br />

encíclicas Mystici corporis Christi (1943), Divino afflante Spirito<br />

(1943), y Mediator Dei et hominum (1947); en 1948 se funda el<br />

Colegio de San Pedro en Roma; el año 1950 se recordará por la<br />

definición <strong>del</strong> dogma de la Asunción. También es la época en la<br />

que se crea el Instituto de Ciencias Sociales en la Gregoriana<br />

(1951) y otro igual en el Angelicum (1955); en este mismo año se<br />

erige el Marianum; Juan XX<strong>II</strong>I inicia su pontificado en 1958 y al<br />

año siguiente convoca el <strong>Concilio</strong> Ecuménico <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>.<br />

Coyuntura redentorista: en 1948 se recordaron los 200 años<br />

de la publicación de la Theologia moralis de san Alfonso; 14 la<br />

CSSR festejó el segundo centenario de aprobación de sus reglas<br />

(1749-1949) y obtuvo la declaración de san Alfonso como patrono<br />

de moralistas y confesores (26 de abril de 1950). 15<br />

14<br />

Cf. “In bi-centenarium magni operis moralis S. P. N. Alfonsi (1748-<br />

1948)”, in Analecta CSSR 20 (1948) 186-189.<br />

15<br />

Cf. PIUS X<strong>II</strong>, Breve Consueverunt omni tempore (Romae, 26 Aprilis<br />

1950), Sanctus Alphonsus Maria de Ligorio, ep., c. et Ecclesiae Doctor,<br />

omnium confessariorum ac moralistarum coelestis patronus constituitur, in<br />

Acta Apostolicae Sedis 42 (1950) 595-597; Leonardo BUIJS, Circular Brevi<br />

Apostolico (Roma, 31 mayo 1950), en Analecta CSSR 22 (1950) 73-74;<br />

“Notulae historicae ad praecedens Breve Apostolicum”, in Analecta CSSR 22<br />

(1950) 77-80; Serafino FIORE, “A cinquant’anni dalla proclamazione di S.<br />

Alfonso a patrono dei confessori e dei moralisti (1950-2000): un evento, un’eredità”,<br />

in SHCSR 48 (2000) 3: Pío X<strong>II</strong> proclamó a san Alfonso protector<br />

especial de los ministros de la reconciliación y de los estudiosos de la teología<br />

moral.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 45<br />

2. ORGANIZACIÓN INICIAL DE LA ACADEMIA ALFON-<br />

SIANA<br />

Como en la construcción de un edificio nuevo pero complejo,<br />

la CSSR encontró el arquitecto idóneo para iniciar la obra de<br />

la Academia en la persona de su nuevo y dinámico general:<br />

Leonardo Buijs.<br />

2.1 LEONARDO BUIJS<br />

<strong>La</strong> vida de Leonardo Buijs 16 se enmarca entre dos fiestas<br />

importantes de la Virgen: su nacimiento el día de la Inmaculada<br />

y su muerte el día <strong>del</strong> Perpetuo Socorro. Nació el 8 de diciembre<br />

de 1896 en Sommelsdijk, municipio de Mid<strong>del</strong>harnis (Goeree en<br />

Overflakkee), Holanda meridional, diócesis de Haarlem. Sus<br />

padres, Quirino Buijs (1854-1940) y Guillermina Catalina<br />

Adriaense (1854-1928) eran agricultores. Leonardo fue el noveno<br />

de nueve hermanos; otro se hizo sacerdote diocesano y dos<br />

hermanas se unieron a las religiosas <strong>del</strong> Instituto de Nuestra<br />

Señora.<br />

Estudios<br />

Buijs ingresó en el seminario menor redentorista en 1909,<br />

después de asistir en su parroquia a una misión predicada por<br />

los hijos de san Alfonso. Pasó al noviciado de Hertogenbosch en<br />

septiembre de 1915 e hizo su profesión religiosa el 29 de septiembre<br />

de 1916. Estudió la filosofía y la teología en el seminario<br />

redentorista de Wittem (provincia de Limburg, Holanda) en<br />

el que tuvo como formadores y profesores a Bernardo Lijdsman,<br />

Luis Wouters, Guillermo Duijnstee y Cornelio Damen. 17<br />

16<br />

Cf. Ibid., 11-58; nota 1: El apellido se escribe Buys (forma antigua) y<br />

Buijs (forma moderna); el padre Leonardo usa ambas formas; Henricus<br />

BOELAARS, “R.mus P. Leonardus Buijs, cultor theologiae moralis et pastoralis”,<br />

in SHCSR 4 (1956) 425-452; ID., “In memoriam Dris L. Buys C. SS. R.,<br />

Sup. Gen. Redemptoristarum”, in Analecta CSSR 25 (1953) 81-82 (artículo<br />

publicado en De Tiid, 20 junio 1953: dirigió y aconsejó a muchos religiosos,<br />

sacerdotes y obispos).<br />

17<br />

Henricus NIEMANN, “R. P. Cornelius Damen (1881-1953)”, in Analecta<br />

CSSR 25 (1953) 113-115: de 1911 a 1914 estudió derecho canónico en San


46 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

Buijs fue ordenado sacerdote el 11 de enero de 1922 y en el<br />

otoño de este mismo año fue enviado al Angelicum de Roma,<br />

donde obtuvo los doctorados en filosofía y teología en tres años.<br />

Uno de sus examinadores fue el célebre Réginald Garrigou–<strong>La</strong>grange.<br />

Su tesis de filosofía se tituló De obiecto formali<br />

proprio intellectus humani (123 páginas) y la de teología: De<br />

potentia obedientiali creaturae rationalis ad vitam supernaturalem<br />

clarae Dei visionis (45 páginas).<br />

El padre Damen le pidió colaborar con él en la preparación<br />

de la 11ª edición de la Theologia moralis de Josef AERTNYS, 18 lo<br />

que permitió a Buijs profundizar en el método casuístico y en las<br />

cuestiones relacionadas con el derecho canónico.<br />

Experiencia docente<br />

Fue en el estudiantado redentorista de Wittem, donde Buijs<br />

afianzó su experiencia como docente. De 1928 a 1931 enseña<br />

sociología; de 1930 a 1945 teología moral y pastoral; de 1936-<br />

1946 teología espiritual y ascética. Su vida la pasó entre los<br />

libros, como quería su fundador.<br />

Escritos<br />

Buijs escribe corto y sustancioso: de los 176 escritos que<br />

Sampers le registra, 91 son artículos, 19 recensiones, 1 comentario,<br />

1 sumario y 64 voces de enciclopedia.<br />

Colaboró especialmente en la revista teológico-pastoral<br />

Apolinar (Roma); fue profesor de teología moral, ascética, pastoral y sociología<br />

en Wittem; en 1921 llega a Roma como director <strong>del</strong> Colegio Mayor san<br />

Alfonso y profesor de teología moral en el Ateneo Pontificio de Propaganda<br />

Fide, donde, además, fue decano de la facultad de teología durante 14 años.<br />

18<br />

Josef AERTNYS, Theologia Moralis secundum doctrinam S. Alfonsi de<br />

Ligorio Doctoris Ecclesiae, 2 vol., Marietti, Taurinorum Augustae 1928 11 , editio<br />

undecima quam secundum Codicem Juris Canonici nunc tertio ex integro<br />

recognovit C. A. Damen – I, p. V<strong>II</strong>I: “Superest demum ut hic publicas<br />

agamus gratias confratri nostro Leonardo Buijs, Phil. et Theol. Doctori, qui<br />

in hac editione accuranda et perficienda validissimus et solertissimus laborum<br />

socius nobis exstitit”.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 47<br />

Nederlandse Katholieke Stemmen [Voces católicas de los Países<br />

Bajos] 19 , tratando argumentos de moral y pastoral (aborto,<br />

acción católica y asociaciones piadosas, actos humanos, amistad,<br />

conciencia, confirmación, continencia periódica, costumbres,<br />

cura animarum, derecho al secreto, derecho y justicia, esterilización,<br />

fraude, laicos, ley natural, matrimonio, neomaltusianismo,<br />

penitencia, política, puritanismo, quinto mandamiento,<br />

salario justo, socialismo, uso <strong>del</strong> dinero, trabajo pastoral de los<br />

laicos, virtudes, etc.).<br />

<strong>La</strong>s 64 voces para la enciclopedia católica holandesa De<br />

Katholieke Encyclopedie [Enciclopedia Cattolica] se refieren al<br />

amor a los enemigos, benignidad, buena fe, circunstancias, costumbres,<br />

culpa, doctrina moral de los jesuitas, dolo, duelo,<br />

juego, justicia, laxismo, liberalidad, militarismo, pecado, precio<br />

justo, principios reflejos, probidad, rapiña, restitución, relajación,<br />

robo, sabiduría, sedición, servicio militar obligatorio, sistema<br />

moral, solicitación, sumo bien, temor, teología moral<br />

casuística, teología pastoral, tiranicidio, usura, vicio, virtud, etc.<br />

Además, redacta artículos sobre: Acción Católica, apostolado de<br />

la pluma CSSR, ayuda mutua, baños, comercio ilegal, confesión,<br />

cultura <strong>del</strong> cuerpo, estudios de teología moral en Holanda, liturgia,<br />

lujuria, matrimonio en la Casti Connubii, personalidad cristiana,<br />

recreación, sexualidad de los jóvenes y adolescentes, teología<br />

de la misión, vestidos, visitas domiciliarias, etc.<br />

Inspirándose en san Alfonso, Buijs considera la moral como<br />

la doctrina de la salvación. Siendo la teología moral una ciencia<br />

práctica, usa sobriamente la casuística (sin la cual se cae en el<br />

rigorismo o en el laxismo), y la ensambla con la teología sistemática.<br />

Se interesa también por la medicina, la psicología, la<br />

sociología, la economía y el derecho (el que usa en muchos<br />

casos, separándolo claramente de la moral). 20<br />

19<br />

Bajo este título fue publicada de 1901 a 1964, y a partir de 1965 con<br />

el de Theologie en Pastoraat. Varios redentoristas colaboraron en ella, y Buijs<br />

fue co-director durante once años y escribió 64 artículos y recensiones en<br />

dicha revista.<br />

20<br />

A. SAMPERS, “Bibliographia R.mi P.is Leonardo Buijs (1929-1949)”, in<br />

SHCSR 4 (1956) 453-461; cf. Maurice DE MEULEMEESTER, Bibliographie<br />

Générale des écrivains rédemptoristes, <strong>II</strong>, Imprimerie Saint-Alphonse,<br />

Louvain 1935, 59-60.


48 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

Al escribir, Buijs aplicó la teología moral al campo pastoral,<br />

sobre todo a las costumbres, actos humanos, castidad, pecado,<br />

responsabilidad, precaución, concepto <strong>del</strong> cuerpo (masturbación),<br />

matrimonio (castidad conyugal, continencia periódica),<br />

derecho y justicia (salario familiar justo, contratos, valor <strong>del</strong><br />

dinero, compras y ventas, negocios, confesión, cuestiones de la<br />

guerra…). 21<br />

Su doctrina pastoral se desarrolló sobre todo en tres campos:<br />

la liturgia pastoral, el ministerio de la predicación y la función<br />

de los laicos en la Iglesia. 22<br />

<strong>La</strong>s líneas fundamentales seguidas por Buijs en sus escritos<br />

de teología moral y pastoral fueron: a) el cristianismo, concebido<br />

como la religión que posee la doctrina y la disciplina de las<br />

costumbres; b) la frase de Pedro: “para que, muertos al pecado,<br />

vivamos para la justicia” (I Pedr. 2, 24); c) por la fe y los sacramentos;<br />

d) la sentencia de san Pedro Damián: “Nosotros como<br />

Iglesia”.<br />

Superior general CSSR<br />

En 1946, el nuevo superior provincial llama a Buijs a<br />

Amsterdam como consultor secretario. Por este tiempo el superior<br />

general es el irlandés Patrick Murray (1865-1959). Éste decide<br />

renunciar al cargo que ejercía desde 1909 y convoca el XIV<br />

Capítulo General CSSR para abril de 1947. <strong>La</strong> Provincia redentorista<br />

holandesa elige a Buijs como vocal. El 30 de ese mismo<br />

mes y año, es elegido superior general en la tercera sesión, con 51<br />

votos sobre 69. Buijs no había sido superior local ni provincial,<br />

sino sólo profesor; lo que explica su preocupación por lo académico.<br />

21<br />

H. BOELAARS, “R.mus P. Leonardus Buijs…”, in SHCSR 4 (1956) 432-<br />

443.<br />

22<br />

Ibid., 445-452; cf. L. BUYS – H. BOELAARS, De Katholieke Actie, Uitgeverij<br />

Foreholte te Voorhout, Amsterdam 1945, 85 p.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 49<br />

2.2 FUNDACIÓN Y PRIMEROS CURSOS EN LA ACADEMIA ALFONSIANA<br />

Para informarse “in situ” sobre la vida y obras de los redentoristas,<br />

Buijs emprende muchos viajes, los que aprovecha para<br />

buscar profesores y pedir apoyo para la Academia Alfonsiana. 23<br />

Como el edificio que primero se construye y luego se inaugura,<br />

así la Academia tuvo su fundación e inauguración en dos<br />

años diferentes:<br />

a) <strong>La</strong> fundación (año 1949)<br />

El 9 de febrero de 1949 parte el tren de la Academia<br />

Alfonsiana. Su piloto y sus técnicos le imprimen un impulso<br />

lento y suave. 24 Los cuatro primeros profesores provenían: dos<br />

23<br />

Leonardus BUYS, “Epistula <strong>II</strong>I” (Romae, 8 Septembris 1947), in<br />

Analecta CSSR 19 (1947) 203; cf. SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”,<br />

21, 34: “De hoc instituto romano, studiis theologiae moralis excolendis<br />

destinato, R.mus Pater in suis peregrinationibus, propitiis occasionibus<br />

oblatis, libenter et diserte cum PP.bus in re competentibus collocutus<br />

est, nec omisit, epistolis datis et receptis, cum iis maxime tractare, quos professores<br />

instituti elegerat”; Álvaro CÓRDOBA CHAVES, “<strong>La</strong> Academia Alfonsiana:<br />

cincuenta años al servicio de la teología moral”, en <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> 37 (1999)<br />

229-268; ID., “L’Accademia Alfonsiana: cinquant’anni al servizio <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale”, in ACCADEMIA ALFONSIANA, Cinquant’anni di storia. Quarant’anni<br />

di incorporazione <strong>nella</strong> Pontificia Università <strong>La</strong>teranense, Edacalf, Roma<br />

1999, 47-84, traduzione di Stella Pa<strong>del</strong>li.<br />

24<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus die 21 Octobris 1951 a<br />

Sua Paternitate inauguratus”, in Analecta CSSR 23/4 (1951) 151: “Die 9 Febr.<br />

1949 Romae erecta est “Academia Alfonsiana (A.A.) de re morali” atque exinde<br />

cura huius instituti quaedam conferentiae ac lectiones de re morali, pastorali<br />

et ascetica habitae sunt. Sed professoribus in morbum incidentibus<br />

nondum pervenire licuit ad cursum regularem”; DOMENICO CAPONE,<br />

“Historia”, in Academia Alfonsiana, 1957-1982. A pontificia approbatione<br />

XXV anniversarium, curante Roger Roy, Pisani, Isola <strong>del</strong> Liri 1982, 74: confirma<br />

esta fecha cuando escribe: “El 9 de febrero de 1949 el Rmo. Padre<br />

Buijs ejecutaba el mandato <strong>del</strong> capítulo, en gran parte inspirado por él, y<br />

fundaba la Academia Alfonsiana como instituto privado”; ID., “Ratio studiorum.<br />

Academia Alfonsiana qua Instituti Superioris Theologiae Moralis”, in<br />

Academia Alfonsiana 1957-1982..., 95: “In Academia Alfonsiana, erecta<br />

Romae 9 februarii 1949, post biennium activitatis deminutae, experimenti<br />

causa, die 21 octobris 1951 cursus organicus de theologia morali inauguratus<br />

fuit”; cf. A. SAMPERS, “Quaedam de Academia Alfonsiana notitiae”, in


50 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

de la Provincia CSSR de París: Germain Liévin (1892-1969) y<br />

Louis Vereecke (1920—); uno de la Provincia de Nápoles:<br />

Domenico Capone (1907-1995); y uno de la Provincia Suiza:<br />

Paul Hitz (1915-1974). 25<br />

Para comenzar, los nuevos profesores dan algunas clases y<br />

conferencias en el Colegio Mayor San Alfonso. 26 De modo que<br />

los años 1949 y 1950 fueron sólo de exploración.<br />

<strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong>, <strong>II</strong>, Desclée & Socii / Editores Pontificii, Roma et al. 1964,<br />

328; “L’Accademia Alfonsiana”, in CAPITULUM GENERALE XV<strong>II</strong> (Romae 1973),<br />

Relatio ad Capitulum de statu Congregationis, folio 82: “L’Accademia<br />

Alfonsiana è stata fondata nel 1949 dal Rev.mo P. L. Buijs, in esecuzione<br />

<strong>del</strong>le disposizioni dei Capitoli Generali C. Ss. R. <strong>del</strong> 1936 e <strong>del</strong> 1947”.<br />

25<br />

“De Academia Alfonsiana”, in Analecta CSSR 21 (1949) 9: “Hoc grave<br />

negotium R.mus P. Generalis statim post capitulum naviter aggressus est,<br />

<strong>del</strong>iberando cum viris peritis, et huic novae Academiae Alfonsianae idoneos<br />

Professores quaerendo. In praesenti res in tantum maturata est, ut cum certitudine<br />

dici possit, Deo ita volente, fore ut proximi anni 1950 mense Octobri<br />

haec Academia plene inaugurari possit. [...] Nemo enim ad hanc Academiam<br />

Alfonsianam admittetur, nisi sit Doctor vel saltem Licentiatus in theologia<br />

vel iure canonico. Licentiati possunt eodem tempore et lauream parare et<br />

cursus Academiae sequi. Intra annum scholasticum 1949-1950 iam nonnulli<br />

cursus habebuntur; cuius rei gratia ad minimum 4 Professores Romae erunt,<br />

saltem per aliquam anni partem, vi<strong>del</strong>icet RR. PP. Liévin, D. Capone, Hitz,<br />

L. Vereecke”; cf. Cronaca <strong>del</strong>la Casa Generalizia per l’anno 1946, <strong>II</strong>, liber 9<br />

(1946-1950), ms, in Roma, AGHR, agosto de 1949, folios 10, 95, 116 y 117;<br />

“De Collegio Maggiore”, in Analecta CSSR 21 (1949) 192: Vereecke dio sus<br />

primeras clases sobre historia de la teología moral a los estudiantes <strong>del</strong><br />

Colegio Mayor san Alfonso; Bernhard Häring estuvo medio año y viajó después<br />

de Pascua; Pr. MEERSCHAUT, “De Academia Alfonsiana”, in Analecta<br />

CSSR 29 (1957) 235: lo primero que Buijs pidió después <strong>del</strong> Capítulo, fueron<br />

profesores aptos; se dieron algunos cursos en 1949-1950; D. CAPONE,<br />

“Historia”, 74; “Accademia Alfonsiana”, in Orbis 8/36 (1976) 3: Vereecke<br />

nombrado profesor de la Academia el 6 de febrero de 1949.<br />

26<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 33-34: el número<br />

de estudiantes <strong>del</strong> Colegio Mayor pasó de 32 en 1947 a 61 en 1953; cf.<br />

“Domus generalitia amplianda”, in Analecta CSSR 21 (1949): se construyó el<br />

cuarto piso en la casa san Alfonso con veinte habitaciones nuevas para los<br />

estudiantes.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 51<br />

b) <strong>La</strong> inauguración (año 1950)<br />

En 1950 san Alfonso es proclamado patrono de los moralistas<br />

y confesores. <strong>La</strong> ocasión es un estímulo para la Academia<br />

que se honra con su nombre, y Buijs la inaugura en las instalaciones<br />

<strong>del</strong> Colegio Mayor. 27 El superior general indica la naturaleza<br />

y fin <strong>del</strong> nuevo Instituto, y presenta el programa para el año<br />

académico 1950-1951. Ratifica a los profesores Vereecke, Liévin,<br />

Capone, y Hitz, y añade a Edward Wuenschel, de los Estados<br />

Unidos. 28 Año Académico 1951-1952<br />

Del 7 al 27 de mayo de 1951 Buijs va a París, Bruselas y<br />

Luxemburgo, y conversa con tres futuros profesores de la<br />

Academia: Cornelio Moonen (Holanda), Bernhard Ziermann<br />

(Alemania) y Bernhard Häring (Alemania). 29<br />

“El año académico 1951-1952 comienza con un discurso pronunciado<br />

por Buijs el 21 de octubre de 1951, en el que traza el programa<br />

y el método de la Academia. Los estudios morales, decía el<br />

superior General, irán creando una nueva teología moral en cone-<br />

27<br />

El año anterior, Buijs había escrito una carta a los provinciales y viceprovinciales,<br />

Romae, 4 augusti 1949, en Roma, AGHR, carpeta Buijs: “Uti<br />

scitis [...] iterum in memoriam revocare intendo id quod in Analectis nostris<br />

huius anni iam nuntiatum est circa Academiam Alfonsianam quam speramus<br />

inauguraturum fore anno 1950. Itaque, si quidam iuniores Patres destinantur<br />

ulteriori studio Theologiae Moralis, expedit ut iam hoc anno Romam<br />

mittantur. Oportet enim ut prius licentiatum in Theologia vel Iure Canonico<br />

obtineant”.<br />

28<br />

Cronaca <strong>del</strong>la Casa Generalizia per gli Anni 1950-59, <strong>II</strong>, liber 10, ms, en<br />

Roma, AGHR, p. 17; cf. A. SAMPERS, “Quaedam de Academia Alfonsiana notitiae”,<br />

332-334; Pr. MEERSCHAUT, “De Academia Alfonsiana”, in Analecta CSSR<br />

29 (1957) 235.<br />

29<br />

Cf. “Iter Rev.mi P. Generalis”, in Redemptoristarum Informationum<br />

Servitium – RIS 3/5 (1951) 113: Moonen y Häring dieron clases desde mayo<br />

de 1951 hasta la Pascua de 1952; Ziermann de la Navidad de 1951 hasta la<br />

Pascua de 1952; “Curia et domus generalitia”, in RIS 3/10 (1951) 133: llegan<br />

a Roma los nuevos profesores de la Academia: Pedro Fink (Argentina),<br />

Cornelio Moonen y Bernhard Häring.


52 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

xión con la teología pastoral y la espiritual. Ante todo, se trata de<br />

formar profesores y de profundizar los estudios de teología hechos<br />

en universidades. Hay que separarla <strong>del</strong> derecho, complementarla<br />

con ejercicios prácticos y conseguir grados académicos. […] Serán<br />

profesores ordinarios: Germain Liévin, Cornelius Moonen,<br />

Bernhard Ziermann, Domenico Capone, Jan Visser, Bernhard<br />

Häring, Louis Vereecke, y Joseph Owens. El grupo de estudiantes<br />

estaba conformado por once redentoristas y algún externo”. 30<br />

El programa de 1951-1952 preveía los siguientes profesores<br />

y cursos: Liévin: Doctrina espiritual de san Alfonso; Moonen:<br />

Introducción a la teología moral y un seminario de casuística<br />

(de narco analysi, de leucotomia seu lobotomia praefontali);<br />

Häring: la conciencia, la prudencia y la virtud de la religión, y un<br />

seminario práctico sobre ética y teología moral no católica;<br />

Ziermann: cuestiones físico-morales, y un seminario sobre<br />

casuística <strong>del</strong> sexto mandamiento y el matrimonio; Capone: la<br />

doctrina de los santos Padres y de los escolásticos en las obras<br />

ascéticas de san Alfonso. 31<br />

Para Buijs, el trabajo prioritario de la Academia era formar<br />

profesores redentoristas de teología moral que ya hubieran estudiado<br />

o estuvieran estudiando teología en alguna universidad.<br />

Una vez formados, recibirían cursos de pastoral, ascética y mística.<br />

Los cursos de teología moral se debían articular por medio<br />

de clases y ejercicios prácticos, y en estrecha colaboración de<br />

30<br />

Á. CÓRDOBA CHAVES, “<strong>La</strong> Academia Alfonsiana…”, 237-238; cf.<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152-155; “Collegium Maius<br />

Anno Accademico 1951-52”, in Analecta CSSR 23 (1951) 160-161; Ian VISSER,<br />

“Academia Alfonsiana. Sermo inauguralis anni academici 1957-1958”, in<br />

Analecta CSSR 29 (1957) 239; D. CAPONE, “L’Accademia Alfonsiana: Istituto<br />

di Teologia Morale. 1. Fondazione e finalità”, in <strong>La</strong> Pontificia Università<br />

<strong>La</strong>teranense. Profilo <strong>del</strong>la sua storia, dei suoi maestri e dei suoi discepoli, PUL,<br />

Roma 1963, 310-312; ID., “Historia”, 75; SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam<br />

memoriam...”, 34-35.<br />

31<br />

Cf. “Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 151-155: los profesores<br />

debían dar algunas clases en el Colegio Mayor san Alfonso.<br />

Mensualmente, un alumno de la Academia, guiado por un profesor, presentaba<br />

un caso de moral durante una hora ante todos los sacerdotes de la<br />

comunidad redentorista de vía Merulana.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 53<br />

profesores y estudiantes. Se esperaba que alguna universidad<br />

romana concediera oportunamente los grados universitarios y<br />

que al consolidarse la Academia se recibirían alumnos no redentoristas.<br />

32<br />

Buijs confiaba en el apoyo de toda la CSSR, por tratarse de<br />

un Instituto que consideraba muy útil para ésta y para toda la<br />

Iglesia. 33 Año académico 1952-1953<br />

El 22 de junio de 1952 inicia Buijs su tercer viaje al centro<br />

de Europa. Del 13 al 15 de julio va al seminario menor redentorista<br />

de Bonn y al estudiantado de Geistingen (Alemania), e<br />

intercambia ideas con los profesores acerca de la Academia<br />

Alfonsiana”. 34 Pedro Fink, de la Provincia CSSR de Buenos<br />

Aires, comienza a dar clases en la Academia. 35<br />

2.3 CONCEPTOS Y DIRECTRICES DE BUIJS<br />

Academia<br />

Buijs concibió la Academia en el sentido más amplio, es<br />

decir, como un Instituto superior cuyo programa de estudio<br />

abarcara todas las disciplinas fundamentales y auxiliares, directa<br />

o indirectamente relacionadas con la moral o la ética: la ética<br />

cristiana, la teología moral católica (teórica, práctica, pastoral,<br />

ascética y mística, historia de la teología, moral general y especial,<br />

moral social), pedagogía, catequesis, etc. 36<br />

“Hay que subrayar — observa Capone — el paso <strong>del</strong> concepto<br />

de scuola, con lecciones de tipo institucional, al de accademia, con<br />

32<br />

Ibid., 152-153.<br />

33<br />

Ibid., 155.<br />

34<br />

“Iter Reverendissimi P. Generalis”, in RIS 4/7 (1952) 166.<br />

35<br />

“Domus generalitia”, in RIS 4/10 (1952) 177.<br />

36<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 34-35.


54 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

un carácter de especialización. Es verdad que no se usa este término,<br />

pero sí está claramente implícito lo que significa en el programa<br />

de estudio para conseguir un conocimiento profundo una vez<br />

adquiridos los grados académicos. Téngase presente que hasta el<br />

<strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> no sólo no se hablaba de especialización, sino<br />

que, de ordinario, para ser profesor de teología moral se preparaba<br />

uno estudiando derecho canónico. Además, los manuales estaban<br />

dominados por la casuística. Esto hacía que la teología moral<br />

no tuviera identidad. Con el concepto de academia se trataba de<br />

establecer una investigación sistemática sobre tal identidad especial.<br />

A este fin concurría también la otra idea: ampliar el concepto<br />

de teología moral afirmando su continuidad con la vida espiritual<br />

o ascética y su funcionalidad en orden a la pastoral. Esto, por otra<br />

parte, estaba de acuerdo con el espíritu de S. Alfonso que había<br />

sido siempre contrario al minimalismo ético y que, además de una<br />

teología moral de los pecados a no cometer y <strong>del</strong> mínimo legal a<br />

observar, había escrito y trabajado por una vida integralmente cristiana<br />

para todos, tanto en el estado laical como en los estados de<br />

perfección. Naturalmente, en el concepto de academia, además de<br />

la búsqueda de la identidad propia y específica de la moral, cabía<br />

una instancia de profundización en las nuevas dimensiones que<br />

ofrecía el descubrimiento de la identidad de la moral”. 37<br />

Directrices de Buijs<br />

Entendidas así la Academia y la moral, Buijs establece<br />

varias orientaciones o criterios operativos:<br />

a) <strong>La</strong> esencia de la teología moral debe ser el evangelio, en el<br />

que se inspira el cristiano para seguir a Jesucristo y estar en<br />

37<br />

D. CAPONE, “Historia”, in Academia Alfonsiana..., 74-75; cf. “De<br />

Academia Alfonsiana”, in Analecta CSSR 21 (1949) 8: “Capitulum generale a.<br />

1947 expressit desiderium, ut Romae quaedam “Academia Alfonsiana de re<br />

morali” erigeretur. Theologia moralis hic late sumitur, ita ut etiam pastoralem<br />

et ascetico – mysticam comprehendat. […] Academiae finis immediatus<br />

est formatio universitaria atque universalis Professorum harum disciplinarum”.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 55<br />

comunión con Él. 38<br />

Teniendo en cuenta la Sagrada Escritura y la tradición de la<br />

Iglesia, la vida cristiana es: 1) comunicación con Dios, filiación<br />

divina y vida en el Espíritu; vivir en la caridad y de la caridad; 2)<br />

seguimiento y comunión con Cristo.<br />

De ahí que las características esenciales de la moral evangélica<br />

deben ser, en primer lugar, las virtudes teologales, especialmente<br />

la caridad divina que es la fundamental y el“vínculo de<br />

pefección”, y la imitación de Cristo. 39<br />

b) No se trata de una Academia de estudios exclusivamente<br />

alfonsianos, sino de estudios inspirados en san Alfonso, que<br />

abarquen toda la teología moral católica y respondan a los problemas<br />

de nuestro tiempo. 40<br />

c) <strong>La</strong> CSSR se asigna la misión de elaborar una nueva teología<br />

moral adaptada a nuestros tiempos y a las grandes necesidades<br />

de los sacerdotes dedicados al cuidado de las almas. El hilo<br />

conductor es la renovación de la teología moral como ciencia que<br />

orienta a la práctica de la vida cristiana. 41<br />

38<br />

Leonardus BUIJS, “De theologia morali et sermone montano”, in<br />

ACADEMIA ALFONSIANA, <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong>, <strong>II</strong>, Desclée & Socii - Editores Pontifici,<br />

Roma - Paris – Tournai – New York 1964, 11-41. Orig. en el libro Theologische<br />

opstellen, opgedragen en aangeboden aan Mgr Dr G. C. van Noort<br />

(Commentaria theologica dedicata et dono oblata Mgri Dri G. C. van Noort),<br />

traducción al latín de L. Schils. El artículo, escrito en 1944 y ajustado a los<br />

estudios de la teología moral en los seminarios, presenta los puntos fundamentales<br />

que le sirvieron a Buijs para la Academia Alfonsiana; subraya<br />

temas como el de la doble ley moral (- la ley natural de la razón o ley moral<br />

natural, y - la ley sobrenatural de la fe o ley evangélica), las virtudes teologales,<br />

la centralidad de la caridad, la metodología y el objetivo de la moral.<br />

39<br />

L. BUIJS, “De theologia morali et sermone montano…”, 27-28, 30-31,<br />

35.<br />

40<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152; SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS<br />

[CSSR], “In piam memoriam…”, 36; L. BUIJS, “De theologia morali et sermone<br />

montano…”, 37-38.<br />

41<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152; Cf. Séan<br />

O’RIORDAN, “Il teologo moralista nell’Accademia Alfonsiana”, in StMor 33<br />

(1995) 46-51; I. VISSER, “Academia Alfonsiana. Sermo inauguralis...”, 239; L.<br />

BUIJS, “De theologia morali et sermone montano…”, 32-33: “Nam in moralitate<br />

Scripturae et Patrum non regnat illa virtutis idea, neque illae series virtutum<br />

quae in ethica antiquorum commendantur, sed nova Evangelii mora-


56 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

d) <strong>La</strong> doctrina moral debe separarse netamente <strong>del</strong> derecho<br />

canónico y asumir la clara impronta teológica, que hoy aparece<br />

escasamente sobre todo en los manuales. 42<br />

e) Los estudios de moral, ampliamente entendidos, incluyen<br />

toda la vida cristiana y, por consiguiente, el estudio de la teología<br />

pastoral y espiritual (ascética y mística). 43<br />

Se debe adoptar el método integral, pues entendida la doctrina<br />

moral como el conjunto de la doctrina cristiana, hay que<br />

incorporarle la teología moral positiva (bíblica y patrística), la<br />

sistemática (Santo Tomás) y la casuística (san Alfonso). Santo<br />

Tomás y san Alfonso serán los dos guías. Como textos convendría<br />

usar la Suma teológica de santo TOMÁS para la moral sistemática,<br />

y la Teología moral de san ALFONSO para la moral casuística;<br />

las obras de pastoral y ascética de éste sirven para la teología<br />

pastoral y espiritual, en las que conviene iniciar a los alumnos<br />

con mucho esmero. 44<br />

Se ve cómo la línea seguida por Buijs era el engranaje de la<br />

teología teórica y la práctica. 45<br />

litas suum habet ethos, quod novis virtutum operibus, novis animarum dispositionibus<br />

novoque spiritu manifestatur. Haec est morum disciplina poenitentiae<br />

usque ad martyrium, est virginitatis et continentiae, evangelicae<br />

simplicitatis et veritatis, est ethica earum dispositionum quae in Sermone<br />

Montano beatificantur, caritate demum cum inexhausta serie earum qualitatum<br />

quae eam ornant. Patet, hic valere novam normam novumque ideale,<br />

quod non tollit quidem illud ideale mere humanum, sed umbra quasi obruit.<br />

Quodsi hoc ethos et elementa quae in eo continentur, proponere velimus ea<br />

praecisione eoque systemate quae theologiae propria sunt, opus erit nos cum<br />

S. Thoma proficisci a doctrina evangelica de novo homine. Novus homo<br />

iuxta Evangelium in operibus suis et in motu et motivis quibus ad agendum<br />

impellitur, non tantum agnoscit normam rationis naturalis, sed et aliam<br />

sublimiorem quandam regulam nempe fidei et legis divinae”.<br />

42<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152.<br />

43<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152; H. BOELAARS,<br />

“R.mus P. Leonardus Buijs…”, 444.<br />

44<br />

“Academiae Alfonsianae cursus scholasticus...”, 152-153; L. BUIJS, “De<br />

theologia morali et sermone montano…”, 38, 40; cf. Á. CÓRDOBA CHAVES, “<strong>La</strong><br />

Academia Alfonsiana…”, 237.<br />

45<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 15; H. BOELAARS, “In<br />

memoriam Dris L. Buys…”, 81-82: “Linea principalis totius eius actionis erat<br />

coniugium inter theologiam et curam animarum. […] Tractatio theologiae


Por eso, figura como teólogo experto en teología moral y<br />

pastoral, además de profesor competente y actualizado, fiel a la<br />

Iglesia y a la revelación. 46<br />

En 1953 Buijs propuso dos cursos dirigidos por profesores<br />

de la Academia, para los redentoristas: uno para jóvenes formadores<br />

y otro para misioneros; éstos debían conocer mejor la<br />

misión según las exigencias <strong>del</strong> tiempo. También deseaba un<br />

manual de ejercicios espirituales al estilo de los de San Ignacio<br />

de Loyola. <strong>La</strong> intención era clara: acoplar la teoría con la práctica<br />

apostólica. 47<br />

Al iniciarse el generalato de Buijs, había en la CSSR 23<br />

Provincias y 30 Viceprovincias con 6995 miembros profesos;<br />

cuando murió se habían erigido cuatro nuevas Provincias, 48<br />

ocho misiones, y el total de profesos escaló a 7724, aumentando<br />

en 729. 49 LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 57<br />

moralis in connexione cum theologia dogmatica, ascetica, pastorali novos<br />

impulsus accepit. Renovatio methodorum missionalium, opus exercitiorum<br />

paroecialium et “stationum periferiae” atque eiusmodi alia ab eo incitabantur<br />

et claro intuitu theologali fines ponendos fortuitoque obvenientes <strong>del</strong>ineationes<br />

cognoscevat”.<br />

46<br />

H. BOELAARS, “R.mus P. Leonardus Buijs…”, 452: “Pater Leonardus<br />

Buijs coram nobis astat theologus moralis et pastoralis in medio tempore<br />

mutante versatus. Quae docuit in provincia theologiae moralis magna parte<br />

hodie auctoritatem retinent, partim ipso iuvante ulterius maturuerunt. In<br />

theologia pastoralis primis ordinibus interest omnibusque pastoribus animarum<br />

etiam hodie viam sequendam indicat. Semper exemplum theologi<br />

moralis et pastoralis existit, quippe qui sciebat et opere se perspicere monstrabat,<br />

omnem actionem Ecclesiae ex eiusdem de revelatione divina sibi concredita<br />

notitia profluere eique intime coniungi. Tali enim modo ductus<br />

Spiritus Sancti, animae Corporis Christi Mystici, omnem operam omnium<br />

fi<strong>del</strong>ium, membrorum. Eius, tam clericorum quam laicorum, imbuit et perfundit”.<br />

47<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 36.<br />

48<br />

<strong>La</strong>s Provincias redentoristas erigidas fueron: Buga-Quito (1947),<br />

Suiza (1948), Río de Janeiro (1951), y Oakland (1952). <strong>La</strong> CSSR también se<br />

estableció en Japón, Tailandia y El Líbano.<br />

49<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR]..., 25, 31; L. BUYS, “Epistula <strong>II</strong> – 2 Iulii 1947”,<br />

in Analecta CSSR 19 (1947) 185-192: entre otros asuntos, alude a la adaptación<br />

de la CSSR al momento presente y a su renovación, inspirándose en san<br />

Alfonso: “quantopere praesertim duo ultima magna bella faciem terrae et


58 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

A Buijs se deben iniciativas como la <strong>del</strong> afianzamiento <strong>del</strong><br />

Colegio Mayor, la dotación de la biblioteca de la casa san<br />

Alfonso en Roma con ocho mil nuevos volúmenes, 50 la reorganización<br />

<strong>del</strong> archivo general, la fundación <strong>del</strong> Instituto Histórico<br />

Redentorista (1948) 51 y de la revista Spicilegium Historicum<br />

CSSR (1953).<br />

Mientras Murray ejerció como superior general durante 38<br />

años, Buijs duró sólo seis años y dos meses en ese cargo.<br />

humanitatis mutaverint” (p. 187); Ambrogio FREDA, “Meste parole” (elogio<br />

funebre in occasione <strong>del</strong> funerale per il P. Leonardo Buys – Pagani, 30 giugno<br />

1953), in S. Alfonso 24/6 (1953) 101: “<strong>La</strong> sua opera non ebbe più quello<br />

sfarzo e quella esuberanza di espressione che contradistinse l’inizio <strong>del</strong> suo<br />

governo, ma fu profonda. <strong>La</strong> creazione <strong>del</strong>le nuove Provincie, il primo<br />

Congresso di Storia <strong>del</strong>la Congregazione e l’Istituto Storico <strong>del</strong>la<br />

Congregazione che ne nacque, l’Accademia Alfonsiana istituita a Roma, l’incremento<br />

<strong>del</strong> Collegio Maggiore a Roma, lo sviluppo dato alle Case di formazione,<br />

la nuova Commissione per l’edizione critica <strong>del</strong>le opere di S.<br />

Alfonso, la proclamazione di S. Alfonso a Patrono dei Moralisti e dei<br />

Confessori, la nutrita partecipazione dei Redentoristi ai Congressi internazionali<br />

Mariano e Mariologico nel ’50, l’apprezzato contributo al Congresso<br />

internazionale dei Religiosi a Roma e in America... sono tutte pagine <strong>del</strong>la<br />

nostra storia, che si rifanno a Lui, come ad iniziatore, animatore vigoroso”.<br />

- Buijs también favoreció la reedición de la Theologia moralis de San Alfonso<br />

dirigida por Gaudé, y la edición de varias obras populares <strong>del</strong> Fundador.<br />

50<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 33: Douglas,<br />

Gaudé, y Reuss habían comenzado a organizar la biblioteca; Buijs llamó a<br />

Brill, belga, que trabajó de 1947 a 1949, y a Andreas Sampers, holandés,<br />

quien trabajó desde 1949; el brasileño Roriz ayudó un poco.<br />

51<br />

Cf. Analecta CSSR 20 (1948) 5, 51-60; SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In<br />

piam memoriam…”, 40-42: Buijs promovió los estudios históricos, pues estaba<br />

convencido de que no se pueden adaptar las cosas sin una investigación<br />

histórica sólida sobre el origen y evolución de cada elemento; quería que se<br />

conociera nuestra Congregación en su ser y su hacer. En 1948 se tuvo en<br />

Roma el primer congreso de historiadores redentoristas, cuyo primer fruto<br />

fue la fundación <strong>del</strong> Instituto Histórico Redentorista (1948) bajo la dirección<br />

<strong>del</strong> belga Maurice de Meulemeester. Éste fue nombrado director <strong>del</strong> Archivo<br />

general y el padre francés Juan Gautier su colaborador. En 1951 Andreas<br />

Sampers, quien era ya prefecto de la biblioteca, sustituyó a De<br />

Meulemmeester.


LEONARDO BUIJS Y LA ACADEMIA ALFONSIANA DE TEOLOGÍA MORAL 59<br />

Muerte de Buijs<br />

Buijs tenía que ir a un congreso que se verificaba en<br />

Alemania. Cuando salió de Roma el 21 mayo 1953, se sentía muy<br />

mal de salud. El viaje se le convirtió en un suplicio tan doloroso,<br />

que, al llegar a la ciudad austríaca de Innsbruck lo tuvieron<br />

que hospitalizar y operar de ‘pancreatitis purulenta’; murió a los<br />

pocos días, el 27 de junio. 52 Sus restos fueron llevados a<br />

Holanda.<br />

<strong>La</strong> Academia continúa<br />

Los proyectos de Buijs sobre la Academia Alfonsiana no se<br />

realizaron, pero la experiencia de los años iniciales fue preciosa<br />

para su continuación y perfeccionamiento. 53 Quienes conocieron<br />

a Buijs, escribieron: “Multa incepit, plura facere cogitavit,<br />

pauca complere potuit” [Planeó y comenzó muchas obras, pero<br />

pudo terminar pocas]. 54<br />

52<br />

Cf. Ibid., 18, 42-45: en una comunicación desde Innsbruck, él mismo<br />

anuncia su grave estado de salud: Uti probabiliter (27 mayo 1953); BOELAARS,<br />

“R.mus P. Leonardus Buijs…”, 452; H. NIEMANN, “De ultimis defleti Rev.mi P.<br />

Generalis diebus terrestribus relatio”, in Analecta CSSR 25 (1953) 172-179;<br />

“<strong>La</strong> morte <strong>del</strong> Superiore Generale dei Redentoristi”, in L’Osservatore<br />

Romano, Città <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong>, 30 giugno 1953, 2: artículo transcrito en<br />

Analecta CSSR 24 (1953) 79-81; A. FREDA, “Meste parole”, 99-102: consigliere<br />

<strong>del</strong> card. de Jong (primato di Olanda); ebbe parte <strong>nella</strong> elaborazione degli<br />

statuti <strong>del</strong>l’Azione Cattolica Olandese; diresse convegni e congressi sacerdotali;<br />

potè proteggere perseguitati ebrei. Ad Innsbruck il Signore lo fermò.<br />

53<br />

SOC<strong>II</strong> REDACTIONIS [CSSR], “In piam memoriam…”, 35: “Naturale erat,<br />

vastissimum hoc propositum nec primo nec uno anno perfici posse.<br />

Academia alfonsiana, aliqualiter initiata an. 1949-50, ideo primis duobus<br />

annis Scholasticis regularibus (1951-52, 1952-53) per modum experimenti,<br />

ut ita dicamus, gerebatur; <strong>del</strong>ectus professorum non primu ictu fieri potuit,<br />

nec materia tractanda illico completa et ex omni parte absoluta esse potuit.<br />

Sed experientiae his annis collectae, sive ex parte docentium, sive ex parte<br />

audientium, pretiosae erunt pro continuatione e perfectione huius instituti,<br />

cui P. Generalis tantum dedicaverat affectum. Propter necessitates Capituli<br />

generalis, initio an. 1954 celebrandi, aliasque rationes nec opinate exortas,<br />

Academia alfonsiana an. scholastico 1953-54 remitti debuit”.<br />

54<br />

Ibid., 45: “Congregationem sancte amavit, pro eius omnimodo pro-


60 ÁLVARO CÓRDOBA<br />

En 1955 se celebró en Holanda un congreso de formadores<br />

redentoristas que respaldaron la continuación de la Academia. 55<br />

Sobre esta base, el nuevo superior general Guillermo Gaudreau<br />

(norteamericano), hizo construir un nuevo edificio. De esta<br />

forma, la Academia Alfonsiana reabrió sus puertas en 1957,<br />

reconocida ahora por la Sagrada Congregación de Religiosos<br />

como “Escuela pública interna”, que podía acoger profesores y<br />

estudiantes no redentoristas.<br />

El 2 de agosto de 1960, fiesta de san Alfonso, fue incorporada<br />

a la Pontificia Universidad <strong>La</strong>teranense, con autonomía en la<br />

especialización en teología moral y con derecho a conferir el<br />

doctorado en teología.<br />

<strong>La</strong> Academia Alfonsiana, que comenzó como una pequeña<br />

semilla plantada por Leonardo Buijs en la famosa colina <strong>del</strong><br />

Esquilino en Roma, se ha transformado en un árbol que produce<br />

exquisitos frutos.<br />

ÁLVARO CÓRDOBA, C.Ss.R.<br />

gressu sincere adlaborans, propter corporis infirmitatem, et, fortasse etiam<br />

propter animi sui vehementem et impetuosam indolem qua incessanter agitabatur,<br />

velociter viribus consumptus in itinere ad officia sua explenda occubuit”.<br />

55<br />

Cf. A. S. [Andreas SAMPERS], “Primo convegno <strong>del</strong>l’Accademia<br />

Alfonsiana tenuto a Wittem, Olanda, dal 27 al 30 agosto 1955”, in<br />

Spicilegium CSSR 3 (1955) 461-463: participaron 33 representantes de los<br />

estudiantados redentoristas de Europa occidental; Julio DE LATORRE, “<strong>La</strong><br />

moral social en la enseñanza de la Academia Alfonsiana”, en <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong><br />

– StMor 20 (1982) 143: asegura que la Academia Alfonsiana comenzó a gestarse<br />

en un congreso con “inspiradores y actores holandeses”, como Buys,<br />

Wouters, Damen, Hartmann, Kremer, y De St. Martin.


StMor 42 (2004) 61-62<br />

LOUIS VEREECKE, C.SS.R.<br />

RICORDO<br />

DEL R.MO PADRE LEONARDO BUIJS, C.SS.R. (†1953)<br />

Il mio ricordo <strong>del</strong> Rev.mo Padre Leonardo Buijs non può<br />

pretendere di essere completo. Infatti, dei sei anni <strong>del</strong> suo generalato<br />

(1947 al 1953), ne ho trascorsi a Roma solo tre.<br />

Inizialmente come semplice studente, poi come giovane professore.<br />

C’era quindi una certa distanza tra noi.<br />

Si può dire che l’Accademia Alfonsiana fu la “pupilla <strong>del</strong>l’occhio”<br />

<strong>del</strong> Padre Buijs. Al Capitolo generale <strong>del</strong> 1947, in giugno,<br />

aveva <strong>del</strong>ineato i tratti <strong>del</strong>l’erigenda Accademia, e già luglio<br />

si era messo personalmente alla ricerca di professori. Il primo<br />

contattato fu il Padre Domenico Capone, distintosi recentemente<br />

con le sue ricerche storiche su sant’Alfonso. Nello stesso<br />

mese, di passaggio da Dreux con il Padre Van Biervliet, il Padre<br />

Buijs si informò presso il corpo docente <strong>del</strong>lo Studentato <strong>del</strong>la<br />

Provincia di Parigi circa la possibilità di trovare professori per<br />

l’Accademia. L’8 settembre 1947, il P. Jean de Saint Martin,<br />

Provinciale di Parigi, mi avvertì di tenermi pronto ad eseguire gli<br />

ordini <strong>del</strong> Padre Generale, allora in visita ai Redentoristi <strong>del</strong>la<br />

Cecoslovacchia. Alla fine di ottobre, il Padre Generale mi ordinò<br />

di recarmi a Roma per conseguire il dottorato in <strong>teologia</strong><br />

all’Università Gregoriana. Egli seguì tutto il corso dei miei studi,<br />

e il 13 dicembre 1949 volle assistere alla difesa <strong>del</strong>la mia tesi alla<br />

Gregoriana, cosa che fino ad allora i Generali non erano soliti<br />

fare.<br />

Si può dire che la ricerca di professori per l’Accademia fu<br />

una preoccupazione costante <strong>del</strong> Padre Buijs, durante tutto il<br />

suo generalato. In conformità con la specializzazione dei professori,<br />

ne fissava la materia d’ insegnamento. Per quanto<br />

riguarda in particolare il mio caso, nel novembre 1947 mi chiese<br />

di studiare le fonti <strong>del</strong>la morale di sant’Alfonso, in altri termini<br />

di insegnare la storia <strong>del</strong>la morale moderna. Il Padre Bernhard<br />

Häring ha ricordato in un articolo che il P. Buijs, invitandolo ad


62 LOUIS VEREECKE<br />

insegnare nell’Accademia, gli garantì piena libertà <strong>nella</strong> presentazione<br />

<strong>del</strong>la morale. Ma ho anche saputo, e ne ignoro il motivo,<br />

che il Padre Buijs chiese al Padre G. Liévin di sottoporgli i corsi<br />

di spiritualità alfonsiana prima di darli.<br />

In agosto 1952 – mentre era in viaggio verso la Spagna, con<br />

il Padre García Pedrero – il Padre Buijs mi convocò a Lourdes e<br />

mi chiese di riprendere le lezioni all’Accademia per l’anno 1952-<br />

1953. Insieme stabilimmo la materia <strong>del</strong> mio corso.<br />

Il Padre Buijs si preoccupò che i professori fossero liberi da<br />

altri impegni, in modo da potersi dedicare a tempo pieno allo<br />

studio, e a tale scopo li collegò al Collegio Sant’Alfonso. Va segnalato<br />

anche l’aiuto loro dato mediante l’arricchimento <strong>del</strong>la<br />

biblioteca, soprattutto per interessamento <strong>del</strong> Padre A. Sampers.<br />

Il Padre Buijs volle anche che gli studenti <strong>del</strong>l’Accademia<br />

Alfonsiana conseguissero i gradi universitari. Dopo un tentativo<br />

infruttuoso con la Gregoriana, egli ottenne il riconoscimento dei<br />

corsi che gli studente <strong>del</strong>l’Angelicum seguivano all’Accademia<br />

Alfonsiana.<br />

Certo, il Padre Buijs amava parlare con i professori <strong>del</strong>la<br />

struttura, dei programmi, e <strong>del</strong>l’avvenire <strong>del</strong>l’Accademia<br />

Alfonsiana, ma aveva idee molto chiare su ciò che intendeva<br />

fare. Per conoscerne il pensiero bisogna esaminare i discorsi<br />

inaugurali da lui pronunciati negli anni 1950, 1951 e 1952. In<br />

particolare quello <strong>del</strong> 1951, che è certamente il più importante.<br />

Ma il Padre Buijs era anche Superiore Generale <strong>del</strong>la<br />

Congregazione <strong>del</strong> Santissimo Redentore. Nel 1953, ebbi occasione<br />

di parlare a lungo con lui, dato che veniva spesso a passare<br />

il weekend a Frascati, dove mi trovavo ospite <strong>del</strong>le Suore di San<br />

Carlo. Parlandomi <strong>del</strong>la necessità di aggiornare le Regole e<br />

Costituzioni per adattarle alle nuove condizioni <strong>del</strong> mondo, mi<br />

diceva: “Se non lo fanno i Superiori, lo faranno i Confratelli per<br />

conto loro”. Le circostanze non consentirono al P. Leonardo<br />

Buijs di realizzare tali suoi progetti, e sappiamo tutti come le<br />

cose andarono a finire.<br />

LOUIS VEREECKE, C.SS.R.


StMor 42 (2004) 63-98<br />

LORENZO ÁLVAREZ VERDES C.Ss.R<br />

LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA<br />

EN LA REFLEXIÓN TEOLÓGICO-MORAL POSTCONCILIAR.<br />

CRITERIOS HERMENÉUTICOS<br />

<strong>La</strong> Const. Dei Verbum 24, hablando de la teología en general<br />

afirma que “el estudio de la Sagrada Escritura debe ser como el<br />

alma de la teología”. <strong>La</strong> expresión “anima theologiae” es un aforismo<br />

que aparece ya en las Congregaciones generales de la<br />

Compañía de Jesús de 1600. Más tarde pasó a los manuales de<br />

Exégesis 1 , siendo finalmente asumida por los documentos oficiales<br />

de la Iglesia (León X<strong>II</strong>I, Enc. Providentissimus Deus 2 y<br />

Benedicto XV, Enc. Spiritus Paraclitus 3 ). En DV 24 la expresión<br />

“anima theologiae” es precedida por la partícula “como” (veluti) 4<br />

y por una serie de metáforas que circunscriben la función vital<br />

de la Sagrada Escritura en relación con la teología: en ella se<br />

apoya come sobre cimiento perdurable la teología, hace que ésta<br />

se mantenga firme, cobre fuerza, se rejuvenezca sin cesar, penetre<br />

en la verdad <strong>del</strong> misterio de Cristo.<br />

En el decreto sobre la formación sacerdotal (OT 16) se habla<br />

de la necesidad de “perfeccionar” la teología moral, haciendo<br />

que su exposición científica esté “más intensamente nutrida”<br />

por la doctrina de la Sagrada Escritura, con el objetivo de “mos-<br />

1<br />

Cf. R. CORNELY, S.J., Cursus Scripturae Sacrae. Historica et critica<br />

Introductio in Utriusque Testamenti libros sacros, 3 Vol., Paris 1885-87. IDEM,<br />

Compendium Introductionis, 2 Vol., ib. 1889.<br />

2<br />

EB 114: Illud autem maxime optabile est et necessarium, ut eiusdem<br />

divinae Scripturae usus in universam theologiae influat disciplinam eiusque<br />

prope sit anima”<br />

3<br />

EB 483. Hablando de la necesidad <strong>del</strong> uso de la Escritura, cita literalmente<br />

el texto de la Enc. Providentissimus Deus.<br />

4<br />

<strong>La</strong> Enc. Providentissimus Deus (EB 114) usa la partícula “prope”<br />

(prope sit anima), precedido de la afirmación de que el uso de la Sagrada<br />

escritura “influya” (influat) en toda la teología.


64 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

trar la excelencia de la vocación de los fieles en Cristo y su obligación<br />

de producir frutos en la caridad para la vida <strong>del</strong> mundo”.<br />

De este modo expresa el <strong>Concilio</strong> la voluntad de recuperar para<br />

la reflexión teológico-moral la riqueza fecundante y revitalizadora<br />

de la Sagrada Escritura.<br />

Esto era particularmente necesario tras el ajetreado iter <strong>del</strong><br />

sistema de relaciones Biblia-Dogmática 5 , que había ido desde el<br />

predominio de la Sagrada Escritura a la dependencia total de la<br />

misma con relación a la Dogmática. Para los Padres efectivamente<br />

la reflexión teológica arrancaba directamente <strong>del</strong> texto<br />

bíblico, limitándose prácticamente a simples “comentarios” de<br />

los mismos, que ponían de relieve los contenidos de orden teológico<br />

y moral. Incluso en su estructura, estos tratados “teológicos”<br />

eran organizados, no según un orden sistemático, sino<br />

siguiendo el orden de los libros de la Biblia 6 . No es, pues, de<br />

extrañar que todavía al comienzo <strong>del</strong> Medioevo el profesor de<br />

teología siguiera siendo “lector in Sacra Pagina” 7 . Sin embargo,<br />

con la llegada de las “Summae”, la Dogmática fue independizándose<br />

cada vez más de la Biblia, recurriendo a ella prácticamente<br />

para encontrar argumentos con que “probar” las proposiciones<br />

recogidas en las Summae sea como tesis sea como problemas<br />

8 , siempre con la convicción de que la “auctoritas” definitiva<br />

residía en la traditio viva (identificada de hecho con la autoridad<br />

de la Iglesia), que debía garantizar toda la verdad, incluso<br />

la de las proposiciones reveladas. <strong>La</strong> función “probatoria” de la<br />

5<br />

Cf F. RAMOS PASTOR, “Escritura y Teología”, en L. ALONSO SCHÖKEL, L.,<br />

(Ed.) <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Comentarios a la Constitución Dei Verbum sobre la<br />

divina revelación, BAC, Madrid 1969, 724-751.<br />

6<br />

Cf., por ejemplo, la obra agustiniana Enarrationes in psalmos.<br />

7<br />

No obstante aparecer en esta época englobado en la teología el estudio<br />

de la Sagrada Escritura, hay que reconocer que frecuentemente la Sagrada<br />

Escritura era más bien “ocasión” que “fuente” verdadera de la enseñanza de<br />

la Teología.<br />

8<br />

Los ”problemas” eran las cuestiones nuevas. <strong>La</strong>s llamadas “tesis” tenían<br />

el carácter de afirmaciones susceptibles aun de revisión y discusión. Los<br />

dogmas (o afirmaciones definitivamente sancionadas) no eran tratados en<br />

las Summae. Cf. H. DE LUBAC, Exégèse médiévale I, Desclée de Brouwer, Paris<br />

1986, 56-66.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 65<br />

Sagrada Escritura quedaría sistematizada en la conocida obra<br />

de Melchor Cano De locis theologicis 9 .<br />

El uso “probatorio” abría las puertas a la búsqueda de formulaciones<br />

bíblicas claras 10 , independientemente <strong>del</strong> análisis<br />

histórico y, lógicamente, de la carga vital que conlleva la revelación.<br />

Para ampliar sus horizontes, la teología bíblica tendría que<br />

dar un paso decidido, liberándose definitivamente <strong>del</strong> yugo de la<br />

dogmática, liberación auspiciada en 1787 por J. Ph. Gabler en su<br />

discurso de ingreso en la universidad de Altdorf 11 , y puesta en<br />

marcha, especialmente en el campo protestante, con una buena<br />

dosis de historicismo y racionalismo.<br />

9<br />

MELCHIOR CANO, De Locis Theologicis, Salamanca, 1563.<br />

10<br />

El recurso “probatorio” a las citas bíblicas fue frecuente entre los rigoristas<br />

(s. XV<strong>II</strong>-XV<strong>II</strong>I), como FR. GENET, Theologia moralis juxta Sacrae<br />

Scipturae, Canonum & Ss. Patrum mentem, 6 vol. Venezia 1702 (Orig. franc.<br />

Théologie morale ou résolution des cas de conscience selon l’Écriture sainte, les<br />

canons et les saints Pères, 8 vol., Grenoble 1676-1780); J. BESOMBES, Moralis<br />

chistiana ex Scriptura sacra, Traditione, Conciliis, Patribus et insignioribus<br />

theologis excerpta, 8 vol. Toulouse 1709-1711. T. GONZÁLEZ DE SANTALLA,<br />

Fundamentum theologiae moralis, id est Tractatus theologicus de recto usu<br />

opinionum probabilium, Roma 1694. De estos autores decía FR. ANTONIO<br />

ZACCARIA que hacían de la Escritura un uso “vano e inútil”, destinado solamente<br />

a atacar a los probabilistas (De casuisticae theologiae originibus, locis<br />

atque praestantia, en: Theologia moralis, Ferrara 3 1755).<br />

11<br />

PH. GABLER, Oratio de iusto discrimine theologiae biblicae et dogmaticae,<br />

regundisque recte utriusque finibus. El texto de este discurso se puede<br />

leer en traducción alemana en el apéndice de la obra de O. MERK, Biblische<br />

Theologie des Neuen Testaments in ihrer Anfangszeit, Marburg 1972, 272-284.<br />

Sobre el tema remitimos a la importante obra de H.-J. KRAUS, <strong>La</strong> <strong>teologia</strong><br />

biblica. Storia e problematica, Paideia, Brescia 1979. El autor ofrece una<br />

amplia exposición de las dificultades de sistematización con que se ha<br />

encontrado la teología bíblica tras su independencia de la Dogmática. En<br />

general, los autores no estaban de acuerdo en dejar sucumbir la teología<br />

bíblica en las redes <strong>del</strong> puro historicismo, que se limitaba a estudiar los<br />

datos <strong>del</strong> pasado en su singularidad histórica, sin prestar atención al conjunto<br />

<strong>del</strong> mensaje bíblico sobre todo desde la perspectiva unitaria <strong>del</strong><br />

Antiguo y Nuevo Testamento. <strong>La</strong> bibliografía sobre el tema fue abundante<br />

sobre todo en los años 50’ y 60’, tanto en campo protestante ( cf. G. Von Rad,<br />

M. Kahler, V. Filson, C.H. Dodd, G. Ebeling) como en el católico (cf. los estudios<br />

de C. Spicq, F.M. Braun, R. de Vaux y H. Haag. Este último dedica<br />

amplio espacio al tema en la gran obra Mysterium Salutis . Vol I).


66 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

<strong>La</strong> independencia de la teología bíblica fue acompañada<br />

desde el principio por una marcada preocupación por los problemas<br />

ético-culturales. Los nuevos descubrimientos arqueológicos<br />

fueron despertando gran interés por penetrar en el espíritu<br />

(Geist) de las culturas antiguas, incluida la de Israel. De ahí la<br />

preocupación por los temas de moral bíblica, como lo demuestran<br />

las numerosas monografías en torno a la figura de Jesús o<br />

sobre el pensamiento ético paulino 12 .<br />

En el campo católico los nuevos horizontes de los estudios<br />

bíblicos no se presentaron tan luminosos. A los amargos resabios<br />

de la “sola Scriptura” dejados por la Reforma venían a juntarse<br />

ahora las sombras <strong>del</strong> racionalismo y <strong>del</strong> historicismo. Ello<br />

generó un muro de resistencia sistemática frente a todo intento<br />

de apertura a las nuevas corrientes bíblicas, como lo demuestra<br />

el caso <strong>del</strong> oratoriano Richard Simon (1638-1712) y, más tarde,<br />

<strong>del</strong> dominico M.-J. <strong>La</strong>grange (1855-1938) 13 . Este muro perduraría<br />

hasta el mismo <strong>Concilio</strong> Vat. <strong>II</strong>, principalmente durante la<br />

fase preparatoria; tras él se parapetó la corriente conciliar tradi-<br />

12<br />

J.I. BERGER, Versuch einer moralischen Einleitung ins Neue Testament<br />

für Religionslehrer und denkenden Christen, Leipzig 1798; G.L. BAUER,<br />

Biblische Moral des Neuen Testaments, 2 Bände, Leipzig 1804-1805; P.<br />

WERNLE, Der Christ und die Sünde bei Paulus, JCB Mohr, Freiburg i. Br. -<br />

Leipzig 1897. Más tarde corregiría el autor algunas de sus tesis en su nueva<br />

obra Die Anfänge unserer Religion, Tübingen-Leipzig 1901; H. JACOBY,<br />

Neutestamentliche Ethik, Von Thomas & Oppermann, Königsberg 1899;<br />

H.FR. ERNESTI, Die Ethik des Apostels Paulus in ihren Grundzügen dargestellt,<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1868; H. SLADECZEK, Paulinische Lehre<br />

über das Moralsubjekt. Als anthropologische Vorschule zur Moraltheologie des<br />

heiligen Apostels Paulus, Nationale Verlaganstalt, Regensburg 1899; A.<br />

JUNCKER, Die Ethik des Apostels Paulus (2 Vol), Max Niemeyer, Halle 1904,<br />

1919; A.B.D. ALEXANDER, The Ethics of St. Paul, James Maclehose & Sons,<br />

Glasgow 1910; K. BENZ, Die Ethik des Apostels Paulus, Herder, Freiburg i. Br.<br />

1912; G. STEUERNAGEL “Alttestamentliche Theologie und alttestamentliche<br />

Religionsgeschichte”, en: Festschrift Karl Marti (BZAW 41), Berlin 1925, 266-<br />

273, hic 266.<br />

13<br />

Aun en 1971 podía escribir O. KUSS: “De hecho, después de Richard<br />

Simon no hay ni un solo libro publicado por católicos fieles a la Iglesia, que<br />

haya hecho época en la historia de la exegesis científica” (Paulus. Die Rolle<br />

des Apostels in der theologischen Entwicklung der Urkirche, Pustet,<br />

Regensburg 1971, 247). El autor enumera las causas concretas que impedí-


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 67<br />

cionalista 14 para rechazar las propuestas de la “nueva exégesis”,<br />

en las que algunos veían latentes las tesis de R. Bultmann y de<br />

su escuela. En tal sospecha se vieron englobados numerosos exegetas<br />

católicos, como R. Geiselmann 15 ,y otros prestigiosos profesores<br />

de universidad, particularmente <strong>del</strong> Pontificio Instituto<br />

Bíblico 16 ; de tales acusaciones fueron objeto incluso los Padres<br />

conciliares que pilotaron la lucha contra los esquemas De deposito<br />

Fidei pure custodiendo y De fontibus revelationis” 17 .<br />

A la Const. Dei Verbum, debemos el que los muros hayan en<br />

gran parte caído y los biblistas puedan acercarse al Dios de la<br />

an a los exegetas católicos trabajar en una manera científicamente válida.<br />

Esta dificultad la sentían de modo especial los autores que se arriesgaban a<br />

publicar “Manuales” de exegesis, como se puede ver en el Enchiridion<br />

Biblicum. En dic. 1923, por ejemplo, era condenado el Manuel biblique de los<br />

sulpicianos D. Vigouroux y D. Bacuez, en la edición refundida de D. Brassac<br />

(EB 497-504). Pocos años después se vería en la misma situación el Manual<br />

de Adriano Simón (redentorista). El Prof. Juan Prado, que acababa de aceptar<br />

el continuar con la obra, tras la muerte inesperada de A. Simón, se vería<br />

obligado, por indicación <strong>del</strong> Card. Van Rossum (Presidente de la Pont.<br />

Comisión Bíblica) a “retirar” todas las páginas <strong>del</strong> Manual referentes a la historicidad<br />

de los discursos joánnicos. Cf. L. ALVAREZ (ed.), Homenaje a Juan<br />

Prado, Miscelánea de estudios bíblicos y hebraicos, CSIC, Madrid 1975, 19-20.<br />

14<br />

Cf. el Monitum <strong>del</strong> Santo Oficio <strong>del</strong> 28.6.1961, destinado a prevenir a<br />

los Padres Conciliares contra el peligro de sucumbir a los peligros de la<br />

nueva exegesis. En él se podía leer: “... in variis regionibus sententiae et opiniones<br />

circunferuntur, quae in discrimen adducunt germanam veritatem historicam<br />

et obiectivam Scripturae Sacrae”, AAS 53 (1961) 507.<br />

15<br />

J.R. GEISELMANN, Die heilige Schrift und die Tradition. Zu den neueren<br />

Kontroversen über das Verhältnis der Heiligen Schrift zu den nicht geschriebenen<br />

Traditionen. Quaestiones disputatae, 18, Herder, Freiburg-Basel-Wien<br />

1962 (Trad. it.: <strong>La</strong> Sacra Scrittura e la Tradizione, Morcelliana, Brescia 1974,<br />

99 ss.).<br />

16<br />

Sobre la focalización persecutoria y condenatoria de algunos centros<br />

en concreto, como el Pontificio Instituto Bíblico, cf. R. BURIGANA, <strong>La</strong> Bibbia<br />

nel <strong>Concilio</strong>. <strong>La</strong> redazione <strong>del</strong>la costituzione “Dei Verbum <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Il<br />

Mulino, Bologna 1998, 97 ss.; L. ALVAREZ VERDES: ”<strong>La</strong> Dei Verbum, una<br />

Constitución clave para la comprensión <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>”, StMor 41<br />

(2003) 211-242;<br />

17<br />

El primero de estos esquemas ni siquiera llegaría a ser discutido en el<br />

<strong>Concilio</strong>. El segundo, oficialmente rechazado el 21 nov. 1962, sería sustituido<br />

por el nuevo texto de la Const. Dei Verbum.


68 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

revelación a “rostro descubierto” 18 . Ello ha permitido a la teología<br />

bíblica poner de relieve valencias sumamente importantes,<br />

tanto para la dogmática como para la moral, como el carácter<br />

personal (trinitario) de la verdad revelada, la historicidad, la<br />

importancia de la escatología, la esencial unidad <strong>del</strong> proyecto<br />

salvífico de Dios y, por tanto, la inseparabilidad de las dimensiones<br />

teológica y moral, el carácter indicatival de la moral cristiana,<br />

la centralidad de la responsabilidad en la configuración<br />

<strong>del</strong> mo<strong>del</strong>o ético, la importancia de la conciencia, el nuevo horizonte<br />

moral de la ley de Cristo y la recuperación de las ideas de<br />

crecimiento y perfección morales.<br />

Tras la toma de posición <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, esencialmente<br />

positiva y pastoral, sobre la interpretación y uso de la<br />

Sagrada Escritura, ya no es posible circunscribir el significado<br />

<strong>del</strong> aforisma “alma de la teología” al ámbito de una apologética<br />

centrada en el instinto de conservación, generadora de actitudes<br />

defensivas y combatientes, como dejaba traslucir la Enc.<br />

Providentissimus Deus, que contemplaba la Sagrada Escritura<br />

como instrumento para “afirmar y establecer lo que es objeto de<br />

fe y lo que de éste se deduce y … refutar las nuevas interpretaciones<br />

de los herejes” 19 . En este contexto el estudio de la Sagrada<br />

Escritura era considerado como el último retoque en la preparación<br />

de los futuros “abogados” de la verdad; de ahí la exigencia<br />

de garantías precisas para los candidatos: éstos deberían ser<br />

sacerdotes selectos y haber recibido antes el doctorado en teología<br />

20 .<br />

Sin pretender negar importancia al papel de la Biblia en el<br />

orden cognoscitivo (afirmar-establecer-deducir- refutar), creemos<br />

18<br />

Cf. 2 Cor 3,18. <strong>La</strong> Pont. Comisión Bíblica adoptaría finalmente una<br />

posición de apertura con la Instrucción Sancta Mater Ecclesia, AAS 56 (1964)<br />

712ss.<br />

19<br />

EB 114.<br />

20<br />

PIO X, Litt. Apost. Scripturae Sanctae, EB 152. Cf. Litt. Apost. Vinea<br />

electa, EB 287 . <strong>La</strong> Enc. Spiritus Paraclitus habla también de la necesidad de<br />

buscar en la Sagrada Escritura “el alimento conveniente a la vida espiritual”<br />

(EB 482) pero sin dejar de insistir a continuación en la función apologética<br />

(EB 483).


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 69<br />

que la función de “alma” –con todas las matizaciones de la metáfora<br />

– hace referencia ante todo al “dinamismo vital”, que va<br />

más allá <strong>del</strong> orden especulativo-deductivo. Lo demuestra en<br />

modo evidente la Const. Dei Verbum al insistir en que la revelación<br />

debe ser entendida como invitación de Dios (en Cristo) a<br />

vivir en su compañía (DV 2). De ahí su insistencia en el carácter<br />

sacramental de la Biblia (objeto de una veneración semejante a<br />

la Eucaristía, DV 21) que, por lo mismo, debe ser alimento (pan)<br />

que “alumbre el entendimiento, ilumine la mente, confirme la<br />

voluntad, encienda el corazón” (DV 23). En este contexto se<br />

encuadra la exhortación a un más profundo conocimiento y a un<br />

uso redoblado de la Sagrada Escritura, que “rejuvenezca y dé<br />

nuevo vigor” a la reflexión teológica (DV 24).<br />

¿En qué medida esta invitación, directamente referida a la<br />

teología en general, alcanza a la reflexión teológico-moral?<br />

Evidentemente, ni la teología bíblica puede identificarse con la<br />

teología dogmática 21 ni la ética cristiana con la ética bíblica,<br />

como tampoco puede confundirse la moral bíblica con el “uso”<br />

que de la Sagrada Escritura debe hacer la ética cristiana.<br />

En nuestro estudio no pretendemos hacer un análisis directo<br />

de la vasta producción post-conciliar (estudios monográficos,<br />

manuales, documentos oficiales), empresa que requeriría un<br />

espacio mucho más amplio <strong>del</strong> de una simple conferencia.<br />

21<br />

H. HAAG sintetiza su pensamiento sobre la distinción entre teología<br />

dogmática y teología bíblica en los siguientes términos: “ Mientras que la<br />

teología bíblica se limita a los temas de la Biblia, la teología dogmática se<br />

encuentra en el deber de tener que abordar todos los temas que le son propuestos<br />

por la predicación y la doctrina actual de la iglesia y <strong>del</strong> pensamiento<br />

religioso contemporáneo, incluso aquellos que la teología bíblica no<br />

encuentra en base a la pura interpretación de los textos escrituristicos”<br />

(Mysterium Salutis. Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik. Vol. I: Die<br />

Grundlagen heilsgeschichtlicher Dogmatik, Benziger Vlg., Düsseldorf 1965,<br />

457). <strong>La</strong> teología bíblica sigue las huellas de la Biblia no solamente en cuanto<br />

a la selección de los temas, sino incluso en cuanto a la sistematización de<br />

los mismos. Aquí queda una amplio campo a disposición de los autores. Si<br />

se parte, por ejemplo, <strong>del</strong> relato de la creación, los conceptos clave seguirán<br />

el hilo conductor de Dios-creador. Si, en cambio, se pone como base la revelación<br />

de Dios en la intervención exódica, el concepto clave será el de liberación.


70 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

Queremos más bien focalizar nuestra atención en la identificación<br />

de los criterios hermenéuticos que, a la luz de la experiencia<br />

de los 40 años transcurridos después <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong>, creemos que<br />

deben guiar a los moralistas en la elaboración de una ética cristiana<br />

que haga realidad la propuesta conciliar de que el estudio<br />

de la Sagrada Escritura sea el “alma” de la reflexión moral.<br />

I. ÉTICA CRISTIANA Y ÉTICA BÍBLICA<br />

Aunque en el lenguaje práctico no se haga especial distinción<br />

entre ética y moral, creemos que, a nivel gnoseológico, sea<br />

conveniente hablar de ética cristiana, más que de teología moral.<br />

Lo ético es anterior a la fe, como es anterior la estructura formal<br />

a los contenidos con que ésta se debe llenar después. El ethos<br />

representa el primer paso en la obra de “relleno” <strong>del</strong> cuadro de<br />

lo moral como estructura formal 22 . El ethos variará de acuerdo<br />

con los contenidos y las coordinadas en las que éstos se encuadran,<br />

siempre orientados a realizar lo “deseable humano” 23 . Sólo<br />

a este nivel se puede comenzar a hablar de teología moral, por<br />

22<br />

En términos zubirianos diríamos que el ethos se sitúa en línea con lo<br />

moral como “estructura”. <strong>La</strong> estructura <strong>del</strong> hombre como realidad implica el<br />

ser moral, pero un ser moral como estructura formal. En cuanto tal, lo moral<br />

es anterior a los contenidos (fruto de la razón práctica). <strong>La</strong> ética normativa,<br />

que establece los criterios y normas con los que se ha de llenar de contenido<br />

este cuadro formal, viene después. En este sentido, se puede llamar protomoral,<br />

no pre-moral, porque en el hombre en cuanto tal no existe un estadio<br />

pre-moral. El hombre que “tiene que ser” (plano metafísico), ligado a la felicidad,<br />

se siente por ello ob-ligado por el deber (J.L. ARANGUREN, “Moral como<br />

estructura, como contenido y como actitud”, D. GRACIA (Ed.), Ética y Estética,<br />

Trotta, Madrid 1996, 21-24.<br />

Lo ético, escribe X. ZUBIRI, tiene entre los griegos un sentido infinitamente<br />

más amplio que el que hoy damos a la palabra “ética”, Comprende, ante<br />

todo, las disposiciones <strong>del</strong> hombre en la vida, su carácter, sus costumbres y,<br />

naturalmente, también la moral. En realidad se podría traducir por “modo o<br />

forma de vida”, en el sentido hondo de la palabra, a diferencia de la simple<br />

‘manera’ (Naturaleza, historia, Dios. Ed. Nacional, Madrid 1963, 207).<br />

23<br />

P. RICOEUR, “Tâches de l’éducateur politique”, Esprit 33 (1965) 78, lo<br />

llama lo “souhaitable humain”. X. Zubiri define la ética como el logro de


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 71<br />

cuanto la fe cristiana introduce una modalización específica <strong>del</strong><br />

ethos: para el creyente las coordinadas de lo “deseable humano”<br />

se identifican con las que Dios se ha propuesto para la realización<br />

<strong>del</strong> proyecto-hombre, tal como se ha revelado y plasmado<br />

en Cristo: Cristo “manifiesta plenamente el Hombre al propio<br />

hombre y le descubre la sublimidad de su vocación” 24 .<br />

Naturalmente esta inserción de la fe en la estructura <strong>del</strong> ethos<br />

alcanza a todos los niveles en que ése se despliega: desde la aceptación<br />

de la revelación de Dios en los libros sagrados hasta la<br />

adhesión a Cristo como encarnación utópica <strong>del</strong> ideal humano<br />

y, por tanto, como fuente y mo<strong>del</strong>o de la propia praxis de vida.<br />

Este espesor teológico <strong>del</strong> ethos cristiano no justifica, sin embargo,<br />

a nuestro parecer, la inversión <strong>del</strong> orden de los elementos<br />

constitutivos <strong>del</strong> mismo, que parte de la estructura formal<br />

(ética) y sigue con los contenidos. De ahí nuestra preferencia, en<br />

principio, por la expresión “ética teológica”.<br />

<strong>La</strong> dimensión teológica <strong>del</strong> ethos cristiano afloraba fácilmente<br />

mientras la ética vivió unida a la dogmática, pudiéndose<br />

legítimamente hablar de “teología moral”. <strong>La</strong>s cosas comenzaron,<br />

sin embargo, a cambiar cuando la moral decidió separarse<br />

de la dogmática, para seguir el rumbo de las ciencias positivas 25 .<br />

Algo semejante podemos decir de la dimensión “bíblica”. En<br />

tiempos pasados (patrística, medioevo) el adjetivo “bíblico”,<br />

hablando de teología (dogmática o moral), podía aparecer<br />

superfluo e incluso tautológico, ya que todo estudio teológico<br />

arrancaba de la Biblia. Hoy día, sin embargo, el lexema “bíblico”<br />

tiene valencias específicas, por cuanto el estudio de la Sagrada<br />

Escritura se encuadra en un horizonte de comprensión mucho<br />

más vasto. Y esto por varias razones: en primer lugar, porque los<br />

“sustantividad humana integral y plenaria”, como recuerda J.L. ARANGUREN,<br />

o.c., 22.<br />

24<br />

J.G. ZIEGLER, “ ‘Christus der neue Adam’ (GS 22). Eine anthropologische<br />

integrierte christozentrische Moraltheologie. Das Vision des Vatikans<br />

<strong>II</strong>. Zum Entwurf einer Gnadenmoral”, StMor 24 (1986) 41-70.<br />

25<br />

J. VICO PEINADO, Éticas teológicas ayer y hoy, Ed. Paulinas, Madrid<br />

1993, 63, comenta: Desde ese momento “ya no aparece con claridad que el<br />

compromiso ético surge de la identidad de la existencia cristiana y es parte<br />

integrante de la misma… <strong>La</strong> Biblia no es ya el alma de esta ética”.


72 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

avances de las ciencias (antropología, arqueología, historia),<br />

han hecho que el llamado sentido “literal” de los textos adquiera<br />

perfiles nuevos; en segundo lugar, porque el progreso de las<br />

ciencias <strong>del</strong> lenguaje, especialmente el estructuralismo, ha permitido<br />

trascender el ámbito restringido de la semántica <strong>del</strong><br />

vocablo para centrar la atención en las “estructuras” parciales o<br />

totales: el „lexema“ no es considerado como mónada suelta sino<br />

como unidad de significado dentro <strong>del</strong> “tejido” relacional (texto);<br />

en tercer lugar, porque la nueva hermenéutica ha puesto de<br />

relieve que el sentido <strong>del</strong> discurso no se agota en la exposición<br />

<strong>del</strong> texto original en cuanto tal, sino que conlleva un “plus” de<br />

significado que los lectores han ido añadiendo al entrar en contacto<br />

con el mismo a lo largo de la historia (Wirkungsgeschichte);<br />

esta complementación de sentido <strong>del</strong> texto original comenzó en<br />

el momento mismo en que los primeros oyentes se apropiaron<br />

<strong>del</strong> mensaje a ellos dirigido, siguió durante el periodo de recepción<br />

durante la época <strong>del</strong> A.T. y continuó en modo especial con<br />

la irrupción <strong>del</strong> exegeta por antonomasia <strong>del</strong> N.T., Jesucristo 26 ;<br />

el mismo proceso continuaría con los apóstoles y a lo largo de la<br />

historia de la Iglesia.<br />

Cuanto hemos dicho vale especialmente para la ética bíblica,<br />

cuyo objetivo es ofrecer una síntesis de la visión moral ofrecida<br />

por la Sagrada Escritura, teniendo en cuenta los diversos mo<strong>del</strong>os<br />

en que el material ético se presenta: principios, categorías de<br />

valor, normas, paradigmas 27 .<br />

<strong>La</strong> ética cristiana, lo mismo que la teología dogmática,<br />

encuentra actualmente en la ética bíblica todo un arsenal (científicamente<br />

garantizado) <strong>del</strong> que no podía disponer en tiempos<br />

pasados, pudiendo recurrir a ella como a un nuevo “locus theologicus”<br />

28 . Si en el pasado la teología moral no ha sido suficien-<br />

26<br />

Jn 1,10 dice que el Hijo, el único que ha visto al Padre, nos lo ha explicado<br />

(ejkeiǹoı ejxeghvsato).<br />

27<br />

A pesar de las diferencias mutuas, la moral bíblica se puede legítimamente<br />

llamar “moral” <strong>del</strong> mismo modo que se puede llamar “teología”, en<br />

cuanto, a la vez que representa una primera inteligencia <strong>del</strong> dato revelado,<br />

traza una visión <strong>del</strong> hombre y de su destino y el ideal de la vida cristiana. E.<br />

HAMEL, “L’usage de l’Écriture Sainte en théologie morale”, Gregorianum 47<br />

(1966) 68).


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 73<br />

temente bíblica, puede haberse debido precisamente a la falta de<br />

una ética bíblica científicamente convincente.<br />

Pero la ética cristiana, aun reconociendo el papel fundamental<br />

de la reflexión bíblica, sabe muy bien que sería una ilusión<br />

pretender encontrar en la sola Biblia la respuesta a todos<br />

problemas concretos de la vida <strong>del</strong> hombre actual, por ejemplo,<br />

en el campo de la sexualidad, de la bioética y de las relaciones<br />

individuales, sociales e internacionales. Para ello tendrá que<br />

contar con otras fuentes de conocimiento, como la razón, la<br />

experiencia y las ciencias positivas, empeñadas en una imparable<br />

carrera a la búsqueda de nuevos conocimientos y nuevos<br />

resultados.<br />

No obstante esta necesaria dependencia en relación con las<br />

ciencias “humanas”, la ética cristiana, si quiere ser fiel a su<br />

cometido esencial de configurar un ethos verdaderamente cristiano,<br />

deberá mantenerse en contacto vital con la fuente primaria,<br />

la Palabra encarnada, plasmada primero en el Cristo predicador<br />

y después en el Cristo predicado, que nos viene ofrecida<br />

en forma única e irrepetible en la Sagrada Escritura. ¿Cómo<br />

construir a nivel de reflexión moral la síntesis integradora? A<br />

nuestro modo de ver, tal síntesis no puede llegar a través de un<br />

biblicismo fundamentalista (aplicación literal de los datos bíbli-<br />

28<br />

Entre las numerosas obra de ética bíblica recientes, referidas al N.T.,<br />

podemos citar: R. SCHNACKENBURG, Die sittliche Botschafft des Neuen<br />

Testaments, 2 Bände, Herder, Freiburg 1986.1988, 271.285 ( 1 1954) ; C. SPICQ,<br />

Théologie morale du Nouveau Testament (Études Bibliques), Gabalda, Paris<br />

1965; H. HALTER, Taufe und Ethos, Paulinische Kriterien für das Proprium<br />

christlicher Moral, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1977; R. DILLMANN, Das<br />

Eigentliche der Ethik Jesu. Ein exegetischer Beitrag zur moraltheologischen<br />

Diskussion um das Proprium einer christlichen Ethik (TTS, 23), Grünewald,<br />

Mainz 1984; S. SCHULZ, Neutestamentliche Etik, TVZ, Zürich 1987; E. LOHSE,<br />

Theologische Ethik des Neuen Testaments, Stuttgart - Berlin - Köln - Mainz<br />

1988; W. SCHRAGE, Ethik des Neuen Testaments (NDT Ergänzungsreihe, 4),:<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1989; IDEM (Edit.), Studien zum Text<br />

und zur Ethik des Neuen Testaments. Festschrift zum 80. Geburtstag von<br />

Heinrich Greeven, W. de Gruyter 1986, Berlin-New York 1986; W. MARXSEN,<br />

“Christliche” und christliche Ethik im Neuen Testament, G. Mohn, Gütersloh<br />

1989; R. B. HAYS, Moral Vision of the New Testament. A Contemporary<br />

Introduction to New Testament Ethics, T&T Clark, Edinburgh 1996.


74 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

cos), ni de una mera yuxtaposición <strong>del</strong> material bíblico y no<br />

bíblico (filosofía, ley natural, psicología etc.), ni de una selección<br />

reductiva de “textos” normativos usados como “prueba” de las<br />

tesis construidas desde otras fuentes. <strong>La</strong> síntesis deberá ser de<br />

orden “orgánico y vital”, como lo es el movimiento descendente<br />

de la Palabra de Dios (revelación-inspiración) y el movimiento<br />

ascendente de aproximación interpretativa a la Sagrada<br />

Escritura (DV 12).<br />

Para llegar a esta síntesis no basta el simple recurso “objetivo”<br />

al libro sagrado sino que se impone un verdadero esfuerzo<br />

de penetración hermenéutica.<br />

<strong>II</strong>. EL USO DE LA BIBLIA COMO PROBLEMA HERMENÉUTICO<br />

<strong>La</strong> hermenéutica es un fenómeno que ha acompañado la<br />

historia de la humanidad desde los tiempos remotos en que ésta<br />

se expresaba con el lenguaje primitivo de los símbolos y de los<br />

mitos 29 . De ello tenemos abundante información tanto en la literatura<br />

griega 30 como en la hebraica 31 .<br />

¿Qué tipo de hermenéutica deberá adoptar el moralista para<br />

que el uso de la Sagrada Escritura pueda cumplir con las funciones<br />

que le atribuye la DV? A nuestro modo de ver, deberá ser<br />

una hermenéutica que siga de cerca los tres los niveles en que se<br />

29<br />

P. RICOEUR, Foreward, en D. IHDE, Hermeneutic Phenomenology: The<br />

Philosophy of Paul Ricoeur, Northwestern University Press, Evanston 1971,<br />

pp. X<strong>II</strong>-XV<strong>II</strong>.<br />

30<br />

Una reflexión explícita sobre la hermenéutica la encontramos ya en<br />

Platón y Aristóteles, siendo Platón (Epinómides) el primero en usar el sustantivo<br />

hermeneutikê. Cf. H. D. F. KITTO, The Greeks, Harmondsworth 1957,<br />

55ss.; M. FERRARIS, Storia <strong>del</strong>l’ermeneutica, Bompiani, Milano 1988, 9ss.<br />

31<br />

Son conocidos los métodos de interpretación empleados en el mundo<br />

hebreo: el literal, el midrásico, el pesher y el alegórico. Cf. JOHN BOWKER, The<br />

Targums and Rabbinic Litterature. A Introduction to Interpretation of<br />

Scripture, Cambridge 1969, 4ss.; H. L. STRACK, Introduction to the Talmud<br />

and Midrash, New York 4 1976 ( 1 1969), 3-8; L.ALVAREZ VERDES, <strong>La</strong> ética bíblica<br />

frente a las nuevas propuestas de la hermenéutica, <strong>Moralia</strong> 20 (1997) 171-<br />

198. IDEM, Ética bíblica y hermenéutica: una reflexión desde la postmodernidad,<br />

StMor 35 (1997) 213-244.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 75<br />

realiza el encuentro con el mensaje bíblico: el exegético, el sintético-bíblico<br />

y el de integración actualizada y actualizadora.<br />

El momento exegético, de carácter analítico-descriptivo, es el<br />

primero y fundamental: el lector entra en contacto con el texto<br />

revelado a través <strong>del</strong> estudio directo de cada uno de los términos y<br />

<strong>del</strong> sistema de relaciones por ellos generado. A este nivel, el lector<br />

percibe ante todo la pluralidad y las diferencias. En el momento<br />

sintético (ética bíblica) el lector trata de superar la diversidad<br />

explorando la posible convergencia en torno a algunos conceptos<br />

clave, sea en el ámbito de un autor o libro sea en el conjunto de<br />

libros <strong>del</strong> canon. En esta línea, la Const. DV 12c habla de la necesidad<br />

de tener en cuenta la analogía de la fe, y el contenido y unidad<br />

de toda la Sagrada Escritura. En el momento de integración<br />

(momento hermenéutico propiamente dicho) el lector busca la síntesis<br />

definitiva entre la oferta moral de la ética bíblica y la demanda<br />

actual de iluminación para la solución de los problemas morales<br />

de nuestro tiempo.<br />

El proceso de integración hemenéutica se da ya a nivel de<br />

ética bíblica, en cuanto, no es concebible una síntesis <strong>del</strong> pensamiento<br />

moral de la Biblia que no tenga en cuenta el valor permanente<br />

de la palabra revelada, es decir, su capacidad de iluminar<br />

y dirigir la vida <strong>del</strong> hombre en cada momento concreto de la<br />

historia. <strong>La</strong> ética cristiana, al servirse de la ética bíblica, tiene,<br />

pues, en sus manos el fruto de un verdadero trabajo hermenéutico.<br />

A pesar de todo, consideramos que a la ética cristiana se le<br />

pide un ulterior esfuerzo de profundización que le permita matizar<br />

al máximo los elementos morales de la Biblia, distinguiendo<br />

entre el material indicatival y el imperatival, y precisando, en<br />

este último caso, el espesor imperativo de cada uno de los mo<strong>del</strong>os<br />

literarios empleados: relatos modélicos, parábolas, principios,<br />

normas, consejos, universo simbólico. Sólo tras esta identificación<br />

“objetiva” <strong>del</strong> mensaje bíblico será posible proceder a<br />

la síntesis final en la que el hombre concreto, con sus gozos y<br />

esperanzas, con sus preocupaciones y angustias (GS 1), pueda<br />

obtener la iluminación que le permita discernir cuál es para él<br />

en concreto la “voluntad de Dios, lo bueno, conveniente y acabado”<br />

(Rom 12,2).<br />

Este proceso de “de-limitación” <strong>del</strong> sentido (a través de la


76 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

identificación de los mo<strong>del</strong>os literarios y de los parámetros<br />

generales que dan razón <strong>del</strong> sentido último <strong>del</strong> discurso) no es<br />

un simple expediente para obviar las dificultades que los moralistas<br />

frecuentemente presentan bajo el epígrafe de “límites” <strong>del</strong><br />

uso de la Sagrada Escritura 32 , sino que entra en la naturaleza<br />

misma <strong>del</strong> discurso bíblico en cuanto éste es a pleno título un<br />

discurso “humano” 33 (Dei Verbum, 12).<br />

1. Mo<strong>del</strong>os normativos<br />

Como consecuencia de la “dimensión humana” <strong>del</strong> discurso<br />

bíblico, la Const. Dei Verbum habla de la necesidad de estudiar<br />

los “géneros literarios”. Tal estudio en nuestro caso se concretiza<br />

especialmente en el análisis de los “mo<strong>del</strong>os” éticos a que<br />

antes hacíamos referencia: principios, normas, paradigmas<br />

(relatos, parábolas) y universos simbólicos 34 . En cada uno de<br />

estos géneros o modos de expresión la imperatividad funciona<br />

de manera distinta. Por eso, su identificación no puede ser ajena<br />

a la búsqueda <strong>del</strong> sentido ético de los textos.<br />

De especial importancia consideramos el estudio <strong>del</strong> “universo<br />

simbólico”. Los principios, normas, paradigmas y símbolos<br />

funcionan últimamente como expresiones (reales o metafóricas)<br />

de un determinado universo simbólico. <strong>La</strong> Biblia (con su<br />

largo iter histórico-cultural) es en realidad un mosaico de universos<br />

simbólicos que se han ido entrecruzando y superponiendo.<br />

Esta diversidad de universos simbólicos deberá ser tenida<br />

presente cuando se estudian temas concretos como el matrimonio,<br />

la homosexualidad, la esclavitud etc. Sabemos efectivamente<br />

las profundas diferencias que sobre estos temas existían entre<br />

la visión <strong>del</strong> A.T., la <strong>del</strong> N.T. y la <strong>del</strong> mundo greco-romano, como<br />

32<br />

E. HAMEL, „L’usage..“, a.c., 70; CHARLES E. CURRAN, The Role and<br />

Function of the Scriptures in Moral Theology, en: CH. E. CURRAN –R.A.<br />

MCCORMICK, S.J., The Use of The Scripture in Moral Theology (Readings in<br />

Moral Theology 4), Paulist Press, New York-Ramsey 1984, 187 ss.<br />

33<br />

Cf. L. ÁLVAREZ VERDES “<strong>La</strong> Dei Verbum una constitución clave”, a.c, 229.<br />

34<br />

R. HAYS, Moral Vision of the New Testament. A Contemporary<br />

Introduction to the New Testament Ethics. T&T Clark: New York, 1996, 208-<br />

209. El autor habla de “Modes of Appeal”.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 77<br />

son profundas también las diferencias entre los universos simbólicos<br />

operantes en nuestro días.<br />

2. <strong>La</strong> dialéctica indicativo-imperativo, como parámetro<br />

central<br />

El análisis narrativo <strong>del</strong> texto permite descubrir la existencia<br />

de las figuras isotópicas que sirven de punto de confluencia<br />

de las diversas figuras narrativas <strong>del</strong> discurso. En este sentido,<br />

nos permitimos a<strong>del</strong>antar como figura isotópica central <strong>del</strong> discurso<br />

ético <strong>del</strong> N.T. la relación dialéctica indicativo-imperativo,<br />

entendiendo por “indicativo” las actuaciones salvíficas, que culminan<br />

en la manifestación suprema de Dios en Cristo y en la<br />

inserción en Él <strong>del</strong> hombre redimido; y entendiendo como<br />

“imperativo” la pertinente exigencia de respuesta <strong>del</strong> hombre<br />

desde su nueva condición indicativa 35 .<br />

Explicaciones reductivas. Para no pocos autores la autorrevelación<br />

de Dios sería de carácter exclusivamente indicatival, con<br />

lo que quedaría excluida de la Biblia cualquier intención imperativa<br />

o moral. Lo que realmente cuenta, scribe K. Barth, es la<br />

revelación <strong>del</strong> Dios vivo, conocido en Jesucristo, que exige <strong>del</strong><br />

hombre obediencia a una persona, no a una proposición. K.<br />

Barth realiza así el salto de la ética a la fe. En semejantes términos<br />

se expresa H. Richard Niebuhr 36 . <strong>La</strong> misma reducción a lo<br />

indicatival encontramos en el mo<strong>del</strong>o llamado de “generación de<br />

actos”, vistos fundamentalmente desde la parte de Dios: la Biblia<br />

pretendería, dice Joseph Sittler, definir, no tanto lo que Dios es<br />

sino lo que Dios hace (en la creación, redención y santificación).<br />

<strong>La</strong> dimensión ética estaría presente, no como cometido directo,<br />

sino solamente en cuanto el hombre queda involucrado en la<br />

acción de Dios 37 . Paul Lehmann habla de la ética en términos de<br />

35<br />

R. BIERINGER, “Biblical Revelation and Exegestical Interpretation<br />

according to Dei Verbum 12”, en M. LAMBREGTS & L. KENIS, Vatican <strong>II</strong> and its<br />

Legacy, o.c., 25-58.<br />

36<br />

H. RICHARD NIEBUHR, The Purpose of the Church and Its Ministry,<br />

Harper & Bros, Middletown 1956, 33.35)<br />

37<br />

JOSEPH SITTLER, The Structure of Christian Ethics, University Press,<br />

Louisiana 1958.


78 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

“producto colateral” de la “madurez” de vida que viene con la fe<br />

(a by-product of maturity) 38 .<br />

Estos autores se mueven en la línea de la ortodoxia protestante<br />

y de la propuesta bultmaniana de la relación indicativo-imperativo.<br />

Lo central es la acción justificadora de Dios. El imperativo se<br />

agota en la obediencia radical a la gracia, sin influjo directo en la<br />

acción. Lo más que se puede augurar es una “armonía” o “paralelismo”<br />

entre el orden indicativo de la gracia y el orden de la praxis.<br />

De hecho, este exclusivismo <strong>del</strong> indicativo se hizo patente ya en las<br />

primeras éticas <strong>del</strong> N.T. aparecidas en el s. XIX (H. Fr. Ernesti 39 , P.<br />

Wernle 40 etc.).<br />

Esta visión puramente teológico-indicatival no podía convencer<br />

ni a los mismos teólogos protestantes, muchos de los cuales<br />

han criticado, con razón, la ausencia de toda reflexión racional<br />

sobre lo que el hombre debe realizar 41 .<br />

Nuestra interpretación de la dialéctica indicativo-imperativo<br />

está bien lejos de los reduccionismos arriba indicados, considerando<br />

esencial la acción <strong>del</strong> hombre en cuanto éste responde y<br />

colabora con la acción de Dios “en la historia”. <strong>La</strong> condición de<br />

redimido es algo real (indicativo) pero no plenamente actualizado<br />

y, por lo mismo, imperativo a “caminar”. Este reverso imperativo<br />

no se agota, como pretende la ortodoxia protestante, en el<br />

margen de la gracia (acción de Dios, con la correspondiente obediencia<br />

radical <strong>del</strong> hombre) sino que salta al margen de lo<br />

humano, de lo histórico y concreto (Rom 6,12). Pablo suele<br />

38<br />

PAUL LEHMANN, Ethics in a Christian Context, Harper & Row: New York<br />

1963, 45. 54. Christian Faith and Social Action, ed. John A. Hutchison, 1953.<br />

Ha influenciado a Albert Rasmussen (Christian Social Ethics, 1956),<br />

Alexander Miner (The Renewal of Man, 1955).<br />

39<br />

H. FR. ERNESTI, Die Ethik des Apostels Paulus in ihren Grundzügen dargestellt,<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1868., 53.<br />

40<br />

P. WERNLE, Der Christ und die Sünde bei Paulus, JCB Mohr, Freiburg<br />

i.Br. - Leipzig 1897.<br />

41<br />

J.M. GUSTAFSON, (Changing 146) cita entre estos autores: Paul Ramsey,<br />

Robert Fitch, Alvin Pitcher, Clinton Gardner, and John C. Bennett, que proponen,<br />

en cambio, una “ ética de principios” que se encontrarían sea directamente<br />

en la Biblia sea a través de la mediación de la tradición.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 79<br />

expresar la conexión entre ambas vertientes <strong>del</strong> existencial cristiano<br />

en términos de carácter consecutivo (ou{twı, ou\n) y final<br />

(i{na). Esto significa que la conexión entre el indicativo cristológico-antropológico<br />

y el imperativo no es meramente coyuntural<br />

sino estructural: somos para llegar a ser, hemos muerto al pecado<br />

para no servir más al pecado, hemos resucitado con Cristo<br />

para vivir en la lógica de la vida nueva (Rom 6,11; Col 3,1ss.).<br />

El reverso imperativo de carácter fontal, está llamado a concretizarse<br />

en imperativos y comportamientos particulares. Al<br />

imperativo de ofrecer nuestras vidas como “hostias vivas”, en la<br />

lógica <strong>del</strong> indicativo (qusiva logikhv) (Rom 12,1) sigue el imperativo<br />

de no dejarse configurar por los esquemas (schvmata) de este<br />

mundo sino proceder a una una verdadera transformación o cambio<br />

de forma (meta-morfou`sqai) de nuestra mente (nouì), que permita<br />

discernir (dokimavzein) en cada momento concreto lo que es la<br />

voluntad de Dios, lo que es bueno y acabado (Rom 12,2). El proceso<br />

transformador desencadenado por la fe en Cristo no se rige por<br />

mecanismos deterministas que proceden <strong>del</strong> centro hacia la periferia<br />

42 bajo el solo impulso <strong>del</strong> Espíritu. El creyente está llamado a<br />

“rellenar” de contenidos concretos la “casa” de su existencia (h\qoı),<br />

empleando para ello todos los recursos de que dispone (la razón, la<br />

conciencia, la prudencia). <strong>La</strong> gnosis de que los cristianos han sido<br />

enriquecidos (ejploutivsqhte, 1 Cor 1,5; 8,1) no disminuye ni excluye<br />

sino enriquece y potencia las facultades naturales que permiten al<br />

hombre discernir el bien. <strong>La</strong> gnosis cristiana es, por lo mismo, dialogante<br />

con todo tipo de gnosis y acepta naturalmente todas las<br />

valoraciones éticas que considera “justas” (Fil 4,8; cf. GS 16).<br />

El trabajo hermenéutico cuenta, pues, con un punto de partida<br />

fundamental: la ética cristiana arranca <strong>del</strong> indicativo cristológico-antropológico<br />

(DV 2). El cristiano, por la fe, es una<br />

nueva creatura (kainh; ktivsiı), y, en cuanto tal, está llamado a<br />

caminar en una vida nueva.<br />

Confluencia de motivos. En la imagen de “nueva creatura”<br />

convergen los motivos cristológico, pneumatológico y escatológi-<br />

42<br />

Expresión acuñada por L. IHMELS, Die tägliche Vergebung der Sünde,<br />

CB Mohr, Leipzig 1901, 15.26 ss.


80 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

co. <strong>La</strong> confluencia de todos estos factores en el indicativo soteriológico-antropológico<br />

produce un dinamismo tensional de<br />

perfiles específicos, cuyo alcance ético deberá ser hermenéuticamente<br />

precisado, para evitar malentendidos que pudieran desfigurar<br />

o destruir la verdadera naturaleza <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>o indicativoimperatival.<br />

Nos referimos en particular a la dialéctica ontologismo-personalismo<br />

e historia-escatología<br />

a) <strong>La</strong> dialéctica ontologismo-personalismo. El mo<strong>del</strong>o ontológico<br />

(u ontológico-místico) ha sido uno de los más frecuentemente<br />

empleados para explicar el dinamismo de la vida cristiana.<br />

Este mo<strong>del</strong>o puede encontrar apoyo en la compleja galaxia<br />

de metáforas <strong>del</strong> código de la vida: nacer, renacer, nueva creatura,<br />

filiación, morir, resucitar (co-resucitar), injertar, desvestirserevestirse,<br />

renovarse, cuerpo-miembros, crecimiento (niñosmaduros).<br />

No podemos olvidar, sin embargo, que junto al código<br />

biológico encontramos, particularmente en Pablo, otros<br />

muchos códigos (jurídico, cultual, social etc.) que orientan hacia<br />

universos simbólicos muy diversos y que, en todo caso, no justifican<br />

una interpretación substancialista de la transformación<br />

indicativa <strong>del</strong> cristiano. El mismo hecho de la pluralidad de imágenes<br />

empleadas indica claramente que estamos ante un evento<br />

<strong>del</strong> que sólo se puede hablar en términos analógicos y metafóricos,<br />

cuyo alcance real en cada caso deberá ser ulteriormente<br />

precisado. Por otra parte, no se debe olvidar que la transformación<br />

<strong>del</strong> cristiano se encuadra en la línea de la fe y de la promesa<br />

(Rom 4), que Pablo contrapone a la línea de la descendencia<br />

fisiológico-etnográfica o según la carne (fuvsiı, Gál 2,5).<br />

Entre los peligros de una comprensión demasiado substancialista<br />

podemos citar el de un cierto determinismo espiritualísticosacramental<br />

y la transposición <strong>del</strong> discurso moral al orden trascendente,<br />

tan próximo a las entelequias conceptuales como alejado de<br />

la realidad concreta <strong>del</strong> hombre histórico, con el consiguiente peligro<br />

de universalización y esclerotización de la moral 43 .<br />

En este contexto debe encuadrarse la reacción de tipo actualista<br />

de algunos autores, como a V. Furnish, según el cual “la par-<br />

43<br />

Tal peligro aparece subyacente, por ejemplo, en la obra de G.<br />

MONTAGUE, Maturing in Christ: Saint Paul’s Program for Christian Growth,<br />

Bruce, Milwauke 1964.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 81<br />

ticipación <strong>del</strong> cristiano en la muerte y resurrección de Cristo es<br />

mal interpretada cuando se la concibe como ‘unión mística’ con<br />

Cristo. El cristiano mantiene su identidad como creyente; su ser no<br />

se queda fundido con el de Cristo, sino que más bien pertenece a<br />

Cristo” 44 . <strong>La</strong>s categorías empleadas para describir la asociación<br />

<strong>del</strong> creyente con Cristo serían, según Furnish, relacionales, no místicas.<br />

Se trataría, pues, de simple relación de “pertenencia” 45 . <strong>La</strong><br />

cuestión es sólo saber a quién pertenece 46 . Furnish excluye lógicamente<br />

la idea de “crecimiento” propuesta por W. A. Beardlee, ya<br />

que el quehacer ético cristiano no consiste en el desarrollo de las<br />

potencialidades innatas, sino en “una respuesta repetida a las<br />

siempre nuevamente repetidas intimaciones de Dios” 47 .<br />

<strong>La</strong>s lógicas prevenciones frente al mo<strong>del</strong>o ontológico-místico<br />

quedan, a nuestro parecer, suficientemente superadas desde<br />

el mo<strong>del</strong>o <strong>del</strong> personalismo religioso, que proclama el primado<br />

de la responsabilidad. El mensaje moral de Jesús está dirigido a<br />

la persona (cf. las numerosas expresiones juánicas “el que viene<br />

a mí”, “el que es atraído por el Padre” etc.) y es, en cuanto tal,<br />

inseparable <strong>del</strong> sistema vital de relaciones entre Dios y el hombre.<br />

Enclavada en ese sistema vital y orgánico, la ética cristiana<br />

es necesariamente una ética religiosa y, en cuanto tal, una ética<br />

<strong>del</strong> crecimiento y de la perfección responsable. Una moral que<br />

pretendiese encerrar el quehacer moral en el marco de un determinismo<br />

biológico o dentro de las fronteras inmóviles de la ley,<br />

44<br />

V.P. FURNSH, Theology und Ethics in Paul, Abingdonm Press, Nasville<br />

1968, 176.<br />

45<br />

V. FURNISH interpreta en este sentido las expresiones que integran el<br />

prefijo syn (Rom 6).<br />

46<br />

De igual modo la expresión sthvkete ejn kurivw≥ de Fil 4,1 significaría<br />

“estar firmemente anclados”, relacionados con el Señor, para hacer su obra<br />

(to; e[rgon tou` kurivou). <strong>La</strong> metáfora de la liberación de la mujer de la ley <strong>del</strong><br />

marido expresaría el cese de una relacionalidad y el comienzo de otra nueva<br />

(cf. Rom 7,4). Ibid. 178.<br />

47<br />

Según Furnish, esto iría contra el principio paulino de que hay que<br />

dejar de lado toda realización pasada (Fil 3,3ss.) (ib 239). Tenemos que anotar<br />

que Furnish no ha advertido que en el texto citado se trata de obras realizadas<br />

desde la “confianza en la carne” (e[cwn pepoivqhsin ejn th/ ` sarkiv). Para<br />

Furnish ni siquiera las imágenes <strong>del</strong> atletismo, militarismo etc. probarían el<br />

“crecimiento” (ib 240).


82 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

sustituyendo la responsabilidad creadora por la obligatoriedad<br />

(deontologismo), no sería ni bíblica ni cristiana 48 .<br />

b) Historia y escatología. A evitar los riesgos de determinismos<br />

ontologistas o de inmovilismos legalistas ha contribuido en<br />

modo decisivo la focalización hermenéutica en la dimensión histórica<br />

<strong>del</strong> evento salvífico (indicativo cristológico-antropológico).<br />

<strong>La</strong> pedagogía y condescendencia de Dios se han plegado a<br />

los esquemas de la historia (DV 12) y seguirán haciéndolo hasta<br />

el fin de los tiempos. <strong>La</strong> historicidad nunca podrá ser entendida<br />

como un anclaje en el pasado, que impide a la Palabra de Dios<br />

ser “viva” en el presente, al contrario, ha de ser considerada<br />

como el antídoto contra todo intento de esclerotización de la<br />

moral o de fuga hacia lo a-histórico 49 . Esta revalorización de lo<br />

histórico ha ayudado a la moral a revisar su clásica dependencia<br />

de las categorías filosóficas y de la ley natural.<br />

Desde una correcta hermenéutica de la historia es posible<br />

también proceder a una adecuada comprensión de la escatología.<br />

A diferencia de la visión estoica <strong>del</strong> tiempo, centrada en el<br />

eterno presente, la visión bíblica parte de la linearidad <strong>del</strong> tiempo,<br />

en donde la memoria <strong>del</strong> pasado y la proyección hacia el<br />

futuro son elementos constitutivos <strong>del</strong> presente.<br />

<strong>La</strong> escatología necesita, sin embargo, una correcta interpretación<br />

que permita superar los malentendidos históricos que<br />

han llegado a transformarla en factor invalidante de la ética cristiana.<br />

J. T. Sanders 50 y J. L. Houlden 51 , siguiendo las huellas de<br />

48<br />

<strong>La</strong> clásica distinción entre teología moral (moral de mínimos) y teología<br />

espiritual supone la introducción de criterios de distinción ajenos a la<br />

dinámica relacional y vital. De hecho, la separación de la teología moral con<br />

relación a la dogmática -con el paralelo alejamiento de la Biblia - supuso un<br />

repliegue de la misma dentro de los estrechos límites de la ley. Por eso, el<br />

moralista debía ser ante todo buen conocedor de la ley, y el candidato a profesor<br />

de moral debía hacer su especialización en una Facultad de Derecho.<br />

Cf J.A. SELLING “Gaudium et Spes: A Manifesto for Contemporary Moral<br />

Theology“, en LAMBERIGTS, M & KENIS, L, Vatican <strong>II</strong> and ist Legacy, University<br />

Press, Leuven 2002, 146.<br />

49<br />

CH E. CURRAN, “The Role…”, a.c., 185.<br />

50<br />

J. T. SANDERS, Ethics in the New Testament, Fortress Press,<br />

Phila<strong>del</strong>phia 1975.<br />

51<br />

J.L. HOULDEN, Ethics and the New Testament, Mowbrays, London &<br />

Oxford 1973, 8 ss.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 83<br />

A. Schweitzer 52 , no han tenido dificultad en afirmar explícitamente<br />

la necesidad de prescindir de la ética <strong>del</strong> N.T. si queremos<br />

construir una ética con el grado de autonomía y realismo que<br />

exige la sociedad actual: “Jesús, escribe Sanders, no presentó<br />

una ética válida para hoy… Debemos huir <strong>del</strong> peligro de pretender<br />

modernizarlo… Dejémoslo que continúe siendo el judío de<br />

la Palestina de hace 2000 años; dejémoslo con sus ilusiones escatológicas,<br />

destrozadas por la rueda <strong>del</strong> destino que fue la cruz…<br />

De este modo, llegaremos incluso a apreciarlo más” 53 .<br />

A nivel filosófico tampoco faltan autores que se sienten incómodos<br />

con una ética que recurre a la escatología. Baste recordar<br />

el ensayo de H. Jonas 54 titulado “El principio responsabilidad”,<br />

en el que rompe una lanza por una ética fundada en la responsabilidad,<br />

frente a la ética de E. Bloch 55 fundada en el principioesperanza.<br />

H. Jonas considera la utopía como un peligro y un error: “El<br />

error de la utopía anida en su antropología, en su concepción de la<br />

esencia humana”. Con la utopía, dice, se pretende ahuyentar la<br />

ambigüedad, ignorando que la ambigüedad es congénita a la naturaleza<br />

humana. De hecho, la utopía, en su pretensión de eliminar<br />

la ambigüedad, no introduce la figura <strong>del</strong> hombre auténtico sino la<br />

<strong>del</strong> “homunculus” de la futurología socio-económica. El entusiasmo,<br />

pues, por la utopía <strong>del</strong> futuro <strong>del</strong> hombre, debe ceder el puesto<br />

a la responsabilidad, que se apoya en los hechos <strong>del</strong> pasado:<br />

“debemos aprender <strong>del</strong> ‘pasado’ lo que es el hombre, o mejor, lo que<br />

52<br />

A. SCHWEITZER, The Quest of the Historical Jesus: A Critical Study of its<br />

Progress from Reimarus to Wrede, Adam & Carles Black, London 1954 (orig.<br />

alemán en 1906).<br />

53<br />

J. T. SANDERS, “The Question of the Relevance of Jesus for Ethics<br />

Today”, en: CH. E. CURRAN –R.A. MCCORMICK, S.J., The Use of The Scripture in<br />

Moral Theology (Readings in Moral Theology 4), Paulist Press, New York-<br />

Ramsey 1984, 62. IDEM, Ethics in the New Testament, o.c.,1 ss. En ambos<br />

casos Sanders se apoya en la obra de H.J. CADBURY, The Peril of Modernizing<br />

Jesus, The Macmillan Company, New York 1937, 86-119.<br />

54<br />

H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica,<br />

Inaudi, Torino 1990.<br />

55<br />

E. BLOCH, Das Prinzip Hoffnung, Bd. I-<strong>II</strong>I, Suhrkamp Verlag, Frankfurt<br />

1970 ( 1 1959).


84 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

puede ser positiva y negativamente; nadie encarna teleológicamente<br />

un fin inmanente a su naturaleza”. Se debe, pues, trabajar por<br />

mejorar las condiciones <strong>del</strong> hombre, sin ceder ni al optimismo ni<br />

al pesimismo y sin el cebo de la utopía 56 .<br />

<strong>La</strong> utopía de un futuro <strong>del</strong> que depende el sentido de la vida<br />

es evidentemente un problema filosófico, en cuanto comporta<br />

una determinada comprensión antropológica, y a este nivel es<br />

normal que se ofrezcan diversos sistemas de interpretación. No<br />

podemos, sin embargo, olvidar que la teología moral se mueve<br />

en el ámbito de la fe, ofreciendo el proyecto-hombre propuesto<br />

en la revelación, en el que el principio esperanza y el principio<br />

responsabilidad no sólo no se excluyen sino que se integran: la<br />

responsabilidad cristiana es una responsabilidad esperante.<br />

Contra Jonas, estamos convencidos de que las utopías y sueños<br />

de futuro no sólo no eclipsan su autenticidad sino que son el<br />

motor que la propulsa y realiza. <strong>La</strong> utopía futurística podría<br />

crear problemas éticos si la categoría de “futuro” debiera ser<br />

entendida en sentido puramente linear y temporal; pero el futuro<br />

de que habla el N.T. es un futuro a-local y absoluto que, en<br />

definitiva se identifica con lo absoluto de Dios. <strong>La</strong> futuridad es<br />

ante todo de orden operativo y manifestativo (Col 3,2): el proyecto-hombre,<br />

en cuanto insertado en lo absoluto, no puede fijar<br />

sus “límites” en el marco de la historia, donde la lucha permanente<br />

entre la luz y las tinieblas hace imposible su plena manifestación.<br />

El situar la meta más allá de las fronteras <strong>del</strong> mundo<br />

presente (Fil 3,20), no significa, sin embargo, huir de la historia<br />

sino dar sentido a la historia y a la responsabilidad moral con la<br />

que ésa se construye 57 .<br />

Entendida de este modo, la dimensión escatológica <strong>del</strong> indi-<br />

56<br />

H. JONAS, o.c., 279ss.<br />

57<br />

J. GNILKA, “Apokaliptik und Ethik. Die Kategorie der Zukunft als<br />

Anweisung für ethisches Han<strong>del</strong>n”, en: MERKLEIN (Ed.), Neues Testament und<br />

Ethik, zum 70. R. Schnackenburg, Herder, Freiburg i. Br. 1989, 464-481. En<br />

la llamada “actitud escatológica, dice Gnilka, más allá <strong>del</strong> lenguaje metafórico<br />

de estrellas que caen y de destrucción <strong>del</strong> mundo, queda “la orientación<br />

de la existencia cristiana hacia el futuro absoluto, que constituye el impulso<br />

<strong>del</strong> obrar moral” (481).


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 85<br />

cativo cristiano está destinada no sólo a dar razón de nuestra<br />

esperanza sino a solucionar los problemas prácticos que pueden<br />

surgir en la aplicación de los textos bíblicos a materias concretas,<br />

como la sexualidad, el matrimonio, el celibato, la ecología<br />

etc.<br />

2. <strong>La</strong>s mediaciones hermenéuticas:<br />

a) Mediaciones operativas generales<br />

En su iter hermenéutico para descubrir las valencias <strong>del</strong><br />

texto bíblico, aplicables a la problemática moral de nuestros<br />

días, el moralista cuenta con la ayuda imprescindible de las<br />

mediaciones operativas humanas: la razón, la experiencia, la tradición.<br />

El recurso a estas mediaciones no es alternativo a la actitud<br />

de fe que exige la Palabra de Dios sino su complemento<br />

necesario.<br />

a) El recurso a la razón, entendida en el sentido amplio de<br />

actividad intelectiva, ha acompañado el mensaje bíblico desde el<br />

mismo momento de su encarnación como palabra escrita. <strong>La</strong><br />

Biblia es el resultado de un largo proceso de aprehensión, selección<br />

y asunción <strong>del</strong> material ético esparcido en las diversas culturas.<br />

Los Santos Padres desde los primeros siglos abordaron el<br />

estudio <strong>del</strong> material bíblico sintonizando con el pensamiento de<br />

la filosofía popular vigente. <strong>La</strong> misma insistencia <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong><br />

Vat. <strong>II</strong> en la necesidad de tener presente, en el estudio de la<br />

Revelación, el factor humano es una clara confirmación de la<br />

necesaria auxiliaridad de la razón en el proceso hermenéutico.<br />

Esto tiene especial aplicación en el análisis y valoración de los<br />

universos simbólicos operantes sea a nivel de sujeto que a nivel<br />

de texto. <strong>La</strong> razón tiene la capacidad de reconocer la singularidad<br />

de tales horizontes y de integrarlos en la dialéctica <strong>del</strong> proyecto<br />

hermenéutico global 58 . El recurso a la razón no puede, sin<br />

embargo, hacerse con talante absolutista y excluyente sino con<br />

58<br />

Desde este punto de vista consideramos inaceptable la actitud exclusivista<br />

de aquellos autores que otorgan a la razón y a los métodos científicos<br />

la exclusiva <strong>del</strong> juicio de validez <strong>del</strong> material ético de la Biblia, como lo han<br />

hecho, por ej., H.L. Houlden y J.T. Sanders.


86 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

la conciencia de la contingencia y fragmentariedad <strong>del</strong> conocer<br />

humano, ya que, como escribe R. Hays, la racionalidad siempre<br />

será “un aspecto contingente <strong>del</strong> mundo simbólico concreto” 59 .<br />

b) En la experiencia se colocan especialmente las mediaciones<br />

simbólicas y afectivas que dicen relación con el “corazón<br />

razonante” (reasoning heart) 60 . Sólo, efectivamente, en el marco<br />

de la experiencia íntima “personal” se pueden percibir ciertas<br />

“razones” que saltan fuera <strong>del</strong> cuadro <strong>del</strong> silogismo ético. K.<br />

Rahner cita, a este propósito, el discernimiento por el que una<br />

persona decide seguir una determinada “vocación”, como la<br />

vocación religiosa o sacerdotal 61 . <strong>La</strong> experiencia, como factor<br />

hermenéutico, es no sólo de caráter invidual sino también<br />

comunitario.<br />

c) <strong>La</strong> tradición (entendida en sentido específicamente cristiano)<br />

representa el bagaje cultural que se ha ido coagulando<br />

durante la historia a través de la vivencia cultual, la reflexión<br />

teológica y la narrativa de la vida cristiana. Expresión de esta<br />

tradición son la definiciones dogmáticas, la doctrina de los<br />

59<br />

R. HAYS, o.c., 210.<br />

60<br />

WILLIAM C. SPOHN, “The Reasoning Heart: An American Approach to<br />

Christian Discernement”, en: R. P. HAMEL and K. R. HIMES, OFM (eds.),<br />

Introduction to Christian Ethics, Paulist Press, New York and New Jersey<br />

1989, 563-582. Hic 563; J. M. GUSTAFSON (Can Ethics be Christian, University<br />

Press, Chicago 1975, 92) habla de “sentidos <strong>del</strong> corazón”, que fundarían “una<br />

vida moral cualitativamente diferente” (carácter), y funcionarían no por vía<br />

de razonamiento sino por una especie de captación intuitiva. Cf. J. EDWARDS,<br />

Religious Affections, Banner of Truth Trust, Edinburgh 1961, vol <strong>II</strong>. S.<br />

HAUERWAS, por su parte, pone estas “afecciones”, como algo inseparable de la<br />

narrativa de Jesús, y configuradoras, a través de la imitación, <strong>del</strong> carácter de<br />

los cristianos (Truthfulness and Tragedy, Notre Dame, Ind. 1977, cc. 3 y 4);<br />

IDEM, A Community of Character. Toward a Constructive Christian Social<br />

Ethic, Notre Dame 1981, 48ss.; IDEM, “Toward an Ethics of Character”, en R.<br />

P. HAMEL and K. R HIMES (eds), Introduction to Christian Ethics, o.c., 151-62.<br />

Nosotros podemos seguir empleando el término clásico de “virtudes” (tema<br />

ampliamente desarrollado por Sto Tomás), si bien acentuando su conexión<br />

con la narrativa de Jesús y de la tradición.<br />

61<br />

K. RAHNER, The Dynamic Element in the Church, cap. 3, : Herder,<br />

Freiburg-New York 1964. El a. coloca el discernimiento de la vocación religiosa<br />

en el ámbito de la ética existencial, contradistinta de la “ética esencial”<br />

(centrada en los principios).


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 87<br />

<strong>Concilio</strong>s, las aportaciones científicas de los teólogos y la vida de<br />

los santos. Este sentido englobante (orgánico-vital) ha sido frecuentemente<br />

ignorado por la moral, demasiado preocupada de<br />

las normas y principios y poco interesada, en cambio, en lo vital,<br />

tal como se manifiesta, por ejemplo, en la vida de los santos. <strong>La</strong><br />

“tradición” así entendida no sólo es el cauce por el que nos ha<br />

llegado el “traditum” sino que constituye un criterio hermenéutico<br />

de inestimable valor en cuanto nos ofrece relecturas <strong>del</strong><br />

texto bíblico que, aunque alejadas de nuestro marco de comprensión<br />

actual, son siempre testimonio de la capacidad hermenéutica<br />

y de las técnicas de que se ha ido sirviendo la comunidad<br />

cristiana a lo largo de la historia para actualizar en su vida<br />

el núcleo fundamental de la fe 62 .<br />

b) <strong>La</strong> ley de Cristo, mediación hermenéutica fundamental<br />

de la ética cristiana<br />

<strong>La</strong> mediación por antonomasia de que se ha servido la<br />

moral de la Iglesia ha sido históricamente la ley natural, considerada<br />

como expresión innata de la voluntad de Dios 63 . A la ley<br />

natural venían a sumarse las leyes positivas reveladas y las promulgadas<br />

ulteriormente por la Iglesia, teniendo siempre en<br />

62<br />

S. H. HAUERWAS insiste en el papel particular que desempeña la tradición<br />

en orden a hacer posible lo que él llama ‘conversación <strong>del</strong> uno con el<br />

otro y con Dios a través de las generaciones”. Además, añade el autor, la tradición<br />

nos enseña cómo comenzar nuestra lectura “con simpatía imaginativa<br />

y obediencia de espíritu” (Moral of Character, o.c., 210).<br />

63<br />

J.A. SELLING, a.c. 148. Como prueba bíblica se solía aducir Rom 2,15,<br />

cuando dice que los paganos llevan escrita dentro sí mismos el contenido de<br />

la ley (to; e[rgon tou` novmou grapto;n ejn taiì kardivaiı aujtwǹ). Los paganos<br />

hacen a partir de la naturaleza lo que exige la ley de Moiosés (ta; tou` novmou).<br />

<strong>La</strong> contraposición fuvsiı-novmoı era en la filosofía estoica un “topos”. El logos<br />

que gobierna el universo es el mismo que gobierna la razón e inscribe en ella<br />

su ley (novmoı a[grafoı). Por ello, el sabio no necesita de las leyes de los hombres<br />

(U. WILCKENS, <strong>La</strong> carta a los Romanos, I, Edic. Sígueme, Salamanca, 169<br />

ss.). <strong>La</strong> Const. Gaudium et Spes 46, consciente <strong>del</strong> peligro de una comprensión<br />

fisicalizante y estática más bien que personalista y dinámica <strong>del</strong> clasema<br />

“ley natural”, ha preferido definir las fuentes de la reflexión ética cristiana<br />

en términos de “evangelio-experiencia humana”.


88 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

cuenta que la Iglesia representaría la “auctoritas” definitiva en<br />

orden a su interpretación y aplicación 64 . <strong>La</strong> Const. DV, al centralizar<br />

la autorrevelación de Dios en Cristo-persona, ha querido<br />

poner de relieve el carácter isotópico de la relación vital <strong>del</strong> creyente<br />

con Dios en Cristo. Antes que legislador, Dios es fuente de<br />

la vida que llama al hombre a la comunión con Él (DV 2), como<br />

lo indica con claridad la cita juánica (1 Jn 1,2-3) con la que los<br />

Padres conciliares abren la Const. Dei Verbum: “lo que hemos<br />

visto y oído, esto os anunciamos para que también vosotros<br />

viváis en esta unión nuestra que nos une con el Padre y con su<br />

Hijo Jesucristo” (DV 1). Esto es exactamente cuanto hemos querido<br />

poner de relieve al hablar de “ética <strong>del</strong> indicativo”. El programa<br />

moral cristiano es ante todo un programa de “respuesta”,<br />

un intercambio vital personal.<br />

En el A.T. encontramos una amplia legislación, que debiera<br />

haber sido interpretada y vivida desde este encuadramiento de<br />

base, recordado en el “prólogo histórico” que precede a la formulación<br />

de los preceptos (cf Ex 20,2; Dt 5,4). <strong>La</strong> ley era ante todo, un<br />

“signo” y, como tal, estaba esencialmente referenciada al significado<br />

(la manifestación salvífica de Dios). Si Pablo pudo llegar a ver<br />

la “torah” en clave de negatividad, fue solamente porque los judíos,<br />

cosificando la ley y, en cierto modo divinizándola, le habían arrancado<br />

su condición de “signo”, es decir, su función representativa de<br />

la relación personal de Dios con el hombre. Habían llegado así a<br />

una torah reducida a puro “precepto” y a una respuesta <strong>del</strong> hombre<br />

vista como pura “obligación”. De este modo, el precepto eclipsaba<br />

al Dios personal, mientras la “obligación” eclipsaba la persona<br />

humana en cuanto tal 65 . Hay que reconocer que esta visión “per-<br />

64<br />

Sobre la concentración de la “auctoritas” en la tradición viva de la<br />

Iglesia, a partir de las teorías de la escuela francisacana y <strong>del</strong> nominalismo,<br />

remitimos a nuestro reciente artículo “<strong>La</strong> Dei Verbum, una constitución<br />

clave para la coprensión <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, StMor 41 (2003) 211-242,<br />

224ss.<br />

65<br />

Es significativo, por ejemplo, que en el A.T. y en el judaísmo esté<br />

ausente cualquier tipo de conceptualización de categorías tan fundamentales<br />

para la moral, como las de conciencia y prudencia; el motivo es claro:<br />

frente a una ley “divinizada” no caben instancias hermenéuticas, sino simple<br />

aplicación y observancia. Cf. L. ALVAREZ VERDES, “<strong>La</strong> conciencia moral en S.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 89<br />

vertida” de la ley no ha estado tan ausente de los tratados de moral<br />

tradicional cristiana. <strong>La</strong> lectura conciliar de las relaciones <strong>del</strong><br />

hombre con Dios en clave de “kononía” personal es una invitación<br />

implícita a superar toda moral de cuño deontológico-legalista.<br />

A pesar de todo, la ética cristiana tiene que hacer las cuentas<br />

no sólo con un vasto material bíblico de carácter normativo<br />

sino sobre todo con la afirmación paulina de que el cristiano<br />

está llamado a “cumplir la ley de Cristo” (Gál 6,2), más aun, a<br />

“identificarse” con la ley de Cristo (hacerse e[nnomoı Cristou`, 1<br />

Cor 9,23). ¿Representa esto una especie de “bautismo” <strong>del</strong> legalismo<br />

tan duramente combatido por Pablo?<br />

En estudios anteriores 66 hemos tenido ocasión de analizar<br />

las diversas hipótesis formuladas por los autores sobre el significado<br />

exacto de la expresión “ley de Cristo”. Descartamos de<br />

antemano la interpretación de W. D. Davies, según la cual Cristo<br />

no haría más que proponer una nueva torah: “Pablo, el apóstol<br />

de la libertad cristiana frente a la esclavitud <strong>del</strong> legalismo, volvería<br />

a ser el clásico catequista de estilo rabínico”, que contempla<br />

al Mesías como el restaurador de la torah 67 . Resulta extraño<br />

atribuir la etiqueta de “rabinismo” a Pablo, el apóstol que tan<br />

fuertemente había contrapuesto la nueva alianza instaurada por<br />

Cristo (alianza de “espíritu”) a la alianza antigua o alianza de<br />

“código” (2 Cor 3,6). Por razones diferentes descartamos también<br />

la identificación de la “ley de Cristo” con el agape o con la<br />

ley <strong>del</strong> Espíritu 68 .<br />

Nuestra propuesta hermenéutica <strong>del</strong> lexema “ley de Cristo”<br />

pasa por el paralelismo semántico entre las expresiones novmoı<br />

tou` Cristou` (Gál 6,2) y nouì Cristou` (1 Cor 2,16; cf. Rom 12,2).<br />

Para ello tomamos como base el texto de de 1 Cor 2,16: “Porque<br />

¿quién conoce el modo de pensar <strong>del</strong> Señor (nouǹ Kurivou), para<br />

Pablo”, en, IDEM, Caminar en el Espíritu. El pensamiento ético de S. Pablo,<br />

Edacalf, Roma 200, 157-187.<br />

66<br />

L. ALVAREZ VERDES, o.c., 226-251.<br />

67<br />

W. DAVIES, Paul and Rabbinic Judaism, London 3 1970, 129. J.C.<br />

O’NEILL prefiere considerar la expresión de Gál 2 como interpolación postpaulina<br />

(The Recovery of Paul’s Letter to the Galatians, London 1972).<br />

68<br />

Ibid. 234 ss.


90 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

poder darle lecciones? Pues bien, nosotros poseemos el modo de<br />

pensar de Cristo” (hJmeiì de; nouǹ Cristou` e[comen).<br />

Algunos autores, como R. Reitzenstein 69 , han querido dar a<br />

la expresión nouì Cristou` de 1 Cor 2,16 un contenido semántico<br />

idéntico a pneu`ma Cristou`, por motivos teológicos y literarios.<br />

Nuestra respuesta a este tipo de razonamiento es bien sencilla:<br />

si Pablo hubiera querido entender nouì como equivalente de<br />

pneu`ma, le hubiera bastado dejar de lado la lectura de los LXX y<br />

retomar el texto hebraico que lee precisamente “ruâch” 70 . Si<br />

Pablo en 1 Cor 2,16 no ha seguido ese procedimiento (como en<br />

otras partes) habrá sido por razones bien precisas. Por otro lado,<br />

el sintagma nouì Cristou` tampoco puede entenderse como la<br />

“potencia racional” de Cristo que, en cuanto tal, sería intransferible<br />

71 . De ahí nuestra interpretación <strong>del</strong> nouì de Cristo, como la<br />

constelación de principios y criterios de valor que sirvieron a Jesús<br />

de tejido axiológico de su praxis mesiánica 72 . Con ese mismo espesor<br />

alcanzaría a todos los creyentes que, insertados en Cristo, han<br />

entrado en posesión de su nouì 73 .<br />

69<br />

“Noûs debe ser entendido aquí (tanto en 1 Cor 2,16 como Rom 7)<br />

como aquel flúido divino, otorgado solamente al hombre en gracia, y que<br />

hace de él un pneumatikós” (R. REITZENSTEIN, Die hellenistischen<br />

Mysterienreligionen, Leipzig 2 1920, 338).<br />

70<br />

El texto hebreo de Is 40,13 es el siguiente: mî tiken ‘et rûach Yhwh?<br />

Cf. J. JEWETT, Paul’s antrhropological terms, E.J. Brill, Leiden, 363. Sobre la<br />

imposibilidad de identificar nouì con pneu`ma en 1 Cor 2,16 Cf. T. J. DUPONT,<br />

Gnosis. <strong>La</strong> connaissance religieuse dans les Épitres de Saint Paul, Paris 1949,<br />

p. 154, 170 ss.<br />

71<br />

Cf. J. WEISS, Der erste Korintherbrief, Göttingen 1910, 68: “Noüs<br />

bezeichnet hier (in 1 Cor 2,16) nicht das Organ des Denkens, sondern den<br />

Inhalt, seine Heilsgedanken”.<br />

72<br />

De hecho ni los LXX ni la literatura intertestamentaria usan nunca<br />

nouì en el sentido de facultad racional, sino más bien como conjunto de ideas<br />

y de creencias, que nosotros podemos denominar con el término de carácter<br />

o disposición. Por eso se sirven <strong>del</strong> término con una gran libertad sea para<br />

traducir los vocablos leb, rûach etc. sea simplemente adoptando el uso <strong>del</strong><br />

término en el lenguaje vulgar. Quizá la única excepción sea Sab 9,15: nouì =<br />

pensamientos.<br />

73<br />

A. SCHLATTER, Die Theologie des Judentums nach dem Bericht des<br />

Josephus, Mohn, Gütersloh 1932, describe el nouì como la constelación de<br />

pensamientos y de creencias que proporcionan al sujeto los criterios nece-


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 91<br />

<strong>La</strong> participación en el nouì de Cristo, realizada a nivel indicatival,<br />

capacita al cristiano para una renovación (ajnakaivnwsiı)<br />

de su propio nouì, lo que le permitirá realizar el discernimiento<br />

(dokimavzein) necesario a nivel ético concreto (Rom 12,2). Esta<br />

proyección pragmática e imperativa <strong>del</strong> nouì de Cristo a través <strong>del</strong><br />

nouì renovado <strong>del</strong> hombre es lo que legitima, a nuestro modo de<br />

ver, la equiparación entre la “mente de Cristo” y la “ley de Cristo”.<br />

De ahí la coincidencia fundamental entre “tener la misma actitud”<br />

de Cristo (frwneiǹ ejn Cristw/ `, Fil 2,5) y “estar identificados<br />

con la ley de Cristo” (e[nnomoı Cristou`, 1 Cor 9,21).<br />

<strong>La</strong> ley de Cristo, así entendida, constituye el criterio hermenéutico<br />

de base de todo ulterior esfuerzo hermenéutico en torno<br />

a las normas morales de la Sagrada Escritura. Esto no significa<br />

replegarse en un fundamentalismo que ignora la dramaticidad<br />

de las situaciones históricas concretas, sino que permite abordarlas<br />

decididamente haciendo uso de todo el propio potencial<br />

imaginativo, sin dejarse aprisionar por los estrechos límites histórico-culturales<br />

de las formulaciones legales, dadas en clave<br />

“proposicional”. Un ejemplo plástico de la capacidad creadora<br />

de la “ley de Cristo” (ennomía crística) es el que nos ha dejado<br />

Pablo cuando, agobiado por las controversias entre fuertes y<br />

débiles, entre judaizantes y partidarios de la apertura al paganismo,<br />

opta por una actitud de ilimitada “flexibilidad”, acomodándose<br />

a los judíos y a los no judíos, a los débiles y a los fuertes,<br />

aceptando en cada caso los criterios morales pertinentes:<br />

“con los judíos me porté como judío… observando la ley. Con los<br />

que no tienen ley me porté como libre de la ley. Con los débiles me<br />

porté como débil” (9,20-22). Y todo esto, añade Pablo, lo he<br />

hecho, no porque me considere un sin-ley (a[-nomoı) sino precisamente<br />

porque me siento identificado con la ley de Cristo (e[nnomoı<br />

Cristou`, 9,21). <strong>La</strong> colocación central de esta afirmación no deja<br />

lugar a duda que Pablo considera la ennomía crística como presupuesto<br />

hermenéutico de todos sus comportamientos, y que<br />

ése quiere que sea también (“seguid mi ejemplo”, 11,1) el presupuesto<br />

hermenéutico <strong>del</strong> cristiano y particularmente <strong>del</strong> mora-<br />

sarios para los juicios y para la acción. <strong>La</strong> interpretación de Schlatter es<br />

aceptada plenamente por J. JEWETT, Paul’s anthropological terms. Study of<br />

their use in conflict settings, E.J. Brill, Leiden 1971,361.167.


92 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

lista, para resolver los problemas concretos que van surgiendo<br />

en la interpretación de la normativa bíblica o eclesiástica.<br />

<strong>II</strong>I. LA SAGRADA ESCRITURA EN LA SISTEMATIZACIÓN DE LA MORAL<br />

Los criterios y mediaciones hermenéuticas que hemos señalado<br />

(mo<strong>del</strong>os éticos, parámetro indicativo-imperativo, mediación<br />

fundamental de la ley de Cristo) deberán ser operativos en<br />

cualquier proyecto moral que reconozca la función vital de la<br />

Sagrada Escritura. A partir de esta premisa cabe preguntarse si<br />

tal “operatividad” alcanza solamente a la actitud fundamental de<br />

la fe y a la proyección que ésta debe tener en el tratamiento de<br />

los problemas concretos o debe también hacerse presente a nivel<br />

de sistematización general de la teología moral 74 .<br />

<strong>La</strong> respuesta está evidentemente condicionada por el problema<br />

<strong>del</strong> método. P. Lehman, por ejemplo, postula para la ética<br />

cristiana una metódica que él llama intuitiva, incompatible con<br />

la metódica racional empleada por la ética filosófica. Ello se<br />

debería a la incompatibilidad entre las perspectivas antropológicas<br />

subyacentes a ambas. Para Lehmann el operador de la<br />

ética cristiana no es el hombre sino Dios, en cuanto Dios es<br />

quien comienza y determina la humanidad <strong>del</strong> hombre. Sería,<br />

pues, por las acciones de Dios por donde debería comenzar<br />

metodológicamente el discurso ético cristiano 75 . Los problemas<br />

que tal tesis crea son evidentes. En primer lugar ¿cómo puede el<br />

moralista, partiendo <strong>del</strong> estudio de las acciones de Dios, llegar a<br />

la problemática moral <strong>del</strong> hombre real si para ello no dispone<br />

más que de las analogías de la Biblia? En segundo lugar ¿a qué<br />

título la reflexión ética cristiana puede descartar o ignorar las<br />

fuentes racionales que la misma Sagrada Escritura ha aceptado<br />

y usado en la compilación de su material ético? 76 .<br />

74<br />

Para la primera parte nos hemos servido especialmente de la Const.<br />

Dei Verbum y <strong>del</strong> Decreto Optatam totius; parala segunda nos servirá de guía<br />

principalmente la Const. Gaudium et Spes.<br />

75<br />

P. LEHMANN, Ethics in a Christian Context, o.c., 274.<br />

76<br />

Desde A. ALT (The Origins of Israelite <strong>La</strong>w. Essayson Old Testament<br />

History and Religion, Doubleday, Garden City 1958) a nuestros días, los estu-


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 93<br />

<strong>La</strong> referencia que más arriba hacíamos al carácter de<br />

“estructura formal” que lo ético representa para el hombre y<br />

que, en cuanto tal, es anterior a la configuración material de<br />

cualquier tipo de ethos concreto, incluido el cristiano 77 , nos obliga<br />

a descartar las propuestas que postulan para la ética cristiana<br />

un método radicalmente diferente <strong>del</strong> de las restantes éticas,<br />

pues ello llevaría o a la separación completa o a la mera yuxtaposición<br />

de la reflexión ética cristiana y de la reflexión ética<br />

racional. El método deberá ser necesariamente integrador,<br />

comenzando por la comprensión <strong>del</strong> hombre y la toma de conciencia<br />

de sus problemas concretos 78 . Sólo así podrá en el<br />

momento de la valoración ponerse a la escucha de la Palabra<br />

revelada, cuyo juicio o crisis reclama el hombre desde su ethos<br />

cristiano. De la superación de la “heterogeneidad” metódica se<br />

han preocupado en modo particular los moralistas que defienden<br />

la autonomía teónoma (A. Auer, Fr. Böckle, J. Fuchs 79 , K.W.<br />

Merkx 80 ).<br />

Por otra parte, creemos que deba excluirse la pretensión de<br />

buscar en la Biblia la plantilla para una “sistematización” concreta,<br />

por la simple razón que la Biblia no ofrece tal plantilla ni<br />

a nivel teológico ni a nivel ético. A lo sumo se puede hablar de<br />

“criterios” predominantes en la selección y organización <strong>del</strong><br />

material, criterios que, por lo demás, no son en absoluto homogéneos.<br />

Los criterios de estructuración, por ejemplo, de los<br />

diosos de la Biblia han puesto de relieve la dependencia de gran parte <strong>del</strong><br />

material revelado con relación a las culturas vecinas. Cf. E. OTTO,<br />

Theologische Ethik des Alten Testaments, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin-Köln<br />

1994.<br />

77<br />

Lo “ético” en cuanto tal debe ser visto primeramente como fenómeno<br />

humano, antes que como reflexión crítica y, por tanto, es anterior a la aplicación<br />

de cualquier método científico.<br />

78<br />

G. ROSSI, “Riflessioni sul metodo in <strong>teologia</strong> morale”, Riv. di Teologia<br />

Morale 12 (1980) 358.<br />

79<br />

A. AUER, Autonome Moral und christlicher Glaube, Patmos, Düsseldorf<br />

1966; F. BÖCKLE, Fundamentalmoral, Kösel, München 1977; J. FUCHS, Für eine<br />

menscliche Moral. Grundfragen der theologischen Ethik, 4 vol, Herder,<br />

Freiburg-Wien.<br />

80<br />

K.W. MERKX, Hacia una ética de la fe. Moral y autonomía, Tópicos ‘90-<br />

9, Santiago de Chile: Centro Ecuménico Diego de Me<strong>del</strong>lín, 1999.


94 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

libros históricos <strong>del</strong> A.T. son distintos entre sí y con relación a<br />

los de los proféticos y sapienciales. En el N.T. encontramos la<br />

misma variedad de sistematización de acuerdo con la idea central<br />

básica teológico-moral de cada autor. Así, en los sinópticos,<br />

se puede advertir un predominio <strong>del</strong> mensaje escatológico <strong>del</strong><br />

Reino, con una concentración ética en lo esencial: la conversión<br />

y adhesión a Jesús. En Pablo, en cambio, se puede constatar una<br />

centralización en el indicativo cristológico-antropológico, con<br />

las implicaciones categoriales que esto conlleva para la vida de<br />

la Iglesia en el mundo. En Juan, por su parte, se advierte un<br />

retorno a lo esencial: la fe y el amor, es decir, un repliegue de lo<br />

categorial a lo trascendente, con el trasfondo <strong>del</strong> “hombre venido<br />

de lo alto” 81 . Todo ello pone de relieve la dificultad de establecer<br />

un criterio unificante de toda la reflexión bíblica, más allá<br />

<strong>del</strong> criterio por antonomasia de la centralidad de la persona de<br />

Cristo y de la fe en Él.<br />

<strong>La</strong> ética cristiana, en cuanto ciencia, se encuentra con una<br />

doble tarea: la de superar las limitaciones que una pseudoautonomía<br />

podría oponer a una verdadera “presencia” de la moral<br />

bíblica, y la de llegar a una verdadera integración <strong>del</strong> material<br />

bíblico con el material ético que procede de la “experiencia<br />

humana” (GS 46), es decir, <strong>del</strong> ámbito de la persona humana:<br />

espiritual, psicológico, físico, social.<br />

Para tal sistematización, sólo la persona en cuanto “inteligente”<br />

(en el sentido zubiriano) puede ser el sujeto y el punto de<br />

referencia último de la misma. Creemos en este sentido iluminadoras<br />

las palabras de la Const. GS 46, cuando expone los criterios<br />

de sistematización por ella seguidos: “Después de haber<br />

expuesto la dignidad de la persona humana y la misión tanto<br />

individual como social a la que ha sido llamada en el mundo<br />

entero, el <strong>Concilio</strong>, a la luz <strong>del</strong> evangelio y de la experiencia humana,<br />

llama ahora la atención de todos sobre algunos problemas<br />

actuales más urgentes, que afectan profundamente al género<br />

humano: … el matrimonio y la familia, la cultura humana, la<br />

vida económica-social y política, la solidaridad de los pueblos y<br />

la paz”.<br />

81<br />

I. DE LA POTTERIE, “Le problème oecuménique du canon e de le<br />

Protocatholicisme”, Axes 4 (1972/4) 7-20.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 95<br />

Se aboga, pues, por una sistematización regida por la “inteligencia”,<br />

que arranca necesariamente de la “persona”, que sólo<br />

porque “re-ligada” se siente ob-ligada. Re-ligación / ob-ligación,<br />

dos elementos inseparables, que llevarán, en primer lugar, al<br />

estudio de la eticidad en cuanto estructura formal a la cual la<br />

persona se siente constitutivamente “religada”, para pasar después<br />

al análisis de los ulteriores contenidos que concretizan y<br />

especifican la “religación” como ethos “cristiano”, un ethos que<br />

lleva en sí, inseparablemente unidas, la dimensión religiosa o<br />

teológica (condición indicativo-imperatival <strong>del</strong> cristiano) y la<br />

dimensión humana (ámbito de la razón). Éste debería ser el contenido<br />

de lo que tradicionalmente se llama moral fundamental.<br />

Aquí se ofrece un amplio espacio para el recurso a la función iluminante<br />

de la Biblia, sin que ello implique introducir en la<br />

estructuración general esquemas bíblicos prefijados, como el de<br />

promesa-cumplimiento, alianza, llamada al Reino etc.<br />

Para la segunda parte (moral especial) continúa siendo central<br />

la “persona” que, desde su “experiencia” (de alegrías y esperanzas,<br />

de tristezas y angustias, GS 1) busca la iluminación adecuada<br />

para la resolución de sus problemas concretos. El punto<br />

de partida es la “experiencia” humana que, por lo mismo, constituye<br />

también el hilo conductor para una adecuada sistematización<br />

de la reflexión moral. <strong>La</strong> mediación operativa seguirá<br />

siendo la “inteligencia”, pero una inteligencia renovada (Rom<br />

12,2), de la que el teólogo moralista no podrá nunca despojarse<br />

en aras de un pretendido “consenso” con aquellos que abordan<br />

el diálogo a partir de ethos diferentes 82 . Aquí es donde se hará<br />

particularmente necesaria la labor hermenéutica que permita<br />

ver y asumir como “cristiano” cuanto de justo y bueno ha descubierto<br />

la inteligencia de los hombres (Fil 4,8).<br />

82<br />

No creemos, pues, que al teólogo moralista le esté permitido, para discutir<br />

los problemas concretos y para llegar a un “consenso”, comenzar por<br />

desprenderse <strong>del</strong> bagaje específico que le otorga la fe.


96 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

Conclusión<br />

Una mirada retrospectiva, desde la atalaya de una experiencia<br />

de 40 años, nos permite comprobar que la recepción <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> no ha sido homogénea ni totalmente positiva. Era difícil<br />

suponer que con la promulgación oficial de los documentos<br />

conciliares habrían de aflorar nuevos cielos y nueva tierra para<br />

la vida de la Iglesia, a través de una recepción connatural y pacífica.<br />

Desde el principio <strong>del</strong> postconcilio se pudo efectivamente<br />

entrever en el horizonte una combinación de luces y sombras. Y<br />

esto por varias razones: 1) Los textos conciliares llevaban, como<br />

es lógico en documentos elaborados por consenso, las huellas de<br />

la pluralidad (a veces oposición) de mentalidades de los autores<br />

de los mismos. De ahí que, junto a expresiones de una gran fuerza<br />

innovadora, se encuentren formulaciones que pueden ser<br />

entendidas desde un horizonte de comprensión anclado en el<br />

pasado. Por la misma razón, es fácil encontrar conceptos no<br />

adecuadamente desarrollados en una perspectiva orgánica. 2)<br />

<strong>La</strong> promulgación de los textos conciliares representó el triunfo<br />

de la mayoría, pero no se podía esperar que la minoría se iba a<br />

resignar a seguir siendo perdedora, sobre todo teniendo en cuenta<br />

que sus representantes iban a disponer de la práctica totalidad<br />

de las atalayas de difusión de la “verdad”. De ahí, la recepción<br />

plural de los documentos conciliares: recepción optimista y<br />

casi idealista por parte de algunos y recepción, por parte de<br />

otros, que va <strong>del</strong> rechazo a la aceptación selectiva y de la relectura<br />

integrista a la utópicamente progresista 83 .<br />

Por lo que toca a nuestro tema (la S. Escritura, alma de la<br />

reflexión teológico-moral), no podemos olvidar que los docu-<br />

83<br />

Por una relectura progresista se decantó, por ejemplo, la Revista<br />

Concilium que, creada para difundir la doctrina <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong>, decidió en un<br />

Congreso celebrado en Bruselas en 1970, optar por una línea de “superación”<br />

<strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> (dépasser le Concile): Il libro <strong>del</strong> Congresso, Brescia 1970.<br />

Para una exposición más completa de las diversas posiciones de rechazo <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> en las décadas post-conciliares remitimos al estudio de D. MENOZZI,<br />

“L’opposition au Concile” (1966-1984), en: G . ALBERIGO. – J.-P . JOSSUA (Eds),<br />

<strong>La</strong> réception de Vatican <strong>II</strong>, Du Cerf, Paris 1985, 429-457.


LA CENTRALIDAD DE LA SAGRADA ESCRITURA... 97<br />

mentos de referencia obligada (Dei Verbum y Gaudium et Spes)<br />

fueron de los más duramente debatidos, teniendo como inicio<br />

de su historia el “retiro”, por parte <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong>, de los pertinentes<br />

esquemas “pre-conciliares”: De fontibus revelationis y De<br />

ordine morali. Por lo que se refiere a la Const. Dei Verbum podemos<br />

hablar de una recepción en general positiva, que en los primeros<br />

años post-conciliares llegó a crear en la comunidades<br />

eclesiales un gran entusiasmo por la Biblia. Tal entusiasmo, sin<br />

embargo, iría diluyéndose con el pasar de los años. Esto se ha<br />

debido principalmente al hecho de que mientras la DV ha estimulado<br />

los estudios especializados de la Sagrada Escritura a<br />

nivel analítico-exegético y a nivel de síntesis de teología y de<br />

ética bíblicas 84 , no ha logrado que los especialistas realizaran<br />

aquella síntesis superior que permite conectar la Biblia con la<br />

teología sistemática y, en nuestro caso, con la teología moral. De<br />

hecho, sea en los numerosos “manuales” 85 que se han ido publicando<br />

a partir de los años 70’, sea en estudios de síntesis personales<br />

o de grupo (obras de colaboración, semanas de Biblia o de<br />

Moral), sea incluso en los documentos oficiales de la Iglesia<br />

sobre la materia (como el Catecismo de la Iglesia Católica y la<br />

84<br />

Sobre la numerosa producción de ética bíblica <strong>del</strong> Nuevo Testamento<br />

cf. L. ALVAREZ VERDES: “<strong>La</strong> ética <strong>del</strong> Nuevo Testamento. Panorámica actual”,<br />

StMor 29 (1991) 421-454. Editado posteriormente en: IDEM, Caminar en el<br />

Espíritu. El pensamiento ético de S. Pablo, Edacalf, Roma 2000; 25-60.<br />

85<br />

Entre los manuales más conocidos en el mundo latino (directamente<br />

o en traducción) podemos citar: A. GÜNTHOR, Chiamata e risposta. Una nuova<br />

<strong>teologia</strong> morale, 3 vol., Ed. Paoline, Roma 1974-1977; M. VIDAL GARCÍA, Moral<br />

de actitudes, 3 vol., Ed. P.S., Madrid 1974-1979; B. HÄRING, Free and faithful<br />

in Christ. Moral Theology, Seabury Press, New York, 1978-1979; E. CHIAVACCI,<br />

Teologia morale, 3. vol., Assisi 1980-1990; R. RINCÓN-E. LÓPEZ AZPITARTE-FCO. J.<br />

ELIZARI, Praxis cristiana, 3 vol., Ed. Paulinas, Madrid 1980-1986; GERMAIN<br />

GRISEZ, The Way of the Lord Jesus, 3 vol., Chicago, Quincy (Illinois), 1983-<br />

1997; GUIDO GATTI, Corso di Teologia morale, 4. vol., Leuman, Torino 1987-<br />

1992, JEAN MARIE AUBERT, Abrégé <strong>del</strong>la morale catholique, Desclée, Paris 1987;<br />

K. H. PESCHE, Christian Ethics Moral Theology in the Light of Vatican <strong>II</strong>, 2 vol.,<br />

Alcester, Dublin 1999; T. KENNEDY, Doers of the Word. Moral Theology for<br />

humanity in the third millenium (2 vol.). St Paulus, London 2002.<br />

Información sintética sobre estas obras en G. ROSSI, a.c., 61-72; R. GERARDI,<br />

Storia <strong>del</strong>la morale, EDB, Bologna 2003, 495 ss.


98 LORENZO ÁLVAREZ VERDES<br />

Enc. Veritatis Splendor) hay más de yuxtaposición que de verdadera<br />

integración.<br />

Ello se ha debido, ante todo, a la idea misma de “especialización”<br />

exigida por la ciencia. En nuestro caso la dificultad se<br />

acentúa por tratarse de una materia situada en la encrucijada de<br />

dos ciencias: la Sagrada Escritura y la moral. Si se ha podido<br />

hablar de peligro de “profanación” por parte <strong>del</strong> teólogo sistemático<br />

que pone sus manos inexpertas sobre el texto sagrado 86 ,<br />

con no menos razón se puede hablar de “osadía” por parte <strong>del</strong><br />

especialista bíblico que pretende pontificar en nombre de la<br />

Biblia en materias nuevas y complicadas como son las que la<br />

ciencia va proponiendo cada día al moralista.<br />

A pesar de todo, el aforisma de la DV sigue resonando con<br />

insistencia siempre nueva: la Sagrada Escritura debe ser “el<br />

alma” de la ética cristiana. Ello exige un perenne esfuerzo integrador<br />

por parte <strong>del</strong> moralista, sin reduccionismos racionalistas<br />

87 ni sobrenaturalistas 88 , en la convicción de la capacidad inagotable<br />

que la Palabra de Dios tiene de iluminar a todo hombre<br />

(Jn 1,9) para conducirlo a la plena realización de su humanidad.<br />

LORENZO ÁLVAREZ VERDES, C.Ss.R<br />

86<br />

C. ROBERT, “Chronique de thélogie morale fondamentale”, RevScRel 29<br />

(1955) 283. Cf. J.M. GUSTAFSON, “The Changing Use of the Bible in Christian<br />

Ethics”, en: CH. E. CURRAN –R.A. MCCORMICK, S.J., The Use of The Scripture in<br />

Moral Theology (Readings in Moral Theology 4), Paulist Press, New York-<br />

Ramsey 1984, 140: “Biblical ethics is a complex task for which few are well<br />

prepared; those who are specialists in ethics generally lack the intensive and<br />

proper training in biblical studies, and those who are specialists in biblical<br />

studies often lack sophistication in ethical thought”.<br />

87<br />

Es la tentación que no pocos autores han visto latente en la llamada<br />

“moral autónoma” (B. Schüller, J. Fuchs, A. Auer, F. Böckle).<br />

88<br />

El peligro de un reduccionismo sobrenaturalista, que parte en definitiva<br />

de una concepción pesimista <strong>del</strong> hombre, se puede fácilmente detectar<br />

en la llamada “ética de la fe” (G. Ermecke, B. Stöckle, K. Kilpert). Cf. J.-M.<br />

AUBERT, “Débats autour de la moral fondamental”, StMor 20 (1982) 195-222.


StMor 42 (2004) 99-114<br />

MARCO DOLDI<br />

IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE<br />

DEL CONTATTO DELLA TEOLOGIA MORALE CON IL<br />

MISTERO DI CRISTO E LA STORIA DELLA SALVEZZA<br />

Introduzione<br />

“Nel riordinamento degli studi ecclesiastici – indica il decreto<br />

conciliare Optatam Totius sulla formazione sacerdotale – si<br />

abbia cura in primo luogo di disporre meglio le varie discipline<br />

filosofiche e teologiche e di farle convergere concordemente alla<br />

progressiva apertura <strong>del</strong>le menti degli alunni verso il mistero di<br />

Cristo, il quale compenetra tutta la storia <strong>del</strong> genere umano, agisce<br />

continuamente <strong>nella</strong> chiesa e opera principalmente attraverso<br />

il ministero sacerdotale” (14).<br />

Poco più avanti, alla <strong>teologia</strong> morale, inserita a pieno titolo<br />

all’interno <strong>del</strong>le discipline teologiche, il concilio dedica parole di<br />

notevole importanza. “Parimenti tutte le altre discipline teologiche<br />

vengano rinnovate per mezzo di un contatto più vivo col<br />

mistero di Cristo e con la storia <strong>del</strong>la salvezza. Si ponga speciale<br />

cura nel perfezionare la <strong>teologia</strong> morale in modo che la sua<br />

esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra scrittura,<br />

illustri l’altezza <strong>del</strong>la vocazione dei fe<strong>del</strong>i in Cristo e il loro<br />

obbligo di apportare frutto <strong>nella</strong> carità per la vita <strong>del</strong> mondo”<br />

(16).<br />

Questo testo, divenuto il costante riferimento per tanti studiosi,<br />

può essere maggiormente compreso nel confronto con<br />

quello <strong>del</strong>la Gaudium et Spes 22, dove, nell’intento di tratteggiare<br />

la vicenda <strong>del</strong>l’uomo all’interno <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la salvezza, si<br />

afferma che esiste un legame profondo tra il mistero salvifico di<br />

Cristo e il mistero rivelato <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Ancora, su un piano più ampio, Optatam Totius 16 si comprende<br />

alla luce <strong>del</strong>le indicazioni <strong>del</strong>la Dei Verbum circa lo studio<br />

<strong>del</strong>la Sacra Scrittura, mediante la quale il teologo moralista<br />

entra in contatto con il mistero vivente di Cristo (cfr. 24). Come<br />

anche si comprende alla luce <strong>del</strong> capitolo V <strong>del</strong>la Lumen


100 MARCO DOLDI<br />

Gentium dove si afferma che l’agire è specificato dalla carità di<br />

Cristo, cosicché il discepolo viva nel compimento <strong>del</strong>la legge, la<br />

perfezione evangelica, cioè la santità cristiana (cfr. 42).<br />

È questo, seppure in sintesi, lo sfondo che aiuta a comprendere<br />

adeguatamente come l’uomo, raggiunto da Cristo nei tornanti<br />

<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la salvezza, sia abilitato ad un agire morale<br />

in cui Cristo è insieme mo<strong>del</strong>lo di perfezione e fonte di grazia.<br />

Al minimalismo <strong>del</strong>le leggi morali viene offerto un cammino, per<br />

così dire, <strong>del</strong> massimo, dove il punto di partenza e la meta resta<br />

la Persona di Cristo.<br />

Così alla <strong>teologia</strong> morale è affidato il compito di esprimere<br />

due verità centrali: l’altezza, cioè, la grandezza <strong>del</strong>la chiamata<br />

che i fe<strong>del</strong>i hanno ricevuto in Cristo e l’urgenza che essi vi rispondano<br />

portando opere caratterizzate dalla carità e dalla santità per<br />

il bene <strong>del</strong> mondo. Il riferimento a Cristo, anziché chiudere il credente<br />

in un ambito protetto, lo spinge ad operare in ogni ambiente<br />

per il bene <strong>del</strong>l’uomo. Nell’esprimere tali verità, la <strong>teologia</strong><br />

morale necessariamente guarda alla dogmatica per determinare<br />

il ruolo di Cristo nei confronti <strong>del</strong>l’uomo chiamato ad agire nel<br />

mondo: tale ruolo non può essere compreso solo a livello di un<br />

buon esempio, ma ben più in profondità.<br />

Non è questo il momento per richiamare con ampiezza tali<br />

dati teologici, che sono già stati ampliamente trattati 1 . Piuttosto<br />

siamo invitati a domandarci come si sia svolta in questi quarant’anni<br />

l’attualizzazione <strong>del</strong>l’orientamento conciliare, in modo<br />

particolare per quello che riguarda il contatto <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale con il mistero di Cristo e la storia <strong>del</strong>la salvezza.<br />

<strong>La</strong> domanda è molto impegnativa, tuttavia è assolutamente<br />

doveroso offrire una risposta. Concretamente procederò nei<br />

seguenti momenti: subito evidenzierò la molteplicità dei progetti<br />

di rinnovamento, secondo una recente ricerca (parte prima). A<br />

motivo di una lacuna qui contenuta indicherò, invece, la portata<br />

reale <strong>del</strong>la linea cristologica, testimoniata da numerosi autori<br />

(parte seconda). Infine, cercherò di cristallizzare gli elementi<br />

1<br />

Mi permetto rimandare ad alcuni capitoli <strong>del</strong> mio testo Cfr. DOLDI M.,<br />

Fondamenti cristologici <strong>del</strong>la morale in alcuni autori italiani. Bilancio e prospettive<br />

(città <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> 2000).


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 101<br />

strutturanti <strong>del</strong> rinnovamento <strong>del</strong>la morale nel contatto con il<br />

mistero di Cristo e la storia <strong>del</strong>la salvezza (parte terza).<br />

1. Molteplicità di progetti<br />

Recentemente A. Bonandi ha avuto l’idea “di presentare, per<br />

quanto possibile in modo organico, gli itinerari principali <strong>del</strong>la<br />

recente <strong>teologia</strong> morale fondamentale cattolica, tentandone<br />

anche una valutazione, prima ampiamente analitica, poi invece<br />

sintetica”. Così scrive lo studioso nel suo testo “Il difficile rinnovamento.<br />

Percorsi fondamentali <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale postconciliare”<br />

2 , dove richiama i testi di <strong>teologia</strong> morale pubblicati dalla<br />

fine degli anni ’70 al termine <strong>del</strong> secolo. Ogni testo è presentato<br />

<strong>nella</strong> sua interezza e, qua e là, commentato.<br />

Il periodo postconciliare è diviso da Bonandi in alcune fasi.<br />

<strong>La</strong> prima, che ruota attorno agli anni ‘70, registra tra le diverse<br />

iniziative anche quella denominata “la prospettiva cristocentrica”.<br />

Qui il riferimento è all’opera di D. Capone 3 , a cui si riconoscono<br />

tra i meriti quello di aver ripulito l’antropologia dalle<br />

incrostazioni essenzialistiche, produttrici di una visione cosificata<br />

<strong>del</strong>l’agire, verso un personalismo inteso come permanente<br />

relazione, come situazione di chiamata e risposta, in cui l’uomo<br />

è costituito persona.<br />

Ma non mancherebbero i limiti: “l’entusiasmo per l’incontro<br />

con la testimonianza biblica e la riflessione teologica sulla centralità<br />

di Cristo nell’esperienza e <strong>nella</strong> concezione cristiana di<br />

Dio e <strong>del</strong>l’uomo – afferma Bonandi – rischiano di svalutare le<br />

mediazioni necessarie per raccordare la verità Cristo e la verità<br />

<strong>del</strong> giudizio morale su un problema settoriale, e di nascondere<br />

la parzialità e l’insufficienza di un procedimento di deduzione<br />

teoretica quando la verità (morale) – Cristo deve informare lo<br />

sviluppo di una disciplina teologica” 4 .<br />

2<br />

BONANDI A., Il difficile rinnovamento. Percorsi fondamentali <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale postconciliare (Assisi 2003) p. 5.<br />

3<br />

Cfr. CAPONE D., Introduzione alla <strong>teologia</strong> morale (Bologna 1972) e ID.,<br />

L’uomo è persona in Cristo. Introduzione antropologica alla <strong>teologia</strong> morale<br />

(Bologna 1973)<br />

4<br />

BONANDI A., Il difficile rinnovamento… p. 29.


102 MARCO DOLDI<br />

Una seconda fase <strong>del</strong> rinnovamento <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale<br />

sarebbe quella relativa agli anni ’80. In questo periodo Bonandi<br />

fa emergere e identifica diversi progetti di rinnovamento; tra<br />

questi il primo è denominato “Cristocentrismo, tomismo e neogiusnaturalismo<br />

<strong>nella</strong> concezione dei beni umani” 5 . Al riguardo<br />

sarebbe significativa l’opera <strong>del</strong>lo statunitense G. Grisez “The<br />

Way of the Lord Jesus” 6 , perché si presenta come il testo di<br />

morale fondamentale per gli studenti dei seminari cattolici, evidentemente<br />

di oltre oceano.<br />

Accanto a questo progetto, l’autore ne presenta ben altri<br />

undici, ma, in prima istanza, non appare che nessuno di questi<br />

tenga adeguatamente conto <strong>del</strong> contatto vivo con Cristo e il<br />

mistero <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la salvezza 7 .<br />

<strong>La</strong> terza fase coincide con l’ultimo decennio <strong>del</strong> secolo ed è<br />

finalmente testimone di attuazioni complessive <strong>del</strong> rinnovamento<br />

conciliare. Con sorpresa notiamo l’assenza di qualsiasi progetto<br />

svolto sotto il segno <strong>del</strong>la cristologia; invece, in questi anni ci<br />

sarebbe la preoccupazione di sviluppare la spiritualità in <strong>teologia</strong><br />

morale, la coscienza esistenziale e la complessità <strong>del</strong>la realtà<br />

sociale, l’etica aretaica, la fenomenologia <strong>del</strong>la fede in rapporto<br />

all’azione <strong>del</strong>la coscienza. Grazie a questi contributi – a giudizio<br />

<strong>del</strong>l’autore – si potrebbe così “considerare globalmente chiusa la<br />

fase tumultuosa <strong>del</strong> rinnovamento <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale” 8 .<br />

5<br />

Cfr. BONANDI A., Il difficile rinnovamento… pagg. 94-108.<br />

6<br />

GRISEZ G., The Way of the Lord Jesus. Volume One. Christian Moral<br />

Principles (Chigago 1983).<br />

7<br />

Sono: Trascendentalismo ed ermeneutica, antropologia teologica e<br />

<strong>teologia</strong> morale (K. Demmer); Tomismo <strong>del</strong>le fonti <strong>del</strong>la morale cristiana (S.<br />

Pinckaers); Una rivisitazione incerta <strong>del</strong>la manualistica (es. K. H. Pescheke);<br />

Provocazioni <strong>del</strong>le scienze umane alla <strong>teologia</strong> morale (es. AA. VV.,<br />

Iniziazione alla Pratica <strong>del</strong>la Teologia IV); Approccio di <strong>teologia</strong> <strong>del</strong>la liberazione<br />

(A. Moser – B. Leers); Proposta di metodo nello spirito di B. Lonergan;<br />

Teologia morale tra decisionalità fondamentale e decisione razionale (F.<br />

Furger); Teologia morale come mediazione tra fede e ragione pratica (es.<br />

R.M. Gula); Cose antiche e cose nuove: difficoltà di una sintesi (es. H.<br />

Weber); Teologia morale tra coscienza individuale e cultura civile (K.<br />

Demmer); Tra autonomia <strong>del</strong> soggetto e liberazione sociopolitica (es. M.<br />

Vidal).<br />

8<br />

BONANDI A., Il difficile rinnovamento… p. 274.


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 103<br />

Se il pensiero <strong>del</strong>l’autore è stato correttamente compreso,<br />

sorge spontanea la domanda sul perché questo accurato e complesso<br />

bilancio non abbia tenuto conto dei molti teologi moralisti<br />

italiani e stranieri, i quali hanno considerato il cristocentrismo<br />

in morale come la via privilegiata <strong>del</strong> rinnovamento.<br />

Possiamo forse pensare che l’autore abbia considerato non sufficientemente<br />

significativi questi sforzi.<br />

Di fatto, fin dall’inizio, presenta il suo personale orientamento<br />

che, sono sue parole, “muove da un moderato trascendentalismo<br />

neoscolastico – ben rappresentato <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong><br />

morale contemporanea dal pensiero di K. Demmer – verso una<br />

fenomenologia <strong>del</strong>l’agire di Gesù Cristo e <strong>del</strong>la Chiesa (si potrebbe<br />

aggiungere che l’agire di cui si tratta è credente, non immediatamente<br />

nel senso preciso di coscienza cristiana, ma in quello<br />

fondamentale per cui il credere è forma originaria <strong>del</strong>l’agire),<br />

agire che attua la libertà personale già implicata <strong>nella</strong> fede, a sua<br />

volta evocata e offerta <strong>nella</strong> prassi” 9 .<br />

Per questo, egli osserva a Capone che la fondazione teologica,<br />

espressa in termini di cristocentrismo presenta difficoltà, tra<br />

le quali quella di mettere in contatto la centralità di Cristo con<br />

la verità <strong>del</strong> giudizio etico su un qualche aspetto <strong>del</strong> vivere<br />

umano.<br />

2. <strong>La</strong> portata <strong>del</strong>la linea cristologica<br />

Davvero non mancano dal <strong>Concilio</strong> ad oggi studi di rilievo,<br />

che pongono la figura di Cristo come significativa per l’uomo<br />

chiamato ad agire nel mondo. Siamo davanti ad una produzione<br />

letteraria molto ampia, che contiene riflessioni cristologiche<br />

di spessore diverso (2.1.). Questi studi incoraggiano ad individuare<br />

meglio gli sforzi di alcuni autori che hanno posto la <strong>teologia</strong><br />

morale in contatto con il mistero di Cristo e <strong>del</strong>la storia<br />

<strong>del</strong>la salvezza (2.2.).<br />

9<br />

BONANDI A., Il difficile rinnovamento… pp. 12-13.


104 MARCO DOLDI<br />

2. 1. Numerose testimonianze<br />

A motivo <strong>del</strong>la vastità degli studi occorre porre qualche condizione<br />

alla ricerca. Così fa, ad esempio, L. Melina nel suo contributo<br />

“Bilancio e prospettive <strong>del</strong> cristocentrismo in morale” 10 ,<br />

dove pone due premesse metodologiche per interrogare i differenti<br />

mo<strong>del</strong>li e <strong>del</strong>ineare la fisionomia di una reale fondazione<br />

cristologica <strong>del</strong>la morale.<br />

Innanzitutto, il principio cristocentrico deve porsi come un<br />

orizzonte, un punto di vista dal quale illuminare il dinamismo<br />

morale <strong>del</strong>la vita cristiana.<br />

Inoltre, lo stesso principio deve essere capace di assicurare<br />

l’unità interna <strong>del</strong>la disciplina scientifica: “dovrà – dice l’autore<br />

– trattarsi davvero <strong>del</strong> fondamento ultimo che sostiene ogni altro<br />

principio e riferimento” 11 .<br />

Questi principi permettono a Melina di individuare diversi<br />

progetti tipicamente cristologici: Il cristocentrismo come affermazione<br />

di un mo<strong>del</strong>lo personale (ad es. F. Tillmann, B.<br />

Haering); L’antropologia come necessaria mediazione <strong>del</strong> cristocentrismo<br />

(ad es. K. Demmer); <strong>La</strong> fondazione ontologica<br />

<strong>del</strong>la morale cristiana in Cristo (ad es. D. Capone e R. Tremblay);<br />

Cristo norma personale e concreta (ad es. H. U. von Balthasar e<br />

coloro che ne hanno ripreso il pensiero). Infine, egli stesso prospetta<br />

un cristocentrismo <strong>del</strong>le virtù e <strong>del</strong>l’agire eccellente.<br />

Lo studio di Melina è dunque una prima testimonianza positiva<br />

sul fatto che non pochi teologi moralisti si siano interrogati<br />

sul ruolo <strong>del</strong>la persona di Cristo in ordine all’agire e all’individuazione<br />

<strong>del</strong>le norme concrete.<br />

Così si può ancora ricordare il bilancio di R. Tremblay<br />

“Cristo e morale. Breve sguardo storico a partire da Optatam<br />

Totius 16” 12 , dove l’autore registra due tendenze: “la prima è<br />

10<br />

Cfr. MELINA L., Bilancio e prospettive <strong>del</strong> cristocentrismo in morale in<br />

ID., Cristo e il dinamismo <strong>del</strong>l’agire. Linee di rinnovamento <strong>del</strong>la Teologia<br />

Morale fondamentale (Roma 2001) pp. 91-111.<br />

11<br />

MELINA L., Bilancio e prospettive <strong>del</strong> cristocentrismo… p. 93.<br />

12<br />

Cfr. TREMBLAY R., Cristo e morale. Breve sguardo storico a partire da<br />

Optatam Totius 16 in ID., L’“Innalzamento” <strong>del</strong> Figlio fulcro <strong>del</strong>la vita morale<br />

(Roma 2001).


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 105<br />

segnata da una controreazione nel senso che, in virtù di alcuni<br />

avvenimenti che seguirono immediatamente il <strong>Concilio</strong>, si è preferito<br />

porre Cristo alla fine di un percorso sintonizzato prioritariamente<br />

con l’humanum e le sue esigenze etiche. <strong>La</strong> seconda<br />

tendenza, che si è imposta più tardivamente e che determina<br />

praticamente l’ultimo decennio <strong>del</strong>la “<strong>recezione</strong>”, si inscrive più<br />

direttamente <strong>nella</strong> traiettoria tracciata per esempio dalla costituzione<br />

conciliare Gaudium et Spes: la strada <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong> suo<br />

agire è il Cristo” 13 .<br />

Le due tendenze sono significativamente indicate con l’espressione<br />

“Il Cristo al seguito <strong>del</strong>l’uomo” e “L’uomo al seguito<br />

di Cristo”; in quest’ultima corrente l’uomo, capace di concepire<br />

la norma morale a partire da un’attenta riflessione sul reale, ha<br />

il suo punto di ancoraggio immediato <strong>nella</strong> persona concreta <strong>del</strong><br />

Figlio di Dio incarnato, morto e risuscitato e <strong>nella</strong> grazia che da<br />

lui deriva.<br />

Molteplici sono secondo l’autore le vie utilizzate per rendere<br />

conto teologicamente <strong>del</strong>la indicazione conciliare. “Gli uni preferiscono<br />

radicare le loro riflessioni <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> classica <strong>del</strong>la<br />

grazia cristica e, di là, articolare i rapporti che questa intrattiene<br />

con l’humanum o la “natura”. Altri tentano di stabilire il<br />

carattere singolare, universale e panistorico <strong>del</strong>la persona <strong>del</strong><br />

Cristo messa in causa dall’Illuminismo, per potervi fondare l’antropologia<br />

e l’agire morale che ne deriva. Essi lo fanno ricorrendo,<br />

per esempio, alla categoria biblica <strong>del</strong>la predestinazione e al<br />

Cristo prolungato nel suo corpo vivente, la Chiesa. Altri infine,<br />

fissano la loro attenzione sul Cristo pasquale, la cui consistenza,<br />

dal punto di vista <strong>del</strong>l’identità propriamente filiale di Gesù e<br />

<strong>del</strong>la sua “proesistenza”, è progressivamente rivelata dalle differenti<br />

tradizioni neotestamentarie. Da là cercano di costruire un<br />

quadro nel quale inserire un ritratto <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la sua vita<br />

morale” 14 .<br />

Senza entrare specificatamente nel merito di questi due<br />

bilanci, è già importante rilevare come gli autori richiamati<br />

13<br />

TREMBLAY R., Cristo e morale. Breve sguardo storico… p. 12.<br />

14<br />

TREMBLAY R., Cristo e morale. Breve sguardo storico… p. 16.


106 MARCO DOLDI<br />

documentino l’esistenza di tanti sforzi tesi a sviluppare in diversa<br />

maniera le indicazioni conciliari.<br />

2. 2. Il mistero di Cristo e la storia <strong>del</strong>la salvezza<br />

<strong>La</strong> condizione metodologica che pongo <strong>nella</strong> scelta degli<br />

autori è quella non più <strong>del</strong>la generale presenza <strong>del</strong> rapporto cristologia<br />

e morale, ma quella <strong>del</strong> contatto vivo <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale con il mistero di Cristo e la storia salvifica 15 .<br />

In primo luogo, vorrei richiamare il contributo <strong>del</strong> moralista<br />

Dionigi Tettamanzi.<br />

L’uomo immagine di Dio in Cristo<br />

Già negli anni ‘70 Tettamanzi 16 , accogliendo, da una parte le<br />

sfide <strong>del</strong> secolarismo e da un’altra le indicazioni <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>,<br />

aveva individuato il rinnovamento <strong>del</strong>l’etica cristiana nel principio<br />

<strong>del</strong>la conversione antropocentrica, da cui scaturisce un’adeguata<br />

riflessione sull’uomo <strong>nella</strong> sua dimensione corporale e<br />

spirituale. Vent’anni più tardi nell’opera “Verità e Libertà” 17 continua<br />

la riflessione considerando in profondità il mistero <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Non si tratta, però, di una speculazione astratta, ma di<br />

una contemplazione alla luce dei dati biblici e <strong>del</strong>la tradizione.<br />

Innanzitutto, egli presenta un preciso mo<strong>del</strong>lo antropologico<br />

caratterizzato dalla categoria <strong>del</strong>l’immagine di Dio in Gesù<br />

Cristo. L’antropologia è toccata dalla cristologia nei suoi costitutivi<br />

essenziali; appare, così, l’uomo in quanto creato da Dio e<br />

in dialogo con Lui, mediante Gesù Cristo. All’uomo compete,<br />

pertanto, una funzione teologale, ma anche comunitaria e<br />

cosmica, essendo costituito in dialogo con gli altri uomini e con<br />

l’universo. L’immagine divina, presente nell’uomo, è condizio-<br />

15<br />

Circa il rapporto più in generale tra cristologia e morale segnalo il<br />

testo ZUCCARO C., Cristologia e morale. Storia interpretazione prospettive<br />

(Bologna 2003).<br />

16<br />

Per un’esposizione più completa rimando a: DOLDI M., L’uomo immagine<br />

di Dio in Cristo <strong>nella</strong> riflessione morale di Dionigi Tettamanzi in ScC 2<br />

(1998) 187-212.<br />

17<br />

TETTAMANZI D., Verità e Libertà. Temi e prospettive di morale cristiana<br />

(Casale Monferrato 1993).


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 107<br />

nata dalle fasi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la salvezza: creazione, peccato,<br />

intervento di Gesù Cristo, tutti elementi che costituiscono la storicità<br />

<strong>del</strong>l’uomo. Ancora, l’uomo è considerato psicofisicamente<br />

uno, in modo che la condizione corporale e l’interiorità non<br />

siano contrapposte, ma formino un’unità.<br />

A questo primo livello, Tettamanzi pone la categoria <strong>del</strong>l’immagine<br />

di Dio in Gesù Cristo, come fondante l’esistenza antropologica.<br />

Da tale categoria scaturisce l’impegno morale per l’uomo.<br />

Il compito morale non s’impone all’uomo estrinsecamente,<br />

ma lo raggiunge intimamente, perché si fonda sullo stesso essere<br />

<strong>del</strong>l’uomo, cioè sull’immagine di Dio che specifica l’uomo; in<br />

quanto è immagine di Dio in Gesù Cristo, l’uomo necessariamente<br />

deve manifestare la gloria di Dio in Gesù Cristo.<br />

L’imperativo morale fluisce dalla struttura ontologica <strong>del</strong>l’uomo,<br />

consegue al suo indicativo: dice la sua verità.<br />

Sorge, però, la grave domanda se l’uomo sia, di natura sua,<br />

orientato a ricevere il dono <strong>del</strong>l’immagine di Dio in Cristo; è<br />

chiaro che, soltanto se egli è determinato a divenire immagine di<br />

Dio in Cristo, tale immagine aderirà all’uomo non in modo<br />

superficiale, ma profondo, ontologico.<br />

Tettamanzi risponde a questa domanda con alcune riflessioni<br />

di ordine cristologico; dalla verità che l’uomo è immagine di<br />

Dio in Gesù Cristo risale alla vocazione che l’uomo ha ricevuto<br />

in Cristo. Esiste un piano eterno di Dio, nel quale l’uomo è<br />

inscindibilmente legato a Cristo, Creatore e Redentore.<br />

L’autore, precisamente, parla di compredestinazione 18 , intesa<br />

come la chiamata di Gesù Cristo, Unigenito e Primogenito <strong>del</strong><br />

Padre, ed insieme <strong>del</strong>l’uomo ad essere conforme all’immagine di<br />

Dio. Cristo è l’Esemplare e il Principio unico nel quale l’uomo è<br />

chiamato a diventare immagine piena e perfetta di Dio, mediante<br />

una dinamica di assimilazione.<br />

Infine, l’autore trae le conseguenze da quanto ha affermato:<br />

se l’uomo antropologicamente è immagine di Dio in Gesù Cristo,<br />

poiché il piano eterno di Dio prevede la sua piena conformazione<br />

all’immagine di Dio nel Figlio, ne deriva che l’uomo deve<br />

effettivamente imitare Dio in Gesù Cristo, secondo il dinamismo<br />

18<br />

Cfr. BIFFI G., Alla destra <strong>del</strong> Padre (Milano 1970) 86.


108 MARCO DOLDI<br />

morale. Dal donum – chiamata divina – consegue un preciso<br />

mandatum: l’imitazione. Per la precisione due <strong>del</strong>le grandi tradizioni<br />

neotestamentarie – quella di Paolo e di Giovanni – aiutano<br />

a comprendere come l’uomo, chiamato alla comunione trinitaria<br />

(Giovanni), ad essere-in-Cristo (Paolo), debba anche riprodurre<br />

l’amore proprio <strong>del</strong> Figlio per il Padre (Giovanni), a vivere-in-Cristo,<br />

imitando il suo esempio (Paolo).<br />

<strong>La</strong> prospettiva morale è la conseguenza <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo antropologico<br />

presentato in precedenza da Tettamanzi: l’uomo, creato<br />

ad immagine di Dio e raggiunto da Cristo, perché da sempre<br />

chiamato a conformarsi perfettamente all’immagine <strong>del</strong> Figlio,<br />

attua tale conformazione mediante l’imitazione di Cristo.<br />

Egli si interroga su quale sia, in profondità, la ragione ultima<br />

<strong>del</strong>l’imperativo morale fondamentale, che proviene da Dio in<br />

Cristo. Perché Gesù Cristo è legge per il cristiano? Tettamanzi<br />

risponde a questa domanda fondamentale, richiamando il ruolo<br />

che il Padre ha affidato a Cristo nei confronti <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Gesù Cristo è legge morale, perché è il Verbo incarnato,<br />

Creatore e Redentore di ogni uomo. In virtù <strong>del</strong>l’incarnazione,<br />

Gesù Cristo rivela e rappresenta in modo pieno il pensiero e il<br />

volere <strong>del</strong> Padre. Egli manifesta il piano eterno secondo il quale<br />

Dio ha creato l’uomo, orientandolo verso Cristo. In Cristo il<br />

Padre ha pensato e voluto ogni realtà: è il Primogenito al quale<br />

tutto deve adeguarsi. Gesù Cristo è legge non solamente perché<br />

diviene uomo come tutti, ma in quanto presente con l’uomo nel<br />

piano di Dio, dall’eternità.<br />

Tettamanzi così sintetizza: il Verbo incarnato è cuore <strong>del</strong>l’ordine<br />

ontologico e <strong>del</strong>l’ordine morale. In Gesù Cristo, Verbo<br />

incarnato, l’uomo si trova già normato da Dio, perché è precisamente<br />

l’homo Christus Jesus la norma prima ed eterna voluta dal<br />

Padre per l’uomo. Precisamente, dall’eternità Dio ha pensato al<br />

Verbo incarnato come centro di tutto l’ordine esistente e, quindi,<br />

anche <strong>del</strong>l’uomo.<br />

<strong>La</strong> formula paolina essere in Cristo è utile per comprendere<br />

la nuova situazione ontologica <strong>del</strong> cristiano, dalla quale scaturisce<br />

l’esigenza morale: dal momento che il cristiano è in Cristo,<br />

può e deve vivere in Cristo, secondo l’inscindibile rapporto tra<br />

essere ed agire.<br />

In definitiva, l’uomo è legato da sempre a Cristo, che riconosce<br />

anche come maestro, di cui è discepolo, come mo<strong>del</strong>lo, di


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 109<br />

cui è imitatore, come vita da cui riceve energia. <strong>La</strong> morale cristiana<br />

dipende interamente dalla verità di Cristo, dall’esempio di<br />

Cristo mo<strong>del</strong>lo, dalla vita di Cristo. In definitiva e precisamente:<br />

la vocazione <strong>del</strong> cristiano, la sua meta e quindi anche la norma<br />

essenziale <strong>del</strong>la sua esistenza è essere immagine vivente di<br />

Cristo e <strong>del</strong>la sua vita virtuosa.<br />

Alla luce di tutte queste considerazioni, l’autore può, a buon<br />

diritto, affermare: che la morale cristiana e Gesù Cristo sono<br />

assolutamente inscindibili: la morale cristiana viene radicalmente<br />

falsificata se la si separa dalla persona, dalla vita, dalla<br />

missione di Gesù Cristo.<br />

Il mistero <strong>del</strong>l’uomo dalla Croce alla Trinità<br />

Vorrei ora fare riferimento al teologo moralista R. Tremblay;<br />

il motivo che mi spinge a richiamare qualche tratto <strong>del</strong> suo pensiero<br />

è duplice: egli ha consacrato oltre 25 anni a studiare i fondamenti<br />

cristologici <strong>del</strong>la morale, offrendo numerosi testi.<br />

Inoltre, con questa scelta desidero rendere un atto d’omaggio<br />

alla scuola cristologica sviluppata dall’Accademia Alfonsiana, di<br />

cui Tremblay è esponente di rilievo.<br />

L’intento <strong>del</strong>l’autore è quello di offrire un progetto morale<br />

che – davanti allo slogan ricorrente “Dio sì! <strong>La</strong> morale no!” – non<br />

spaventi l’uomo, ma, al contrario, lo attiri e lo seduca.<br />

Paradossalmente il punto di partenza <strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong> fondamento<br />

ultimo <strong>del</strong>la morale cristiana è ciò che si presenta come<br />

la realtà meno attraente che ci sia: la Croce.<br />

Eppure seduce, perché la sua ragion d’essere si trova <strong>nella</strong><br />

decisione <strong>del</strong> Padre che dona il suo Figlio (cfr. Gv. 3,16), <strong>nella</strong><br />

volontà <strong>del</strong> Figlio di giungere alla pienezza <strong>del</strong>la sua risposta<br />

d’amore al Padre e <strong>del</strong> suo dono totale agli uomini, <strong>nella</strong> testimonianza<br />

<strong>del</strong>lo Spirito – simbolicamente fuoriuscito dal cuore<br />

trafitto – che è l’Esegeta vivente <strong>del</strong>l’amore trinitario.<br />

<strong>La</strong> Croce è come la scala (cfr. Gn. 28,10-17) o la macchina<br />

(S. Ignazio d’Antiochia) che porta al cuore <strong>del</strong> mistero <strong>del</strong> Dio<br />

amore. Ora, di fronte ad una tale opera, che vede impegnata la<br />

Trinità nelle sue Persone, sorge la domanda chi sia in realtà l’uomo,<br />

oggetto di tanta dedizione, e quale sia il suo compito nel<br />

mondo. Il prologo <strong>del</strong>la Lettera agli Efesini ci orienta verso la<br />

risposta, perché documenta la decisione eterna <strong>del</strong> Padre di renderci<br />

figli adottivi nel Figlio.


110 MARCO DOLDI<br />

Ora, l’autore nota che siamo davanti ad “una antropologia<br />

originariamente filiale che implica un’etica <strong>del</strong>la impeccabilità e<br />

<strong>del</strong>la santità, antropologia collegata rispettivamente alle persone<br />

<strong>del</strong> Figlio e <strong>del</strong> Padre con le quali la creatura umana è chiamata<br />

ad entrare in comunione per grazia” 19 .<br />

È fondamentale notare che la decisione divina è simultaneamente<br />

fondamento <strong>del</strong>l’antropologia e <strong>del</strong>l’etica, perché rivela<br />

l’identità filiale <strong>del</strong>l’uomo e la sua chiamata alla santità.<br />

Metodologicamente tali dati dogmatici appartengono in pieno<br />

alla riflessione morale, come ha domandato il <strong>Concilio</strong>.<br />

Il compito di mostrare l’altezza <strong>del</strong>la vocazione dei fe<strong>del</strong>i in<br />

Cristo è svolto dall’autore in modo dettagliato, studiando attentamente<br />

le tradizioni neotestamentarie. Esse documentano<br />

come Cristo sia divenuto solidale con l’uomo, avendolo raggiunto<br />

là dove egli è – in un mondo preciso – con quello che egli è –<br />

<strong>nella</strong> sua situazione di peccato – per donargli mediante la Croce<br />

quello che egli è: figlio amato dal Padre. In questo modo l’uomo<br />

torna ad essere capax Dei.<br />

Tutto questo è stato possibile perché l’uomo era preparato a<br />

ricevere da Cristo il dono <strong>del</strong>la filiazione, al piano <strong>del</strong>la creazione:<br />

Egli è l’Omega – cioè il compimento <strong>del</strong>l’uomo – in quanto è<br />

l’Alfa. Ma, allo stesso tempo, Egli è Alfa – cioè Creatore <strong>del</strong>l’uomo<br />

– in quanto Omega. In definitiva, la creazione <strong>del</strong>l’uomo,<br />

cioè <strong>del</strong>l’essere umano in quanto tale, “trae la sua condizione di<br />

possibilità dalla Croce gloriosa <strong>del</strong> Figlio” 20 .<br />

Il piano eterno <strong>del</strong> Padre ha preso forma <strong>nella</strong> storia <strong>del</strong>la<br />

salvezza passando attraverso la croce gloriosa <strong>del</strong> Figlio. “Si<br />

capisce perché c’è d’ora in avanti nel nostro mondo un nuovo<br />

giardino (cf. Gv 19,41) nel quale è piantato un nuovo albero, l’albero<br />

<strong>del</strong>la croce vivente <strong>nella</strong> carne stigmatizzata di Gesù e palpitante<br />

<strong>del</strong>la gloria filiale (cf Ap 22,14) accordata dal Padre nel<br />

“vigore <strong>del</strong>la forza” <strong>del</strong>lo Spirito (cf. Ef 1,19-20)” 21 .<br />

Dalla Croce sorge una morale nuova, frutto <strong>del</strong>l’antropolo-<br />

19<br />

TREMBLAY R., “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5) in ID.,<br />

L’“Innalzamento” <strong>del</strong> Figlio fulcro <strong>del</strong>la vita morale (Roma 2001) pp. 24-25.<br />

20<br />

TREMBLAY R., “Senza di me non potete… p. 34.<br />

21<br />

TREMBLAY R., <strong>La</strong> croce, il sorgere di una morale teofanica in ID.,<br />

L’“Innalzamento” <strong>del</strong> Figlio fulcro <strong>del</strong>la vita morale (Roma 2001) p 77


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 111<br />

gia filiale, che è caratterizzata dal dono radicale all’altro; essa si<br />

caratterizza per un “duplice abbandono di sé, richiamatesi l’un<br />

l’altro, cioè l’abbandono di sé a vantaggio <strong>del</strong>la gloria di Dio e<br />

l’abbandono di sé a vantaggio dei fratelli, di preferenza i più<br />

indifesi” 22 . Tale morale è di ordine teo-fanico, anziché antropofanico:<br />

“il credente accetta di non vantarsi, di non “glorificarsi<br />

davanti a Dio” (cf. 1Cor 1,29) cercando la propria gloria in se<br />

stesso o nel suo entourage per lasciare tutto il posto al Padre e<br />

farne risplendere la gloria nel mondo” 23 . Il comportamento<br />

morale consiste nel rendere gloria al Padre, piuttosto che a se<br />

stessi e si fonda sulla verità che l’uomo è partecipe <strong>del</strong>l’Essere<br />

stesso <strong>del</strong> figlio, Essere che consiste nel rinviare al Padre (cf Gv<br />

5,42-43). Il credente, che è essenzialmente figlio, accoglie<br />

l’Essere divino <strong>del</strong> Figlio <strong>nella</strong> sua dimensione relazionale orientato<br />

al Padre e con il suo agire nel mondo lascia trasparire la gloria<br />

<strong>del</strong> Padre. <strong>La</strong> morale è di tipo filio/patro-fanico.<br />

Inoltre, la morale filiale comporta l’apertura di sé a vantaggio<br />

dei fratelli. L’evento <strong>del</strong>la Croce, prefigurata nell’episodio<br />

<strong>del</strong>la lavanda dei piedi (cf. Gv 13, 1-20) è paradigmatico per l’agire<br />

<strong>del</strong> credente. Qui è presente l’Essere di Dio come Agape,<br />

apertura all’uomo nel servizio da schiavo. Precisa Tremblay: “<strong>La</strong><br />

morale cristiana condensata nel servizio da schiavo per amore,<br />

diventa quindi, anch’essa, rivelatrice <strong>del</strong> volto di Dio” 24 . Così il<br />

servizio da schiavo, rappresentato dalla lavanda dei piedi non è<br />

per i credenti un atto morale accanto agli altri, “ma è l’espressione<br />

per eccellenza <strong>del</strong>la loro comunione con l’essere filiale di<br />

Gesù che si irradia sul Golgota, dopo essersi già manifestata nel<br />

cenacolo” 25 .<br />

22<br />

TREMBLAY R., <strong>La</strong> croce, il sorgere di una morale… p. 70<br />

23<br />

TREMBLAY R., Realizzare nel mondo la relazione Padre-Figlio in ID., Voi,<br />

luce <strong>del</strong> mondo…<strong>La</strong> vita morale dei cristiani: Dio fra gli uomini (Bologna<br />

2003) p. 52.<br />

24<br />

TREMBLAY R., <strong>La</strong> “lavanda dei piedi” di Gv 13,1-20 in ID., Radicati e<br />

fondati nel Figlio. Contributi per una morale di tipo filiale (Bologna 1997) p.<br />

137.<br />

25<br />

TREMBLAY R., <strong>La</strong> dimensione teologale <strong>del</strong>la morale in ID., Radicati e<br />

fondati nel Figlio. Contributi per una morale di tipo filiale (Bologna 1997) p.<br />

120.


112 MARCO DOLDI<br />

Stando così le cose, Tremblay non teme di indicare la morale<br />

di tipo filiale come l’elemento maggiore <strong>del</strong>la nuova evangelizzazione:<br />

avendo attribuito una tale dignità all’agire <strong>del</strong>l’uomo<br />

in forza <strong>del</strong>l’amore che è Dio, non può che toccare il cuore <strong>del</strong>l’uomo<br />

contemporaneo, spesso indurito e disattento all’amore,<br />

proprio perché non conosce la verità <strong>del</strong>l’amore.<br />

3. Linee strutturali<br />

A conclusione di questo percorso, che ha evidenziato in<br />

modo necessariamente sintetico il pensiero di due teologi moralisti,<br />

è possibile indicare alcuni punti, che divengono fondamentali,<br />

a motivo <strong>del</strong>la fe<strong>del</strong>tà alle indicazioni conciliari.<br />

L’attualità <strong>del</strong> cristocentrismo. Da qualche parte si vuole<br />

dimostrare che la morale cristocentrica sia un paradigma superato<br />

26 . Il cristocentrismo sarebbe stato una comprensibile reazione<br />

al pensiero neoscolastico, che predominava nei manuali<br />

pre-conciliari, ma, successivamente, sarebbe divenuto inutile, a<br />

motivo <strong>del</strong>la sua mancanza di scientificità.<br />

Riteniamo di non condividere questa posizione: infatti, si<br />

tratta di stabilire la qualità <strong>del</strong> cristocentrismo: se esso è inteso<br />

come un semplice riferimento alla Sacra Scrittura, riferimento<br />

che si risolve in un accumulo di testi o in un richiamo generale<br />

alla sequela di Cristo per motivare gli atteggiamenti di fondo <strong>del</strong><br />

credente, certamente tale cristocentrismo si rivela fallimentare,<br />

perché insufficiente.<br />

Ma, se al cristocentrismo si permette di mostrare – attraverso<br />

le diverse tradizioni neotestamentarie ed attraverso l’accoglienza<br />

di queste <strong>nella</strong> riflessione viva <strong>del</strong>la Chiesa – il ruolo fondante<br />

di Cristo nei confronti <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong> suo agire, allora il<br />

cristocentrismo risulta essere il vero fondamento <strong>del</strong>la morale<br />

cristiana.<br />

Dove comincia la riflessione morale? Forse qualcuno potrebbe<br />

essere indotto a pensare che molte <strong>del</strong>le riflessioni svolte da<br />

26<br />

Si veda per esempio DEMMER K., Interpretare e agire. Fondamenti <strong>del</strong>la<br />

morale cristiana (Cinisello Balsamo 1989) pp. 83 e ss.


IL RINNOVAMENTO POSTCONCILIARE 113<br />

Tettamanzi e da Tremblay siano di ordine dogmatico e, pertanto,<br />

non appartengano alla morale; questa comincerebbe quando<br />

si approfondisce in modo sistematico l’agire <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Personalmente ritengo che, sulla base <strong>del</strong>la Optatam Totius<br />

16, la <strong>teologia</strong> morale debba in primo luogo riflettere, proprio<br />

con l’aiuto dei dati teologici, su chi sia l’uomo raggiunto da<br />

Cristo nei costitutivi <strong>del</strong> suo essere così da ricevere il dono <strong>del</strong>la<br />

filiazione e debba continuare indicando la qualità filiale <strong>del</strong> suo<br />

agire, che si concretizza nell’agire morale, indicandone la qualità<br />

filiale.<br />

Quale è il primo compito <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale? Lo abbiamo<br />

già indicato alcune volte: quello di mostrare l’altezza <strong>del</strong>la vocazione<br />

che i fe<strong>del</strong>i hanno ricevuto in Cristo. Qui bisogna spendere<br />

energie per mostrare la bellezza <strong>del</strong>la chiamata in Cristo, una<br />

chiamata – direbbe Capone – di ordine sostanziale, perché il<br />

Padre chiamando l’uomo nel Figlio lo destina alla filiazione.<br />

Diventa importante approfondire il legame di Cristo con<br />

l’uomo, studiando in quali tornanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la salvezza<br />

Egli intervenga per attuare il disegno <strong>del</strong> Padre.<br />

<strong>La</strong> questione antropologica appartiene quindi alla <strong>teologia</strong><br />

morale. Si tratta di indicare quale sia l’identità e il volto <strong>del</strong>l’uomo,<br />

chiamato ad agire nel mondo. E su questo non possono<br />

esserci dubbi: attraverso la venuta di suo Figlio, Dio fa di noi i<br />

suoi figli adottivi (cfr. Gal 4,4-7; Rom 8,14-17). Con la Scrittura<br />

precisiamo che questo rapporto è reale: Dio fa di noi i suoi figli,<br />

grazie ad una scelta che dipende esclusivamente dalla gratuità<br />

<strong>del</strong> suo amore; ancora, Egli stabilisce con noi un nuovo legame<br />

di parentela, comunicando a noi l’Essere divino che costituisce<br />

il Figlio.<br />

L’essere filiale ci trasforma al punto che acquisiamo la capacità<br />

di chiamare Dio col nome di Abbà. Infine, ricordiamo che la<br />

comunicazione <strong>del</strong>l’essere filiale è opera <strong>del</strong>lo Spirito personale<br />

<strong>del</strong> Figlio, realmente presente nel cuore dei credenti.<br />

<strong>La</strong> cristologia e l’agire concreto <strong>del</strong>l’uomo. Nel periodo post<br />

conciliare non è mancato chi ha riservato a Cristo solo una menzione<br />

all’inizio <strong>del</strong>la trattazione, per tralasciarne poi il ruolo e<br />

adoperarsi in una trattazione prevalentemente – se non meramente<br />

– filosofica. Questo ha portato alcuni a ritenere che la<br />

centralità di Cristo non permetterebbe di giungere alla concretezza<br />

<strong>del</strong>la vita morale.


114 MARCO DOLDI<br />

In realtà, anche la parte sistematica <strong>del</strong>la morale deve svolgersi<br />

sotto il segno di Cristo. Atto morale, libertà, coscienza,<br />

legge morale, etc. sono da presentarsi come le modalità di esercizio<br />

<strong>del</strong>la vita filiale. Di qua la riflessione continua per indicare<br />

un cammino di autentica perfezione.<br />

Una morale teofanica. Diveniamo sempre più consapevoli<br />

che la morale non è costituita essenzialmente dalle norme e<br />

dalle leggi; essa prima di tutto è manifestazione <strong>del</strong>l’agire di Dio,<br />

o meglio ancora è manifestazione <strong>del</strong> suo Essere-Agape.<br />

<strong>La</strong>vanda dei piedi, Croce, ma anche Eucarestia rivelano, attraverso<br />

il Figlio che ne è la causa, il volto di un Dio che esce da se<br />

stesso e si mette a servizio <strong>del</strong>l’uomo, assumendo la condizione<br />

di servo, offrendo se stesso <strong>nella</strong> sofferenza sino in fondo, nel<br />

consegnarsi come cibo per essere masticato e divenire nutrimento<br />

<strong>del</strong>l’uomo.<br />

<strong>La</strong> morale assume, così, prospettive e panorami inediti, quali<br />

lo Spirito <strong>del</strong> Figlio indica al credente in un dinamismo di imitazione<br />

<strong>del</strong> Padre, di perfezione evangelica, di santità cristiana.<br />

Morale e testimonianza. Sappiamo che da tempo la morale<br />

ha una cattiva reputazione, perché è intesa come un insieme di<br />

precetti scomodi, come un’umiliazione <strong>del</strong>la libertà. A ben guardare<br />

le cose, si deve dire tutto il contrario! L’evento <strong>del</strong>la croce<br />

trova la sua ragion d’essere <strong>nella</strong> libertà <strong>del</strong> Figlio che ha scelto<br />

di mostrare al mondo il suo grande amore per il Padre e per l’uomo:<br />

nessuno l’ha costretto, perché egli solo ha il potere di dare<br />

la vita (cf. Gv 10,18).<br />

Analogamente, la vita morale <strong>del</strong> credente sarà costantemente<br />

sotto il segno di una libertà che si fa dono e servizio degli<br />

ultimi, continuando il gesto d’amore <strong>del</strong> Figlio, direbbe Capone,<br />

il mandato <strong>del</strong> Padre nel mondo. Così vissuta la morale diverrà<br />

segno credibile <strong>del</strong> Dio amore per l’uomo <strong>del</strong> terzo millennio.<br />

—————<br />

MARCO DOLDI<br />

L’autore è docente di Teologia Dogmatica e Teologia Morale<br />

presso la Facoltà Teologica <strong>del</strong>l’Italia Settentrionale, Sezione di<br />

Genova, <strong>del</strong>la quale è anche Direttore.<br />

—————


StMor 42 (2004) 115-145<br />

TERENCE KENNEDY C.SS.R.<br />

PATHS OF RECEPTION: HOW GAUDIUM ET SPES<br />

SHAPED FUNDAMENTAL MORAL THEOLOGY<br />

Reception became a lively topic of research only after<br />

debates began on how the Second Vatican Council was to be<br />

implemented. Its first phase was kerygmatic, an enthusiastic<br />

welcome for a new vision of Christian existence. Once the<br />

uniqueness of the Conciliar event was recognised a process of<br />

assimilation and rejection commenced. This involved a multistage<br />

discernment of the Council’s impact on the Church’s ongoing<br />

tradition at all levels and in all spheres of life. Not just a<br />

question of exegeting the Council’s sixteen documents, it equally<br />

involved integrating the effects of its celebration, its<br />

Wirkungsgeschichte into her history down the ages. The Spirit is<br />

the primary agent encouraging the Church to nourish herself at<br />

the fount of the Council’s richness. The sustenance she assimilated<br />

into her bloodstream invigorated all God’s people, as testified<br />

by new vitality in her official teaching, by the depth of<br />

theological reflection, and by charismatic initiatives in spirituality<br />

and service of the world. 1 Of course it would be utterly presumptuous<br />

to pretend to draw up a balance sheet of all aspects<br />

of the Council’s reception up to now.<br />

The Pastoral Constitution Gaudium et Spes shaped the<br />

nascent discipline of fundamental moral theology by rethinking<br />

the Church’s relationship to the world. This essay examines the<br />

theological reception of that document and its influence on the<br />

coming into existence of a new research community and discipline,<br />

namely, fundamental moral theology. Gaudium et Spes<br />

and moral theology are like the two foci of an ellipse marking<br />

1<br />

See Giles ROUTHIER, <strong>La</strong> réception d’un Concile, Cerf, Paris 1993. Also<br />

Hermann J. POTTMEYER, “A New Phase in the Reception of Vatican <strong>II</strong>,” in The<br />

Reception of Vatican <strong>II</strong>, G. ALBERIGO et al. (eds.), The Catholic University of<br />

America Press, Washington, D.C. 1987, 29-34.


116 TERENCE KENNEDY<br />

out the enlarged territory in which fundamental moral theology<br />

emerged. The argument will unfold in this order: I. Christian<br />

Morality and Church-World Problems; <strong>II</strong>. Gaudium et Spes’s<br />

Contribution to a New Moral Vision; <strong>II</strong>I. Its Deeper Reception<br />

into Moral Theology; IV. Renewing the Foundations of Moral<br />

Theology; and V. Reception, Renewal and the Sources of Moral<br />

Theology.<br />

I. Christian Morality and Church–World Problems<br />

Rereading Gaudium et Spes after nearly forty years still sets<br />

one afire with hope. It has the style of the Spiritual Exercises<br />

that touches the deepest sentiments of our times. Before the<br />

Council Yves Congar said. “This is what the Church needs to do<br />

– to go into retreat. The Council ought to be a time of retreat for<br />

the Church, a time to re-examine herself as she faces her responsibilities…<br />

in the light of the principles she accepts as the pattern<br />

of her life: the Gospel, the revelation of God, and the<br />

demands of Jesus Christ.” 2 Gaudium et Spes was not on the<br />

Council’s original agenda. It emerged out of Pope John XX<strong>II</strong>I’s<br />

project for a pastoral Council to renew the Church’s life ad intra<br />

and to respond to the needs of the world ad extra. 3 The last doc-<br />

2<br />

Ecumenism and the Future of the Church, Priory Press, Chicago 1967, 76.<br />

3<br />

See the commentaries; F. Gil HELLÌN, Concilii Vaticani <strong>II</strong> Synopsis<br />

“Gaudium et Spes”, Libreria Editrice Vaticana, Città <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> 2003; M.<br />

LAMBERIGTS and L. KENIS, (eds.), Vatican <strong>II</strong> and its Legacy, Leuven University<br />

Press, Leuven 2002; G. TURBANI, Un <strong>Concilio</strong> per il mondo moderno: <strong>La</strong> redazione<br />

<strong>del</strong>la constituzione “Gaudium et Spes” <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, Il Mulino,<br />

Bologna 2000; Peter HÜNERMANN (ed.), Das <strong>II</strong> Vaticanum: Christlicher Glaube<br />

im Horizont globaler Modernisierung, Ferdinand Schrönigh, Paderborn 1998;<br />

Continuity and Change in the Human Condition “Gaudium et Spes”, 30 Years<br />

<strong>La</strong>ter, in S.M., XXXV (1997) 1 (whole issue); Gottard FUCHS and Andreas<br />

LIENKAMP (eds.), Visionen des Konzils: 30 Jahre Pastoralkonstitution “Die<br />

Kirche in der Welt von heute”, LIT, Münster 1997; L. SARTORI, Introduzione alla<br />

Gaudium et Spes, Messaggero, Padova 1995; G. ALBERIGO (ed.), Storia <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, 5 vols., Il Mulino, Bologna 1995-2001; The Moral<br />

Theology of Vatican <strong>II</strong> and its Reception, in S.M., XXIV (1986) 1 (whole issue):<br />

H. VORGRIMLER (ed.), Commentary on the Documents of Vatican <strong>II</strong>, Vol. 5,<br />

Herder and Herder, New York 1969 (hereafter Vorgrimler); Enrico CHIAVACCI,


PATHS OF RECEPTION 117<br />

ument promulgated by the Council, it brought his desire to fulfilment<br />

in a way nobody foresaw. His idea of aggiornamento is an<br />

organic concept, a metaphor taken from biology. Plant and animal<br />

species all include a number of varieties that modify a basic<br />

common structure allowing them to survive in differing habitats.<br />

A time can come when a species’ survival requires a radical<br />

change of type. A species ceases to be “an intelligible solution to<br />

a problem of living in a given environment” 4 when that environment<br />

changes beyond a certain limit and the alternatives are<br />

either extinction or evolution. When evolution occurs, the resultant<br />

species is a new solution to a new problem of living.<br />

Why was the Church so badly adjusted to the contemporary<br />

world–environment that such an adjustment was necessary?<br />

This question furnishes the premise for all that follows.<br />

Gaudium et Spes arose precisely out of the Church’s confronting<br />

that challenge. Out of that same experience moralists realised<br />

that they now had to direct their renewal to a clearer and more<br />

precise aim, i.e., to securing moral theology’s epistemological<br />

status as a theological science. 5 This put a radically new demand<br />

on it, one never so directly faced in its whole history as casuistry,<br />

but now necessary for survival. The Council’s struggle with this<br />

question in each of its four sessions brought the need for it to<br />

put a critical account of its identity into sharp focus.<br />

The Council Fathers grasped intuitively that they had to<br />

overcome the contempt and pessimism of “the flight from the<br />

<strong>La</strong> Constituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Vita e<br />

Pensiero, Milano 1967; Y. M-J. CONGAR, et al (eds.), L’église dans le monde de<br />

ce temps, 3 vols., Cerf, Paris 1967; GROUP 2000, The Church Today, Newman<br />

Press, Westminster, Md. 1967; Philippe DELHAYE, Le dialogue de l’église et du<br />

monde d’après Gaudium et Spes, J. Duculot, Gemloux 1967; S. Quadri (ed.),<br />

<strong>La</strong> Chiesa nel mondo contemoraneo, Borla, Torino 1967; A. FAVALE (ed.), <strong>La</strong><br />

Constituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ElleDiCi,<br />

Leumann (TO) 1966; G. BARUÁNA (ed.), <strong>La</strong> Chiesa nel mondo di oggi,<br />

Valsecchi, Firenze 1966 (hereafter Baráuna).<br />

4<br />

This is Bernard Lonergan’s definition of a species as reported in B. C.<br />

BUTLER’s essay on “The Aggiornamento of Vatican <strong>II</strong>,” in Searchings, Geoffrey<br />

Chapman, London 1974, 257.<br />

5<br />

For background see O. BERNASCONI, Morale autonoma ed etica <strong>del</strong>la fede,<br />

EDB, Bologna 1981.


118 TERENCE KENNEDY<br />

world” 6 spirituality that had dominated the Church’s attitude to<br />

secular reality for centuries. To do this they had to recast the<br />

Church’s relationship to the contemporary world. There is still<br />

no authoritative history of the origins of the split between<br />

Church and world. 7 Congar noted how a monastic mentality permeating<br />

medieval culture judged things not for their intrinsic<br />

worth but solely in terms of salvation. Such a mentality would<br />

never permit the world to develop its full potential and achieve<br />

its true identity. F. Houtard has sketched how this Church–world<br />

dialectic operated. 8 The primitive Church looked outward to<br />

evangelising the world: Constantine began a process of symbiosis<br />

that led to the two-power theory of Christendom: Modernity<br />

grew out of the differentiation and separation of secular institutions<br />

whereby they won independence and autonomy from the<br />

Church. Rebellion against a Christendom mo<strong>del</strong> that subjugated<br />

all civil and cultural institutions to ecclesiastical surveillance<br />

was inevitable. In time politics, commerce, economics, philosophy,<br />

science, art and ethics liberated themselves from her hegemony.<br />

Philippe Delhaye stresses how these institutions had to<br />

battle Church authority in order to be born and to stay in existence.<br />

Once outside the Church’s sphere of influence, they<br />

usually bitterly resisted having anything to do with her. Church<br />

and world had grown so far apart that the power of God’s word<br />

to manifest the intrinsic worth of human progress, its ultimate<br />

purpose, and how the whole universe comes to salvation in<br />

Christ was being rendered largely irrelevant to Western culture.<br />

This betrayed an enigma at the heart of modern moral theology.<br />

The victory of political and human liberty, human rights,<br />

and the new experimental sciences all happened because modernity<br />

broke out of the traditional medieval, hierarchical world-<br />

6<br />

Ph. DELHAYE explains, “la spiritualité en cours est ancore fortement<br />

imprégnée de augustinisme qui, dans la ligne des èscrits johanniques, voit<br />

surtout dans la monde ceaux qui refusent l’Evangile de Jésus (Mundus eum<br />

non cognovit ; non rogo pro Mundo) ”, in “ Les points forts de la théologie<br />

moral à Vatican <strong>II</strong>, ” S.M., XXIV (1986) 1, 30.<br />

7<br />

Yves CONGAR, “<strong>La</strong> chiesa e il mondo,” in Comprensione <strong>del</strong> mondo <strong>nella</strong><br />

fede, AA.V.V., Dehoniane, Bologna 1969, 129-130 especially.<br />

8<br />

L’église et le monde. A propos du Schéma XV<strong>II</strong>, Cerf, Paris 1964.


PATHS OF RECEPTION 119<br />

view. Moral theology, however, continued to use methods essentially<br />

tied to that worldview and so refused to take these finding<br />

seriously. These new movements were accused of supporting<br />

secularism and could not be trusted because they systematically<br />

excluded faith, God and religion from science. But secular society<br />

proceeded to consecrate humanistic values as the cornerstone<br />

of the new democratic state. At Vatican <strong>II</strong> the Church had<br />

to interrogate herself whether her view of history and of social<br />

change might not be distorted. Could it be blocking her perception<br />

of the Gospel values hidden deep down in the foundations<br />

of modernity? The pre-Christian philosophies of Plato and<br />

Aristotle had enriched the Church. Why should she stand aloof<br />

and alienate herself from similar conquests of the human mind<br />

occurring during the period of Christian history? 9<br />

Thus a number of deeply rooted moral presuppositions that<br />

regulated the Church’s action in the world had to be rectified.<br />

The manuals defined morality as a set of rules or obligations<br />

externally imposed on individuals, and this in terms of sin and<br />

not of happiness and fulfilment. The lay state was thereby devalued<br />

to an inferior style of life where salvation was gained by<br />

avoiding sin rather than by love as in religious life. The<br />

neoscholastic version of natural law based on quite rationalistic<br />

and ahistorical notions of immutable nature was employed to<br />

justify this morality, a universe where the natural and supernatural<br />

existed on separate levels. The Council never thought it had<br />

the task of criticising such theories in themselves. Freely accepting<br />

the world’s present reality, it declared, “And so mankind substitutes<br />

a dynamic and more evolutionary concept of nature for<br />

a static one”(5). 10 But a Gospel vision of a world in movement<br />

was set to revolutionise how moral theology understood its mission.<br />

Determined to address all humanity (2) the Council<br />

Fathers discovered that current language resonating Scriptural<br />

9<br />

Ph. DELHAYE develops this point in Dialogo Chiesa-mondo, Citta<strong>del</strong>la,<br />

Assisi, 1968, 64 and 75.<br />

10<br />

Numbers in brackets henceforth refer to GS. Citations will be from<br />

Austin FLANNERY, Vatican Council <strong>II</strong>, Vol. I., Eerdmans, Grand Rapids,<br />

Michigan 1992 edition.


120 TERENCE KENNEDY<br />

insights fulfilled its purpose of proclaiming the Gospel to the<br />

world much better than strictly technical terminology.<br />

<strong>II</strong>. Gaudium et Spes’s Contribution to a New Moral<br />

Vision<br />

The Constitution’s title underlined the Council’s pastoral<br />

intent. It centred attention on the practical attitude the Church<br />

should assume to the contemporary world. The note attached to<br />

the title states that the pastoral and doctrinal dimensions of<br />

ecclesial action are inseparable. Moral theology’s relation to pastoral<br />

realities was turned on its head. Previously morals became<br />

pastoral by applying principles, thereby extending them to real<br />

life situations, but the Council calls for a constant doctrinal–pastoral<br />

interaction or, in current terminology, a praxis–theory<br />

dialectic where science arises out of and never loses contact with<br />

the situation as its starting-point. 11<br />

The Council sought to find an alternative to the centuries<br />

old meaning of the word “world.” Of the four senses available –<br />

creation, the theatre of human activity, all that opposes itself to<br />

God, or ta panta as the final destiny of the universe 12 – the<br />

Council Fathers chose to form their notion from a phenomenology<br />

of the actual transformations in progress. 13 A conception<br />

of the world as existing in and through time, i.e., as history,<br />

resulted. “Therefore, the world which the Council has in mind is<br />

the whole human family seen in the context of everything that<br />

envelops it: it is the world as the theatre of human history, bearing<br />

the marks of its travail, its triumphs and failures”(2). Charles<br />

11<br />

Anton RAUSCHER writes of this methodology, “il punto di partenza non<br />

è costituito immediatemente dai principii generali, che verrano poi applicati<br />

alla realtà concreta, ma è messo piuttosto in primo piano lo sforzo di comporre,<br />

anzitutto, un quadro generale <strong>del</strong>le condizioni sociali, il più fe<strong>del</strong>e<br />

possibile,” in “I fondamenti naturali <strong>del</strong>la vita sociale,” in Baráuna, 296.<br />

12<br />

See Y. CONGAR L’église dans le monde de ce temps, Tome <strong>II</strong>I, Cerf, Paris<br />

1967, 38-41, and J. RATZINGER, “Il cristiano e il mondo d’oggi,” in Comprensione<br />

<strong>del</strong> mondo <strong>nella</strong> fede, AA.V.V., Dehoniane, Bologna 1969, 159-177.<br />

13<br />

See Ph. DELHAYE, op. cit. 69f.


PATHS OF RECEPTION 121<br />

Moeller 14 emphasises the many possibilities this definition contained<br />

with its frank acceptance of the mixture of defeats and<br />

conquests that mark human affairs in<strong>del</strong>ibly. By conscientiously<br />

avoiding naive optimism the Council affirms the world’s<br />

inevitable ambiguity. The Church is joined to the world, inserted<br />

in it, lives immersed in it and not over against it; it shares its<br />

joys and sorrows, trials and triumphs. Christians are, “The bearer<br />

of a message of salvation meant for all men” on their pilgrim<br />

way to “the kingdom of the Father”(1).<br />

The Council throws further light on this statement from the<br />

dogma of creation. It has in mind, “The world, which in the<br />

Christian vision has been created and is sustained by the love of<br />

its maker, which has been freed from the slavery of sin by Christ,<br />

who was crucified and rose again in order to break the stronghold<br />

of the evil one, so that it might be fashioned anew according<br />

to God’s design and brought to its fulfilment”(2). J.<br />

Ratzinger 15 notes how the ancient Greeks could conceive of a<br />

faber, a demiurge forming the matter of the world but not of a<br />

God who “got his hands dirty” by bringing the universe into<br />

being ex nihilo for love of us. Through Christ’s Pasch the present<br />

world is standing on the brink of its final consummation, the<br />

realisation of its vocation. The eschatological tension written<br />

into history means that our final goal can never be fully attained<br />

by human effort today, but that every step forward is sustained<br />

by faith and hope. Salvation history can be summarised as<br />

unfolding in the four phases of creation–sin–redemption–eschatology<br />

that evokes St. Paul’s idea of the divine mysterion (cf. Col<br />

1; Eph 1; Rom 8: 30). The world is thus defined through the<br />

unfolding of the mysterion, God’s plan for humanity’s final fulfilment<br />

in Christ. This is the framework within which moral theology<br />

has to be elaborated.<br />

Human history is analysed anthropologically in the first<br />

three chapters of Part I of the Constitution. The human person<br />

is always the central consideration and is treated according to, i.<br />

its dignity, ii. its life in society, and iii. the significance of its<br />

14<br />

See VORGRIMLER, 89-91.<br />

15<br />

“Il cristiano e il mondo di oggi” in Comprensione <strong>del</strong> mondo <strong>nella</strong> fede,<br />

AA.V.V.,Dehoniane, Bologna 1969, 184.


122 TERENCE KENNEDY<br />

earthly activity. Chapter four describes the mutual “give and<br />

take” that should typify Church– world exchanges. There is an<br />

inner logic in these four chapters derived from a vision that has<br />

been retrieved from the Scriptures and the Fathers of the<br />

Church. Walter Kasper formulated this axiom: the world “is a<br />

reality that God has finalised to Jesus Christ.” 16 Human history<br />

has only one concrete final end, the Kingdom of the Father. It<br />

receives its ontological consistency from God through Jesus<br />

Christ and so is permeated by his Will. Objectively the world is<br />

oriented and directed to God so that all people, whether<br />

Christian or non-Christian, enjoy the possibility of salvation.<br />

Each chapter in Part I ends with a Christological paragraph<br />

that points their teaching on the human person, on society and<br />

on earthly activity, to their recapitulation in Christ. In this limited<br />

space it is possible to discuss but one governing principle from<br />

each chapter, a theme deemed necessary for renewing moral<br />

teaching according to the mind of the Council. Chapter one’s conception<br />

of the human person as imago Dei leads to the trade mark<br />

assertion of the whole Pastoral Constitution; “it is only in the<br />

mystery of the Word made flesh that the mystery of man truly<br />

becomes clear” (22). As a “partner in the paschal mystery” every<br />

human person shares Christ’s destiny of death and resurrection.<br />

Z. Alszeghy interprets this chapter as a Gospel of grace. 17 Our<br />

creaturely status means not just temporary dependence of origin<br />

on God but a permanent state, a vocation to be God’s companion,<br />

co-operating with Him to build up the world for the coming of<br />

the Kingdom. In Scripture being created “in justice” means that<br />

God acts in people so that they can know and love each person in<br />

the Trinity. As imago each human person is God’s viceroy in the<br />

universe, one through whom God achieves his purpose. Their<br />

vocation puts God’s plan for creation into action. By abolishing<br />

the power of sin, pouring out the Spirit into their heart, Christ<br />

16<br />

Quoted by Francesco SCANZIANI, “<strong>La</strong> Chiesa nel mondo: Attualitá di<br />

alcuni principi ispiratori <strong>del</strong>la Gaudium et Spes,” in <strong>La</strong> rivista <strong>del</strong> clero italiano,<br />

LXXXIV(2003)10, 713.<br />

17<br />

“<strong>La</strong> dignita’ <strong>del</strong>la persona umana,” in <strong>La</strong> Constitutione pastorale sulla<br />

Chiesa nel mondo contemporaneo, A. Favale (ed.), ElleDiCi, Leumann (TO)<br />

1966, 427,429, 447-449.


PATHS OF RECEPTION 123<br />

has made them “capable of fulfilling the new law of love”(22).<br />

Redemption gives them a new role as personal collaborators with<br />

Christ, cooperating with the action of the Holy Spirit to bring<br />

about “a new heaven and a new earth.” Gaudium et Spes challenges<br />

moral theology to restore the tract on grace to its rightful<br />

place so that human action may once again be understood<br />

through its relation to the divine persons.<br />

Chapter two emphasises human solidarity between all the<br />

world’s peoples, because God intends to save people not as individuals<br />

but in society, as his chosen people. GS 34 furnishes the<br />

theological justification for the Church’s social teaching and for<br />

the corporate character of the human vocation and effort. “In<br />

his fatherly care for all of us, God desired that all men should<br />

form one family and deal with each other in a spirit of love.”<br />

This reality has three dimensions. Vertically, all form a community<br />

in God’s sight since all are created in God’s image and so are<br />

destined to God as their ultimate supernatural end. On the horizontal<br />

plane, community with God produces effects in people’s<br />

behaviour toward each other. Love of God must be realised in<br />

love of neighbour. Thus love animates the growing interdependence<br />

that people experience, otherwise the expansion of technology<br />

will become an impossible tyranny if not redeemed by<br />

the power of neighbourly love. The third dimension is the<br />

Christian interpretation of the unity of God and neighbour. Otto<br />

Semmelroth puts the Council’s position this way: “Man’s likeness<br />

to God does not found a community solely because all individuals<br />

are created in God’s image, but because mankind, multiple in<br />

unity, is an image, even if an imperfect one, of the one God in<br />

three persons.” 18 Human persons can find themselves only by<br />

meeting with and giving themselves to others. People are made<br />

for communion with each other and God. The spontaneous total<br />

self-giving of the divine persons is an ideal that human persons<br />

only learn to imitate laboriously. Christ “has opened up new<br />

horizons closed to human reason by implying that there is a certain<br />

parallel in the union existing between the divine persons<br />

and the union of the sons of God in truth and love.” Charity is<br />

therefore the supreme principle of all human relationships and<br />

18<br />

VORGRIMLER, 167.


124 TERENCE KENNEDY<br />

community, the foundation on which both the Church’s social<br />

teaching and moral theology are built. Principles such as the<br />

dignity of the person, the common good, human rights, and<br />

human duties flow from it, as the Council makes evident (23-32).<br />

This principle has penetrated deeply into the practice of<br />

moral theology today to correct old errors and to bring the<br />

Church’s social teaching within its jurisdiction. The “need to<br />

transcend an individual morality”(30) signals a sea–change in<br />

the way the Church wants to live the Gospel. It criticises “a<br />

merely individualistic morality” for thinking that one can practise<br />

charity without involvement in social institutions.<br />

Conscience told one how “to save one’s soul” without any<br />

qualms about the social destiny of humanity. But participation<br />

in the social domain is an essential element of Christian doctrine.<br />

A piety that conceived faith’s salvific power in terms of the<br />

modern “self” put the Church, as it were, “on the wrong foot”<br />

with the world. Moral theology was accustomed to reinforce this<br />

situation strenuously. The Council on the other hand asserted<br />

that all morality is by nature social. John Paul <strong>II</strong> in his encyclical<br />

Sollicitudo Rei Socialis drew the obvious conclusion. The<br />

Church’s social teaching, “belongs to the field, not of ideology,<br />

but of theology and particularly of moral theology” (SRS 41).<br />

This bequeaths moral theology an immense future task.<br />

Chapter three confronts the modern ideal of progress, the<br />

making of a better world by developing human wealth and<br />

resources. Here human activity is taken as the power to transform<br />

the material universe, dominion over creation through science<br />

and technology. Beginning from the person’s “total vocation”<br />

(35) the Council underlines the value of work and the<br />

autonomy of temporal institutions and sciences. The things of<br />

this world are more than materials to be used for moral and religious<br />

purposes, “occasiones moralitatis sive pietatis” as in the<br />

Middle Ages. They have an ontological consistency of their own<br />

previous to any religious or moral consideration. Alfons Auer<br />

says, “People nowadays no longer wish their dealings with the<br />

world to be purely meditative or philosophical, they want to<br />

shape the world for their own use and get the best out of it.” 19<br />

19<br />

VORGRIMLER, 189.


PATHS OF RECEPTION 125<br />

While defending the autonomy of secular institutions and their<br />

intrinsic value, these are to be integrated into man’s vocation to<br />

eternal life as part of God’s plan. Human persons must refer<br />

themselves and everything that they transform by their deeds to<br />

the Creator. This means that they have to put into effect the<br />

intrinsic relation that links them and things to God consciously.<br />

This is the condition for glorifying God on this earth. The<br />

Council wants to heal the split between faith and life by restoring<br />

the intrinsic value of earthly realities. “The fundamental law<br />

of human perfection, and consequently of the transformation of<br />

the world, is the new commandment of love… the way of love is<br />

open to all men… and the effort to establish a universal brotherhood<br />

will not be in vain.” Earthly progress has to be distinguished<br />

from the growth of God’s Kingdom, and yet they are<br />

deeply joined. In the Eucharist, “natural elements, the fruits of<br />

man’s cultivation, are changed into his glorified Body and<br />

Blood,” a foretaste of the heavenly banquet. There we will rediscover<br />

the fruits of work “cleansed this time from the stain of sin,<br />

illuminated and transfigured, when Christ presents to the Father<br />

an eternal and universal kingdom” (39). This Kingdom is already<br />

present in the world as it awaits its consummation at Christ’s<br />

coming. As with the first two chapters moral theology cannot<br />

ignore the sacramental and eschatological dimensions of human<br />

effort and so needs to reinstate them as constitutive of human<br />

action, historically considered.<br />

The first three chapters can be summarised as what the<br />

Church offers the world. The fourth also addresses what the<br />

world offers the Church, i.e., how she can learn from “the other.”<br />

There are four areas in which the Church receives from the<br />

world: i. the treasures of culture, especially self-knowledge and<br />

the truth about the human person; ii. language as a gift cultures<br />

offer to the Church, a means not just of expression but also of<br />

being and identity. In this spirit priests and theologians are invited<br />

to listen to the voices of the age; iii. the Church as an agent<br />

for unity in the world. But the world also creates unity in families,<br />

culture, the economy, politics and international relations.<br />

The world is not just the matter from which the Church forms<br />

the people of God, but it also prepares that unity. The Church<br />

takes from the world organisational forms and means of communication<br />

that she uses in her evangelising mission; iv. the


126 TERENCE KENNEDY<br />

Church as she learns from opposition and persecution.<br />

Questions put to the Church serve not only to purify her<br />

motives: they may also open her mind to new realities and the<br />

need for dialogue. This openness to “the other,” says Congar,<br />

flows out of the Church’s catholicity as an expression of Christ’s<br />

pleroma. 20<br />

<strong>II</strong>I. Its Deeper Reception into Moral Theology<br />

The Constitution constructed its approach to the<br />

Church–world relationship along an anthropology-Christology<br />

axis. This implies a certain view of ecclesiology and the Church’s<br />

mediating task in the world. In Gaudium et Spes the Church<br />

achieved consciousness of her identity through her relationship<br />

to the world. Exactly on this point a paradigm shift in Catholic<br />

thinking occurred. 21 Post-tridentine theology employed juridical<br />

categories to underpin its theory of the Church as a perfect society.<br />

It defended her authority against the Reformers’ attacks, a<br />

stance reinforced in the age of Revolution when ecclesiology<br />

was presented nearly always as apologetics. Struggling to find a<br />

new locus for the Church in the world, Vatican <strong>II</strong> chose theological<br />

anthropology, 22 not law, as its starting-point from which to<br />

explain her presence in human history. Long-dormant concepts<br />

from patristic and medieval theology began to play an active role<br />

again. These formed an original synthesis, an ecclesiology very<br />

different from the baroque ideal of a Church founded on public<br />

20<br />

VORGRIMLER, 220-221.<br />

21<br />

See Peter HÜNERMANN, “Die Frage nach Gott und der Gerechtigkeit:<br />

Eine kritische dogmatische Reflexion auf die Pastoralkonstitution,” in Das <strong>II</strong><br />

Vaticanum: Christliche Glaube im Horizont globaler Modernisierung, P.<br />

Hünermann (ed.), Ferdinand Schrönigh, Paderborn 1998, 125 f.<br />

Unfortunately space does not permit a discussion of the God–question in GS.<br />

22<br />

This means that Christian anthropology is the proximate foundation<br />

of moral theology, a point often overlooked in debates after the Council. It is<br />

quite impossible to derive moral principles from Christology alone without<br />

the mediation of a theological anthropology. Nor does GS begin philosophically<br />

or with a natural ethic and then work toward Christ. It is theological at<br />

every stage.


PATHS OF RECEPTION 127<br />

law. The title, Jesus Christus, caput hominum, head of all<br />

humanity without exception was the key to the Council’s<br />

thought, a conception dear to St. Thomas Aquinas. It is clear<br />

that the anthropology-Christology axis was the Council’s only<br />

formal perspective on ecclesiology. Having established this<br />

patristic intuition in Lumen Gentium the Council then extended<br />

it in Gaudium et Spes to the way the Church lives out her identity<br />

in history. Time, secular society and the whole human<br />

dimension of life thereby acquire new meaning for faith and<br />

moral theology. For a Church “with a human face,” the<br />

humanum focuses her attention on the urgent tasks of salvation<br />

history. This shift to theological anthropology carries with it a<br />

new mental framework in which moral theology has to be conceived,<br />

elaborated and taught.<br />

Enrico Chiavacci 23 gives a rather dramatic illustration of<br />

how this shift actually works out in the case of marriage. The<br />

post-tridentine Church viewed it as a sacrament ad intra, a formal<br />

structure in Catholic culture, an institution regulated by<br />

canon law. Today we treat it more ad extra as an anthropological<br />

reality with biological, psychological, cultural, social, political,<br />

legal and religious dimensions. These sciences provide the<br />

knowledge necessary for theologians to arrive at an informed<br />

faith–judgement on the matter. What effect did this new awareness<br />

of the humanum have on moral theology as an ecclesial discipline?<br />

The official call for renewal in moral theology was proclaimed<br />

not by Gaudium et Spes but by Optatam Totius on the<br />

training of priests. Special care was to be paid to three matters:<br />

i. its scientific presentation, ii. its nurture by Scripture, and, iii.<br />

the vocation of the laity “to bring forth fruit in charity for the life<br />

of the world’ (OT 16). Apart from this the Council does not mention<br />

moral theology explicitly, as Congar observed. 24 Bernard<br />

Häring agreed but argued the importance of every Council state-<br />

23<br />

“<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> <strong>del</strong>la ‘Gaudium et Spes,’” in Il <strong>Concilio</strong> venti anni dopo,<br />

N. Galantino (ed.), A.V.E., Roma 1986, 7.<br />

24<br />

He noted this lack in the Council in his speech to the Third<br />

International Congress on the <strong>La</strong>y Apostolate, Rome, 1967.


128 TERENCE KENNEDY<br />

ment for the renewal of moral theology. 25 The 1985<br />

Extraordinary Meeting of the Synod of Bishops’ established a<br />

hermeneutic for interpreting the organic relationship linking the<br />

Council’s documents, the four Constitutions being the key to all<br />

the rest. This Synod marked the crossing of a threshold in the<br />

reception of Gaudium et Spes which now had to be thought of in<br />

terms of communio, God’s Covenant with the world by which he<br />

draws it into union with himself.<br />

Introducing Part <strong>II</strong> of Gaudium et Spes, the Council indicates<br />

how the status of moral theology might be formulated in<br />

openness to the world. “We must seek light for each of these<br />

problems from the principles which Christ has given us.”(46) We<br />

recognise here the document’s Christocentricism. It then distinguishes<br />

two spheres in which these principles are to be actuated.<br />

Ad intra, inside the Church they provide guidance for the<br />

conscience of the faithful; for humanity ad extra, they are the<br />

Church’s contribution to a common search, an appeal to truth in<br />

finding genuine solutions to humanity’s problems. Part <strong>II</strong> of the<br />

Constitution on urgent questions concerning marriage, economy,<br />

and politics pertains to special morals and so falls outside<br />

our scope here. The function of the above principles is to<br />

“enlighten.” They yield a sapiential grasp of the truth more from<br />

spiritual insight than by rigorous reasoning. “In this way the<br />

faithful will receive guidance and all men will be enlightened in<br />

their search for solutions to so many complex problems.” Moral<br />

theology has to treasure these Gospel insights, pressing them<br />

into service of God’s intention in the world.<br />

In practice moralists found that two of Gaudium et Spes’s<br />

key categories, the signs of the times and dialogue, equipped<br />

them with new methods that would give moral theology a<br />

prophetic voice in a changing society. Several senses of the<br />

phase “the signs of times”(4 and 11) are to be excluded. They are<br />

not a direct reference to Matthew 16:31, describing the inability<br />

of Jesus’ hearers to acknowledge God’s final judgement on the<br />

25<br />

See Auf dem Weg zu einer christlichen Moraltheologie, Verlag der St.<br />

Paulus–Mission, Remscheid 1969, especially chapter 2, “Der Einfluss des<br />

Vaticanum <strong>II</strong> auf die Moraltheologie,” 28-42.


PATHS OF RECEPTION 129<br />

world already present in himself. Nor can they refer to God’s<br />

presence or absence in history as chronos, as in the ancient<br />

Roman proverb, vox temporis, vox Dei. They cannot be simply<br />

“read-off” empirically from a kairos as God’s intervention from<br />

what we see before us. They are events pregnant with Gospel significance.<br />

Without Scripture they cannot be understood, a difficulty<br />

that led J. Ratzinger to declare, “we have no rules of kerygmatic<br />

hermeneutics.” 26<br />

The signs of the times are concerned precisely with perceiving<br />

the presence of Christ’s action in the world. How do the<br />

Church and the Scriptures escape being prisoners of the historical<br />

past? The text speaks of “discernere”(11) thereby balancing<br />

off the Christological-historical with the pneumatological–kairological<br />

dimension. The Church thus returns to the wisdom tradition<br />

of discerning spirits. “Because ‘the Lord is the Spirit’ (2<br />

Cor 3:17) and remains present through the Spirit, the Church<br />

has not only the chronological line with its obligation of continuity<br />

and identity, it also has the moment, the kairos, in which<br />

it must interpret and accomplish the work of the Lord as present.”<br />

27 The Council intended that the Church should detect<br />

indications of God’s presence in the events, the needs, and the<br />

aims of an age. She can grasp the ultimate questions motivating<br />

it. This approach requires solid holiness and closeness to God so<br />

as to bring about the aggiornamento so desired by the Council.<br />

Obedience to the Spirit is in no way a compromise with the<br />

spirit of the age.<br />

Dialogue was an ideal inspired by Paul VI’s 1964 encyclical<br />

Ecclesian Suam. It had a decisive effect on the second half of the<br />

Council and transformed the way method was thought of in<br />

moral theology. Certain conditions are necessary for dialogue,<br />

especially mutual respect. Two partners with differences, perhaps<br />

even hostile to each other, have to find some common<br />

ground of agreement for conversation to take place. John XX<strong>II</strong>I<br />

wanted to reach “all men of good will,”(22) by using the medicine<br />

of mercy and not condemnation. Dialogue should bring<br />

26<br />

VORGRIMLER, 116.<br />

27<br />

Ibid.


130 TERENCE KENNEDY<br />

about reciprocity, give and take on both sides. The Church “benefits<br />

from the experience of past ages, from the progress of the<br />

sciences, and from the hidden riches in various cultures”(44)<br />

contained in literature, art and architecture. On her part she has<br />

dedicated all the richness of her doctrine to the service of<br />

humanity and its progress. She is “the handmaid of humanity” 28<br />

The Council chose the humanitas of the human person as the<br />

platform it could share with everyone. It proceeded to see the<br />

person in terms of Christ’s service even to laying down his life.<br />

This anthropological emphasis has borne abundant fruit in programmes<br />

of inculturation and evangelisation. As regards<br />

method, “moral reflection in an interdisciplinary context… is<br />

especially necessary in facing new issues”(VS 30). The Council<br />

encouraged theologians, “while respecting the methods and<br />

requirements of theological science, to look for a more appropriate<br />

way of communicating doctrine to the people of their time”<br />

(62). Both dialogue and the signs of the times improved moral<br />

theology’s communication with the laity and with people outside<br />

the Church but made the question of method more pressing and<br />

urgent than ever.<br />

The reaction to Gaudium et Spes has been twofold. 29<br />

Positively, a sense of inspiration, a new beginning and a ready<br />

reception of, in the words of John Paul <strong>II</strong>, “dialogue with other<br />

philosophies, cultures and religions.” 30 The Council injected new<br />

content and methods into moral theology but never spelt out the<br />

shape these should assume. Negatively, the fact that the<br />

Constitution in its final stages was composed in haste without<br />

adequate reflection on crucial themes (e.g. the corrosion of sin<br />

in human history, and with Christ at the end and not as the first<br />

premise of each chapter) has stalled and even put in doubt the<br />

reception of some points into the Church’s life. 31 Theologians<br />

28<br />

These ideas occur in Paul VI’s discourse closing the Council, Dec. 8 th .<br />

1965.<br />

29<br />

For some of the tensions in the preparation of GS see J. KOMONCHAK,<br />

“Augustine, Aquinas or the Gospel sine glossa? Divisions over Gaudium et<br />

spes,” in A. Ivereigh (ed.), Unfinished Journey, 102–118.<br />

30<br />

JOHN PAUL <strong>II</strong>, encyclical letter Novo Millennio Ineunte, 56.<br />

31<br />

As examples see Peter SMULDERS, in Baráuna 308-313 and 328-330:


PATHS OF RECEPTION 131<br />

have learnt that they cannot simply utilise it as a quarry for<br />

building materials for there is no easy one-to-one formula for<br />

translating it into moral theology. 32 Reception is a long, tortuous<br />

process that takes many paths and diversions.<br />

IV. Renewing the Foundations of Moral Theology<br />

We now turn to the second focus in our ellipse, moral theology.<br />

Semantics play a crucial role in dialogue and often stimulates<br />

inquiry into the proper name for a discipline. The Council<br />

spoke only of “moral theology”(OT 16). “Christian ethics”, “theological<br />

ethics”, or simply “ethics” are titles used for moral theology<br />

that have entered the Catholic vocabulary only since the<br />

Council. “Christian ethics” is a Protestant term and signifies the<br />

extension of dogmatic principles, particularly justification by<br />

faith, to the moral life. “Theological ethics” is a systematic<br />

reflection on Christian moral practices. It assumes its formal<br />

perspective from secular philosophy and is often classified<br />

under the rubric of “religious ethics”. “Ethics” has of recent<br />

come to mean the minimum criteria or norms needed to maintain<br />

civil peace and coherence in pluralistic societies. The floating<br />

use of these terms has not paid due regard to the traditions<br />

that define them. The birth of fundamental moral theology can<br />

only be properly understood against the background of history,<br />

i.e., the programme of renewal launched before the Council and<br />

subsequently the Council’s platform for the reform of that tradition<br />

to make it fruitful into the future.<br />

The Council’s teaching is binding for all branches of<br />

Catholic thought, for philosophy and theology in general and for<br />

and J. RATZINGER’s commentary on GS chapter 1; and his “Church and World:<br />

An Inquiry into the Reception of Vatican Council <strong>II</strong>,” in Principles of Catholic<br />

Theology, Ignatius Press, San Francisco 1987, 278-293.<br />

32<br />

J. SELLING treats “the first part of the constitution as substantially<br />

representing the main lines of basic or fundamental moral theology,” in M.<br />

<strong>La</strong>mberigts and L. Kenis (eds.), Vatican <strong>II</strong> and its Legacy, Leuven University<br />

Press, Leuven 2002, 154. The idea that GS Part I proves the groundplan for<br />

fundamental morals seems to be a rather simplistic absorption of its content.


132 TERENCE KENNEDY<br />

each of their specialisations. What should be said of fundamental<br />

moral theology with regard to Gaudium et Spes? It will not<br />

suffice to identify specific themes where their mutual interests<br />

overlap. A formal perspective on the whole field is required.<br />

Fundamental moral theology is relatively new as a science, the<br />

term only coming into common usage about the time of the<br />

Council, with no one binding definition. “Fundamental”<br />

suggests a response to the critical problem and its history since<br />

the Enlightenment. Moral theology was inflicted with the same<br />

crisis that swept through all the major branches of knowledge<br />

over the last century or so. It was brought before the bar of reason<br />

and interrogated about its credentials in that tribunal. In<br />

other cases this required the founding of a new science, e.g.<br />

physics or mathematics brought forth the philosophy of physics<br />

or of mathematics 33 . These newly invented sciences of their<br />

nature enjoy a relative autonomy since without the practice of<br />

physics or mathematics they would lack an object for their<br />

reflection. Like other disciplines moral theology has had to get<br />

used to unsettling and difficult investigations into its foundations<br />

while its normal activities went on. In fact ordinary business<br />

proceeded in many disciplines without their being unduly<br />

disquieted by the inquiries under way. It is, however, much harder<br />

to dissociate moral principles from their practice because<br />

publicly doubting practical principles de facto changes how people<br />

live and may undermine their very way of life. 34 We see here<br />

one cause for the peculiar crisis in moral thought and its application<br />

that developed after the Council.<br />

33<br />

A recognised analysis is given by W. PANNENBERG, Theology and the<br />

Philosophy of Science, DLT, London 1976.<br />

34<br />

ST. THOMAS AQUINAS (S.T., I–<strong>II</strong>, 94, 5) argues that natural law can be<br />

added to but not be subtracted from. This allows for a hermeneutic of historical<br />

change and cultural growth without humanity’s basic qualities being corrupted.<br />

Further, doubt raises the question of moral systems, e.g., probabilism,<br />

which set up second–order sciences to establish the moral certainty<br />

needed for action. Being second–order sciences likens them to fundamental<br />

moral theology. St. Alphonsus says that moral theology is always to be directed<br />

to practice, “tota ad praxim est dirigenda” (Theologia Moralis, <strong>II</strong>, 689).<br />

Casuistry was undermined by its almost complete dependence on legal principles<br />

as was a juridical ecclesiology.


PATHS OF RECEPTION 133<br />

In the theological field fundamental moral’s relation to<br />

moral theology is like that of fundamental theology to dogmatic<br />

theology. Some moralists see fundamental theology as their primary<br />

and natural dialogue partner. 35 This implies a<br />

paradigm–shift from an axiomatic science to a hermeneutic of<br />

current moral philosophies from a faith perspective. 36 Some<br />

hold that transcendental philosophy can found this new discipline<br />

critically by applying criteria gleaned from advances in the<br />

philosophy of science. Fundamental moral would then rationally<br />

establish moral foundations, while moral theology proper discusses<br />

categorical principles and particular moral issues. It is<br />

obvious that each theory interprets Gaudium et Spes in its own<br />

way, on the basis that the Council encouraged such philosophical<br />

openness and plurality.<br />

The renewal of moral theology started some generations<br />

before Vatican <strong>II</strong> from initiatives internal to the discipline ratified<br />

by Optatum Totius. 37 The renewal has been so complex, varied<br />

and difficult that it would be premature to venture an<br />

exhaustive history of the project. Optatam Totius 16 inserted<br />

moral theology into the Council’s overall pastoral project<br />

through its reworked relationship with the world. By raising the<br />

question of its, “scientific presentation,” as its first objective the<br />

Council released moral theology from its casuistic past, thereby<br />

making, perhaps not completely consciously, its epistemological<br />

status the hinge to all further developments. This situated fundamental<br />

moral at the eye of a gathering storm.<br />

The first effect of the renewal was the disappearance of the<br />

old casuistic manuals. The void their collapse left had to be filled<br />

35<br />

Fundamental theology’s difficulty in receiving GS makes a mediated<br />

reception in fundamental moral a fortiori very complicated. Cf. F. G.<br />

BRAMBILLA, “Antropologia teologica” in <strong>La</strong> Teologia <strong>del</strong> XX secolo, vol. 2, G.<br />

Canobbio e P. Coda (eds.), Città Nuova, Roma 2003, 178-186.<br />

36<br />

Thomas GERTLER, “Mysterium hominis in luce Christi: Genese und<br />

Intention der Pastoralkonstitution,” in Visionen des Konzils, G. Fuchs and A.<br />

Lienkamp (eds.), LIT, Münster 1997, 52. K. Demmer’s contributions in this<br />

area are notable.<br />

37<br />

See one account in A. FERNANDEZ, <strong>La</strong> reforma de la <strong>teologia</strong> moral:<br />

Medio siglo de historia, Aldecoa, Burgos 1997.


134 TERENCE KENNEDY<br />

from other, mostly outside, resources, such as current moral<br />

philosophies or other forms of moral theology. Two authors have<br />

helpfully proposed schemas for interpreting developments since<br />

the Council. Vicente Gomez Mier 38 analyses this period as bringing<br />

about a paradigm-shift from casuistry to systematics, from<br />

an act-centred to a person-centred morality, from a closed<br />

Church-centred mentality to openness to the world. Alberto<br />

Bonandi 39 examined twenty-eight manuals that tried to put the<br />

renewal into effect. He visualises it traversing three phases –<br />

from displacement of the old casuistry into a time of uncertainty<br />

and fragmentation, followed by a period characterised by contrary<br />

and conflicting currents, until a new certainty about how<br />

to proceed systematically was ushered in by Veritatis Splendor.<br />

After the collapse of the casuistic manuals, moralists had<br />

recourse to themes recommended by the Council. They first<br />

drew on Biblical, personalist and Christocentric 40 themes, writing<br />

manuals that aimed to give seminarians a unified and spiritual<br />

vision of the subject. The weakness that pervaded this<br />

approach was its so-called, “supernaturalism.” 41 While providing<br />

motivational ideals and exalted goals as in the Beatitudes, the<br />

approach was undermined by its incapacity to demonstrate how<br />

concrete behavioural norms could be rationally established.<br />

Others tried to renew moral theology beginning from the fresh<br />

experiences of the world, the social sciences, or liberation in<br />

<strong>La</strong>tin America. These many, varied and fragmentary approaches<br />

only increased the evidence that the foundations of the science<br />

needed to be reworked, critically established, and justified in a<br />

new system.<br />

38<br />

<strong>La</strong> refundación de la moral catolica. El cambio de matriz disciplinar<br />

después <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, Verbo Divino, Estella 1995.<br />

39<br />

Il Difficile Rinnovimento, Citta<strong>del</strong>la, Assisi 2003.<br />

40<br />

W. Kasper criticises OT for falling into a sort of idealist<br />

Christocentrism that harmed seminary education by proposing this vision as<br />

the stating-point and not as its final synthesis or “recapitulation”. See his “<strong>La</strong><br />

prassi scientifica <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>,” in W. Kern, H. Pottmeyer and M. Seckler<br />

(eds.), Corso di <strong>teologia</strong> fondamentale, Vol. 4., Queriniana, Brescia 1990, 298-<br />

301.<br />

41<br />

BONANDI 300-301.


PATHS OF RECEPTION 135<br />

A turning–point was reached with the publication in 1977 of<br />

Franz Böckle’s manual, with the symbolic title of<br />

Fundamentalmoral. 42 It was a sign that the time was ripe to give<br />

the discipline a new shape. His starting-point was practical<br />

reason, whose function it was to establish the norms of morality<br />

as expressions of personal freedom. Moral theology was essentially<br />

about normative morality, with questions such as agency<br />

and conscience falling into second place. The specific character<br />

of Christian morality was one of these secondary considerations.<br />

The question took the form: does Christian morality add any<br />

norms over and above those of the Menschenbild? The rationale<br />

for proposing morality in this way was to give moralists, particularly<br />

in secular universities, a common platform for sharing in<br />

dialogue with non-believers. The mentality underlying this<br />

approach shows just how difficult it was to break out of the naturalism<br />

that pervaded the intellectual inheritance of casuistry.<br />

Was this truly the humanitas the Council wanted as the meetingpoint<br />

for believers and non-believers, without asking either side<br />

to compromise their convictions? Two ways of founding fundamental<br />

moral theology came to prevail: a faith ethic that derived<br />

all its principal insights from revelation; or an autonomous<br />

morality founded in practical reason. At this stage “never the<br />

twain did meet.” Others, of course, glimpsed the possibility of<br />

reviving the long tradition of practical reason, but within a personalist<br />

vision of Christian morality.<br />

After the Council the magisterium encouraged moralists “to<br />

foster dialogue with modern culture”(VS 36) and praised their<br />

work for the Church (VS 29). In 1993, however, it felt it necessary<br />

to intervene with the encyclical Veritatis Splendor so as to correct<br />

“a genuine crisis,” because the discipline’s “foundations … are<br />

being undermined by certain present–day tendencies.” This<br />

encyclical never mentions fundamental moral theology by name<br />

but addresses “the very foundations of moral theology” and “certain<br />

fundamental questions regarding the Church’s moral teaching”<br />

(VS 5). It launches its argument by quoting GS 22 to show how<br />

Christ reveals the depths of the human person and so guides the<br />

42<br />

Kösel-Verlag. München 1977.


136 TERENCE KENNEDY<br />

search for meaning. Unlike the Council, the aim of the encyclical<br />

was to repulse positions that it saw as contradicting Christian<br />

moral principles, positions it considered were being welcomed<br />

and accepted as part of fundamental moral’s identity.<br />

Chapter one praises the retrieval of the link between Christ<br />

and the Decalogue as a real break-through because it succeeded<br />

in connecting a personalist with a normative ethics. God’s<br />

Covenant in Christ is normative for all humanity and so<br />

Christian morality is specific because it flows out of a personal<br />

commitment to Christ in faith. Chapter two takes up the questions<br />

of normativity and specificity in Christian morality, the<br />

two major areas of debate since the Council. It criticised a number<br />

of theories – autonomy, fundamental option, conscience and<br />

proportionalism – for espousing “anthropological and ethical<br />

presuppositions” that detach “human freedom from its essential<br />

and constitutive relationship to truth”(VS 4). These theories<br />

were used to bring the epistemological status and methodology<br />

of moral theology into line with the rules for what constitutes a<br />

science today. They took over premises from the main currents<br />

in moral philosophy, i.e., Kantianism and utilitarianism, and<br />

embedded them in its foundations. The third chapter outlines<br />

the encyclical’s pastoral implications for “the new evangelisation”<br />

under the traditional rubric of the Church’s sharing in the<br />

triple munera of Christ as priest, king and prophet. Martyrdom<br />

as the supreme witness to moral goodness and sanctity is not<br />

only stressed but also projected as an ideal to which God may<br />

call those he loves. The Catechism of the Catholic Church had<br />

preceded the encyclical and gave, “ a complete and systematic<br />

exposition of Christian morality”(VS 5) mainly in virtue categories<br />

that did not satisfy the aspiration to introduce a Biblical<br />

morality into catechesis. 43<br />

The reception of Gaudium et Spes in Veritatis Splendor is<br />

much disputed among theologians. It is not a case of reiteration,<br />

nor simply of recontextualisation, but of differing horizons of<br />

43<br />

In a talk at a Vatican Symposium celebrating ten years of its publication<br />

Cardinal Ratzinger pointed out that the section on morality was the hardest<br />

and most problematic section to write in the catechism.


meaning. 44 This is evident from how these two documents envisage<br />

finality. The Constitution’s main horizon is set by a humanistic<br />

appreciation of the whole universe arriving at its last end in<br />

God. Veritatis Spndor is narrower, concerned solely with the happiness<br />

of the human person and the means to achieve it. The<br />

Constitution tries to open doors to the world; the encyclical<br />

braces itself against external attackers who were already breaking<br />

into the cita<strong>del</strong>. The particular strategies that the above theories<br />

espoused to assimilate current philosophies in moral theology<br />

failed not just because they fell short of the “integral vocation”<br />

45 attributed to the human person in Gaudium et Spes (22).<br />

Veritatis Splendor critiqued them in the strictly ethical terms of<br />

natural law and beatitudo, ideas it insisted were essential to<br />

moral theology. These terms re–echo responses to disputes typically<br />

associated with the neoscholastic revival. And so the<br />

encyclical refutes the objection of physicalism against natural<br />

law; it teaches that a fundamental option cannot be separated<br />

from intentions and circumstances in the real world; and that<br />

proportionalism is false because it does not respect the intrinsic<br />

relation between action and the transcendent end of the human<br />

person. 46 PATHS OF RECEPTION 137<br />

44<br />

Two almost diametrically opposed interpretations are M. ELSBERND,<br />

“The Reinterpretation of Gaudium et Spes in Veritatis Splendor,” in M.<br />

<strong>La</strong>mberigts and L. Kenis (eds.), Vatican <strong>II</strong> and its Legacy, Leuven University<br />

Press, Leuven 2002, 187-205, and G. ANGELINI, “I sentieri impervi <strong>del</strong>la morale.<br />

Dalla Gaudium et Spes alla Veritatis Splendor,” in C. Ghi<strong>del</strong>li (ed.), A<br />

trent’anni dal <strong>Concilio</strong> Edizioni Studium, Roma 1995, 347-380. Elsbernd in<br />

reality excludes the crisis in moral theology from her comparison of the two<br />

documents. The resultant textual confrontation hardly provides an adequate<br />

hermeneutic. Angelini highlights how the crisis determined the subsequent<br />

terms of discussion and points out that “la rimozione <strong>del</strong>l’interrogativo<br />

morale” (p.350) is not sufficiently adverted to in GS. A. CARRASCO ROUCO<br />

emphasises the continuity in the Church’s teaching in “Iglesia, Magisterio y<br />

Moral,” in Comentarios a la Veritatis Splendor, G. Del Pozo Abejon (ed.), BAC,<br />

Madrid 1994, 429-474.<br />

45<br />

See Thomas GERTLER’S background comments in “Mysterium hominis<br />

in luce Christi,” Visionen des Konzils, G. Fuchs and A. Lienkamp (eds.), LIT,<br />

Meunster 1997, 56, note 18.<br />

46<br />

It would be wrong to presume that VS is the once–for–all reception of<br />

GS into moral theology. This essay considers fundamental moral without


138 TERENCE KENNEDY<br />

The change in vocabulary between these two documents<br />

also reflects divergent focal interests. The encyclical is addressed<br />

to bishops on the subject of the moral principles taught in seminaries.<br />

It switches the focus of attention back ad intra, to intraecclesial<br />

preoccupations, but without wishing to turn moral theology<br />

in on itself intentionally. It rather aims to recover from historical<br />

sources principles often overlooked in seminary education<br />

since the Council, principles it finds useful in answering<br />

difficulties raised by secular ethics. The encyclical highlights<br />

moralists’ need to consult the traditional philosophical and theological<br />

sources of their teaching more thoroughly. It also presumes<br />

the validity of the distinction between general and particular<br />

morals, though this is never stated outright. 47 The logical<br />

result of taking this position is to collapse the distinction<br />

between fundamental and categorical morality, the very conception<br />

some scholars rely on to establish fundamental moral theology<br />

as a science. A pragmatic but unsatisfying solution quite<br />

often invoked is to consider these two pairs of terms as actually<br />

equivalent. There is a danger that this position might develop a<br />

blind–spot in intellectual perception whereby the difference<br />

between the scholastic and the critical idea of science is neither<br />

noticed in fact nor adverted to in theory. 48 Thomistic principles<br />

entering into any detailed analysis as in B. JOHNSTONE’s, “Erroneous<br />

Conscience in Veritatis Splendor and the Theological Tradition,” in J. Selling<br />

and J. Jans (eds.), The Splendor of Accuracy, Pharos, Kanpern, Netherlands<br />

1994, 114-135.<br />

47<br />

The encyclical distinguishes reflection on “the many spheres of human<br />

life” from “ on the whole of the Church’s moral teaching,” on “fundamental<br />

truths.” Such terms can be interpreted variously. The question, “do the commandments<br />

of God which are written on the human heart and are part of the<br />

Covenant, really have the capacity to clarify the daily decisions of individuals<br />

and entire societies?” (VS 4) fits St. Thomas’s general-particular logic better<br />

than distinguishing between the foundation and application of a science as<br />

if the two might be successfully separated.<br />

48<br />

This issue is at the heart of many tensions in theology. There is a vast<br />

difference between the medieval conception of science and the modern idea<br />

of system, a difference it is not possible to analyse here. See W. KASPER, “<strong>La</strong><br />

prassi scientifica <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>,” in Corso di <strong>teologia</strong> fondamentale,” Vol 4., W.<br />

Kern, H. Pottmeyer and M. Seckler (eds.), Queriniana, Brescia 1990, especially<br />

291–314.


PATHS OF RECEPTION 139<br />

remain overall firmly entrenched and active in moral theology,<br />

providing the comprehesion of what the encyclical considers, if<br />

we use these terms, fundamental moral theology should be. 49<br />

The encyclical deals with history by claiming that the magisterium,<br />

“has achieved a doctrinal development analogous to that<br />

which has taken place in the realm of the truths of faith”(VS 28).<br />

This teaching is based on a sapiential discernment of a fatal<br />

fault–line in contemporary culture. By upholding the unbreakable<br />

link uniting truth and freedom, the encyclical sets the outer<br />

parameters for the future dialogue between Christian morality<br />

and contemporary ethics.<br />

IV. Reception, Renewal and the Sources of Moral<br />

Theology.<br />

The paths that Gaudium et Spes travelled to became part of<br />

moral theology are multiple: the Council event itself awoke<br />

moralists to the epistemological demands of their science; institutions<br />

and sciences that had developed outside the Church’s<br />

influence helped to fill in blind–spots in the Catholic worldview<br />

in recent centuries: dialogue and the signs of the times were the<br />

methods appropriate for reaching the contemporary world; the<br />

49<br />

There is a hidden issue here. We can reflect on doing moral theology<br />

to ensure that it follows scientific criteria, i.e., deeper reflection within its<br />

own order that is not a second-order creation of a new science, the way some<br />

see fundamental moral. Second-order sciences are certainly possible, e.g. the<br />

philosophy of science or mathematical logic, and perform well for pure<br />

sciences. It is a moot point whether the same can be achieved for human<br />

matters as treated in moral theology whose object might be so manipulated<br />

as to destroy its essential characteristics. The temptation is to transform it<br />

into from a practical into a speculative science. The relation between prudence<br />

and the science of ethics has been debated since Aristotle. The choice<br />

is between adding another science to justify the foundations of morality –<br />

this corresponds with the modern diversification of the sciences – or, of<br />

reconciling various types of knowledge that has been the traditional task of<br />

ordering wisdom in metaphysics. See E. BERTI, Le ragioni di Aristotele,<br />

<strong>La</strong>terza, Roma 1989, and, “Il metodo <strong>del</strong>la filosofia pratica secondo<br />

Aristotele,” in Studi sull’etica di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 1990, 23-63.


140 TERENCE KENNEDY<br />

integral vocation of the human person, the social nature of all<br />

morality, the human capacity to transform the world introduced<br />

themes central to the study of morality; the Church’s twofold<br />

mission i.e. to preach the Gospel and to serve the world must<br />

both be considered in their own right in moral theology; eschatology<br />

and not ecclesiology became the reference-point for the<br />

promotion of earthly realities: critique of the Pastoral<br />

Constitution showed that its reception would not be automatic;<br />

with the collapse of casuistry moralists tried to assimilate the<br />

best points of contemporary ethics into moral theology; the<br />

magisterium intervened by upholding the principle of the<br />

unbreakable unity of truth and freedom as a guiding principle in<br />

moral theology; contemporary intellectual challenges heightened<br />

moralists’ awareness both of the traditional and new<br />

sources of their science.<br />

It is now time to take stock of where reception and renewal<br />

have taken fundamental moral theology today. Bonandi identifies<br />

two still outstanding issues that reveal its current status. I).<br />

Because of the turn to the subject in philosophy there is need to<br />

face the subject–object relation afresh. This problem has bedevilled<br />

not only discussions on Church–world relations but the history<br />

of moral theology as well. While Gaudium et Spes was being<br />

written, Yves Congar touched the tender nerve in the whole<br />

issue. It is that of an epistemology of separation that can infect<br />

every sphere of human thought and activity. Congar treated the<br />

problem through its symptoms, declaring that there is nothing<br />

so against revelation as to divide God from his creation, the<br />

Church from the world, and the human agent from the cosmos<br />

in which it is inserted. 50 Gaudium et Spes has an integrated<br />

vision of God, the human person and the universe that, as it<br />

were silently and without drawing attention to itself, radically<br />

cured this disease with the balm of revelation. Had moral theology<br />

taken the Council’s vision seriously and understood it as profoundly<br />

as it should have, Bonandi’s difficulty would not exist.<br />

<strong>II</strong>). What type of theology do we need so that fundamental<br />

moral theology may take due account of the contributions of<br />

50<br />

Y. CONGAR, “<strong>La</strong> Chiesa e il mondo” in Comprensione <strong>del</strong> mondo <strong>nella</strong><br />

fede, AA.V.V., Dehoniane, Bologna 1969, 134.


PATHS OF RECEPTION 141<br />

Scripture, history, fundamental and dogmatic theology, culture,<br />

spirituality, world religions and secularisation? If moral theology<br />

treats these specialisations solely in their own terms, it will<br />

inevitably become fragmented, as is already happening. It is necessary<br />

to start from a comprehensive, unified vision of theology as<br />

science 51 for morals to preserve its theological character. But<br />

under which precise formality should moral theology approach<br />

these disciplines? Not as knowledge or belief sought for its own<br />

sake, nor as the exercise of pure thought alone. When knowledge<br />

and belief become action they are defined as practice, “faith<br />

working through love” (Gal 5: 6) in St. Paul’s words. Moral theology<br />

is not speculative but practical theology because it is constituted<br />

as a science of faith working through practical reason. On<br />

the two wings of faith and reason 52 not only does the mind<br />

ascend to God, but when faith engages practical reason it also<br />

moves us, directing our actions to the ever faithful God who<br />

never ceases to draws us to himself, for “it is precisely on the path<br />

of the moral life that the way of salvation is open to all” (VS 3).<br />

Practical reason resolves problems arising from conflicts of<br />

interpretation between moral traditions such as we have witnessed<br />

already in the interaction of reception and renewal.<br />

While an account of the recovery of practical reason is out of<br />

place here, 53 we need to note that it is the source that generates<br />

moral theology as a science. The confronting of premises in a<br />

given system or tradition with each other ad intra, or with those<br />

of an outside system or tradition ad extra is a continuing<br />

hermeneutic process that can only be elaborated culturally and<br />

linguistically over time. 54 Practical reason illumined by faith<br />

51<br />

See W. PANNENBERG’S, Theology and the Philosophy of Science, DLT,<br />

London 1976, 423-440. He emphasises the common origins of moral and<br />

pastoral theology in the Church’s praxis.<br />

52<br />

This image introduces the Pope’s encyclical Fides et Ratio. See also<br />

numbers 25, 68 and 98.<br />

53<br />

See F. VOLPI, “<strong>La</strong> rinascita <strong>del</strong>la filosofia pratica in Germania” in Filosofia<br />

pratica e scienza politica, C. Pacchiani (ed.), Fransisci, Padova 1980, 11-97.<br />

54<br />

See Alasdair MACINTYRE on this much– disputed theme, in Whose<br />

Justice? Which Rationality? University of Notre Dame Press, Notre Dame,<br />

Indiana 1988, chapters XV<strong>II</strong>I and XIX. His is a contemporary rendition of<br />

Aristotelian dialectics, thereby demonstrating its continuing fruitfulness.


142 TERENCE KENNEDY<br />

thus opens our minds to the historical nature of the world as<br />

presented in Gaudium et Spes. Dialectics and hermeneutics are<br />

needed in order to discern the truth or falsity of moral premises<br />

and to translate them from one system or tradition to another.<br />

Such an approach issues in a comprehension of moral theology<br />

as both theory and praxis. 55<br />

Moral theology draws on resources both ad intra and ad<br />

extra, its field of action being precisely the interface between<br />

Church and world where these forces meet. When history radically<br />

transforms this relationship, as has happened, the sources<br />

of our knowledge also change. This means that a new configuration<br />

of these sources is required for morals to satisfy the<br />

demands of systematic theology. 56 Now the crucial question<br />

posed by the “scientific presentation” of moral theology mandated<br />

by the Council is what conception of autonomous reason is<br />

acceptable in constituting it as a science. Gaudium et Spes<br />

affirms the validity of autonomy in the sciences (36), but never<br />

addresses its ethical significance as such. Veritatis Splendor<br />

applied the Pastoral Constitution’s teaching to moral theology,<br />

warning however that autonomous reason can never be conceived<br />

in separation from God the Creator and Redeemer. This<br />

leads to the critical point in the renewal of moral theology; the<br />

idea that autonomous reason rightly conceived and the morality<br />

of Biblical revelation both have only one last end to be achieved<br />

through history both sacred and profane. “It is the same God who<br />

is at once saviour and creator, Lord of human history, and of the<br />

history of salvation”( 41). Gaudium et Spes’s central affirmation<br />

is: “The Lord is the goal of human history, the focal point of the<br />

55<br />

Practical sciences such as law and medicine have two branches,<br />

theory and practice. Thus there is the philosophy of law and then jurisprudence;<br />

there are medical textbooks studied at university and there is the<br />

practice of medicine in a hospital. Moral theology studies moral theory and<br />

the practice of casuistry. See S. TOULMIN and A. JONSEN, The Abuse of<br />

Casuistry. A History of Practical Reasoning, University of California Press,<br />

Berkeley 1988, for a pragmatist’s account of its revival.<br />

56<br />

See W. KASPER, “<strong>La</strong> prassi scientifica <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>,” in Corso di <strong>teologia</strong><br />

fondamentale, Vol. 4., W. Kern, H. Pottmeyer and M. Seckler (eds.),<br />

Queriniana, Brescia 1990, 311-314.


PATHS OF RECEPTION 143<br />

desires of history and civilisation, the centre of mankind, the joy<br />

of all hearts, and the fulfilment of all aspirations” (45).<br />

Certainly the assumption of the dialectics of practical reason<br />

into moral theology is accompanied by considerable difficulties.<br />

Moralists searching for a method to interiorly restructure their<br />

discipline were faced with great tensions for they had to account<br />

for all the sources of their discipline. They were quick to heed<br />

Gaudium et Spes‘s summons to treat the urgent problems facing<br />

the world “in the light of the Gospel and of human experience”(46).<br />

But this restructuring occurs within the movement of<br />

humanity toward God, under the influence of Holy Spirit’s<br />

attractive power drawing everything recapitulated in Christ into<br />

the Kingdom of the Father. Ultimately, therefore, the Spirit<br />

working through practical reason reorganises and configures<br />

the sources of morality in this field of attraction to God. Our<br />

knowledge of how all the sources or fontes of moral theology are<br />

integrated and “hold together” cannot but be sapiential 57 . Only<br />

in this field of God’s attractive love can moralists perceive how<br />

to rationally elaborate the sources discovered through the<br />

processes of reception and renewal. Among these sources the<br />

following are to be listed:<br />

i) Fi<strong>del</strong>ity to revelation and to Sacred Scripture as the “soul<br />

of theology”(DV 24),<br />

ii) Fi<strong>del</strong>ity to the Church’s tradition and her teaching magisterium,<br />

iii) Human experience which gives access to novelty, to the<br />

new realities arising out of human progress and the new sciences.<br />

Because these novelties do not fit the established categories<br />

they become a strong stimulus toward working out a new<br />

relationship with the world.<br />

iv) Moral theology’s own internal resources from which it<br />

57<br />

See Helmut HOPING, “Die Kirche im Dialog mit der Welt und der sapietiale<br />

Charakter christlicher Lehre,” in Das <strong>II</strong> Vatikanum. Christliche Glaube<br />

im Horizont globaler Modernisierung, P. Hünermann (ed.), Ferdinand<br />

Schöningh, Paderborn 1998, 83-99. M. SECKLER in his essay on “Il significato<br />

ecclesiologico <strong>del</strong> sistema dei ‘Loci Theologici’,” has the revealing subtitle<br />

“Cattolicità gnoseologica e sapienza strutturale,” in Teologia Scienza Chiesa,<br />

Morcelliana, Brescia 1988, 171.


144 TERENCE KENNEDY<br />

draws in answering these challenges, particularly practical<br />

reason. Under the stimulus of these new experiences moral theology<br />

is provoked to re-elaborate its premises, to assimilate valid<br />

principles from outside itself, and so to reshape itself systematically<br />

under the impulse of the Spirit.<br />

Fundamental moral theology can now be defined as a systematic<br />

and critical faith reflection on all the sources of moral<br />

theology. That definition embraces everything that is human.<br />

Gaudium et Spes was the midwife that brought fundamental<br />

moral theology to birth and <strong>del</strong>ivered it safely into a world of<br />

critical rationality. In its genetic inheritance is inscribed the theory<br />

and practice of Christian existence. This inheritance has<br />

been enriched by the philosophy, science, art, literature and culture<br />

of today. In its wisdom Gaudium et Spes as midwife taught<br />

moral theology that all this inheritance belonged to Christ, the<br />

moral message for which the world is hungering.<br />

Gaudium et Spes’s task, made effective through its<br />

ever–deeper reception into the bloodstream of Church life, will<br />

ensure that this new discipline grows in strength, wisdom and<br />

maturity. The process of reception has opened up new horizons<br />

for understanding the authentic sources of moral theology valid<br />

today – previous discussion on its scientific status in terms of<br />

fontes being either inadequate or abortive. 58 But such a discussion<br />

must come at the right moment, the kairos when the<br />

Spirit enables and empowers practical reason to respond to the<br />

deepest human needs of the age. Both the magisterium and<br />

moral theology heed the Spirit’s voice intuitively and instinctively,<br />

in their own special ways. The magisterium draws attention<br />

to how Christ, The Alpha and Omega, has laid down the foundations<br />

of morality and shown their implications. Moralists<br />

drawing on the same sources discern the first principles of a sci-<br />

58<br />

See M. VIDAL, Nueva Moral Fundamental, Desclée De Brouwer, Bilboa<br />

2000, 919-979; R. BRUCH, “Die Ausbildung der Lehre von den<br />

Erkenntnisquellen der Moraltheologie im 17. und 18. Jahrhundert,” in<br />

<strong>Moralia</strong> Varia: Lehrgeschichtliche Untersuchung zu moraltheologischen<br />

Fragen, Patmos, Düsseldorf 1981, 11-30; P. HÜNERMANN, “Neue Loci<br />

Theologici. Ein Beitrag zur methodischen Erneuerung der Theologie,” in Cr<br />

St, 24(2003)1, 1-21: M. Seckler, op. cit. 171-206.


PATHS OF RECEPTION 145<br />

ence of faith working through practical reason. Fundamental<br />

moral is a relatively youthful personality among the theological<br />

specialties, one still searching out its place in the register of theological<br />

sciences. Like the boy Jesus in the Temple, just twelve<br />

years old, instructing the masters of Israel, it brings new insights<br />

to the ageless wisdom of theology. “And all who heard him were<br />

amazed at his understanding and his answers” (Lk 2: 47). Its<br />

growth will display characteristics both of continuity and discontinuity.<br />

It will carry forward the values of reason and revelation<br />

enshrined in the general morals from the past. It will grow<br />

into a mature science by realising Gaudium et Spes’s aspiration<br />

to incorporate the truths discovered by modern critical philosophies<br />

into an original synthesis. By doing so it will restore and<br />

renew God’s covenant with his world.<br />

TERENCE KENNEDY, C.SS.R.


StMor 42 (2004) 147-168<br />

GIOVANNI RUSSO<br />

LO SVILUPPO POSTCONCILIARE<br />

DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA)<br />

1. Preliminari: luci ed ombre<br />

Il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> si è manifestato fin dall’inizio come una grande<br />

“rivoluzione” <strong>nella</strong> Chiesa cattolica. Non è stato percepito,<br />

almeno all’inizio, come un semplice “rinnovamento”, ma come<br />

un profondo cambiamento di prospettiva, quasi una rivoluzione<br />

copernicana. Così è stato percepito da parte di coloro che avevano<br />

preparato gli schemi, da parte <strong>del</strong> clero, <strong>del</strong>le altre denominazioni<br />

cristiane, da parte <strong>del</strong>la società 1 .<br />

Una grande “luce” si è accesa, sia nel guardare il mondo con<br />

positività e speranza cristiana, sia <strong>nella</strong> consapevolezza <strong>del</strong>la<br />

Chiesa di saper essere Lumen gentium: in Cristo risorto la Chiesa<br />

può essere segno di un’aurora nuova, capace di animare percorsi<br />

di pace e di ecumenicità non solo tra le varie comunità cristiane,<br />

ma anche per l’ecumene <strong>del</strong> globo.<br />

I Pontefici hanno sposato in pieno questa prospettiva, orientando<br />

progetti e riforme in forte sintonia con il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Da<br />

Giovanni XX<strong>II</strong>I a Giovanni Paolo <strong>II</strong> anche il nome dei Papi ha<br />

portato con sé la peculiarità e il desiderio di voler continuare nei<br />

solchi <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>.<br />

Nello stesso tempo forti sono state le ansie e le paure che<br />

hanno accompagnato quanti hanno avuto un ruolo di responsa-<br />

1<br />

Rinviamo ad alcuni bilanci fondamentali: G. ALBERIGO (ed.), Storia <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, Il Mulino, Bologna 1995-1999; R. LATOURELLE (ed.),<br />

<strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>: Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), 2 voll.,<br />

Citta<strong>del</strong>la, Assisi 1987; R. FISICHELLA (ed.), Il <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Recezione e<br />

attualità alla luce <strong>del</strong> Giubileo, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000;<br />

P. POUPARD, Il concilio <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1987;<br />

T. STENICO, Il <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Carisma e profezia, Libreria Editrice<br />

Vaticana, Città <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> 1997.


148 GIOVANNI RUSSO<br />

bilità <strong>nella</strong> Chiesa, nelle altre comunità cristiane o <strong>nella</strong> vita<br />

pubblica. <strong>La</strong> paura di perdere la propria identità, di confondere<br />

la propria specificità, di perdere i propri “confini”.<br />

Oggi si ritorna al bisogno di “riaffermare” le proprie identità,<br />

le proprie peculiarità. E il senso di “comunità” con gli altri<br />

credenti e con la vita pubblica e secolare ha subito un ripensamento.<br />

L’ecumenismo, stando anche alle affermazioni di<br />

Giovanni Paolo <strong>II</strong> al Card. Kasper, è più arduo e faticoso 2 .<br />

Molto si è discusso se la svolta <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> è stata una svolta<br />

pastorale o dottrinale.<br />

Certamente ci sono stati tentativi, anche <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong><br />

morale, di procedere a una evoluzione <strong>del</strong>la dottrina morale<br />

<strong>del</strong>la Chiesa, suscitando reazioni che si sono dimostrate a lungo<br />

termine rilevanti e, molto spesso, negative 3 .<br />

<strong>La</strong> Chiesa non può cambiare la sua dottrina, che è Cristo<br />

Gesù e non una serie di teorie e principi morali. <strong>La</strong> Chiesa, sempre<br />

fe<strong>del</strong>e a Cristo, può rinnovare il mondo. <strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale<br />

<strong>del</strong>la Chiesa non è la somma <strong>del</strong>le opinioni <strong>del</strong>la maggioranza<br />

dei teologi, ma lo sforzo – guidato dallo Spirito – di avvicinarsi<br />

alla verità morale.<br />

Certamente, però, la Chiesa si è fatta più “vicina” al mondo,<br />

visto con simpatia, come il luogo <strong>del</strong>l’incarnazione <strong>del</strong> Verbo e il<br />

campo di Dio.<br />

L’etica <strong>del</strong>la vita ha avuto un forte impulso positivo, grazie<br />

all’animazione dei Papi e alla progettualità <strong>del</strong>le Congregazioni<br />

<strong>del</strong>la Curia Romana. Si pensi al ruolo <strong>del</strong>la Congregazione <strong>del</strong>la<br />

Dottrina <strong>del</strong>la Fede, ai Pontifici Consigli per la Famiglia,<br />

Giustizia e Pace, Pastorale <strong>del</strong>la salute, Cor Unum, all’istituzione<br />

<strong>del</strong>la Pontificia Accademia per la Vita, alla Commissione<br />

Interdicasteriale per il Catechismo <strong>del</strong>la Chiesa Cattolica 4 .<br />

2<br />

Lettera al Card. W. Kasper, 3 Novembre 2003.<br />

3<br />

Un panorama <strong>del</strong>la problematica è rintracciabile in V. GÓMEZ MIER, <strong>La</strong><br />

rifondazione <strong>del</strong>la morale cattolica, Dehoniane, Bologna 2001.<br />

4<br />

Una raccolta <strong>del</strong>la documentazione è l’Enchiridion <strong>del</strong>la famiglia.<br />

Documenti magisteriali e pastorali su famiglia e vita 1965-1999, EDB,<br />

Bologna 2000. Un testo meno recente, ma prezioso, è quello di P. Verspieren<br />

(ed.), Biologia, medicina ed etica. Testi <strong>del</strong> Magistero cattolico, Queriniana,<br />

Brescia 1990.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 149<br />

Dal punto di vista sia teologico che magisteriale il bilancio si<br />

manifesta in tutta la sua ricchezza con interventi, sulla vita<br />

nascente, sul rapporto medico-paziente e sulla bioetica clinica in<br />

genere (v. malattie terminali), sulle biotecnologie, sulla bioetica<br />

di fine vita e sull’eutanasia.<br />

2. Il ruolo positivo <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> cattolica <strong>nella</strong> strutturazione<br />

<strong>del</strong>l’etica <strong>del</strong>la vita (bioetica)<br />

Negli anni ’60 la <strong>teologia</strong> morale cattolica, ha avuto una grande<br />

“primavera”, grazie all’impulso <strong>del</strong> paradigma alfonsiano, strutturatosi<br />

presso l’Accademia Alfonsiana. Poche istituzioni accademiche<br />

e teologiche <strong>del</strong>la Chiesa hanno dimostrato lo sforzo “progettuale”<br />

<strong>del</strong>l’Accademia Alfonsiana, la cui istituzione ha rappresentato<br />

– e continua a rappresentare – un faro <strong>nella</strong> Chiesa 5 .<br />

Grandi personalità scientifiche si sono succedute tra i<br />

docenti; ma non si pensi solo ai nomi di fama universale come<br />

B. Häring e D. Capone. Qui figure di spicco hanno dato origine<br />

a una scuola di pensiero attenta all’uomo, al fondamento biblico,<br />

alle scienze umane e al migliore personalismo, alla pastorale.<br />

Qui si sono formate quantità innumerevoli di teologi di ogni<br />

continente, cresciuti con una forte sensibilità di dialogo col il<br />

mondo, di moderazione teologico-morale, di forte sensibilità per<br />

il sociale, di rispetto per le posizione differenziate, e, mi sia consentito,<br />

anche di affetto per il Magistero <strong>del</strong>la Chiesa.<br />

Bernard Häring fu tra le personalità scientifiche che parteciparono,<br />

insieme ad altri teologi cattolici e protestanti (Ramsey,<br />

Hawerwas, Le Roy Walters, Fuchs, McCormick, Branson,<br />

Curran e Reich) all’istituzione <strong>del</strong> Kennedy Institute presso la<br />

Georgetown University di Washington, dove l’etica <strong>del</strong>la vita si<br />

costituì come riflessione organica di quel campo che – sotto la<br />

spinta <strong>del</strong>l’oncologo V.R. Potter – sarà chiamato “bioetica” e che<br />

da qui si diffonderà in tutto il mondo 6 .<br />

5<br />

A. SCOLA et al., Accademia Alfonsiana. Cinquant’anni di storia, quarant’anni<br />

di incorporazione <strong>nella</strong> Pontificia Università <strong>La</strong>teranense (inaugurazione<br />

<strong>del</strong>l’anno accademico 1999-2000), Accademia Alfonsiana, Roma 1999.<br />

6<br />

Riferimenti diretti a queste affermazioni si possono trovare in varie


150 GIOVANNI RUSSO<br />

Il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> è senz’altro all’origine di un cammino <strong>del</strong>l’etica<br />

<strong>del</strong>la vita che non potrà più fermarsi, ma che piuttosto si configura<br />

sotto la categoria <strong>del</strong>lo “sviluppo”.<br />

È dal <strong>Concilio</strong> che è nata quella spiccata sensibilità, <strong>nella</strong><br />

<strong>teologia</strong> morale cattolica, per i problemi <strong>del</strong>la vita nascente,<br />

<strong>del</strong>la bio-medicina in genere, <strong>del</strong>la sofferenza umana e <strong>del</strong>la<br />

malattia, <strong>del</strong>le biotecnologie, <strong>del</strong>la procreazione assistita, dei<br />

trapianti, ecc. Alcune frontiere erano già presenti prima <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong>: come la sperimentazione umana (si pensi a interventi<br />

“selvaggi” negli Stati Uniti o nel nazismo), l’eutanasia, l’inseminazione<br />

intracorporea, la contraccezione, e altre tematatiche 7 .<br />

Ma fu il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> a spingere i teologi a riflettere e a confrontarsi<br />

su questi temi in maniera sistematica, suscitando interesse<br />

scientifico e confronto con altre posizioni. Senza il <strong>Vaticano</strong><br />

<strong>II</strong> non avremmo la bioetica di oggi. Gli studi di Kelly e i più<br />

recenti di Reich hanno documentato un preciso movimento di<br />

pensiero che ha dato origine a quel campo di studio <strong>del</strong>l’etica<br />

brochures <strong>del</strong> Kennedy Institute. <strong>La</strong> lista più completa è in The Joseph and<br />

Rose Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction and Bioethics,<br />

Monographic Issue, Washington, DC 1974. Inoltre, si vedano i resoconti storici<br />

diretti <strong>del</strong>lo stesso primo direttore <strong>del</strong> “Center for Bioethics” <strong>del</strong><br />

Kennedy Institute, Dr. LeRoy Walters, pubblicati in Bioethics at Georgetown<br />

School of Medicine and the Kennedy Institute of Ethics, in “Georgetown<br />

Medical Bulletin” 37(1984), 2-68 [spring], 6-8, 53-54, in partic. p. 6, sul ruolo<br />

dei teologi <strong>nella</strong> fondazione stessa <strong>del</strong> Kennedy Institute.<br />

7<br />

Alcune visioni d’insieme dal punto di vista storico sono rinvenibili in:<br />

D. CALLAHAN, The Development of Biomedical Ethics in the United States, in Id.<br />

– G.R. Dunstan (Eds.), Biomedical Ethics: an Anglo-American Dialogue, The<br />

New York Academy of Sciences, New York 1988; D.F. KELLY, The Emergence<br />

of Roman Catholic Medical Ethics in North America: An Historical,<br />

Methodological, Bibliographical Study, Edwin Mellen Press, New York-<br />

Toronto 1979; R.A. McCORMICK, Salute e medicina <strong>nella</strong> tradizione cattolica,<br />

Edizioni Camilliane, Torino 1986; W.T. REICH, <strong>La</strong> bioetica negli Stati Uniti, in<br />

Viafora C. (Ed), Vent’anni di bioetica. Idee, protagonisti, istituzioni,<br />

Fondazione <strong>La</strong>nza-Gregoriana, Padova 1990, 143-175; G. RUSSO (ed.), Storia<br />

<strong>del</strong>la bioetica. Le origini, il significato, le istituzioni, Armando, Roma 1995; L.<br />

WALTERS, Religion and Renaissance of Medical Ethics in the United States:<br />

1965-1975, in E.E. Shelp (Ed.), Theology and Bioethics. Exploring the<br />

Foundations and Frontiers, D. Rei<strong>del</strong> Publishing Co., Dordrecht-Boston-<br />

<strong>La</strong>ncaster-Tokyo 1985.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 151<br />

<strong>del</strong>la vita che oggi va sotto il nome di bioetica 8 .<br />

I primi centri di bioetica, un po’ in tutto il mondo sono sorti<br />

per iniziative di filosofi e teologi cattolici. Il manuale di Häring 9 ,<br />

gli studi di Pellegrino e Thomasma sulla personalità <strong>del</strong> medico<br />

e sulla centralità <strong>del</strong> paziente come persona 10 , il saggio<br />

McCormick su salute e malattia <strong>nella</strong> tradizione cattolica 11 ,<br />

l’Encyclopedia of Bioethics di Reich 12 , gli studi di Callahan 13 –<br />

nati dal dialogo al Kennedy Institute e all’Hastings Center – sono<br />

il segno di un solco pionieristico tracciato dal cattolicesimo<br />

postconciliare.<br />

Senza la <strong>recezione</strong> <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>, non avremmo avuto il<br />

“vettore” <strong>del</strong>la bioetica che ha rinnovato il ruolo <strong>del</strong>la morale<br />

<strong>nella</strong> vita pubblica. È dallo slancio conciliare che i cattolici<br />

Andrè Hellegers e Daniel Callahan hanno dato origine ai suddetti<br />

primi centri di bioetica 14 .<br />

Certo, non bisogna chiudere gli occhi sulle fatiche nel dialogo<br />

con il Magistero dei citati pionieri, il che indica che – fin dalle<br />

origini – la svolta conciliare in <strong>teologia</strong> morale ha richiesto un<br />

discernimento che a tratti si è manifestato problematico.<br />

8<br />

D.F. KELLY, The Emergence of Roman Catholic Medical Ethics, cit.; W.T.<br />

REICH, <strong>La</strong> bioetica negli Stati Uniti, cit.; ID., Il termine “bioetica”. Nascita, provenienza,<br />

forza, in “Itinerarium” 2(1994), n.3, 33-71, 52.<br />

9<br />

B. HÄRING, Etica medica, Edizioni Paoline, Roma 3 1973.<br />

10<br />

E.D. PELLEGRINO – D.C. THOMASMA, For the patient’s good: the restoration<br />

of beneficence in health care, Oxford University Press, New York 1988; ID.,<br />

Helping and healing: religious commitment in health care, Georgetown<br />

University Press, Washington, D.C. 1997; ID., The virtues in medical practice,<br />

Oxford University Press, New York 1993; ID., The Christian virtues in medical<br />

practice, Georgetown University Press, Washington, D.C. 1996.<br />

11<br />

R.A. McCORMICK, Salute e medicina <strong>nella</strong> tradizione Cattolica, cit.<br />

12<br />

W.T. REICH (ed.), Encyclopedia of Bioethics, 4 voll., Free Press, New<br />

York 1978.<br />

13<br />

D. CALLAHAN, The Catholic case for contraception, Macmillan, New York<br />

1969; ID., Abortion: law, choice, and morality, Macmillan, New York 1970;<br />

Ethics and population limitation, Population Council, New York 1971;<br />

Knowledge, value, and belief, edited with H. Tristram Engelhardt, Jr.,<br />

Hastings Center, Hastings-on-Hudson (NY) 1977.<br />

14<br />

W.T. REICH, Mo<strong>del</strong>li di bioetica. Potter e Kennedy Institute a confronto,<br />

in G. Russo (ed.), Bioetica fondamentale e generale, Sei, Torino 1995, a partire<br />

da p.31.


152 GIOVANNI RUSSO<br />

Il cammino che ha portato all’inizio alla Humanae vitae e<br />

successivamente alla Donum vitae, alla Veritatis splendor e alla<br />

Evangelium vitae indica che l’indirizzo <strong>del</strong> vettore è segnato dal<br />

Magistero e che i teologi moralisti sono chiamati a un dialogo<br />

costruttivo.<br />

Non sembra negabile che dai solchi <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> sia nato<br />

un germoglio che vede la vocazione <strong>del</strong> teologo moralista nell’affermazione<br />

<strong>del</strong>la sua libertà. È dalla <strong>teologia</strong> conciliare che è<br />

nata l’affermazione <strong>del</strong>la libertà <strong>del</strong> teologo. Questo orientamento<br />

ha portato all’Istruzione sulla vocazione ecclesiale <strong>del</strong><br />

teologo (1990) e sui criteri circa la manifestazione pubblica <strong>del</strong>la<br />

libertà di pensiero 15 .<br />

Il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> non ha inteso cambiare il ruolo di guida <strong>del</strong><br />

Magistero <strong>nella</strong> dottrina morale, ma certamente ha indicato una<br />

Chiesa carismatica e ministeriale dove il teologo possa serenamente<br />

manifestare le proprie convinzioni, fermo restando il<br />

ruolo guida <strong>del</strong>la gerarchia 16 .<br />

Ci sembra non trascurabile che non sempre la manualistica<br />

<strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong>la vita fisica abbia mostrato un’apparato<br />

argomentativo robusto. Il dibattito sull’embrione precoce, sull’aborto,<br />

sull’indisponibilità <strong>del</strong>la vita in tutte le sue fasi è stato<br />

spesso effettuato riportando posizioni e opinioni diverse, ma<br />

senza offrire ragioni convincenti e giustificazioni etiche rigorose.<br />

Un esempio tra tutte la posizione <strong>del</strong> teologo australiano<br />

Norman Ford sulla natura <strong>del</strong>l’embrione umano prima <strong>del</strong>la formazione<br />

<strong>del</strong>la stria primitiva, che lo porta a concludere che l’embrione<br />

precoce non essendo ancora una realtà individuale stabile<br />

(perché può dare origine al fenomeno <strong>del</strong>la gemellanza omozigotica)<br />

è semplicemente un soggetto umano “potenziale”, ma<br />

non ancora in atto e quindi non meritevole di protezione 17 . Ma<br />

anche il problema posto, da alcuni teologi di area anglosassone,<br />

15<br />

Sull’argomento si veda: G. RUSSO (ed.), Magistero e morale: metodi e<br />

dinamiche <strong>del</strong> confronto. Contributi al Seminario di studio <strong>del</strong> 17 maggio<br />

2003, in “Itinerarium” 11(2003)n.25, 87-126.<br />

16<br />

R. FRATTALLONE, Magistero <strong>del</strong>la Chiesa, etica e bioetica, Coop. S. Tom.,<br />

Messina 2003.<br />

17<br />

N.M. FORD, When did I begin? : conception of the human individual in<br />

history, philosophy, and science, Cambridge University Press, Cambridge-<br />

New York 1988.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 153<br />

<strong>del</strong>l’eticità <strong>del</strong>la procreazione assistita in vitro anche semplicemente<br />

omologa; e <strong>del</strong>l’accusa di “fiscalismo” <strong>nella</strong> volontà <strong>del</strong><br />

Magistero (Donum vitae) di mantenere congiunti l’atto unitivo e<br />

quello procreativo <strong>nella</strong> inseminazione intracorporea.<br />

È stata comunque la <strong>teologia</strong> morale scaturita dal <strong>Vaticano</strong><br />

<strong>II</strong> che ha portato al fiorire di tutta una manualistica nei vari continenti,<br />

dando origine a diversi paradigmi. Gli autori <strong>del</strong>la<br />

manualistica che si sono manifestati nel panorama cattolico<br />

sono molti e di rilievo. Ricordo solo alcuni nomi rilevanti:<br />

Häring, Pellegrino-Thomasma, Callahan, Reich, McCormick,<br />

Curran, Bockle, Fuchs, Sgreccia, Tettamanzi, Malherbe, Goffi,<br />

Demmer, Verspieren, Grisez, Vidal, Schockenhoff, Bompiani,<br />

Leone, Bellino, Viafora, Spinsanti, Lorenzetti, Chiavacci,<br />

Carrasco De Paula.<br />

3. Istituzioni cattoliche pionieristiche sorte dai solchi<br />

<strong>del</strong> vaticano <strong>II</strong><br />

È stata forte l’istituzionalizzazione <strong>del</strong>la bioetica ad opera di<br />

filosofi e teologi cattolici stimolati dalle prospettive <strong>del</strong> <strong>Vaticano</strong><br />

<strong>II</strong>. Notevoli anche i centri di bioetica, che, sin dall’inizio, sono<br />

sorti per lo più nell’ambito cattolico. Cito alcune istituzioni che<br />

hanno avuto e continuano ad avere un ruolo di primo piano.<br />

a) L’Hastings Center<br />

L’Hastings Center, nei pressi di New York, può considerarsi<br />

il luogo dove venne posta la prima pietra <strong>nella</strong> costruzione <strong>del</strong>la<br />

bioetica. Quando Potter nel 1971 pubblicò il suo Bioethics:<br />

Bridge to the Future, alle spalle <strong>del</strong>lo Hastings Center ci stavano<br />

già alcuni anni di esperienza organizzativa e di impegno attivo,<br />

più sul versante sociale e politico che accademico, essendo stato<br />

fondato nel 1969.<br />

Prima <strong>del</strong> 1967 non esisteva una formazione sistematica<br />

etica nel campo <strong>del</strong>la biologia e <strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la salute, se non<br />

nelle facoltà di medicina e di infermieristica <strong>del</strong>le università cattoliche<br />

statunitensi. Fuori <strong>del</strong>l’ambiente americano, però, le università<br />

pontificie romane avevano sempre dato una significativa<br />

consistenza all’etica biomedica con la cosiddetta “medicina


154 GIOVANNI RUSSO<br />

pastorale”. A partire dal 1967 un movimento di formazione umanistica<br />

ed etica nelle scuole mediche diventa comune. Inoltre, gli<br />

Human Values in Medicine, ossia i valori umani <strong>nella</strong> medicina,<br />

entravano nei corridoi <strong>del</strong> Congresso americano, stimolati da<br />

alcuni casi di abuso <strong>nella</strong> sperimentazione umana, ma più<br />

importante ancora, nello stesso anno, 1967, i National Institutes<br />

of Health (Istituti Nazionali di Sanità) diedero mano alla fondazione<br />

di un comitato istituzionale per il controllo <strong>del</strong>la ricerca sui<br />

soggetti umani. A detta di Daniel Callahan, filosofo cattolico che<br />

stava per fondare un centro apposito, l’Hastings Center, “quell’evento<br />

fu lo spartiacque dove l’interesse etico generale <strong>del</strong>la gente<br />

incontrò quello dei professionisti in medicina” 18 .<br />

In questo contesto, nasce nel 1969 un centro apposito di<br />

ricerca, l’Hastings Center, la cui strutturazione e risonanza furono<br />

di tal rilievo, sia negli ambienti di interesse pubblico che in<br />

quelli accademici, da strutturare organicamente la bioetica a partire<br />

dal giugno 1971, quando fu pubblicato il primo numero di<br />

“Hastings Center Report”, definito da Reich “un giornale chiave<br />

nel campo bioetico” 19 e da Toulmin “uno strumento primario in<br />

bioetica” 20 , i cui articoli furono – e sono – assai comunemente<br />

citati dai mass media, ristampati in libri e riviste e usati come<br />

materiali didattici nell’insegnamento universitario <strong>del</strong>la bioetica.<br />

Il centro è un punto di riferimento per lo stesso governo degli<br />

Stati Uniti. Una strutturazione che sorprese gli stessi fondatori<br />

Daniel Callahan e Willard Gaylin, quando dopo appena due anni<br />

potevano affermare che “l’incidenza <strong>del</strong> Centro è stata eccezionale.<br />

Quando iniziò [...] c’erano solo una manciata di persone in<br />

tutta la nazione, insegnanti di qualcosa vagamente chiamata<br />

bioetica. Ora ce ne sono ben più di 300, docenti in istituti superiori,<br />

facoltà mediche, scuole di legge” 21 . Oggi l’Hastings Center<br />

18<br />

D. CALLAHAN, The Development of Biomedical Ethics in the United<br />

States, in Id. – G.R. Dunstan (Eds.), Biomedical Ethics: An Anglo-American<br />

Dialogue, 1-3, 2.<br />

19<br />

W.T. REICH, <strong>La</strong> bioetica, 157.<br />

20<br />

S. TOULMIN, Medical Ethics in Its America Contest: An Historical<br />

Survey, in D. Callahan G.R. Dunstan (Eds.), Biomedical Ethics, 7-15, 11.<br />

21<br />

THE HASTINGS CENTER., Recent Activities: 1973, extracommerciale,<br />

Hastings-on-Hudson, N.Y., 1973, 3.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 155<br />

conta circa 20.000 membri associati, fra cui 1.500 docenti universitari.<br />

I successi bioetici ottenuti dallo Hastings Center nei suoi 35<br />

anni non possono essere tutti enumerati. Senz’altro si sono ottenuti<br />

dei risultati di cui il Centro va fiero, non ultimi quelli relativi<br />

alla richiesta <strong>del</strong> Senato Statunitense per la revisione dei<br />

codici etici. È notorio poi il ruolo decisivo di consulenza che<br />

l’Hastings Center svolse <strong>nella</strong> risoluzione <strong>del</strong> Caso Karen-Ann<br />

Quinlan che, per la sua emblematicità e diffusione, è diventato<br />

un esempio ormai classico per il dibattito sull’accanimento terapeutico<br />

e sulla interruzione di cure che implicano la morte di un<br />

paziente in stato di coma grave e irreversibile 22 .<br />

b) Andre Hellegers e la fondazione <strong>del</strong> Kennedy Institute<br />

Il Kennedy Institute è il luogo dove la bioetica si enucleò<br />

come disciplina. Andre Hellegers, fisiologo <strong>del</strong>l’embriologia<br />

umana di origine olandese (1926-1979), docente fino al 1967<br />

<strong>nella</strong> John Hopkins University di Baltimora, e cattolico <strong>del</strong>la<br />

Commissione Pontificia di Studio <strong>del</strong>la Famiglia, la Popolazione<br />

e i Problemi <strong>del</strong>la Natalità (1964), è all’origine <strong>del</strong> Kennedy<br />

Institute of Ethics <strong>nella</strong> università gesuita di Georgetown a<br />

Washington DC.<br />

L’ostetrico aveva avuto un ruolo considerevole a Roma, come<br />

membro <strong>del</strong> comitato esecutivo <strong>del</strong>la suddetta commissione pontificia,<br />

incaricata di aiutare Paolo VI nel discernimento dei problemi<br />

sollevati nelle famiglie cattoliche dopo l’affermazione <strong>del</strong>le<br />

tecniche contraccettive di Pincus, inventore <strong>del</strong>la “pillola”.<br />

Il Center for Population Research, presto assunse il volto e gli<br />

interessi <strong>del</strong>lo Hastings, però con strutturazione accademica,<br />

essendo un “Istituto Universitario di Servizio alle Comunità<br />

Accademiche, Governative e Pubbliche” 23 . Intanto erano usciti<br />

nel 1970 The Patient as Person e Fabricated Man di P. Ramsey e<br />

22<br />

P. QUATTROCCHI, <strong>La</strong> bioetica. Storia di un progetto, in C. Vella - P.<br />

Quattrocchi - A. Bompiani, Dalla bioetica ai comitati etici, Editrice Ancora,<br />

Milano 1988, 55-97, 78-79.<br />

23<br />

GEORGETOWN UNIVERSITY, Center for Population Research, brochure,<br />

Washington, DC, 1974, 3.


156 GIOVANNI RUSSO<br />

l’idea di una “bioetica” di Potter 24 . Nel 1971, col contributo <strong>del</strong>la<br />

famiglia Kennedy, fonda il The Joseph and Rose Kennedy<br />

Institute for the Study of Human Reproduction and Bioethics,<br />

come si chiamò all’inizio, con un preciso programma, come lui<br />

disse: “Noi stiamo lavorando per sviluppare la bioetica come<br />

una disciplina” 25 . L’istituto fu costituito da tre centri: il Center<br />

for Bioethics, il Center for Population Research e i <strong>La</strong>boratories for<br />

Reproductive Biology. E si circondò di ricercatori come Walters,<br />

Beauchamp, Childress, Reich; di teologi come Häring,<br />

McCormick, Curran, Hawerwas, Branson e Joseph Fuchs.<br />

Il Centro di Bioetica fu affidato a Leroy Walters (che promosse<br />

il primo repertorio bibliografico di bioetica (la Bibliography<br />

of Bioethics), fu strutturato un master in bioetica all’interno<br />

<strong>del</strong>la Facoltà di Filosofia e, subito dopo, un corso di dottorato. Il<br />

Kennedy Institute ha svolto un prezioso ruolo didattico di iniziazione<br />

alla bioetica di studiosi e docenti di ogni parte <strong>del</strong> mondo.<br />

Vanno segnalati i ricercatori che più hanno enucleato accademicamente<br />

la bioetica. Innanzitutto, W.T. Reich, editore <strong>del</strong>la<br />

prima opera di sintesi <strong>del</strong>la bioetica, cioè la Encyclopedia of<br />

Bioethics (1978). <strong>La</strong> persona che ha portato la bioetica oltre<br />

oceano e che ha coordinato eccelsamente la direzione <strong>del</strong><br />

Kennedy Institute dopo Hellegers, è il Dr. Edmund Pellegrino,<br />

medico, filosofo <strong>del</strong>la medicina universalmente apprezzato, giustamente<br />

ritenuto tra i pionieri <strong>del</strong>la bioetica, il più distinto<br />

<strong>nella</strong> genesi e <strong>nella</strong> organizzazione accademica <strong>del</strong>la bioetica<br />

<strong>nella</strong> Georgetown University 26 . Il Dr. Pellegrino è stato coordinatore<br />

anche <strong>del</strong> Center for Clinical Bioethics <strong>nella</strong> Facoltà di<br />

Medicina 27 . Anche Tom Beauchamp, filosofo protestante, è tra i<br />

docenti <strong>del</strong> Kennedy fin dai primordi 28 .<br />

24<br />

HELLEGERS, in Cahiers de la bioéthique, 1: <strong>La</strong> bioéthique, Presses de<br />

l’Université, <strong>La</strong>val 1979, 13.<br />

25<br />

Citato da S. KATT, The Kennedy Institute: A New Approach to Problems,<br />

in “Georgetown Today”, Special Issue, July 1974, 1.3.<br />

26<br />

Bioethics at Georgetown School of Medicine and the Kennedy Institute<br />

of Ethics, in “Georgetown Medical Bulletin” 37(1984), 2-68 (spring), 2-5.<br />

27<br />

GEORGETOWN UNIVERSITY, Center for the Advanced Study of Ethics, brochure,<br />

Washington, DC, 1989, 5.<br />

28<br />

Per uno sguardo a questi pionieri <strong>del</strong>la bioetica rinviamo al nostro


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 157<br />

c) <strong>La</strong> bioetica cattolica in Europa<br />

Dopo l’affermazione negli Stati Uniti, la bioetica trova adesioni<br />

un po’ ovunque, soprattutto in Europa e in Canada. In<br />

Europa la prima apparizione <strong>del</strong> termine “bioetica”, risale al<br />

giugno 1973 (esattamente il 15), in Italia, presso l’Istituto di<br />

Ecologia Animale ed Etologia <strong>del</strong>l’Università di Pavia. Il Dr.<br />

Menico Torchio, devotissimo cattolico, professore di Biologia<br />

marina di quell’Università e direttore <strong>del</strong>la Stazione<br />

Idrobiologica ed Acquario di Milano, pubblica un saggio sulla<br />

rivista “Natura” che portava il titolo: “Rapporti uomo-Natura<br />

secondo le principali metafisiche orientali, loro implicazioni<br />

bioetiche ed ecologiche” 29 . È assolutamente importante notare<br />

che quest’articolo aveva perfette connotazioni potteriane <strong>nella</strong><br />

concezione <strong>del</strong>la bioetica. Non si parla di bioetica con focus<br />

medico, né di problematiche legate alle biotecnologie. L’articolo<br />

di Torchio cammina sulla scia di quell’impostazione che Potter<br />

edifica sui fondamenti di Leopold. Torchio diede origine al<br />

“Gruppo Cattolico di Bioetica”.<br />

Il primo centro di bioetica in Europa fu costituito in Spagna<br />

nel 1975: l’Instituto Borja de Bioética di Barcellona. <strong>La</strong> sua genesi<br />

istituzionale fu <strong>nella</strong> Facoltà di Teologia, oggi però è costituito<br />

in istituto autonomo. Senz’altro in Europa il Borja fu all’avanguardia<br />

grazie a personalità come i gesuiti Manuel Cuyas e<br />

Francesc Abel 30 .<br />

Inoltre, <strong>nella</strong> storia <strong>del</strong>la medicina e <strong>del</strong>la bioetica, la<br />

Spagna ha avuto personalità come Diego Grazia, ottimo cattolico<br />

e docente di storia <strong>del</strong>la medicina nell’Università Complutense<br />

e accademico <strong>del</strong>la Real Academia de Medicina, disce-<br />

Bilancio di venticinque anni di bioetica. Un confronto con i pionieri, Elledici,<br />

Leumann (TO) 1997.<br />

29<br />

M. TORCHIO, Rapporti uomo-Natura secondo le principali metafisiche<br />

orientali, loro implicazioni bioetiche ed ecologiche, in “Natura” 64(11973)2,<br />

101-132. Pubblicato esattamente il 15 giugno 1973 dall’Editrice Succ. Fusi,<br />

Pavia. Il corsivo <strong>nella</strong> citazione è nostro.<br />

30<br />

Cfr. F. ABEL, Dinamismo <strong>del</strong> diálogo bioético en una España en transición,<br />

in Guerra de Macedo C. (Ed.), Bioética, numero especial de “Boletin de<br />

la Oficina Sanitaria Panamericana” 108(1990),542-549.


158 GIOVANNI RUSSO<br />

polo di Pedro <strong>La</strong>ín Entralgo 31 . Il suo sistema di pensiero segue<br />

tre principali indirizzi: storia, teoria <strong>del</strong>la medicina e filosofia.<br />

Come storico <strong>del</strong>la medicina si è interessato soprattutto <strong>del</strong>le<br />

tappe storiche antiche (la grecità e il giuramento di Ippocrate),<br />

<strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la medicina medievale e di alcune correnti odierne.<br />

Nel secondo settore, la teoria <strong>del</strong>la medicina, Gracia ha<br />

appuntato i suoi interessi ai rapporti essenziali che legano la<br />

medicina e l’antropologia, intesa come scienza <strong>del</strong>l’uomo in<br />

quanto uomo, evidenziando come la pratica <strong>del</strong> medico, la<br />

malattia, la guarigione e la morte <strong>del</strong> malato non sono fatti di<br />

ordine semplicemente fisico-chimico, bensì di ordine “umano”.<br />

Nell’ultimo settore, la filosofia, Gracia è legato strettamente al<br />

pensiero <strong>del</strong> suo maestro, Xavier Zubiri, che si muove tra esistenzialismo,<br />

fenomenologia e neoscolastica.<br />

A Londra, sotto il coordinamento dei vescovi cattolici, nasce<br />

il Joint Committee on Bioethical Issues e, nel 1977, il Roman<br />

Catholic Linacre Center 32 . Quest’ultimo, che ha avuto un forte<br />

impatto culturale, è stato ed è diretto dal Dr. Luke Gormally, con<br />

la collaborazione scientifica di Agneta Sutton. Si tratta di un<br />

centro composto in massima parte da docenti nel campo biomedico,<br />

filosofico, teologico e legale. Il loro lavoro è effettuato<br />

in collaborazione con una vasta rete di scienziati e specialisti clinici.<br />

Gli studi pubblicati hanno concentrato l’attenzione sui problemi<br />

relativi al prolungamento <strong>del</strong>la vita, l’eutanasia, l’etica <strong>del</strong>l’assistenza<br />

sanitaria, la diagnosi prenatale e la fertilizzazione in<br />

vitro, la genetica. L’impostazione di pensiero è propriamente<br />

cattolica, ed ha avuto un buon impatto sociale e politico, contribuendo<br />

anche a livello di consulenze governative.<br />

Nel 1980 si affermano le iniziative di etica medica <strong>del</strong> Centro<br />

Sevres di Parigi e, dopo qualche anno, viene data organica struttura<br />

al Departement d’Ethique Biomedicale du Centre Sevres,<br />

sotto la direzione di Patrick Verspieren. Il Dipartimento ha organizzato<br />

significativi colloqui e seminari, concentrando la ricerca<br />

particolarmente nei campi <strong>del</strong>la sperimentazione, <strong>del</strong>le nuove<br />

31<br />

D. GRACIA, Fondamenti di bioetica. Sviluppo storico e metodo, San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993.<br />

32<br />

Cfr. D. THOMASMA (Ed.), Medical Ethics in Europe, in “Theoretical<br />

Medicine” 9(1988),243-388, 254-255.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 159<br />

frontiere <strong>del</strong>la procreazione assistita e <strong>del</strong>la genetica, <strong>del</strong>l’astenzione<br />

<strong>del</strong>le terapie, <strong>del</strong>le cure palliative. Riguardo a queste ultime,<br />

hanno riscosso notevole successo i colloqui <strong>del</strong> 1983 e <strong>del</strong><br />

1984. Il Dipartimento dispone di una buona biblioteca (Centro<br />

di Documentazione Bioetica), rilevante per la raccolta di documenti<br />

ufficiali e non ufficiali nel campo <strong>del</strong>la bioetica, apparsi<br />

anche nell’enchiridion “Documenti di biologia, medicina ed<br />

etica: testi <strong>del</strong> magistero cattolico (1990)” 33 . I membri <strong>del</strong><br />

Dipartimento godono particolare stima nell’Europa francofona,<br />

essendo stati chiamati come esperti in Gruppi di lavoro ministeriali<br />

e in Comitati Etici Nazionali.<br />

Il Centre d’Etudes Bioéthiques <strong>del</strong>l’Università cattolica di<br />

Lovanio, in Belgio, investe importanza notevole in centro<br />

Europa. Nato come sviluppo di una cattedra di filosofia <strong>del</strong>la<br />

medicina, nel 1983, promuove la bioetica come disciplina accademica:<br />

benché non si possa ridurre la ricerca a dei dibattiti<br />

esclusivamente scientifici e tecnologici, pena la riduzione <strong>del</strong>l’uomo<br />

a puro oggetto meccanico, si vuole promuovere in campo<br />

biomedico una scienza con coscienza 34 . Sotto la direzione di J.F.<br />

Malherbe, il centro si è impostato secondo una focalizzazione<br />

biomedica.<br />

Nell’Università di Tubinga, nel 1985, è costituito<br />

l’Interfaculty Center for Ethics in the Sciences and Humanities<br />

con la collaborazione <strong>del</strong>la facoltà cattolica e protestante di<br />

Teologia, <strong>del</strong>la facoltà di Filosofia, di Medicina e di Biologia.<br />

Esiste dal 1991 un “Postgraduate programme” per la formazione<br />

e la preparazione didattica, come anche un “European<br />

Network of Biomedical Ethics” che documenta bene l’attività<br />

bioetica in Europa 35 .<br />

d) <strong>La</strong> bioetica in Italia<br />

Un’indagine genetica <strong>del</strong>la storia italiana <strong>del</strong> movimento che<br />

ha portato alla strutturazione <strong>del</strong>la bioetica, ha mostrato come<br />

33<br />

Biologia, Medicina ed Etica, cit.<br />

34<br />

J.F. MALHERBE, Centre d’Etudes Bioéthique, Bruxelles 1985, 5.<br />

35<br />

Cfr. G. RUSSO, Bioetica e correnti di pnsiero in Europa, in E. Sgreccia –<br />

G.P. Calabrò (eds.), I diritti <strong>del</strong>la persona in prospettiva bioetica e giuridica,<br />

Marco Editore, Lungo di Cosenza 2002, 157-169.


160 GIOVANNI RUSSO<br />

fin dal 1961 un forte movimento con sensibilità etica <strong>nella</strong> medicina,<br />

iniziato già con Agostino Gemelli fin dal 1950 con la rivista<br />

“Medicina e Morale”, abbia un poco alla volta consegnato le<br />

sue ricerche ad una vera e propria opera scientifica che ha attivato<br />

specificamente la bioetica 36 .<br />

Generalmente si suole riportare la nascita <strong>del</strong>la bioetica vera<br />

e propria agli anni ottanta, precisamente quando dalla cattedra<br />

di etica biomedica <strong>del</strong>la Facoltà di Medicina e Chirurgia “A.<br />

Gemelli” <strong>del</strong>l’Università Cattolica, di cui era titolare il Prof.<br />

Sandro Spinsanti, si passò nell’anno accademico 1983-1984 all’istituzione<br />

di una cattedra vera e propria di bioetica, affidandola<br />

al Prof. Elio Sgreccia. Alcuni studiosi <strong>del</strong>l’Istituto di Antropologia<br />

<strong>del</strong>l’Università di Firenze, E. Gadler e B. Chiarelli, tracciando<br />

una nota storica circa alcuni aspetti e problemi <strong>del</strong>la<br />

bioetica italiana, riconducono più a monte l’iniziativa ufficiale,<br />

nel 1982, quando la rivista “Medicina e Morale”, passando dall’uscita<br />

quadrimestrale a quella trimestrale, assume il sottotitolo<br />

di “Rivista Trimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale<br />

Medica” 37 .<br />

L’iniziativa per l’istituzione di un Centro di Bioetica non si<br />

fece aspettare. Il primo centro di bioetica (1985) avviene presso<br />

l’Università Cattolica, dove la bioetica aveva visto la sua preistoria<br />

non nei bagliori <strong>del</strong>la nuova sensibilità di una rivista o <strong>del</strong>l’istituzione<br />

di una cattedra, o frutto di una moda culturale vigente,<br />

ma dal quel vasto “movimento” che da 25 anni aveva concentrato<br />

tutte le sue attenzioni sui problemi etici <strong>del</strong>la medicina<br />

38 . Fra gli scopi che il centro (e ora anche l’Istituto) si prefigge<br />

“quello di un costante riferimento ai criteri di scientificità<br />

propri <strong>del</strong>la visione cattolica <strong>del</strong>la vita e quindi <strong>del</strong>la fe<strong>del</strong>tà al<br />

magistero <strong>del</strong>la Chiesa” 39 .<br />

36<br />

G. RUSSO, Sessualità ed embriopoiesi <strong>nella</strong> genesi <strong>del</strong>la bioetica in Italia,<br />

ITST, Messina 1992.<br />

37<br />

E. GADLER - B. CHIARELLI, Nota storica <strong>II</strong>I: Aspetti e problemi <strong>del</strong>la bioetica<br />

in Italia (Analisi critica dei testi italiani di bioetica), in “Problemi di<br />

Bioetica” 6(1990),7-33, 7.<br />

38<br />

Istituzione <strong>del</strong> Centro di Bioetica <strong>del</strong>l’Università Cattolica, in “Medicina<br />

e Morale” 35(1985),274-280, 276.<br />

39<br />

Statuto, art.3.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 161<br />

L’opera di Sgreccia e dei suoi collaboratori, in particolare<br />

Antonio Giuseppe Spagnolo, Maria Luisa Di Pietro, <strong>La</strong>ura<br />

Palazzani, Vincenza Mele e, recentemente, il nuovo direttore<br />

<strong>del</strong>l’Istituto di Bioetica, Ignacio Carrasco De Paula, è un’opera<br />

che vede la bioetica con una fondazione etica strutturalmente<br />

aperta alla metafisica. Un pensiero che è stato chiamato “personalismo<br />

ontologico”, che si inscrive in una concezione generale<br />

<strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong>l’etica e che pone l’uomo e la persona come realtà<br />

positiva e centrale <strong>del</strong>la riflessione bioetica 40 . Tale bioetica si<br />

propone dunque in primo luogo di giustificare il valore centrale<br />

<strong>del</strong>la persona come criterio di discernimento tra ciò che è tecnicamente<br />

possibile e ciò che è eticamente lecito, sulla base di una<br />

antropologia ontologicamente fondata (il riconoscimento <strong>del</strong>la<br />

sostanzialità <strong>del</strong>l’essere <strong>del</strong>la persona) e di una metafisica finalistica<br />

(il riconoscimento <strong>del</strong>la “legge naturale” come ordine <strong>del</strong>la<br />

realtà). Su tale base la bioetica personalista formula i principi (il<br />

valore fondamentale <strong>del</strong>la vita, il principio di totalità o principio<br />

terapeutico, il principio di libertà e di responsabilità e il principio<br />

di socialità e di sussidiarietà) ed elabora le norme specifiche<br />

in vista <strong>del</strong>le circostanze <strong>del</strong>l’azione particolare.<br />

Sulla scia <strong>del</strong>la corrente di pensiero sgrecciana, altri centri<br />

si sono mostrati particolarmente dinamici <strong>nella</strong> strutturazione<br />

italiana <strong>del</strong>la bioetica. Citiamo il centro <strong>del</strong> San Raffaele di<br />

Milano, il Centro Internazionale Studi Famiglia, che ha visto tra<br />

i suoi direttori Sandro Spinsanti, e che ora coordina –<br />

nell’Istituto per l’Analisi <strong>del</strong>lo Stato Sociale di Roma – la rivista<br />

“Janus”. Altri centri di significativo interesse sono: la Fondazione<br />

<strong>La</strong>nza di Padova, l’Istituto Siciliano di Bioetica (ISB) di padre<br />

Salvatore Privitera e <strong>del</strong> prof. Salvino Leone, la nostra Scuola<br />

Superiore di Specializzazione in Bioetica e Sessuologia di<br />

Messina che rilascia un diploma di specializzazione con<br />

l’Università Pontificia Salesiana, il Camillianum di Roma con le<br />

sue attività nel campo <strong>del</strong>la pastorale sanitaria.<br />

40<br />

L. PALAZZANI, Mo<strong>del</strong>lo argomentativo per una valutazione bioetica <strong>nella</strong><br />

prospettiva personalistica, in C. Viafora (a cura di), Centri di bioetica in Italia.<br />

Orientamenti a confronto, Fondazione <strong>La</strong>nza-Gregoriana, Padova 1993, 37-<br />

54.


162 GIOVANNI RUSSO<br />

4. Il dialogo tra le diverse prospettive<br />

Uno dei risultati migliori <strong>del</strong>l’etica <strong>del</strong>la vita sorta dal<br />

<strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> è quello <strong>del</strong> dialogo instauratosi tra i diversi paradigmi<br />

di bioetica, al punto che lo stesso Giovanni Paolo <strong>II</strong>, in<br />

Evangelim vitae (n.27), loda e incoraggia il confronto con altre<br />

prospettive di impostazione secolare.<br />

a) Qualità <strong>del</strong>la vita versus sacralità <strong>del</strong>la vita<br />

Un primo mo<strong>del</strong>lo fondamentale di bioetica è quello che<br />

mira a risolvere problemi di bioetica alla luce dei paradigmi di<br />

sacralità <strong>del</strong>la vita, o, dal versante opposto, di qualità <strong>del</strong>la vita.<br />

Di per sé, questi due paradigmi non dovrebbero essere letti in<br />

forma antagonista, perché il paradigma di “sacralità <strong>del</strong>la vita”<br />

non esclude quello di “qualità <strong>del</strong>la vita”, e viceversa. Se questi<br />

due paradigmi sono stati presentati in forma alternativa, ciò<br />

dipende dagli steccati innalzati dai due rappresentanti di questi<br />

paradigmi: la bioetica “religiosa” da un lato, con la riflessione<br />

sulla “sacralità <strong>del</strong>la vita”, e la bioetica “laica”, che ha fatto <strong>del</strong><br />

concetto di “qualità <strong>del</strong>la vita” un cavallo di battaglia. <strong>La</strong> posizione<br />

di Peter Singer, in campo secolare forse la più rappresentativa,<br />

intende elaborare una “nuova” impostazione dei valori<br />

etici nel campo <strong>del</strong>la vita, abbandonando il principio fondamentale<br />

<strong>del</strong>l’etica tradizionale, il principio <strong>del</strong>la “sacralità <strong>del</strong>la<br />

vita”. Non esisterebbe una dignità <strong>del</strong>l’uomo che è talmente<br />

“sacra” da stabilire una gerarchia di valori a priori. È l’individuo<br />

che elabora la gerarchia di doveri in caso di conflitto nelle varie<br />

circostanze in cui si trova ad agire 41 . Non c’è dunque spazio per<br />

un principio <strong>del</strong>la “sacralità <strong>del</strong>la vita”. Esiste, piuttosto il principio<br />

<strong>del</strong>la “qualità <strong>del</strong>la vita”. Quest’ultima è il “vivere bene”<br />

<strong>nella</strong> ricerca <strong>del</strong>la massimizzazione <strong>del</strong> benessere (principio utilitarista)<br />

e nel rispetto <strong>del</strong>l’autonomia <strong>del</strong>l’individuo.<br />

41<br />

Per una critica a questa impostazione, si veda: L. PALAZZANI, Dall’etica<br />

“laica” alla bioetica “laica”: linee per un approfondimento filosofico-critico <strong>del</strong><br />

dibattito italiano attuale, in “Humanitas” 46(1991)513-546, 544.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 163<br />

b) Principialismo<br />

Un altro mo<strong>del</strong>lo di bioetica, forse il più diffuso, è quello<br />

cosiddetto dei principi: il principialismo di Beauchamp e<br />

Childress 42 . In tale ottica i principi normativi nel campo <strong>del</strong>la<br />

bioetica sono stabiliti in funzione <strong>del</strong>la prassi biomedica. Ci si<br />

ritrova ad abbracciare concezioni “contrattualistiche” basate su<br />

un accordo di base circa alcuni principi e norme che siano condivisibili<br />

mediante la stipulazione di un contratto o sul bilanciamento<br />

dei doveri in questione 43 .<br />

I principi <strong>del</strong>la bioetica, stabiliti di Beauchamp e Childress,<br />

sono quattro: rispetto <strong>del</strong>l’autonomia (respect for autonomy),<br />

beneficità (beneficence), non-maleficenza (non-maleficence) e giustizia<br />

(justice). Questi quattro principi sono interpretati e giustificati<br />

nel contesto di due tipi di teorie etiche: la teoria utilitaristica<br />

e la teoria deontologica. Una deontologia che è una deontologia<br />

pluralista che ammette più doveri che devono essere bilanciati<br />

in funzione <strong>del</strong>le circostanze concrete al fine di cogliere il<br />

dovere o il principio “emergente” (overriding) <strong>nella</strong> situazione. <strong>La</strong><br />

interpretazione utilitaristica, poi, prescrive il maggior bene e il<br />

minor male per il maggior numero di persone, ove il bene e il<br />

male si definiscono in base al “piacevole” e allo “spiacevole”. <strong>La</strong><br />

moralità <strong>del</strong>l’azione dipende dalle conseguenze non <strong>del</strong>la singola<br />

azione in sé bensì <strong>del</strong>l’azione in rapporto a un “codice generale”<br />

o a un “sistema di regole” (whole-code approach) che si identificano<br />

con la massimalizzazione <strong>del</strong>l’utilità sociale.<br />

Clouser e Gert hanno evidenziato come il principialismo<br />

manca di una teoria unificata e sistematica da cui derivino i<br />

principi e che connetta i principi tra loro in modo armonioso e<br />

integrato: tale mancanza sta all’origine <strong>del</strong> conflitto tra i princi-<br />

42<br />

T.L. BEAUCHAMP - J.F. CHILDRESS, Principles of Biomedical Ethics, Oxford<br />

University Press, New York 41993. Sull’etica dei principi si veda anche: T.L.<br />

BEAUCHAMP - L.B. MCCULLOUGH, Medical Ethics: The Moral Responsabilities of<br />

Physicians, Prentice-Hall, Englewood Cliffs,1984; J.F. CHILDRESS, Who Should<br />

Decide? Paternalism in Health Care, Oxford University Press, New York 1982.<br />

43<br />

T.L. BEAUCHAMP, Principialismo, in G. RUSSO (ed.), Enciclopedia di<br />

Bioetica e Sessuologia, Elledici - Velar - Cic Edizioni Internazionali,<br />

Leumann (TO) - Gorle (BG) - Roma 2004.


164 GIOVANNI RUSSO<br />

pi, conflitto, secondo gli autori, irrisolvibile 44 . Ogni principio<br />

infatti non “riassume” la teoria, bensì nasconde implicitamente<br />

diverse teorie contrastanti: è una sorta di “surrogato” <strong>del</strong>la teoria<br />

che rimanda a diverse teorie per essere spiegato.<br />

c) Il paradigma <strong>del</strong>l’esperienza<br />

Un altro paradigma <strong>del</strong>la bioetica, è quello di Reich, denominato<br />

paradigma <strong>del</strong>l’esperienza 45 . Nasce come reazione al paradigma<br />

dei principi di Beauchamp e Childress. Il limite <strong>del</strong> principialismo<br />

è che, enfatizzando le caratteristiche astratte di un’etica<br />

universale (come i diritti, l’eguaglianza, la dignità), esso ha<br />

escluso gran parte <strong>del</strong>l’esperienza morale particolare di soggetti<br />

morali coinvolti, come il particolare legame vissuto dai genitori,<br />

l’amicizia <strong>nella</strong> vita professionale, l’attitudine <strong>del</strong>le donne a<br />

“prendersi cura”, ecc. In altri termini, la ricchezza, la varietà e la<br />

poliedricità <strong>del</strong>la vita morale non è incasellabile nel rigido schematismo<br />

astratto dei principi. Contro l’astrattezza dei principi si<br />

rivendica la priorità <strong>del</strong>l’esperienza. Seguendo la via indicata da<br />

Jonsen e Toulmin (nuova casistica) 46 , alcuni autori, che si riferiscono<br />

al paradigma <strong>del</strong>l’esperienza, stanno seguendo ora più<br />

vigorosamente le implicazioni <strong>del</strong>la casistica per la bioetica 47 .<br />

d) Il paradigma basato sulle virtù<br />

Infine, il paradigma basato sulle virtù. Si rifà ad Aristotele,<br />

a Tommaso d’Aquino, e, in bioetica oggi, a Pellegrino e<br />

Thomasma 48 . In etica medica, questo mo<strong>del</strong>lo risale alla tradi-<br />

44<br />

K.D. CLOUSER - B. GERT, A Critique of Principlism, in “The Journal of<br />

Medicine and Philosophy” 2(1990)219-236, 227.<br />

45<br />

W.T. REICH, Il paradigma bioetico basato sull’esperienza, in G. RUSSO<br />

(ed.), Bioetica fondamentale e generale, 165-168.<br />

46<br />

A.R. JONSEN – S. TOULMIN, The abuse of casuistry: a history of moral reasoning,<br />

University of California Press, Berkeley 1988.<br />

47<br />

L.B. HOFFMASTER - B. FREEDMAN - G. FRASER (Eds.), Clinical Ethics:<br />

Theory and Practice, Humana Press, Clifton 1989.<br />

48<br />

The virtues in medical practice, cit.; ID., The Christian virtues in medical<br />

practice, cit.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 165<br />

zione <strong>del</strong>lo stesso Ippocrate. <strong>La</strong> teoria <strong>del</strong>le virtù si è diffusa tra<br />

i moralisti contemporanei in corrispondnza <strong>del</strong>l’abbandono<br />

<strong>del</strong>la teoria deontologica neo-kantiana e <strong>del</strong>la teoria teleologica<br />

utilitaristica. Anch’esso enfatizza l’attenzione sull’esperienza e<br />

sul soggetto, in quanto personalità morale. Il rilievo è posto sull’esperienza<br />

e sulla personalità di colui che agisce più che sull’atto<br />

in sé, o sui principi. <strong>La</strong> domanda centrale è la seguente:<br />

che tipo di persona dovrei essere? come mi dovrei comportare<br />

per agire bene? Nel caso <strong>del</strong> medico e <strong>del</strong>l’infermiere, il “guarire”<br />

e il “curare” è la loro attività specifica: se il medico e l’infermiere<br />

“guariscono” e “curano” sono “buoni” (virtuosi) professionisti<br />

in quanto il loro agire realizza il fine specifico intrinseco<br />

all’azione. Le virtù sono dunque quei “tratti <strong>del</strong> carattere” e <strong>del</strong>la<br />

personalità <strong>del</strong> professionista, ciò che rende il professionista un<br />

buon professionista.<br />

Edmund D. Pellegrino, americano, è il rappresentante più<br />

forte di tale orientamento. Senza persone virtuose l’etica professionale<br />

non può avere successo, tanto più <strong>nella</strong> professione<br />

medica in quanto la vulnerabilità e la dipendenza <strong>del</strong>la persona<br />

malata nei confronti <strong>del</strong> medico fa sì che questi debba “aver<br />

fiducia” (trust) non tanto nei suoi diritti, quanto nel tipo di persona<br />

che il medico “è”.<br />

Pellegrino ritiene che la determinazione <strong>del</strong>le virtù <strong>del</strong> medico<br />

(virtuous physician) sia strettamente connessa alla determinazione<br />

<strong>del</strong> bene medico: il medico virtuoso è dunque colui che<br />

è “abitualmente disposto” ad agire per il bene <strong>del</strong> paziente. Tali<br />

“disposizioni abituali”, o virtù, <strong>del</strong> medico sono: la benevolenza,<br />

la fe<strong>del</strong>tà alla fiducia, la compassione, l’empatia, l’onestà intellettuale,<br />

la competenza, la prudenza 49 . <strong>La</strong> scelta stessa <strong>del</strong>la professione<br />

di medico e di infermiere implica una “promessa pubblica”<br />

di agire per il bene <strong>del</strong> paziente: è una sorta di “impresa<br />

morale” che implica il superamento <strong>del</strong>l’egoismo nel servire<br />

altruisticamente gli altri. <strong>La</strong> bioetica <strong>del</strong>le virtù, pertanto, privilegia<br />

il bene <strong>del</strong> paziente, anziché l’autonomia <strong>del</strong> paziente e l’utilità<br />

sociale.<br />

49<br />

Per maggiori dettagli si veda un nostro recente volume: Il medico.<br />

Identità e ruoli <strong>nella</strong> società di oggi, Elledici, Cic Edizioni Internazionali -<br />

Leumann (TO) - Roma 2004.


166 GIOVANNI RUSSO<br />

e) Il paradigma bioetico Vangelo <strong>del</strong>la vita<br />

Infine il paradigma bioetico Vangelo <strong>del</strong>la vita, che si rifà<br />

all’Enciclica di Giovanni Paolo <strong>II</strong> e che alcuni autori – in particolare<br />

Livio Melina 50 – hanno proposto come un mo<strong>del</strong>lo specifico<br />

in piena sintonia con l’indirizzo conciliare. Un paradigma<br />

ancorato alla persona stessa di Gesù, che, anzi, coincide con il<br />

suo stesso essere, con l’annuncio <strong>del</strong>la persona stessa di Gesù: “Il<br />

Vangelo <strong>del</strong>la vita non è una semplice riflessione, anche se originale<br />

e profonda, sulla vita umana; neppure è soltanto un comandamento<br />

destinato a sensibilizzare la coscienza e a provocare<br />

significativi cambiamenti <strong>nella</strong> società; tanto meno è un’illusoria<br />

promessa di un futuro migliore. Il Vangelo <strong>del</strong>la vita è una<br />

realtà concreta e personale, perché consiste nell’annuncio <strong>del</strong>la<br />

persona stessa di Gesù [...]. È allora dalla parola, dall’azione,<br />

dalla persona stessa di Gesù che all’uomo è data la possibilità di<br />

‘conoscere’ la verità intera circa il valore <strong>del</strong>la vita umana; è da<br />

quella fonte che gli viene, in particolare, la capacità di ‘fare’ perfettamente<br />

tale verità (cf Gv 3,21), ossia di assumere e realizzare<br />

in pienezza la responsabilità di amare e servire, di difendere<br />

e promuovere la vita umana. Il Vangelo <strong>del</strong>la vita racchiude così<br />

quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono circa il valore<br />

<strong>del</strong>la vita, lo accoglie, lo eleva e lo porta a compimento” 51 .<br />

Nel paradigma Vangelo <strong>del</strong>la vita la vita è “progetto”. Esso<br />

corrisponde a un disegno <strong>del</strong> Creatore, a una precisa vocazione<br />

e chiamata. <strong>La</strong> vita è chiamata a conformarsi a questo disegno;<br />

la condizione <strong>del</strong> successo, e quindi <strong>del</strong> progresso <strong>del</strong>la vita, è il<br />

riconoscere che la libertà <strong>del</strong>l’uomo nel realizzare questo progetto<br />

è appesa al filo <strong>del</strong>l’obbedienza. L’uomo ne è signore, ma<br />

Dio soltanto ne è signore in maniera assoluta. Anche in situazioni<br />

precarie, la vita è sempre un bene, perché è realtà sacra e<br />

inviolabile. Perciò la vita va accolta e rispettata, difesa e protetta,<br />

servita, anzi contemplata nel grande Mistero <strong>del</strong>la Vita. E<br />

50<br />

L. MELINA, Corso di bioetica. Il vangelo <strong>del</strong>la vita, Piemme, Casale<br />

Monferrato (AL) 1996; ID., Vangelo <strong>del</strong>la vita. Paradigma bioetico, in G. RUSSO<br />

(ed.), Enciclopedia di Bioetica e Sessuologia, cit.<br />

51<br />

GIOVANNI PAOLO <strong>II</strong>, Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, 29-30.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELL’ETICA DELLA VITA (BIOETICA) 167<br />

poiché è quel talento di valore importante da trafficare, occorre<br />

prendersi cura <strong>del</strong>la vita e promuoverla 52 .<br />

5. Conclusioni e interrogativi problematici<br />

L’etica <strong>del</strong>la vita dopo il <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> ha trovato ampi spazi<br />

più <strong>nella</strong> riflessione filosofica secolare che <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> morale.<br />

Abbiamo assistito a una grande “primavera” <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong><br />

morale <strong>del</strong>la vita, grazie all’impulso di paradigmi bioetici saldamente<br />

fondati sulla dottrina cattolica personalista. <strong>La</strong> svolta teologica<br />

operata dal <strong>Concilio</strong> è senz’altro all’origine <strong>del</strong> successo<br />

istituzionale <strong>del</strong>la bioetica cattolica.<br />

Tra gli esponenti dei paradigmi più noti troviamo, come già<br />

indicato, molti cattolici, mentre le università pontificie pur<br />

avendo prodotto molto sono state poco vivaci sia <strong>nella</strong> proposta<br />

di nuovi mo<strong>del</strong>li, sia <strong>nella</strong> strutturazione di un dibattito critico e<br />

costruttivo con altri mo<strong>del</strong>li maggiormente affermati. Di fronte<br />

all’attacco sistematico alla <strong>teologia</strong> <strong>del</strong>la persona ad opera <strong>del</strong>la<br />

filosofia di Tristam Engelhardt, Jr., abbiamo assistito a molte<br />

reazioni critiche – e ben fondate – ma quali proposte?<br />

Inoltre, la <strong>teologia</strong> morale postconciliare è riuscita a mantenere<br />

il passo con l’utilitarismo e il contrattualismo imperanti in<br />

bioetica?<br />

Ma la lacuna più rilevante è a nostro avviso quella di una<br />

insufficiente proposta “teologica” 53 , con riferimenti sui fondamenti<br />

cristologici quasi assenti 54 . <strong>La</strong> bioetica cattolica ha camminato<br />

bene dal punto di vista <strong>del</strong>l’antropologia filosofica, ma<br />

52<br />

G. RUSSO, Significato <strong>del</strong>la “Evangelium vitae” per la bioetica, in ID.<br />

(ed.), Evangelium vitae. Commento all’enciclica sulla bioetica, Elle Di Ci,<br />

Leumann 1995, 141-167.<br />

53<br />

Ottimo lo studio di S. LEONE, <strong>La</strong> prospettiva teologica in bioetica,<br />

Istituto Siciliano di Bioetica, Acireale (CT) 2002 e quello di G. COSTA,<br />

Fondamenti biblici <strong>del</strong>la bioetica, Coop. S. Tom., Messina 2003.<br />

54<br />

Credo che occorra sviluppare la prospettiva proposta dall’enciclica<br />

Evangelium vitae. Interessante saggio, che apre la strada in questo senso, è<br />

quello di R.TREMBLAY, Cristologia e bioetica, in G. RUSSO (ed.), Enciclopedia di<br />

Bioetica e Sessuologia, cit.


168 GIOVANNI RUSSO<br />

non si è occupata molto dei dimensioni proprie <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>.<br />

Comunque, se i frutti <strong>del</strong>la prima stagione <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> sono<br />

stati di buona qualità filosofica, occorre ora camminare per un<br />

cammino più propriamente teologico.<br />

GIOVANNI RUSSO


StMor 42 (2004) 169-199<br />

GUIDO GATTI<br />

LO SVILUPPO POSTCONCILIARE<br />

DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA<br />

1. <strong>La</strong> Gaudium et Spes: una visione personalistica <strong>del</strong>la<br />

famiglia<br />

1.1. <strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong>la famiglia, prima <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong><br />

Il <strong>Concilio</strong> si è occupato <strong>del</strong>la famiglia, e quindi anche <strong>del</strong>l’etica<br />

familiare, soprattutto <strong>nella</strong> Costituzione Pastorale<br />

Gaudium et Spes.<br />

Ma la sezione, tutto sommato abbastanza breve, di questo<br />

costituzione pastorale, che il <strong>Concilio</strong> ha dedicato alla famiglia<br />

rappresenta, per la storia <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale familiare, una<br />

specie di pietra miliare o, se si preferisce una specie di confine<br />

tra due epoche diverse. Il concilio <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> ha lasciato una<br />

sua orma profonda e un chiaro stimolo al rinnovamento in tutti<br />

i settori e in tutti i capitoli <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>, ma con riferimento<br />

specialissimo alla <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong>la famiglia.<br />

Si potrebbe quasi dire che, più che una svolta, il <strong>Concilio</strong><br />

rappresenti, per la morale familiare, una specie di vero e proprio<br />

inizio.<br />

Se si escludono infatti alcune opere di singoli pionieri, la<br />

manualistica tradizionale non contemplava nessun trattato,<br />

esplicitamente dedicato alla <strong>teologia</strong> <strong>del</strong>la famiglia.<br />

Qualcosa di quello che, dopo il <strong>Concilio</strong> sarebbe confluito in<br />

una serie di saggi sempre più numerosi di vera e propria <strong>teologia</strong><br />

<strong>del</strong>la famiglia, veniva incluso (e questa inclusione la dice<br />

lunga sul mondo in cui la TF veniva concepita dalla morale preconciliare)<br />

<strong>nella</strong> sezione riservata al sesto e nono comandamento<br />

e, in parte, in una trattazione, di stampo quasi esclusivamente<br />

giuridico, dedicata al matrimonio.<br />

In particolare, tutti i manuali riportavano fe<strong>del</strong>mente la tradizionale<br />

dottrina dei tre fini <strong>del</strong> matrimonio, e precisamente,<br />

nel loro preciso e rigoroso ordine gerarchico tradizionale: la pro-


170 GUIDO GATTI<br />

creazione al primo posto, poi, in posizione subordinata, l’educazione<br />

<strong>del</strong>la prole, il mutuo aiuto tra i coniugi e il c. d. “remedium<br />

concupiscentiae” 1 .<br />

Dal 1945 in poi, i manuali citavano a questo proposito,<br />

oltre alla Casti Connubii di Pio XI, un più recente decreto <strong>del</strong><br />

S. Ufficio <strong>del</strong> 1 aprile <strong>del</strong> 1944, che riaffermava ancora una<br />

volta l’ordine gerarchico dei tre fini e quindi la dipendenza e la<br />

subordinazione degli altri due al primo, condannando espressamente<br />

anche solo l’idea di una qualche forma di “aequa principalitas”.<br />

1. 2. Il <strong>Concilio</strong>: una attenzione nuova alle trasformazioni<br />

socioculturali <strong>del</strong>la famiglia<br />

Il fatto che il discorso conciliare sulla famiglia fosse inserito<br />

in un documento, passato alla storia, in base al suo incipit, come<br />

testimonianza di gioia e di speranza, ci dice che lo sguardo che<br />

i Padri conciliari intendevano gettare sulle vicende e i problemi<br />

<strong>del</strong>la famiglia <strong>del</strong> nostro tempo era anzitutto uno sguardo di speranza,<br />

volto a mettere in risalto più gli aspetti positivi che quelli<br />

negativi, <strong>del</strong>le vicende attuali di questo istituto.<br />

Di qui la valutazione ottimistica, o almeno prevalentemente<br />

benevola, <strong>del</strong>le trasformazioni sociologiche e culturali che la<br />

famiglia veniva subendo in quegli anni: tali trasformazioni “portano<br />

turbamenti non lievi alla vita familiare” – riconosce il<br />

<strong>Concilio</strong> – , ma “se da questi turbamenti provengono difficoltà<br />

che angustiano le coscienze, – aggiungeva – molto spesso rendono<br />

manifesta in maniere diverse la vera natura <strong>del</strong>l’istituto stesso”<br />

(GS 47).<br />

Più che una precisa descrizione, questa constatazione era un<br />

invito alla ricerca teologica a tenere maggiormente in conto le<br />

1<br />

Così ad esempio, anche in edizioni appena anteriori al Concili, alcuni<br />

tra i più noti teologi moralisti <strong>del</strong> tempo : J. AERTNIS – C. A. DAMEN, Theologia<br />

moralis, Torino, Marietti 1950. S. S. GENICOT – I. SALMANS, Institutiones theologiae<br />

moralis, Bruges, Desclée de Brouwer 1949. B. MERKELBACH, Summa<br />

theologiae moralis, Bruges, Desclée de Brouwer 1949. H. NOLDIN, Summa<br />

theologiae moralis, Barcelona-Oeniponte, Herder 1951. PRUEMMER, Manuale<br />

theologiae moralis, Barcellona – Innsbruck, Herder 1961.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 171<br />

trasformazioni socioculturali <strong>del</strong>la famiglia contemporanea<br />

<strong>nella</strong> elaborazione <strong>del</strong> suo specifico discorso morale.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale non ha mancato di accogliere questo<br />

appello alla valorizzazione <strong>del</strong>le trasformazioni socioculturali<br />

<strong>del</strong>la famiglia: non pochi trattati di <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong>la famiglia<br />

cominciano, da allora, proprio con una indagine di questo<br />

genere, magari compiuta da specialisti, attuando così una qualche<br />

forma di interdisciplinarità. In questo modo, non viene soltanto<br />

precisata meglio la materia circa quam, e quindi l’ambito<br />

preciso <strong>del</strong>la problematica, ma nello stesso tempo vengono<br />

vagliate, ed eventualmente accolte, le istanze positive, presenti<br />

<strong>nella</strong> Gaudium et Spes.<br />

Di fatto, la morale familiare, non può ignorare quanto la<br />

famiglia tradizionale fosse debitrice, per quanto riguardava la<br />

sua coesione e il ruolo che svolgeva <strong>nella</strong> vita nei suoi membri,<br />

nei confronti di quella forza di coesione che le veniva dalla funzione<br />

securizzante che, sul piano economico e sociale, essa svolgeva<br />

nei confronti dei suoi membri.<br />

Se ci pensiamo bene, una parte non piccola <strong>del</strong>la stessa<br />

provvidenziale efficienza educativa <strong>del</strong>la famiglia tradizionale,<br />

si inscriveva all’interno dei fortissimi legami di solidarietà e di<br />

cointeressenza che la compattava.<br />

Al confronto con la saldezza ed efficacia di questi legami,<br />

quelli <strong>del</strong>l’appartenenza alla più larga società erano meno diretti<br />

e più lontani, quando pure non percepiti come alieni ed ostili.<br />

All’interno <strong>del</strong>la famiglia, i sentimenti spontanei di amore e<br />

di affetto reciproco normalmente non mancavano, venivano<br />

anzi percepiti e vissuti come qualcosa di ovvio e di naturale,<br />

sostenuti come erano dalla reale solidarietà di destino e di vita:<br />

essi non erano recepiti quindi dalla riflessione teologica come<br />

un vero e proprio problema morale.<br />

Ora, nel corso <strong>del</strong>l’ultimo secolo, la famiglia è venuta perdendo<br />

sempre di più, nell’ottica e negli effettivi interessi dei suoi<br />

membri, questa forza di coesione spontanea che le veniva dalla<br />

sua funzione socio-economica.<br />

Oggi, almeno all’interno <strong>del</strong>le società economicamente sviluppate,<br />

capaci di offrire a ogni persona, <strong>nella</strong> sua precisa individualità,<br />

garanzie economiche e sociali, un tempo impensabili,<br />

la famiglia non può più contare su quella forza di coesione, e<br />

deve affrontare quindi tutta una serie di problemi nuovi e spes-


172 GUIDO GATTI<br />

so drammatici, che costringono a guardare al matrimonio e alla<br />

famiglia in modo nuovo e con categorie interpretative almeno in<br />

parte diverse.<br />

<strong>La</strong> coesione <strong>del</strong>la famiglia è affidata a una rete intricatissima<br />

di attese reciproche di natura affettiva, di rapporti sentimentali<br />

che, con la loro, non raramente ambigua valenza costituiscono<br />

il molto più profondo, ma anche più problematico<br />

sostrato <strong>del</strong> vissuto familiare.<br />

Meno assillata da problemi economici, la famiglia nucleare<br />

è oggi più facilmente alle prese con problemi più complessi, e<br />

spesso più sofferti, di carattere affettivo.<br />

Questo significa che ad avere assunto una rilevanza nuova,<br />

all’interno <strong>del</strong> vissuto familiare è oggi la persona in quanto tale,<br />

con i suoi valori, ma anche con il suo complesso e insondabile<br />

mondo interiore.<br />

Questo mondo complesso e oscuro non cancella i problemi<br />

strutturali che la famiglia presenta alla <strong>teologia</strong> morale, essa<br />

piuttosto li esaspera, ma fa sì che essi si presentino appunto<br />

come problemi <strong>del</strong>le persone.<br />

I beni e i valori morali <strong>del</strong>la famiglia, che la <strong>teologia</strong> morale<br />

è chiamata a illuminare e difendere sono, perfino <strong>nella</strong> loro non<br />

eliminabile dimensione giuridica, valori <strong>del</strong>la persona in quanto<br />

tale.<br />

Ma la GS non si è limitata a rimandare la riflessione di fede<br />

sulla famiglia a una attenzione più acuta alle trasformazioni<br />

socioculturale che la famiglia aveva attraversato e stava tuttora<br />

attraversando.<br />

1.3 <strong>La</strong> G. S.: una visione “personalistica” <strong>del</strong>la sessualità e <strong>del</strong><br />

matrimonio<br />

Al di là <strong>del</strong> suo generico, e forse un po’ volontaristico, atteggiamento<br />

globale di ottimismo, che pervadeva <strong>del</strong> resto tutto il<br />

<strong>Concilio</strong>, così come un po’ tutto il vissuto ecclesiale (e forse non<br />

solo ecclesiale) di quegli anni, il guadagno principale <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong>, per quanto riguarda la concezione <strong>del</strong>la famiglia, è<br />

costituito dalla <strong>recezione</strong> di alcune preziose intuizioni che la più<br />

avvisata <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong>la famiglia stava portando avanti,<br />

con un itinerario contrastato, già da qualche decennio, e che<br />

aveva avuto, tra gli altri suoi protagonisti, Dietrich von


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 173<br />

Hildebrand 2 , Herbert Doms 3 , Jean Guitton 4 , Jean J. Allmen 5 ,<br />

Pierre Grelot 6 , B. Haering 7 .<br />

<strong>La</strong> più importante <strong>del</strong>le intuizioni che il concilio ha recepito<br />

in questo campo, mi pare sia la nuova attenzione alla concezione<br />

personalistica <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>l’amore coniugale, che<br />

sottostà a tutto il discorso conciliare sulla famiglia e sulla vita<br />

familiare.<br />

Questa concezione traspare anzitutto dalla <strong>del</strong>icatezza e<br />

nobiltà <strong>del</strong> linguaggio con cui si parla di queste realtà, lontano<br />

dalla brutalità <strong>del</strong> gergo giuridico di molta parte <strong>del</strong>la manualistica<br />

preconciliare (ricordo quanto negativamente mi colpiva, <strong>nella</strong><br />

scuola di morale, l’uso di espressioni come, “ius in corpus”, oppure<br />

“usus matrimonii” o ancora ”remedium concupiscentiae”, che<br />

peraltro erano parte di una tradizione che veniva da lontano).<br />

Il linguaggio non è mai uno strumento neutrale; anzi non è<br />

mai solo uno strumento.<br />

Il <strong>Concilio</strong> ignora ogni riferimento alla tradizionale gerarchia<br />

dei fini <strong>del</strong> matrimonio. Già si direbbe che obliteri con questo<br />

lo stesso problema di una gerarchia.<br />

Al posto di una gerarchia c’è una specie di rimando interno<br />

di ognuno di essi ad ognuno degli altri <strong>nella</strong> unità indissolubile<br />

di una realtà personale e personalizzante.<br />

Secondo il <strong>Concilio</strong>, sia l’apertura alla procreazione, che l’esigenza<br />

<strong>del</strong>la piena fe<strong>del</strong>tà e <strong>del</strong>l’indissolubilità <strong>del</strong> matrimonio<br />

hanno la loro radice e il loro fondamento nell’intima unione<br />

<strong>del</strong>le persone dei coniugi, instaurata dal Matrimonio (GS 48).<br />

Questa intima unione è anzitutto una realtà personale: un<br />

fatto di amore: “Proprio perché atto eminentemente umano,<br />

essendo diretto da persona a persona con un sentimento che<br />

nasce dalla volontà (voluntatis affectu), quell’amore abbraccia il<br />

bene di tutta la persona e perciò ha la possibilità di arricchire di<br />

2<br />

D. von HILDEBRAND, Il matrimonio, Brescia, Morcelliana 1931.<br />

3<br />

H. DOMS, Significato e scopo <strong>del</strong> matrimonio, Roma, Cathedra 1946.<br />

4<br />

J. GUITTON, L’amour humaine, Paris, Montaigne 1948.<br />

5<br />

J.J. ALLMEN, Maris e femme d’après S. Paul, 1951.<br />

6<br />

P. GRELOT, <strong>La</strong> coppia umana <strong>nella</strong> sacra scrittura, Brescia, Vita e<br />

Pensiero 1962.<br />

7<br />

B. HAERING, <strong>La</strong> Legge di Cristo, Brescia, Morcelliana 1957.


174 GUIDO GATTI<br />

particolare dignità (nobilitare valet)” i sentimenti <strong>del</strong>l’animo e le<br />

loro manifestazioni fisiche” (GS 49).<br />

“L’autentico amore coniugale è così assunto nell’amore divino<br />

ed è sostenuto ed arricchito dalla forza redentiva <strong>del</strong> Cristo” (48).<br />

Questo amore è vissuto all’interno di una storia coinvolgente<br />

di comunione di vita che impegna ad una sua autenticazione<br />

e a una sua crescita progressiva: “L’uomo e la donna… prestandosi<br />

mutuo aiuto e servizio con l’intima unione <strong>del</strong>le persone e<br />

<strong>del</strong>la attività, sperimentano il senso <strong>del</strong>la propria unità e sempre<br />

più pienamente lo raggiungono”(48).<br />

L’atto coniugale, senza perdere il suo costitutivo orientamento<br />

alla trasmissione <strong>del</strong>la vita, diviene linguaggio di questo<br />

amore, capace di esprimerlo e di approfondirlo: “Questo<br />

amore […] conduce i coniugi al libero e mutuo dono reciproco<br />

e pervade tutta la loro vita. Questo amore trova la sua<br />

espressione e il suo linguaggio più alto nell’intimità coniugale.<br />

L’atto coniugale viene così nobilitato e visto come linguaggio<br />

<strong>del</strong>l’amore…” (49).<br />

Questo amore “è espresso e sviluppato dall’esercizio degli<br />

atti che sono propri <strong>del</strong> matrimonio […] Ne consegue che gli atti<br />

con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità sono onorabili<br />

e degni e, compiuti in modo veramente umano favoriscono la<br />

mutua donazione che essi significano” (49). L’amore coniugale<br />

infatti ”ha la possibilità di arricchire di particolare dignità i sentimenti<br />

<strong>del</strong>l’animo e le loro manifestazioni fisiche (49).<br />

1. 4. Il personalismo <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> postconciliare <strong>del</strong>la famiglia<br />

Rileggendo i testi di etica familiare <strong>del</strong> dopoconcilio, si ha<br />

l’impressione che, al di là <strong>del</strong>le diverse posizioni e <strong>del</strong>le diverse<br />

accentuazione di carattere dottrinale, risalenti in genere alla<br />

diversità <strong>del</strong>le impostazioni adottate dai diversi autori in sede di<br />

morale fondamentale, la lezione sia stata diligentemente appresa<br />

da tutti teologi moralisti.<br />

Questa centralità <strong>del</strong> vissuto personale ha fatto spesso parlare<br />

di una concezione personalistica <strong>del</strong>la realtà <strong>del</strong> matrimonio<br />

e <strong>del</strong>la famiglia.<br />

L’aggettivo “personalistico” non va naturalmente inteso qui<br />

in riferimento a una qualche precisa filosofia morale, ma solo a<br />

una specie di intuizione-guida che fa <strong>del</strong>la persona il valore fon-


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 175<br />

damentale e quindi in qualche modo la misura, di tutto il vissuto<br />

morale.<br />

Pur in possesso da sempre, per il solo fatto di essere persona,<br />

di tutta la sua dignità di centro e scopo <strong>del</strong>l’universo creato<br />

e <strong>del</strong>la sua storia, la persona è un essere in divenire, chiamato ad<br />

attuarsi in pienezza con le sue scelte libere, nel corso di una intera<br />

storia di vita.<br />

Ogni indicazione etica si rifà ultimamente al Fiat <strong>del</strong>la<br />

Genesi, inteso proprio nel senso (solo alla persona umana<br />

appunto riferibile), di un imperativo a “diventare se stessa”.<br />

Tutte le istituzioni, tutte le norme etiche e le direttive di vita<br />

trovano in questo farsi <strong>del</strong>la persona il loro fondamento e la<br />

misura <strong>del</strong>la loro validità.<br />

Naturalmente questa attenzione, almeno in parte nuova,<br />

<strong>del</strong>la morale familiare alla centralità <strong>del</strong>la persona, nell’ambito<br />

<strong>del</strong> vissuto morale, porta con sé il pericolo di un cattivo soggettivismo,<br />

che abbandonerebbe la famiglia all’imprevedibile e non<br />

raramente tempestosa storia <strong>del</strong> vissuto psicologico dei suoi<br />

membri, invece di porsi come loro guida.<br />

I valori etici sono valori <strong>del</strong>la persona, ma di una persona<br />

chiamata a realizzarsi, <strong>nella</strong> luce di questi valori, anche attraverso<br />

il governo <strong>del</strong> mondo, per sé ambiguo, <strong>del</strong>la sua soggettività.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale <strong>del</strong> dopoconcilio si è generalmente qualificata<br />

come ermeneutica di questi valori e quindi <strong>del</strong>le esigenze<br />

più profonde <strong>del</strong>la persona, chiamata a realizzare la sua vocazione<br />

ad essere in pienezza, all’interno di una famiglia.<br />

Si tratta di valori che non vanno pensati come contrapposti<br />

e imposti alla persona dal di fuori <strong>del</strong>le sue attese più profonde<br />

e più vere, e che tuttavia chiedono alla persona di superare la<br />

istintualità e i desideri più superficiali ed immediati, per vivere<br />

alla verità più profonda di cui e per cui è fatta.<br />

L’ermeneutica <strong>del</strong>la persona è un discorso che comincia con<br />

l’indicativo, ma sfocia inevitabilmente nell’esortativo e nell’imperativo.<br />

Si è detto <strong>del</strong>l’obliterazione da parte <strong>del</strong>la GS e, di conseguenza<br />

anche da parte <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale, <strong>del</strong>la tradizionale<br />

concezione gerarchica dei fini <strong>del</strong> matrimonio.<br />

Ma la <strong>teologia</strong> postconciliare, almeno quella più avveduta,<br />

ha sottolineato spesso che il superamento <strong>del</strong>la subordinazione


176 GUIDO GATTI<br />

<strong>del</strong>le diverse finalità <strong>del</strong> matrimonio alla finalità procreativa non<br />

significa l’introduzione di una qualche gerarchia dei fini di<br />

segno semplicemente opposto, ma l’affermazione <strong>del</strong>l’unità dei<br />

fini (o forse meglio dei significati) <strong>del</strong> matrimonio all’interno<br />

<strong>del</strong>l’organica unità <strong>del</strong> vissuto coniugale. Come nota il<br />

Majdanski, “<strong>La</strong> molteplicità dei fini non li contrappone reciprocamente<br />

tra loro, ma al contrario, essi sono collegati mutuamente,<br />

intimamente, per la loro indole naturale, quindi dalla<br />

volontà <strong>del</strong> Creatore” 8 . Lo stesso autore parla in proposito di<br />

“armonia” e perfino di “unità” 9 .<br />

1. 5. Ispirazione teologale e cristica <strong>del</strong>l’etica <strong>del</strong>la famiglia nel<br />

postconcilio<br />

D’altra parte l’impostazione personalistica <strong>del</strong> discorso teologico<br />

sul matrimonio e sulla famiglia, lungi da portare a una trattazione<br />

etica neutrale e quindi indipendente rispetto al messaggio<br />

evangelico, si è rivelata ricca di una sua valenza propriamente teologale<br />

e specificamente cristica, sacramentale ed ecclesiale.<br />

Si direbbe che le discussioni, tipiche <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale<br />

<strong>del</strong> postconcilio, sul rapporto tra una morale puramente ma pienamente<br />

umana e la morale specificamente cristiana, e quindi<br />

su quello che è stato chiamato il problema <strong>del</strong>lo “specifico cristiano”<br />

<strong>del</strong>la morale cristiana, abbiano avuto, nell’ambito <strong>del</strong>la<br />

morale coniugale e familiare, meno ricadute che in altri ambiti<br />

<strong>del</strong>la morale. Individuare le valenze specificamente cristiane<br />

<strong>del</strong>la stessa dimensione umana <strong>del</strong> vissuto familiare è stato, in<br />

questo campo, forse più facile che in altri.<br />

Come ha fatto notare B. Haering, “la verità <strong>del</strong>l’amore ha<br />

molte cose da dirci sull’essere liberi e fe<strong>del</strong>i in Cristo. Noi non<br />

saremmo capaci di concepire alcuna verità intorno all’amore<br />

creativo e redentivo di Dio nostro Padre e di Cristo, nostro fratello,<br />

se non avessimo le fondamentali esperienze d’amore che ci<br />

provengono dagli istituti <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>la famiglia” 10 .<br />

8<br />

K . MAJDANSKI, Comunione di vita e d’amore. Teologia <strong>del</strong> matrimonio e<br />

<strong>del</strong>la famiglia, Milano, Vita e pensiero 1980, 139<br />

9<br />

K . MAJDANSKI, Ibidem<br />

10<br />

B. HAERING, Liberi e fe<strong>del</strong>i in Cristo, Roma, E. P., 1990, vol <strong>II</strong>, 587-588.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 177<br />

Anche la stessa sessualità può essere vista in questa luce: “<strong>La</strong><br />

nostra ricerca – continua B. Haering – non sarebbe completa se<br />

non considerassimo anche la sessualità umana (e le sue manifestazioni<br />

principali) come via verso un’unità più piena, come un<br />

modo di conoscersi l’un l’altro nell’amore e di condurci l’un l’altro<br />

verso la pienezza <strong>del</strong>l’amore, entro una comunità che riflette<br />

l’amore di Dio uno e trino” 11 .<br />

<strong>La</strong> particolare dignità di cui – secondo il <strong>Concilio</strong> – l’amore<br />

arricchisce gli atti le espressioni <strong>del</strong>l’amore coniugale porta a<br />

vedere <strong>nella</strong> sessualità una forma di linguaggio, il linguaggio<br />

appunto <strong>del</strong>l’amore e quindi, nello stesso amore coniugale, soltanto<br />

una forma incarnata di una tensione all’amore che va al di<br />

là <strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong>la corporalità, al punto da far dire a J.<br />

Guitton che in questa luce l’universo in cui viviamo diventa “una<br />

macchina per fabbricare dei” e che, evidentemente <strong>nella</strong> misura<br />

in cui la stessa verginità fosse vissuta come condizione di amore,<br />

“i vergini sarebbero la punta estrema <strong>del</strong>l’evoluzione cosmica” 12 .<br />

Anche nel linguaggio <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale vera e propria,<br />

espressioni analoghe, non prive di un certo lirismo, a proposito<br />

<strong>del</strong>l’amore coniugale e <strong>del</strong>la famiglia, non sono più tanto rare,<br />

dopo il <strong>Concilio</strong>.<br />

1.6. Il ruolo fondante <strong>del</strong> sacramento <strong>del</strong> matrimonio<br />

Il ricupero di questa dimensione teologale e cristica ha portato<br />

la riflessione teologico-morale a riscoprire il ruolo fondante<br />

che ha, <strong>nella</strong> vita <strong>del</strong>la famiglia cristiana, il sacramento <strong>del</strong><br />

matrimonio, di cui i coniugi stessi ne sono ministri.<br />

Si ricupera così l’idea, cara allo Schillebeeckx 13 , che sia proprio<br />

la realtà umana <strong>del</strong> matrimonio, con la sua consistenza terrena<br />

a entrare <strong>nella</strong> storia <strong>del</strong>la salvezza. Essa è segno efficace di<br />

grazia non in forza di una qualche celebrazione sacra accesso-<br />

11<br />

B. HAERING, Ibidem.<br />

12<br />

J. GUITTON, <strong>La</strong> famiglia e l’amore, Cinisello Balsamo, E. P. 1974, pgg<br />

23 e 33<br />

13<br />

E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio, realtà terrena e mistero di salvezza,<br />

cit., 437-453.


178 GUIDO GATTI<br />

ria, ma in quanto immagine e quindi anche partecipazione <strong>del</strong>la<br />

dimensione nuziale <strong>del</strong>la salvezza e <strong>del</strong> Regno.<br />

Si apriva così alla riflessione teologico-morale la strada di<br />

una ricomprensione <strong>del</strong>l’ethos coniugale cristiano a partire dal<br />

sacramento <strong>del</strong> matrimonio, inteso come “legge nuova <strong>del</strong>la coppia<br />

cristiana” 14 .<br />

Questo ha portato tra l’altro a prestare un’attenzione maggiore<br />

al carattere consacratorio e permanente di questo sacramento,<br />

pure già intuito da Agostino, e più tardi dal<br />

Bellarmino 15 e originalmente sviluppato dallo Scheeben 16 .<br />

1. 7. Chiesa e famiglia<br />

Un ultima conseguenza <strong>del</strong>la nuova focalizzazione <strong>del</strong> carattere<br />

specificamente cristico <strong>del</strong>la morale cristiana <strong>del</strong>la famiglia,<br />

mi pare sia stata una migliore comprensione <strong>del</strong> rapporto esistente<br />

tra la famiglia cristiana e la chiesa.<br />

Da mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>l’intimità coniugale, in forza <strong>del</strong> suo rapporto<br />

sponsale con Cristo, la chiesa aveva finito per diventare maestra<br />

e legislatrice <strong>del</strong>la famiglia, portatrice di un magistero<br />

morale vincolante e preciso, e di un diritto che rischiava di<br />

ridurre la famiglia da soggetto ad oggetto <strong>del</strong>la vita ecclesiale.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale postconciliare ha ricuperato il ruolo fondante<br />

<strong>del</strong>l’unione sponsale di Cristo con la Chiesa nei confronti<br />

<strong>del</strong>l’etica coniugale e familiare.<br />

Naturalmente tutte queste dimensioni specificamente teologali<br />

<strong>del</strong>la realtà familiare non sono sempre immediatamente traducibili<br />

in una normativa precisa: ma riscoprire il senso profondo<br />

<strong>del</strong>l’impegno morale, non è meno importante <strong>del</strong>la determinazione<br />

precisa <strong>del</strong>le sue norme.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale in quanto cristiana non può ignorare il<br />

fatto che tutta la vita cristiana è sviluppo di ciò che è germinal-<br />

14<br />

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramento <strong>del</strong><br />

matrimonio, 49.<br />

15<br />

S. ROBERTO BELLARMINO, De controversiis christianae fidei, <strong>II</strong>I, De<br />

matrimonio, Coloniae Agrippinae, 1615,2,6.<br />

16<br />

M. J. SCHEEBEN, I misteri <strong>del</strong> cristianesimo, Brescia, Morcelliana 1949,<br />

442.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 179<br />

mente contenuto nel battesimo, esplicitazione di ciò che è<br />

espresso come possibilità di grazia e di salvezza negli altri sacramenti<br />

e tensione verso la pienezza <strong>del</strong>l’incontro con Cristo, prefigurativamente<br />

realizzato nell’eucaristia. <strong>La</strong> vita morale cristiana<br />

deve ritrovare il carattere di sviluppo di un germe vitale<br />

intrinseco più che di sottomissione a una normativa estrinseca.<br />

Come ha detto la Conferenza episcopale italiana in un bel documento<br />

<strong>del</strong> 1975 sull’evangelizzazione in rapporto al sacramento<br />

<strong>del</strong> matrimonio... “I sacramenti <strong>del</strong>la fede, in quanto alimento e<br />

sorgente <strong>del</strong>la vita nuova, con la loro celebrazione promulgano<br />

la legge di Cristo e con il dono <strong>del</strong>lo Spirito l’incidono nel<br />

cuore” 17 .<br />

Questo vale in particolare per la morale coniugale; essa<br />

trova nel sacramento <strong>del</strong> matrimonio con il suo carattere consacratorio<br />

e quindi in certo modo permanente, il suo principio<br />

vitale e il suo esemplare assiologico: “Il sacramento <strong>del</strong> matrimonio,<br />

effondendo il dono <strong>del</strong>lo Spirito che trasforma l’amore<br />

sponsale, diventa legge <strong>del</strong>la nuova coppia cristiana... al sacramento<br />

deve essere ricondotta, come a suo fondamento e a suo<br />

costante sostegno la vita morale <strong>del</strong>la coppia cristiana nei suoi<br />

molteplici valori e impegni, anche quelli radicati <strong>nella</strong> stessa<br />

natura <strong>del</strong>l’uomo 18 .<br />

D’altra parte fondare l’etica coniugale sul sacramento <strong>del</strong><br />

matrimonio non significa escludere, ma ricuperare alla sua<br />

autenticità e pienezza, i valori umani <strong>del</strong> matrimonio, primo tra<br />

tutti l’amore coniugale con il suo significato unitivo e la sua missione<br />

procreativa ed educativa.<br />

Allo stesso modo, il ruolo <strong>del</strong>la famiglia e il mo<strong>del</strong>lo etico<br />

<strong>del</strong>la vita familiare cristiana non possono essere compresi <strong>nella</strong><br />

loro pienezza se si prescinde dal rapporto tra la famiglia e la<br />

chiesa. <strong>La</strong> famiglia esercita un compito specifico o ministero<br />

<strong>nella</strong> chiesa; essa genera i suoi figli alla fede, alla grazia, e quindi<br />

anche alla chiesa oltre che al mondo; con ciò rende feconda la<br />

chiesa; ma essa offre alla chiesa anche il suo mo<strong>del</strong>lo di convi-<br />

17<br />

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramento <strong>del</strong><br />

matrimonio, 50.<br />

18<br />

CCONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramento<br />

<strong>del</strong> matrimonio, 49 e 50.


180 GUIDO GATTI<br />

venza e di rapporti comunitari; per ciò la chiesa è chiamata a<br />

strutturarsi come famiglia di Dio. Ma a sua volta trova <strong>nella</strong><br />

chiesa il mistero di quella presenza di Cristo e di quella intimità<br />

con lui di cui alimenta la sua vitalità cristiana; per questo<br />

anch’essa è chiamata a strutturarsi e vivere come “ecclesia domestica”.<br />

D’altra parte sia la chiesa che la famiglia sono unite in una<br />

comune “diakonìa” nei confronti <strong>del</strong> grande mondo e in una<br />

comune tensione verso la piena rivelazione <strong>del</strong> Regno che impedisce<br />

loro ogni autocompiacimento e ogni mitizzazione di sé e<br />

<strong>del</strong>la propria vita intima.<br />

L’agape che lo Spirito suscita in loro è fatto non per essere<br />

consumato nel loro ambito chiuso, ma per abbracciare tutto il<br />

mondo e per diventare il fermento rinnovatore di tutta la convivenza<br />

umana, tutta quanta chiamata a trasformarsi in famiglia<br />

dei figli di Dio e a costituire il suo Regno.<br />

1.8. Teologia morale e spiritualità <strong>del</strong>la famiglia<br />

Del resto, la <strong>teologia</strong> morale postconciliare si è coraggiosamente<br />

aperta alla considerazione di un “ministero ecclesiale<br />

degli sposi”, e di una specifica “spiritualità coniugale”; ha parlato<br />

<strong>del</strong>lo stato coniugale come di una condizione cui si accede<br />

attraverso una vera e propria vocazione, che è quindi anche una<br />

chiamata a una specifica forma di santità coniugale.<br />

Particolare attenzione è stata data ai compiti e alle responsabilità<br />

educative dei genitori nei confronti dei figli, in particolare<br />

per quanto la difficile educazione <strong>del</strong>la fede. Ci si è occupati<br />

<strong>del</strong>la preghiera in famiglia, magari auspicando la creazione di<br />

una specifica liturgia familiare.<br />

L’attenzione <strong>del</strong>la morale a questo genere di problemi, estranei<br />

al tradizionale campo d’indagine <strong>del</strong>la manualistica, poteva<br />

sembrare un indebito sconfinamento. Essa si è rivelata in realtà<br />

un prezioso stimolo ad affrontare in maniera più critica ed<br />

approfondita il problema ineludibile <strong>del</strong> raccordo tra i contenuti<br />

normativi <strong>del</strong>l’etica cristiana e la sua fondazione di senso e di<br />

motivazione ultima, da riporre almeno ultimamente nel mistero<br />

di Cristo. È il problema <strong>del</strong>lo “specifico cristiano” <strong>del</strong>la morale<br />

cristiana che ha agitato per qualche anno il campo <strong>del</strong>l’etica fondamentale,<br />

sollevando, tra l’altro, anche qualche problema epi-


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 181<br />

stemologico e di raccordo tra la <strong>teologia</strong> morale e gli altri settori<br />

<strong>del</strong>la ricerca teologica, come l’ermeneutica biblica e soprattutto<br />

la dottrina spirituale.<br />

D’altronde, oltre al campo <strong>del</strong>le altre discipline teologiche,<br />

l’impostazione personalistica, costringe la ricerca teologicomorale<br />

a confrontarsi anche con altri settori <strong>del</strong> sapere: quello<br />

che si era detto sopra per la sociologia vale evidentemente anche<br />

per la psicologia e le scienze <strong>del</strong>l’educazione. In campo filosofico<br />

può valere ad esempio per la fenomenologia. Il discorso teologico<br />

morale viene così sollecitato a diverse forme di inter- e di<br />

transdisciplinarità.<br />

2. Problemi morali <strong>del</strong>la famiglia, emersi nel dopoconcilio<br />

2. 1. <strong>La</strong> regolazione <strong>del</strong>le nascite: dalla GS alla Humanae Vitae<br />

Accanto a problemi di principio e di impostazione abbastanza<br />

generale, il <strong>Concilio</strong> aveva sollevato anche problemi normativo<br />

molto precisi, tra cui, in primo piano quello <strong>del</strong> controllo<br />

<strong>del</strong>le nascite, allora attualissimo per la risonanza che stava<br />

avendo, anche tra i cattolici, il contraccettivo orale, da poco scoperto<br />

e già messo in commercio; il problema era stato presentato<br />

in termini abbastanza generali ma, naturalmente, con una<br />

attenzione a quest’ultima forma di contraccezione, che molti<br />

pensavano compatibile con la morale cattolica.<br />

Il <strong>Concilio</strong> aveva affrontato coraggiosamente questo problema,<br />

e lo aveva impostato nell’ambito <strong>del</strong>la più generale visione<br />

<strong>del</strong>la procreazione, vista non più come fine primario <strong>del</strong> matrimonio,<br />

all’interno <strong>del</strong>la classica visione gerarchica dei fini, ma<br />

piuttosto come “coronamento <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>l’amore<br />

coniugale (GS 48) e come “preziosissimo dono” <strong>del</strong> matrimonio<br />

stesso (GS 50).<br />

Il <strong>Concilio</strong> aveva esaminato con grande attenzione ed esposto<br />

con leale oggettività la gravità <strong>del</strong> problema <strong>del</strong> controllo<br />

<strong>del</strong>le nascite 19 , indicando principi di soluzione molto generali e,<br />

19<br />

“…Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione,<br />

ma il carattere stesso di patto indissolubile tra persone e il bene


182 GUIDO GATTI<br />

proprio per questo, in certo senso indiscutibili 20 , ma dovette affidare<br />

la determinazione più precisa di carattere normativo, alla<br />

parola ultima al Pontefice.<br />

Paolo I, che aveva avocato a sé la soluzione di questo scottante<br />

problema, nominò a questo scopo una commissione di<br />

esperti; ma, contro il parere <strong>del</strong>la maggioranza di questa commissione<br />

decise, nel senso che sappiamo, con la enciclica<br />

Humanae Vitae.<br />

I teologi moralisti, alcuni dei quali aveva trattato abbastanza<br />

liberamente il tema, in quel periodo che potremmo scherzosamente<br />

chiamare di interregno, si trovarono di fronte a una<br />

serie di alternative, sia di carattere più propriamente teoretico,<br />

che pratico-pastorale.<br />

Alcuni dissentirono più o meno apertamente dalla sostanza<br />

<strong>del</strong>le affermazioni pontificie. Lo fecero appoggiandosi al fatto<br />

che, per sé, il documento non pareva impegnare in modo chiaro<br />

e solenne l’infallibilità pontificia, oppure affermando il diritto<br />

dei coniugi a concedere l’ultima parola in proposito alla loro<br />

coscienza personale, attribuendo così ad essa, quella infallibilità,<br />

che veniva in qualche modo negata, almeno a livello pratico,<br />

alla parola <strong>del</strong> Papa.<br />

Quelli che, vincendo ogni difficoltà teorica e pratica, accettarono<br />

l’insegnamento <strong>del</strong> Papa, si trovarono di fronte un duplice<br />

ordine di problemi: il primo, di indole più teorica, consisteva<br />

<strong>nella</strong> necessità di chiarire, meglio di quanto l’enciclica stessa<br />

dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste<br />

manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità” (GS 50)<br />

ll concilio sa che spesso i coniugi, nel dare un ordine armonico alla vita<br />

coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni <strong>del</strong>la vita di oggi e possono<br />

trovare circostanze nelle quali non si può aumentare , almeno per un certo<br />

tempo, il numero dei figli e non senza difficoltà si può conservare la fe<strong>del</strong>tà<br />

<strong>del</strong>l’amore e la piena familiarità di vita.<br />

Là dove infatti è interrotta l’intimità <strong>del</strong>la vita coniugale non è raro che<br />

la fe<strong>del</strong>tà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli:<br />

allora corrono serio pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di<br />

accettarne altri.”(50).<br />

20<br />

“Ora la chiesa ricorda che non può esserci vera contraddizione tra le<br />

leggi divine <strong>del</strong> trasmettere la vita e <strong>del</strong> dovere di favorire l’autentica comunione<br />

coniugale” (51).


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 183<br />

avesse fatto, le ragioni <strong>del</strong> suo insegnamento, mostrare, tra l’altro,<br />

l’esistenza di una sostanziale coincidenza, o almeno compatibilità,<br />

tra l’insegnamento <strong>del</strong>l’enciclica e la concezione personalistica<br />

<strong>del</strong>l’amore coniugale e <strong>del</strong> matrimonio presente <strong>nella</strong><br />

GS.<br />

Il secondo problema, che da secoli era stato svolto <strong>nella</strong><br />

chiesa proprio dalla <strong>teologia</strong> morale era quello di trovare le<br />

modalità concrete per risolvere gli innumerevoli problemi di<br />

coscienza <strong>del</strong>le moltissime copie, che trovavano difficile, quando<br />

non proprio impossibile, l’obbedienza al dettato <strong>del</strong> Papa.<br />

Per quanto riguarda il problema teoretico, si trattava di<br />

spiegare in modo convincente la negatività <strong>del</strong>la contraccezione,<br />

senza ritornare alla concezione gerarchica dei fini <strong>del</strong> matrimonio,<br />

che caratterizzava l’approccio preconciliare all’etica <strong>del</strong>la<br />

coniugalità, e quindi senza rinnegare la svolta personalistica <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong> cui, <strong>del</strong> resto, l’enciclica stessa si era ripetutamente<br />

richiamata.<br />

2. 2. Il “paradigma <strong>del</strong> linguaggio”<br />

Una indicazione preziosa, a dire la verità era già contenuta<br />

nel testo stesso <strong>del</strong>l’enciclica e precisamente nel riferimento alla<br />

natura espressiva <strong>del</strong>l’atto coniugale.<br />

L’enciclica infatti, mentre parlava di “processi biologici”, e<br />

di “leggi biologiche che fanno parte <strong>del</strong>la persona umana” (HV<br />

10), chiedendone il rispetto, parlava anche di “significati <strong>del</strong>l’atto<br />

coniugale”, vedendo quindi quest’ultimo come un atto in<br />

certo senso linguistico, portatore di significati, e precisamente<br />

di un significato unitivo e di un significato procreativo (HV 12),<br />

considerati come inseparabilmente presenti <strong>nella</strong> funzione biologica<br />

e nel suo esercizio: “usare di questo dono divino, distruggendo<br />

il suo significato e la sua finalità è perciò contraddire al<br />

piano divino” (HV 13).<br />

Diversi teologi moralisti puntarono quindi, per aiutare a<br />

comprendere, se non proprio a dimostrare, la verità contenuta<br />

nell’insegnamento papale su quello che B. Haering chiamò il<br />

“paradigma <strong>del</strong> linguaggio”.<br />

L’atto coniugale non era dunque soltanto un atto produttore<br />

di risultati e valutabile in ragione di questi: era un atto espressivo<br />

di significati, e quindi valutabile eticamente anche in rap-


184 GUIDO GATTI<br />

porto alla sua effettiva fe<strong>del</strong>tà a questi significati, e quindi a<br />

quella che potremmo chiamare la sua veracità.<br />

Il paradigma <strong>del</strong> linguaggio era già stato usato, se pure in<br />

diverso contesto, dal Doms, e fu subito valorizzato da G. Martelet<br />

in due volumetti che seguirono immediatamente l’enciclica 21 .<br />

Il paradigma fu ripreso e sviluppato, magari con sfumature<br />

diverse anche da altri autori.<br />

Originale a questo proposito fu l’impostazione di B.<br />

Haering: nel suo manuale “Liberi e fe<strong>del</strong>i in Cristo”, egli pone la<br />

morale familiare all’interno <strong>del</strong> <strong>II</strong> volume dedicato a “<strong>La</strong> verità<br />

che vi farà liberi”, che tratta oltre che <strong>del</strong>la veracità nel comunicare,<br />

<strong>del</strong>la morale <strong>del</strong>la bellezza e <strong>del</strong>la gloria. L’etica <strong>del</strong>la famiglia<br />

e <strong>del</strong> matrimonio è inserita in un settore intitolato “la verità<br />

che libera e il linguaggio sessuale”, che comprende a sua volta<br />

un capitolo intitolato “la fecondità come costitutivo intrinseco<br />

<strong>del</strong> linguaggio sessuale” 22 .<br />

Il “paradigma <strong>del</strong> linguaggio” introduce, come si vede, una<br />

concezione di portata più generale di quella <strong>del</strong>l’atto coniugale:<br />

essa mette in risalto un settore specifico, e forse anche una<br />

dimensione più generale <strong>del</strong> vissuto morale, che comprende certamente,<br />

oltre a quello <strong>del</strong> linguaggio coniugale, altri campi <strong>del</strong>l’agire<br />

morale, come quello appunto <strong>del</strong>la comunicazione e in<br />

particolare <strong>del</strong>la confessione di fede: settori in cui l’agire umano<br />

può essere valutato eticamente non soltanto, e magari non principalmente,<br />

in ragione dei suoi effetti, quindi in quanto atto<br />

pragmatico, quanto in ragione dei suoi significati, in quanto atto<br />

espressivo <strong>del</strong>la persona, al di là quindi di ogni concezione puramente<br />

conseguenzialistica <strong>del</strong>l’etica normativa.<br />

21<br />

G. MARTELET, Amore coniugale e rinnovamento conciliare, Assisi,<br />

Citta<strong>del</strong>la 1968. IDEM, L’esistenza umana e l’amore, Assisi, Citta<strong>del</strong>la 1968.<br />

22<br />

B. HAERING, Liberi e fe<strong>del</strong>i in Cristo, vol <strong>II</strong>, cap. X, Roma, E. P. 1980.<br />

Tra gli autori che utilizzano il c. d. “paradigma <strong>del</strong> linguaggio”, oltre ai già<br />

ricordati, segnaliamo anche: D. TETTAMANZI, Matrimonio cristiano oggi,<br />

Milano, Ancora 1975. A. GUINDON, The Sexual <strong>La</strong>nguage (An Essay on Moral<br />

Theology), Ottawa; Univ. Press 1976,


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 185<br />

2. 3. Il ruolo <strong>del</strong>la coscienza personale<br />

Ma il problema più largamente affrontato fu di natura più<br />

pratica: cosa dire, sia a livello di catechesi etica, che di gestione<br />

<strong>del</strong> sacramento <strong>del</strong>la penitenza, nei confronti dei coniugi che si<br />

trovavano in difficoltà, che parevano e forse erano veramente<br />

insuperabili.<br />

Il concilio aveva prospettato in maniera chiarissima, la portata<br />

di tali difficoltà.<br />

Esse erano divenute ancora più serie, almeno dal punto di<br />

vista psicologico, durante quel periodo che abbiamo chiamato di<br />

“interregno”.<br />

Molte coppie di credenti si erano abituate a considerare<br />

come lecite almeno certe forme di contraccezione e la smentita<br />

<strong>del</strong>l’enciclica parve loro orami come qualcosa di assurdo o per<br />

lo meno di impraticabile.<br />

Sintomo di una simile situazione di non accettazione, almeno<br />

pratica, furono le reazioni <strong>del</strong>l’opinione pubblica di tutti i<br />

settori, di cui si era fatta portatrice la stampa.<br />

Le indicazioni pratiche che i moralisti proposero agli sposi<br />

e ai confessori furono fondamentalmente due.<br />

Alcuni teologi moralisti risposero a questa situazione di non<br />

accettazione pratica da parte di tanti fe<strong>del</strong>i con una qualche<br />

forma di legittimazione di quello che venne considerata una<br />

“obiezione di coscienza”.<br />

Venne rivalutato quindi il ruolo <strong>del</strong>la coscienza, cui fu,<br />

almeno in questo campo, affidata una valutazione etica di ultima<br />

istanza.<br />

Dal resto il ruolo e la dignità <strong>del</strong>la coscienza erano state fortemente<br />

sottolineate dal <strong>Concilio</strong> e si doveva inoltre tenere<br />

conto, nel valutare il facilmente prevedibile rifiuto <strong>del</strong>l’enciclica<br />

da parte di molti fe<strong>del</strong>i, <strong>del</strong>la difficoltà che questi fe<strong>del</strong>i avrebbero<br />

certamente incontrato <strong>nella</strong> comprensione degli argomenti<br />

portati dall’enciclica a sostegno <strong>del</strong>le sue affermazioni, soprattutto<br />

se si tiene conto <strong>del</strong> peso esercitato dal rifiuto quasi unanime<br />

<strong>del</strong>l’opinione pubblica e dei media che la formavano.<br />

C’era naturalmente, in una simile soluzione, il pericolo di<br />

fare <strong>del</strong>la coscienza, più che una interprete <strong>del</strong>la norma, una<br />

specie di legislatore morale alternativo, sacrificando così il<br />

carattere vincolante <strong>del</strong>la norma morale, proprio in quanto


186 GUIDO GATTI<br />

naturale e non arbitraria, alla maniera <strong>del</strong>le leggi positive.<br />

E c’era il rischio di dimenticare il carattere non raramente<br />

contorto <strong>del</strong> procedimento euristico coscienziale e il pericolo<br />

non irreale <strong>del</strong>la razionalizzazione e <strong>del</strong>l’autogiustificazione.<br />

2. 4. Il “principio di gradualità”<br />

Altri moralisti, invece, maggiorando qualche cenno contenuto<br />

<strong>nella</strong> stessa enciclica 23 , e ripreso con più chiarezza dal Papa in<br />

un famoso discorso alle Equipes Notre Dame 24 , diedero corpo a<br />

quello che in poco tempo fu chiamato “principio di gradualità”.<br />

Esso consisteva appunto nel riconoscimento che la capacità<br />

di restare fe<strong>del</strong>i al dettato <strong>del</strong>l’enciclica, anche nel caso di una<br />

sincera adesione e di una reale buona volontà, non era così facile<br />

da poter essere subito interamente possibile: cadute dovute a<br />

fragilità più che a cattiva volontà potevano essere preventivate:<br />

la valutazione <strong>del</strong>la colpevolezza doveva quindi tenerne adeguatamente<br />

conto: la pastorale in proposito non doveva perciò essere<br />

rigida ed ossessiva.<br />

<strong>La</strong> legge <strong>del</strong>la gradualità fu argomento dibattuto, ma fondamentalmente<br />

dai Padri, al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia 25 :<br />

esso, pur con qualche puntigliosa precisazione 26 , fu ripreso e<br />

accolto dalla esortazione apostolica Familiaris Consortio di<br />

Giovanni Paolo <strong>II</strong>.<br />

23<br />

“Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma<br />

di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e<br />

la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio […] egli fu certo intransigente<br />

con il male, ma misericordioso e paziente con le persone” (HV 29).<br />

24<br />

“Le leggi morali, lungi dall’avere la freddezza inumana di una oggettività<br />

astratta, sono là per guidare la coppia nel suo cammino […] Il cammino<br />

degli sposi, come tutta la vita umana, conosce <strong>del</strong>le tappe, e fasi difficili<br />

e dolorose hanno pure il loro posto” (AAS 62 (1970) 435-6)<br />

25<br />

A questo argomento fu dedicata la proposizione n. 7: nel processo di<br />

conversione a Cristo, “si danno gradi diversi. Si tratta infatti di un processo<br />

dinamico […] che procede a poco a poco verso l’integrazione dei doni di Dio e<br />

<strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong> suo amore assoluto e definitivo in tutta la vita personale e<br />

sociale degli uomini. È necessaria pertanto una guida pastorale e pedagogica”.<br />

26<br />

<strong>La</strong> legge <strong>del</strong>la gradualità – ad esempio – non doveva essere confusa<br />

con una qualche forma di gradualità <strong>del</strong>la legge (cfr: FC 34)


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 187<br />

In questo documento, Giovanni Paolo <strong>II</strong> diede <strong>del</strong> principio di<br />

gradualità una insuperabile formulazione di carattere generale:<br />

“L’uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente<br />

e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per<br />

giorno con le sue numerose scelte: per questo egli conosce, ama e<br />

compie il bene secondo tappe di crescita” (FC. 34).<br />

L’ampiezza <strong>del</strong> riferimento non permette di escludere da<br />

esso nessun campo <strong>del</strong> vissuto morale. Accolto in <strong>teologia</strong> morale<br />

come principio generale, esso ha dato luogo a settori almeno<br />

in parte nuovi di ricerca, aventi come oggetto la realtà <strong>del</strong>lo sviluppo<br />

morale, affrontata con gli strumenti <strong>del</strong>la fenomenologia<br />

o <strong>del</strong>la psicologia e ispirati a preoccupazioni pedagogiche 27 .<br />

2. 5. Una prospettiva più vasta: la psicologia <strong>del</strong>lo sviluppo<br />

morale e la sua rilevanza teologica<br />

Va detto a questo punto che l’accettazione diffusa da parte<br />

dei teologi moralisti <strong>del</strong> c. d. “principio di gradualità”, anche<br />

senza esserne stata l’unica causa, potrebbe avere un certo influsso,<br />

o almeno una certa consonanza nei confronti di due orientamenti<br />

tipici <strong>del</strong>la ricerca teologico-morale degli ultimi anni:<br />

quello <strong>del</strong>la nuova, diffusa e certamente seria riscoperta <strong>del</strong>la<br />

morale aretalogica <strong>nella</strong> sua versione rigorosamente tomasiana<br />

28 , e quello <strong>del</strong> nuovo interesse suscitato dalle ricerche sulla<br />

psicologia, e sulla pedagogia <strong>del</strong>lo sviluppo morale.<br />

Mi sembra troppo noto il primo indirizzo perché occorra<br />

parlarne, anche perché l’accettazione coerente di questo indirizzo<br />

comporta un ripensamento radicale <strong>del</strong>la morale fondamen-<br />

27<br />

Cfr ad es.: Ch BRUSSELMANS (et al.) Toward Moral and Religious<br />

Maturity, Morristown (N. J.), Burdett 1980; A. ARTO, Crescita e maturazione<br />

morale, Roma, LAS 1984; A. GUINDON, Le Développement moral, Paris-<br />

Ottawa, Desclée-Novalis 1989. B. M. KIELY, Psicologia e <strong>teologia</strong> morale. Linee<br />

di convergenza, Torino, Marietti 1982. A una metodologia largamente antropologica<br />

ci pare ispirato il testo di morale fondamentale di G. Angelini (G.<br />

ANGELINI, Teologia morale fondamentale, Milano, Glossa 1999.<br />

28<br />

Ci limitiamo a ricordare qui alcuni nomi notissimi di studiosi che<br />

hanno abbracciato questa strada, come quelli di S. Pinkaers, M.<br />

Rohnheimer, A. Rodrigues Luno, G. Abbà.


188 GUIDO GATTI<br />

tale, che non tutti, pur condividendo certe sue istanze, sono<br />

disposti ad accettare fino in fondo.<br />

Quanto al secondo indirizzo, esso comporta più che un<br />

ripensamento radicale <strong>del</strong> discorso morale una particolare<br />

attenzione alla dimensione evolutiva ed educativa <strong>del</strong> vissuto<br />

morale.<br />

Di fatto, anche se l’esperienza morale occupa <strong>nella</strong> vita uno<br />

spazio più ampio di quello <strong>del</strong>l’educazione, anche se viene vissuta<br />

normalmente al di fuori <strong>del</strong> rapporto disimmetrico tra educatore<br />

ed educando, essa ha sempre l’aspetto di un processo di<br />

plasmazione <strong>del</strong>la personalità, è sempre una forma di educazione,<br />

un “e-ducere”, cioè far emergere, dall’uomo tutte le possibilità<br />

di umanità che in esso sono potenzialmente racchiuse:<br />

Facendo il bene morale, l’uomo fa se stesso in quanto persona;<br />

modifica l’orientamento di fondo e perfino le strutture <strong>del</strong>la sua<br />

personalità. L’esperienza morale ha quindi sempre una dimensione<br />

educativa, almeno nel senso di autoeducazione, di plasmazione<br />

<strong>del</strong>la propria personalità etica, una educazione in cui<br />

il soggetto è insieme educatore ed educando.<br />

<strong>La</strong> pedagogia che sostiene e stimola questa crescita <strong>del</strong>l’amore<br />

non può essere che una pedagogia di gradualità, che si faccia<br />

mediazione <strong>del</strong>l’appello morale dei valori, adeguandolo al<br />

livello di maturità raggiunto da soggetto e al ritmo di crescita<br />

che gli è concretamente possibile.<br />

Essa raggiunge la libertà <strong>del</strong> soggetto, là dove essa si trova,<br />

la interpella per come essa è in concreto, segnata sempre da condizionamenti,<br />

solo parzialmente e gradualmente superabili.<br />

Essa realizza le possibilità di bene <strong>del</strong> soggetto, solo proponendogli<br />

obiettivi concretamente possibili.<br />

Le norme che rispecchiano l’ordine morale oggettivo, al di là<br />

<strong>del</strong>la formulazione necessariamente assoluta, <strong>nella</strong> misura in<br />

cui sono rivolte a una persona concreta in una situazione concreta,<br />

senza perdere la loro oggettività, divengono appello ad un<br />

cammino che non potrà essere che graduale: esse non sono<br />

dirette a proteggere valori impersonali, ma a far crescere la persona:<br />

l’insegnamento morale <strong>del</strong>la chiesa non è al servizio che di<br />

questa crescita. <strong>La</strong> stessa proclamazione <strong>del</strong>la verità oggettiva<br />

non è primariamente servizio ad una verità astratta, ma alla concreta<br />

verità <strong>del</strong>l’uomo in divenire.


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 189<br />

2. 6. L’indissolubilità <strong>del</strong> matrimonio nel nuovo contesto<br />

socio-culturale<br />

In un passato non molto lontano, le trattazioni teologicomorali<br />

dedicate al tema <strong>del</strong>la famiglia e <strong>del</strong> matrimonio costituivano<br />

un capitolo settoriale <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale, concentrato<br />

su una problematica morale ben <strong>del</strong>imitata, con richiami abbastanza<br />

generici alla dottrina dei sacramenti in genere e all’etica<br />

dei rapporti interpersonali.<br />

Ma da qualche tempo a questa parte la <strong>teologia</strong> morale si<br />

viene facendo sempre più consapevole <strong>del</strong> fatto che i problemi<br />

<strong>del</strong>l’etica coniugale e familiare si danno di fatto solo nel contesto<br />

<strong>del</strong>le trasformazioni culturali, sociali ed economiche <strong>del</strong><br />

nostro tempo e possono essere affrontati, compresi e risolti solo<br />

all’interno di questo contesto.<br />

Ci sono in particolare alcuni grandi vettori <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong><br />

pensiero <strong>del</strong> nostro tempo che influenzano in maniera così<br />

profonda le problematiche attuali <strong>del</strong>l’etica familiare da non<br />

poter essere, lasciate solo sullo sfondo <strong>del</strong> discorso specificamente<br />

morale, pena la sua irrilevanza.<br />

Alcuni di questi vettori riguardano ancora più direttamente<br />

il modo di pensare e di concepire il senso <strong>del</strong>la vita e quindi le<br />

coordinate <strong>del</strong> vissuto morale: pensiamo alla secolarizzazione e<br />

all’innegabile declino <strong>del</strong> peso sociale e culturale <strong>del</strong>la religione<br />

nel nostro mondo<br />

Altri, come lo sviluppo <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong>la tecnica, la globalizzazione<br />

<strong>del</strong>l’economia e <strong>del</strong>la comunicazione, con le trasformazioni<br />

materiali, sociali e culturali che esse comportano,<br />

influenzano più o meno pesantemente quei cambiamenti nel<br />

modo di vivere e di essere <strong>del</strong>la famiglia di cui si è detto all’inizio.<br />

È in questo contesto che la <strong>teologia</strong> morale deve affrontare<br />

oggi quel pesantissimo problema morale, o almeno anche morale<br />

oltre che pastorale, che è quello <strong>del</strong> divorzio e quindi <strong>del</strong>l’allargarsi<br />

impressionante <strong>del</strong> numero <strong>del</strong>le convivenze irregolari<br />

tra gli stessi credenti.<br />

Alla chiusura <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong>, alcuni paesi tradizionalmente<br />

cattolici, come l’Italia, la Spagna, il Portogallo conservavano il<br />

riconoscimento civile <strong>del</strong>la indissolubilità <strong>del</strong> vincolo coniugale,<br />

così come difesa dall’ordinamento canonico e confermata a


190 GUIDO GATTI<br />

livello dottrinale, ancora dallo stesso <strong>Concilio</strong> 29 .<br />

Nei primi anni <strong>del</strong> dopoconcilio, la profonda rivoluzione culturale<br />

che era in atto già da anni, per non dire da decenni o da<br />

secoli, in cui, in fondo, il <strong>Concilio</strong> stesso si era in qualche modo<br />

inserito, recependone alcune istanze e respirandone l’atmosfera,<br />

esplose con inaspettata violenza. Il ’68 ne fu un po’ il simbolo.<br />

L’Europa portò a compimento, a tappe forzate quella secolarizzazione<br />

<strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la vita che aveva preso le mosse<br />

dall’illuminismo.<br />

Uno degli aspetti più significativi e carichi di conseguenze<br />

etiche di questo rush finale <strong>del</strong> processo storico di secolarizzazione<br />

fu la legittimazione civile <strong>del</strong> divorzio, nei paesi tradizionalmente<br />

cattolici come l’Italia (1970) il Portogallo (1977) e la<br />

Spagna (1981) e comunque l’allargarsi imponente <strong>del</strong> fenomeno<br />

anche nei paesi in cui già da tempo esso era legittimato.<br />

Tutto questo non poteva non avere profonde conseguenze<br />

sul costume e sul vissuto concreto <strong>del</strong>le famiglie: già la sola possibilità<br />

<strong>del</strong>la rottura legale <strong>del</strong> vincolo e <strong>del</strong>la possibilità di un<br />

nuovo matrimonio, civilmente riconosciuto contribuiva ad<br />

ampliare le difficoltà emergenti <strong>nella</strong> vita coniugale e a renderle<br />

rapidamente ingestibili.<br />

Per la <strong>teologia</strong> morale si pone oggi, in termini sempre più<br />

drammatici, quello che fino ad allora era stato un problema relativamente<br />

ristretto e quasi solo teorico.<br />

<strong>La</strong> gravità <strong>del</strong> problema emerge soprattutto nel sacramento<br />

<strong>del</strong>la confessione: molti membri di queste nuove coppie, naturalmente<br />

irregolari per la chiesa, chiedono l’assoluzione sacramentale<br />

e, con essa, la possibilità di ricevere l’eucaristia, che la<br />

chiesa, continua a ritenere di non poter concedere.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale ha affrontato questo problema, aprendo<br />

due nuovi fronti di ricerca.<br />

Il primo è costituito da un ripensamento di quella prassi<br />

benevola <strong>del</strong>le chiese orientali, mai recepite, ma neppure mai,<br />

espressamente condannate dalla chiesa cattolica, che prende il<br />

nome, di “oikonomia”.<br />

29<br />

“È Dio stesso l’autore <strong>del</strong> matrimonio: …Questo vincolo sacro non<br />

dipende dall’arbitrio <strong>del</strong>l’uomo. L’istituto <strong>del</strong> matrimonio ha stabilità per<br />

ordinamento divino”(GS 48)


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 191<br />

Il secondo propone una nuova visione <strong>del</strong>la prassi penitenziale<br />

antica, anche occidentale, in proposito: secondo qualche<br />

studioso 30 , la Chiesa dei primi secoli avrebbe considerato la rottura<br />

<strong>del</strong> vincolo alla stregua di un atto di peccato uguale a ogni<br />

altro, perciò singolare e perdonabile, nonostante la definitività<br />

<strong>del</strong>le sue conseguenze giuridiche e sociali, tra cui la fine di un<br />

rapporto coniugale legittimo e l’inizio di un altro.<br />

Mi pare che nessuna di queste due proposte ottenga a<br />

tutt’oggi un consenso capace di giustificarne l’adozione sul<br />

piano pratico.<br />

Su questo piano continuarono a valere o l’osservanza, spesso<br />

dolorosa e lacerante <strong>del</strong>le tradizionali indicazioni ecclesiastiche<br />

o la pura e semplice disobbedienza, motivata spesso, più da<br />

considerazioni emotive che da giustificazioni teoretiche.<br />

2. 7. Etica <strong>del</strong> matrimonio e inculturazione<br />

Vorrei infine accennare qui ad un problema radicalmente<br />

diverso e, per tanti aspetti, di assai più difficile soluzione di quelli<br />

visti finora. Esso coinvolge le nuove cristianità sorte in contesti<br />

culturali molto diversi da quelli tradizionalmente cristiani;<br />

tale diversità coinvolge profondamente anche il matrimonio e la<br />

famiglia.<br />

Si tratta di popolazioni che custodiscono da secoli o da millenni<br />

strutture familiari (come certe forme di poligamia, o il c.<br />

d. “matrimonio per gradi”, o una rigida subordinazione <strong>del</strong>la<br />

donna, o, al contrario, forme di matrimonio c. d. clanico, di<br />

matriarcato e di parentela matrilineare) che sembrano difficilmente<br />

conciliabili con quella che, da sempre, riteniamo la concezione<br />

cristiana <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>la famiglia.<br />

Anche in questo caso il problema presenta due facce complementari.<br />

Il primo di natura eminentemente pratica, riguarda anzitutto<br />

il che cosa fare a livello canonico e pastorale, in quelle situazioni<br />

in cui il divario tra l’eredità culturale di queste popoli e la<br />

30<br />

G. CERETI, Matrimonio e indissolubilità. Nuove prospettive, Roma,<br />

Bologna EDB 1971.


192 GUIDO GATTI<br />

concezione cristiana <strong>del</strong> matrimonio sia troppo evidentemente<br />

incolmabile, almeno nell’immediato.<br />

Il ricorso al principio di gradualità e quindi il privilegiamento<br />

di una pastorale <strong>del</strong>la tolleranza, naturalmente accompagnata<br />

da un serio impegno educativo, volto a superare magari in<br />

tempi lunghi una situazione troppo profondamente radicata per<br />

poter essere risolta da un giorno all’altro, sembrerebbe la via più<br />

ragionevole, anche se non sempre facile da praticare 31 .<br />

Ma dietro il problema pastorale se ne nasconde uno più<br />

preoccupante di natura teoretica.<br />

Viene cioè spontaneo chiedersi se l’occidente cristiano, nel<br />

suo sforzo, sia pure ispirato alla più magnanima gradualità, di<br />

iniziare le popolazioni neoconvertite, a quell’unica forma di<br />

matrimonio e di famiglia che esso ritiene corrispondente al disegno<br />

di Dio, non stia operando, ancora una volta, una forma di<br />

violenza e di genocidio culturale.<br />

Non si rischia di confondere un determinato mo<strong>del</strong>lo culturale<br />

di famiglia, per di più considerato <strong>nella</strong> sua forma ideale,<br />

non sempre interamente raggiunto <strong>nella</strong> realtà, come quello che<br />

corrisponde in assoluto al progetto di Dio?<br />

Il problema, trattato spesso negli studi di missiologia e<br />

antropologia culturale 32 , tocca, come si vede, anche la <strong>teologia</strong><br />

31<br />

“Stabilire correttamente i limiti <strong>del</strong>la morale cattolica, anche quando<br />

operano dolorose incisioni e impongono radicali rinunce è certo un obbligo<br />

dei pastori; ma è pure loro obbligo agevolare il passaggio degli uomini alla<br />

salvezza senza esigere drastiche e non necessarie separazioni dal loro contesto<br />

sociale” (P. V. VANZIN, Missione e missiologia, in CONGRESSO INTERNAZ. DI<br />

MISSIOLOGIA, Evangelizzazione e culture, Roma, Ed. Urban. 1975, 5.<br />

32<br />

Cfr. ad es.: M.K. MAYERS, Christianity confronts Cultur, Grad Rapids,<br />

Mich., Zondervan 1987: CONGRESSO INTERNAZ. DI MISSIOLOGIA, Evangelizzazione<br />

e culture, Roma, Ed. Urban. 1975. PONT. UNIVERS. URBANIANA,<br />

Dizionario di missiologia, Bologna, Dehoniane 1993. U. CASALEGNO (a cura),<br />

Antropologi e missionari a confronto, Roma, LAS 1988. <strong>La</strong> Chiesa e le trasformazioni<br />

sociali <strong>del</strong>l’Africa nera, Milano, Vita e Pensiero 1961. SETTIMANA DI<br />

MISSIOLGIA DI LOVANIO 1960, Familles anciens, familles nuovelles, Bruxelles,<br />

Desclée de Brouwer 1961. L’argomento è presente anche in un <strong>del</strong>izioso<br />

libretto di B. Haering: (<strong>La</strong> mia Chiesa d’Africa, Casale Monferrato, PIEMME<br />

1994); che mette in rilievo, tra l’altro, i “perché” e magari gli aspetti positivi<br />

<strong>del</strong> matrimonio a tappe (pg. 29), <strong>del</strong>la poligamia (pg. 32), e <strong>del</strong> ruolo <strong>del</strong>la<br />

donna (pg. 33).


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 193<br />

morale elaborata nei paesi di tradizione cristiana, la quale deve<br />

comunque, a sua volta affrontare il problema, dei nuovi mo<strong>del</strong>li<br />

culturali <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>la famiglia vissuti, ma anche teorizzati,<br />

all’interno di una società ampiamente secolarizzata,<br />

quale è quella in cui viviamo.<br />

Non si tratta naturalmente di mettere in questioni conquiste<br />

di consapevolezza etica che hanno le loro chiare radici <strong>nella</strong><br />

stessa parola di Dio, ma di saper distinguere ciò che <strong>nella</strong> tradizionale<br />

concezione cristiana <strong>del</strong> matrimonio e <strong>del</strong>la famiglia<br />

appartiene veramente al progetto di Dio, da quelle che ne sono<br />

le forme culturalmente condizionate, tenendo conto che ogni<br />

cultura sta sempre davanti alla parola di Dio come segnata da<br />

una storia di peccato e sempre bisognosa di una ulteriore conversione.<br />

3. Problemi aperti<br />

3.1. L’influsso <strong>del</strong>la globalizzazione economica sulla famiglia<br />

Dal concilio ci separano ormai decenni carichi, di eventi di<br />

portata mondiale, che hanno inciso profondamente sul vissuto<br />

<strong>del</strong>la famiglia, creando nuove possibilità e alimentando nuove<br />

speranze, ma anche creando nuovi problemi.<br />

Senza ignorare le prime, per poterne attuare le promesse, la<br />

<strong>teologia</strong> <strong>del</strong>la famiglia deve guardare con vigile attenzione alle<br />

seconde, per poter offrire alle famiglie cristiane orientamenti<br />

lungimiranti.<br />

Tra le realtà solo recentemente emerse a livello di consapevolezza<br />

ecclesiale, come portatrici di problemi etici molto seri va<br />

incluso quel dinamismo di dimensioni planetarie, che viene abitualmente<br />

indicato con il termine secolarizzazione. Esso presenta<br />

anche alla ricerca teologico-morale e alla pastorale <strong>del</strong>la<br />

famiglia problemi non indifferenti.<br />

<strong>La</strong> secolarizzazione infatti influisce fortemente sulla vita<br />

quotidiana <strong>del</strong>la famiglia, sul ruolo dei suoi membri, sulla qualità<br />

dei rapporti affettivi al suo interno e sui suoi assetti giuridici<br />

e sociali, sul suo influsso educativo e socializzante nei confronti<br />

<strong>del</strong>le nuove generazioni.<br />

<strong>La</strong> globalizzazione è anzitutto una realtà economica: in


194 GUIDO GATTI<br />

quanto tale, essa tende a produrre una specifica forma di insicurezza<br />

economica, che ne rappresenta l’aspetto più chiaramente<br />

visibile e temuto. Essa dà origine infatti a una specie di “lotta<br />

di classe” mondiale tra tutte le nazioni; in questa lotta non ci<br />

sono più posti al sicuro per i primi arrivati, quali che siano i loro<br />

meriti storici e le posizioni già conquistate. <strong>La</strong> risposta ai nuovi<br />

spietati concorrenti può consistere soltanto in un aumento di<br />

efficienza produttiva e quindi di flessibilità.<br />

<strong>La</strong> globalizzazione addensa quindi oscure minacce di drastico<br />

ridimensionamento sulle sudate e legittime conquiste di<br />

sicurezza sociale godute finora da questi paesi e costringe a scoprire<br />

che in un mondo, abitato da miliardi di non-garantiti, nessuno,<br />

per quanto privilegiato, può evitare di dover scendere in<br />

campo a difendere e riconquistare ogni giorno il fragile benessere,<br />

cui le rispettive popolazioni si sono tanto rapidamente abituate.<br />

L’esigenza di essere competitivi sui mercati mondiali porta<br />

all’abbattimento dei salari, diminuisce l’occupazione, produce<br />

nuove stridenti disuguaglianze di reddito, di opportunità economiche<br />

e di tenore di vita.<br />

Di tutte le istituzioni umane, la famiglia sembra essere la più<br />

fragile e la più esposta a questo inasprimento <strong>del</strong> carattere competitivo<br />

<strong>del</strong>la realtà economica.<br />

L’insicurezza <strong>del</strong> posto di lavoro spinge la famiglia a cercare<br />

una garanzia contro lo spettro <strong>del</strong>la disoccupazione <strong>del</strong> capofamiglia,<br />

e in ogni caso un sostanzioso complemento al reddito<br />

familiare, <strong>nella</strong> ulteriore diffusione <strong>del</strong> lavoro fuori casa <strong>del</strong>la<br />

donna.<br />

Diminuiscono così i momenti di convivenza, ma anche le<br />

possibilità di gestione comunitaria <strong>del</strong> menage familiare. <strong>La</strong><br />

scarsa presenza dei genitori con i figli è spesso negativamente<br />

segnata dalla fretta, dalla persistenza <strong>del</strong>le preoccupazioni professionali<br />

e di carriera all’interno degli stessi momenti di vita<br />

familiare, dall’oscura consapevolezza <strong>del</strong>la precarietà di tutto il<br />

vissuto familiare.<br />

Uno dei risultati di questa precarietà, che da economica<br />

tende a diventare esistenziale, è indubbiamente l’ulteriore diminuzione<br />

<strong>del</strong> tasso di natalità, nei paesi di più antica industrializzazione<br />

e quindi una perdita <strong>del</strong>la funzione di rafforzamento<br />

<strong>del</strong>la coesione familiare che la presenza dei figli garantiva in


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 195<br />

passato. Il figlio è visto spesso, in un simile contesto economico<br />

e culturale, come un impedimento alla libera espansione <strong>del</strong><br />

proprio tenore di vita.<br />

<strong>La</strong> madre, per poter dare al bambino l’amore accogliente e<br />

incondizionato che genera quella fiducia di base che fa da sostegno<br />

a tutta la sua successiva crescita umana avrebbe bisogno <strong>del</strong><br />

sostegno di una cultura che apprezzi incondizionatamente la<br />

trasmissione <strong>del</strong>la vita; la cultura <strong>del</strong> mondo industriale avanzato<br />

non alimenta un simile apprezzamento. Lo stesso desiderio<br />

<strong>del</strong> figlio, che spinge non poche coppie alla ricerca di un figlio<br />

ad ogni costo, sembra spesso ispirata, più che a un autentico servizio<br />

nei confronti <strong>del</strong>la vita, a una qualche forma di pretesa<br />

consumistica, che vuole il figlio come un oggetto di appagamento<br />

per i genitori, piuttosto che come un valore in se stesso.<br />

D’altra parte, la precarietà <strong>del</strong> lavoro provoca facilmente sul<br />

capofamiglia ripercussioni negative di carattere psicologico ed<br />

educativo. Egli soffre <strong>del</strong>la sua condizione di insignificanza e di<br />

impotenza, in un mondo in cui il valore <strong>del</strong>le persone è abitualmente<br />

misurato dal loro reddito e dal loro potere economico. In<br />

questa situazione egli rischia di essere deprivato <strong>del</strong>la sua autorevolezza<br />

educativa nei confronti dei figli e vede frustrata la<br />

capacità di guida nei loro confronti.<br />

3.2. Comunicazione massmediale e famiglia<br />

Ma la globalizzazione non è soltanto un fatto economico:<br />

essa ha una sua dimensione culturale costituita dall’allargarsi e<br />

dall’infittirsi <strong>del</strong>la rete mondiale di comunicazione. È in riferimento<br />

a questa nuova realtà che si parla oggi <strong>del</strong> nostro mondo<br />

come di un “villaggio globale”.<br />

Purtroppo la comunicazione massmediale non si svolge<br />

nello spazio asettico di una società innocente. Anch’essa si trova<br />

sottoposta alla competizione globale, costretta a perseguire<br />

obiettivi di audience, che possono essere raggiunti soltanto<br />

lasciandosi condizionare da una domanda che, in una specie di<br />

circolo vizioso, sembra imporre una corsa al “sempre più trasgressivo”.<br />

Un po’ tutti i membri <strong>del</strong>la famiglia, ma soprattutto i figli<br />

evidentemente meno difesi, sono facilmente vittime <strong>del</strong>l’influsso<br />

diseducativo di queste forme di comunicazione.


196 GUIDO GATTI<br />

<strong>La</strong> presenza ingombrante <strong>del</strong>la televisione e <strong>del</strong>la “rete” altera<br />

già di per sé il ritmo tradizionale <strong>del</strong>la convivenza familiare,<br />

spegnendo in radice i necessari momenti di confronto e ottundendo<br />

in questo modo l’influsso educativo dei genitori nei confronti<br />

dei figli. Essa finisce per mettere in questione la stessa<br />

convivenza familiare, per farne emergere i disagi, le tensioni e le<br />

inefficienze latenti.<br />

Così la comunicazione globale sembra essere corresponsabile,<br />

in misura non irrilevante, di quella specie di “cortina di<br />

ferro” che passa all’interno di moltissime famiglie e che sembra<br />

separare, in modo sempre meno valicabile, i genitori dai figli.<br />

Viene meno così ogni forma di positiva identificazione dei<br />

figli con i genitori, screditati dal confronto con la suggestione<br />

dei media.<br />

I ragazzi e i giovani (che passano normalmente diverse ore<br />

al giorno di fronte alla TV o al computer) appartengono a un<br />

mondo culturale altro da quello dei genitori.<br />

3.3. <strong>La</strong> degradazione <strong>del</strong>la convivenza sociale<br />

<strong>La</strong> fine <strong>del</strong> tradizionale localismo spontaneo produce il venir<br />

meno di quell’apprendistato <strong>del</strong>la vita sociale che era offerto in<br />

passato dalle convivenze di breve raggio, di loro natura più<br />

responsabilizzanti. I giovani sono portati a cercare nuove forme<br />

di aggregazione, come il “branco” o il “muretto”, legate ai canoni<br />

<strong>del</strong>la cultura giovanile, forgiata dai “media”.<br />

L’anonimato sostituisce la forza coesiva <strong>del</strong> vicinato: l’individuo<br />

appartiene al mondo, ma in una maniera così diluita e<br />

impersonale che non mette minimamente in questione il fondamentale<br />

individualismo che impregna la cultura <strong>del</strong> mondo in<br />

cui vive.<br />

<strong>La</strong> famiglia si trova quindi ancora più sola di fronte ai problemi<br />

educativi, tagliata fuori dalla cultura giovanile, estranea al<br />

suo gergo e ai suoi idoli.<br />

Qualcosa di simile coinvolge anche l’educazione religiosa,<br />

soprattutto in campo cristiano, dove la trasmissione religiosa ha<br />

bisogno di convinzioni profonde e di esempi convincenti.<br />

Di qui l’abbandono <strong>del</strong>la fede e <strong>del</strong>la pratica religiosa, sempre<br />

più diffusi tra i giovani.<br />

Questo abbandono può avere ripercussioni drammatiche in


LO SVILUPPO POSTCONCILIARE DELLA MORALE DELLA FAMIGLIA 197<br />

quelle famiglie in cui i genitori hanno investito nell’educazione<br />

religiosa dei figli una parte importante <strong>del</strong>le loro speranze: essi<br />

vedono <strong>nella</strong> loro incapacità di trasmettere quella fede di cui<br />

vivono ai loro figli una specie di fallimento <strong>del</strong> loro matrimonio.<br />

E tutto questo può contribuire a mettere in crisi la loro armonia<br />

coniugale.<br />

Ci si può chiedere a questo punto se la famiglia esistita in un<br />

passato non poi molto remoto sia qualcosa di definitivamente<br />

scomparso, sostituito ormai ma da un mo<strong>del</strong>lo completamente<br />

diverso, con cui ci si debba comunque rassegnarsi a fare i conti.<br />

Non è dato ancora sapere verso quale futuro stia muovendosi<br />

la famiglia e con la famiglia il complesso mondo <strong>del</strong>l’uomo.<br />

GUIDO GATTI<br />

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StMor 42 (2004) 201-213<br />

MARTIN MCKEEVER C.SS.R.<br />

QUALE QUESTIONE SOCIALE? INTERROGATIVI,<br />

RISPOSTE E SFIDE NELL’INSEGNAMENTO SOCIALE<br />

POSTCONCILIARE<br />

Lo scopo di questa presentazione è di “interrogare” la questione<br />

sociale, ovvero mettere in discussione la stessa idea <strong>del</strong>la<br />

“questione sociale”, proporre un modo particolare di capire questo<br />

termine ed offrire una lettura <strong>del</strong> corpus <strong>del</strong>l’Insegnamento<br />

sociale ufficiale postconciliare nell’ottica di questo modo di<br />

capire la questione sociale. Il metodo perciò sarà prevalentemente<br />

dialettico ed ermeneutico, riaprendo il dibattito in corso<br />

da tempo su questo tema ed offrendo un’interpretazione dei testi<br />

<strong>del</strong>l’Insegnamento sociale come un contributo a questo dibattito.<br />

Vorrei cominciare con una variante di un racconto tratto dal<br />

famoso ciclo medievale dal titolo “Ricerca <strong>del</strong> santo gra’al”.<br />

Questo racconto ci fa riflettere sulla stessa idea di una questione<br />

e così serve come punto di partenza <strong>del</strong>la nostra indagine<br />

sulla questione sociale.<br />

C’era una volta un re che aveva la fama d’essere un uomo<br />

saggio, tanto che la gente veniva da tutte le parti per porgli<br />

domande e chiedergli consigli. Sennonché, un giorno il re<br />

dichiarò solennemente: “Da anni, sto rispondendo alle domande<br />

ed alle questioni più varie, ma in tutti questi anni nessuno mi ha<br />

mai posto la domanda più importante <strong>del</strong> mondo.” Poi, alzando<br />

un sacco pieno di monete d’oro disse “ Dichiaro, dunque, che<br />

darò tutte queste monete a chi riesce a farmi la domanda più<br />

importante <strong>del</strong> mondo”. Subito arrivarono studiosi, professori,<br />

filosofi e posero domande come: “Come si può sapere che si è<br />

raggiunta la verità?” “Perché l’uomo deve soffrire e morire?”,<br />

“Cosa bisogna fare per migliorare il mondo?” e così via. A ciascuna<br />

domanda rispose il re: “la Sua è una domanda importantissima,<br />

ma non è la domanda più importante <strong>del</strong> mondo.” Alla<br />

fine, venne un frate itinerante, vide il re, gli pose una domanda<br />

e subito il re s’alzò e diede il sacco di monete al frate, dichiarando:<br />

“Finalmente, qualcuno che mi ha saputo porre la doman-


202 MARTIN MCKEEVER<br />

da più importante <strong>del</strong> mondo: solo questo povero frate ha saputo<br />

chiedermi: Tu, che cosa stai vivendo? (What are you going<br />

through?).<br />

“Interrogando” la questione sociale<br />

Questo racconto ci ricorda che ci sono vari tipi di questioni.<br />

C’è, per esempio, la domanda speculativa che mira a capire<br />

meglio qualcosa. C’è la domanda pratica che mira a fare qualcosa.<br />

E c’è la domanda come atto d’immedesimazione, d’empatia,<br />

vale a dire la domanda tramite la quale l’essere umano è capace<br />

di trascendere se stesso e vedere il volto sofferente <strong>del</strong>l’altro.<br />

Prima di pensare ad eventuali risposte alla questione sociale,<br />

possiamo brevemente interrogare la questione stessa.<br />

Storicamente parlando, il termine “questione sociale” emerge<br />

nel contesto <strong>del</strong>la rivoluzione industriale di fronte alle sofferenze<br />

dei poveri, nei nascenti centri urbani. È importante notare,<br />

però, che questa situazione ha provocato domande e risposte<br />

ben diverse. C’è chi si chiede “Ma quale questione sociale? Le<br />

cose sono così e basta!” C’è chi, addirittura, scrive dotti saggi<br />

spiegando perché la povertà sia una necessità <strong>del</strong>la natura 1 . C’è<br />

invece, chi si chiede: “cosa possiamo fare per questa gente,<br />

distribuire cibo, vestiti, medicinali?” Altri ancora si chiedono<br />

“Cosa si può fare per cambiare questa situazione in modo permanente?<br />

Quali leggi servirebbero per proteggere i poveri dallo<br />

sfruttamento?” Ancora più radicali sono quelli che si chiedono<br />

“come organizzare gli operai come forza di rivoluzione sociale?”<br />

Naturalmente c’è anche chi si chiede “ma io, in quanto cristiano<br />

o cristiana, cosa devo fare di fronte a queste sofferenze?” Tra gli<br />

stessi cristiani le risposte sono varie: c’è chi crede che la fede<br />

imponga un impegno sociale e chi crede che la fede si limiti alle<br />

cose spirituali e quindi non riguardi la questione sociale.<br />

Cosa possiamo concludere da queste domande introduttive?<br />

Principalmente tre cose: i. la questione sociale non è una sola,<br />

bisogna sempre chiarire di quale questione sociale stiamo par-<br />

1<br />

Per qualche esempio veda J. MILBANK, Theology and Social Theory.<br />

Beyond Secular Reason. (Oxford, Blackwell, 1990) 42-45.


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 203<br />

lando, ii. la questione sociale non è patrimonio esclusivo dei cristiani<br />

e iii. mentre nasce, se nasce, da un atto di immedesimazione,<br />

essa comporta necessariamente aspetti pratici e teorici.<br />

Considerazioni ermeneutiche<br />

Il nostro compito, però, come indicato nel titolo di questa<br />

conferenza, non è di riflettere in generale sulla questione sociale<br />

ma di studiarne la trattazione nell’Insegnamento sociale postconciliare.<br />

Questo progetto pone volutamente stretti parametri<br />

ad una ricerca che altrimenti sarebbe sconfinata. In modo particolare<br />

due temi importantissimi cadono fuori da questi parametri:<br />

l’humus popolare nel quale nasce la prima risposta ufficiale<br />

<strong>del</strong>la Chiesa 2 alla questione degli operai, e l’Insegnamento<br />

sociale non ufficiale che continua ad emergere anche nel periodo<br />

postconciliare. Muovendoci all’interno di questi parametri<br />

sarà opportuno fare qualche considerazione ermeneutica sulla<br />

lettura <strong>del</strong>l’Insegnamento sociale postconciliare.<br />

Non vorrei ripetere qui la storia <strong>del</strong>la nascita e l’evoluzione<br />

<strong>del</strong>la cosiddetta Dottrina Sociale <strong>del</strong>la Chiesa o, meno formalmente,<br />

ma forse più precisamente, l’Insegnamento sociale ufficiale.<br />

Il nostro studio focalizza il periodo postconciliare e quindi<br />

si basa su documenti come: Populorum progressio, 1967,<br />

Paulo VI; l’Octogesima adveniens, 1971, Paulo VI; Justitia in<br />

mundo, 1971, Sinodo dei vescovi; Evangelii nuntiandi, 1975,<br />

Paulo VI; e le tre grandi encicliche sociali di Giovanni Paulo <strong>II</strong>:<br />

<strong>La</strong>borem exercens, 1981, Sollicitudo rei socialis, 1987, e<br />

Centesimus annus, 1991; (è chiaro che ci sono molti altri documenti,<br />

sia <strong>del</strong> magistero romano sia dei vescovi locali che<br />

potrebbero essere considerati parte <strong>del</strong> corpus ma che per moti-<br />

2<br />

Cf. J.A. COLEMAN, “Retrieving or Re-inventing Social Catholicism” in<br />

Catholic Social Thought, Twilight or Renaissance, J.S. BOSWELL, F.P. MCHUGH,<br />

J. VERSTRAETEN (eds.), (Leuven: Leuven University Press, 2000) 265-270; per<br />

uno studio approfondito sul caso specifico <strong>del</strong>la Germania veda A.<br />

LIENKAMP, Theodor Steinbüchels Sozialismusrezeption. Eine christlich-sozialethische<br />

Relecture (Paderborn\München\Wien\Zürich: Ferdinand<br />

Schöningh, 2000) 107-392.


204 MARTIN MCKEEVER<br />

vi di tempo non sarà possibile trattare qui).<br />

Sarebbe profondamente errato, a mio avviso, tentare un’interpretazione<br />

di questa parte <strong>del</strong> corpus <strong>del</strong>l’Insegnamento<br />

sociale, senza almeno fare riferimento al rapporto strettissimo<br />

tra questi documenti e quelli precedenti. In primo luogo bisogna<br />

prendere in considerazione la stessa Gaudium et spes, la quale,<br />

in quanto Costituzione Conciliare, serve come punto di riferimento<br />

insuperato per la tormentata questione <strong>del</strong> rapporto chiesa-mondo.<br />

Per quanto riguarda i documenti pre-conciliari, è difficile<br />

sopravalutare la loro importanza per una corretta interpretazione<br />

dei documenti successivi. Molti di questi documenti, infatti,<br />

si capiscono come una continuazione <strong>del</strong>l’Insegnamento sociale<br />

che risale almeno alla Rerum Novarum di Leone X<strong>II</strong>I <strong>del</strong> 1891.<br />

Questo legame si esprime sia nelle ricorrenze cronologiche<br />

(1891, 1931, 1971, 1991) sia in quelle tematiche (la povertà, il<br />

lavoro, l’equo salario, i sindacati ecc.). Un principio ermeneutico<br />

fondamentale, dunque, sarà quello di interpretare questi testi<br />

postconciliari alla luce <strong>del</strong>l’Insegnamento precedente. <strong>La</strong>scio<br />

aperta l’interessante possibilità di un’evoluzione <strong>nella</strong> dottrina<br />

sociale.<br />

Una seconda considerazione ermeneutica concerne la forma<br />

letteraria dei testi. Non si tratta qui <strong>del</strong>la semplice, ma importante,<br />

distinzione tra generi diversi come la costituzione conciliare,<br />

l’enciclica, o l’esortazione apostolica. <strong>La</strong> forma letteraria<br />

nel senso più largo <strong>del</strong> termine racchiude aspetti come lo stile, il<br />

vocabolario, la struttura, direi quasi “l’idioma” di questi testi.<br />

<strong>Studia</strong>ndo questo corpus si può facilmente anche parlare di fattori<br />

come l’autocomprensione degli autori, di processi redazionali,<br />

di codici interpretativi ecc., insomma di tutta la teoria<br />

ermeneutica che riconosciamo così necessaria per l’interpretazione<br />

<strong>del</strong>la Santa Scrittura. Solo alla luce di considerazioni di<br />

questo tipo, infatti, si può spiegare la forma definitiva, a volte<br />

logora e prolissa, che assumono questi testi.<br />

Una terza considerazione ermeneutica sarebbe la valutazione<br />

<strong>del</strong> contesto storico-culturale <strong>del</strong> periodo 1964-2004. Quali<br />

sono stati gli avvenimenti e le tendenze culturali salienti di questo<br />

periodo, dal punto di vista <strong>del</strong>l’Insegnamento sociale?<br />

Ritengo che sia necessario considerare almeno i seguenti fattori<br />

storici e culturali: la guerra fredda e la “corsa agli armamenti”, i


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 205<br />

movimenti studenteschi <strong>del</strong> 1968, le rivoluzioni in vari paesi<br />

<strong>del</strong>l’America <strong>La</strong>tina e la politica <strong>del</strong>la cosiddetta “sicurezza<br />

nazionale”, il crollo <strong>del</strong> sistema sovietico, la postmodernità e,<br />

“last but not least”, l’immancabile fenomeno <strong>del</strong>la globalizzazione.<br />

Ciascuno di questi temi meriterebbe una conferenza a sé, per<br />

il momento dobbiamo accontentarci di notare quanto essi siano<br />

controversi e quanto siano diversi tra loro. Se la dottrina sociale<br />

nacque come una risposta alla questione degli operai in<br />

Europa alla fine <strong>del</strong> 800, l’Insegnamento postconciliare deve<br />

considerare una gamma enorme di questioni in un contesto culturale<br />

sempre più complesso. Si pone di nuovo il problema:<br />

quale questione sociale? Come se non bastasse, bisogna aggiungere<br />

fattori ecclesiali assai controversi, come la ricezione <strong>del</strong><br />

<strong>Concilio</strong>, il rinnovamento <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong>, il dibattito sulla <strong>teologia</strong><br />

<strong>del</strong>la liberazione 3 .<br />

Un’ultima considerazione ermeneutica…quale potrebbe<br />

essere una chiave di lettura interpretativa di questi documenti<br />

nel contesto <strong>del</strong> nostro convegno? Vorrei proporre un modo di<br />

capire la questione sociale in tale chiave.<br />

Devo riconoscere in partenza che il termine “la questione<br />

sociale” è audace e merita qualche parola di giustificazione. Se<br />

prendiamo la locuzione “questione sociale” letteralmente, colpisce<br />

che ci sia ben poco nel mondo umano che cada al di fuori di<br />

questa categoria. <strong>La</strong> condizione degli operai, la povertà, l’assicurazione<br />

sanitaria, il diritto di formare associazioni sono manifestamente<br />

<strong>del</strong>le questioni sociali. Ma non lo sono forse la fame<br />

nel mondo, i problemi <strong>del</strong>la famiglia, le tematiche <strong>del</strong>la bioetica,<br />

la guerra, l’ecologia? Esse rappresentano altrettante questioni<br />

sociali. A rigor di termini, in quanto l’essere umano è intrinsecamente<br />

un essere sociale, non c’è questione umana che non sia<br />

anche una questione sociale. È importante, allora, notare che<br />

l’uso <strong>del</strong>la parola “sociale” per far riferimento ad uno solo dei<br />

tanti temi sociali, è assai arbitrario e rischia d’essere riduttivo.<br />

Detto questo, che senso ha usare il termine “questione sociale”?<br />

Ritengo che ci sia un modo di capire “la questione sociale”<br />

che abbracci questi moltissimi temi specifici e che possa servire<br />

3<br />

Cf. M. McKEEVER “Frühling in Me<strong>del</strong>lín? Dreißig Jahre<br />

Befreiungstheologie” Theologie der Gegenwart 46 (2003) 162-169.


206 MARTIN MCKEEVER<br />

come chiave di lettura <strong>del</strong> corpus postconciliare. Mi servo qui<br />

<strong>del</strong>la formulazione felice di un autore americano, teologo ed<br />

economista, B.W. Dempsey. Già negli anni sessanta egli scrisse:<br />

«Nella nostra generazione la rivoluzione e l’insoddisfatta opinione<br />

che rende possibile l’espansione <strong>del</strong>le idee rivoluzionarie, non<br />

sono limitate alle forme <strong>del</strong>l’organizzazione politica. Ogni istituzione<br />

sociale è in discussione e l’interna questione <strong>del</strong>la natura <strong>del</strong>l’uomo,<br />

il numero, qualità e l’origine dei suoi diritti, se ne esista qualcuno, e<br />

l’istituzione sociale che si adatti maggiormente a quest’uomo, famiglia,<br />

comunità civili, organizzazioni industriali, sono tutte messe in<br />

questione allo stesso tempo. Potremmo dire che se le precedenti generazioni<br />

avevano a che fare con le questioni sociali, la nostra è chiamata<br />

a confrontarsi con la questione sociale» 4 .<br />

Seguendo questa logica, possiamo dire che la questione<br />

sociale si riferisca non alle tante questioni <strong>del</strong>la società umana<br />

ma alla questione sulla società umana. In altre parole la questione<br />

sociale si riferisce al perché ed al come <strong>del</strong>la stessa<br />

società, che include la questione su quale sia la giusta forma di<br />

società per gli esseri umani. Si capisce che questo modo di interpretare<br />

la questione sociale riprenda la domanda teorica sulla<br />

società che risale all’antichità e che si presenta in primo luogo<br />

come un problema di teoria e pratica politica. <strong>La</strong> differenza,<br />

come ci fa notare Dempsey, è che nel nostro tempo questa questione<br />

si pone in un contesto nel quale, per i motivi storici e culturali<br />

ai quali abbiamo già accennato, tutto è messo in discussione.<br />

Servendoci di questo modo di interpretare la questione<br />

sociale come chiave di lettura, possiamo ora affrontare i documenti<br />

chiedendoci: come viene formulata questa questione<br />

sociale nei documenti? quali risposte vengono date a questa questione?<br />

quali sfide ne derivano?<br />

4<br />

Citato in L. SALUTATI, Finanza e debito dei paesi poveri, una economia<br />

istituzionalmente usuraria (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 2003),<br />

168.


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 207<br />

<strong>La</strong> questione sociale nell’Insegnamento post-conciliare<br />

Dove possiamo trovare un’articolazione <strong>del</strong>la questione<br />

sociale, intesa in questo modo, nell’Insegnamento postconciliare?<br />

Un esempio ben conosciuto è la formulazione che troviamo<br />

<strong>nella</strong> Centesimus annus 42 dove si legge:<br />

«Ritornando ora alla domanda iniziale, si può forse dire che,<br />

dopo il fallimento <strong>del</strong> comunismo, il sistema sociale vincente sia il<br />

capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei paesi<br />

che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse<br />

questo il mo<strong>del</strong>lo che bisogna proporre ai paesi <strong>del</strong> terzo mondo, che<br />

cercano la via <strong>del</strong> vero progresso economico e civile?».<br />

Si nota subito che in questo testo affrontiamo “la questione<br />

sociale” in quanto si tratta qui non dei tanti problemi <strong>del</strong>la società<br />

ma <strong>del</strong> problema fondamentale sulla giusta forma di società.<br />

Segue la famosa risposta dove si legge:<br />

«Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce<br />

il ruolo fondamentale e positivo <strong>del</strong>l’impresa, <strong>del</strong> mercato, <strong>del</strong>la<br />

proprietà privata e <strong>del</strong>la conseguente responsabilità per i mezzi di<br />

produzione, <strong>del</strong>la libertà creatività umana nel settore <strong>del</strong>l’economia,<br />

la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato<br />

parlare di “economia d’impresa, di “economia di mercato” o<br />

semplicemente di “economia libera”. Ma se con “capitalismo” si<br />

intende un sistema in cui la libertà nel settore <strong>del</strong>l’economia non è<br />

inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta a servizio<br />

<strong>del</strong>la libertà umana integrale e la consideri come una particolare<br />

dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la<br />

risposta è decisamente negativa».<br />

Vale la pena di soffermarsi un minuto su questa risposta alla<br />

questione sociale. <strong>La</strong> prima cosa da notare è che una forma di<br />

“capitalismo” viene approvata come la forma giusta per la società<br />

umana. Perché tra virgolette? Perché il testo stesso preferisce un<br />

termine quale “economia di mercato” e perché i fattori menzionati<br />

(il ruolo <strong>del</strong>l’impresa, <strong>del</strong> mercato, <strong>del</strong>la proprietà privata,<br />

<strong>del</strong>la responsabilità per i mezzi di produzione e la libera creatività)<br />

sono solo alcune <strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong> capitalismo come


208 MARTIN MCKEEVER<br />

sistema sociale. Il capitalismo reale, per usare l’espressione di<br />

Luigi Lorenzetti, ne ha anche altre meno attraenti (brama di guadagno,<br />

consumismo, sfruttamento ecc.) che sono oggetto di fortissima<br />

critica <strong>nella</strong> stessa CA (36). Concludere sulla base di questo<br />

paragrafo, che l’Insegnamento sociale abbia approvato il<br />

capitalismo tout court come la giusta forma <strong>del</strong>la società mi sembra<br />

un’interpretazione riduttiva. Questo si nota già dalla seconda<br />

parte <strong>del</strong> testo citato: si parla di una forma di capitalismo “decisamente”<br />

inaccettabile che viene caratterizzato da ciò che<br />

manca, vale a dire un assetto giuridico che gestisca la libertà<br />

economica verso la realizzazione <strong>del</strong>la libertà integrale <strong>del</strong>la persona<br />

umana, per sua natura etica e religiosa.<br />

<strong>La</strong> domanda dalla quale parte il testo, ricordiamocelo, era:<br />

“crollato il comunismo, possiamo proporre il capitalismo come<br />

mo<strong>del</strong>lo?” <strong>La</strong> risposta non manca di ambiguità: sì in quanto<br />

manifesta queste caratteristiche economiche, no se manca questo<br />

assetto giuridico. Il problema è che nelle società capitaliste<br />

attuali si trovano, generalmente, le caratteristiche economiche<br />

menzionate, ma non si trova un tale assetto giuridico. Quindi<br />

secondo la logica <strong>del</strong> testo dobbiamo “certamente” accettare un<br />

tale sistema per un motivo e “decisamente” rigettarlo per un<br />

altro motivo. Ma se fosse possibile trovare un sistema con le<br />

caratteristiche economiche che non mancasse di un tale assetto<br />

giuridico, sarebbe corretto chiamarlo capitalismo?<br />

<strong>La</strong> visione <strong>del</strong>la giusta forma <strong>del</strong>la società umana che sostiene<br />

queste affermazioni è dunque quella di un’economia di mercato<br />

che condivida una visione etica e religiosa <strong>del</strong>la libertà<br />

umana e che si organizzi istituzionalmente per promuovere e<br />

proteggere questa libertà. Questa è la risposta, assai idealistica,<br />

<strong>del</strong>l’Insegnamento alla questione sociale come questione sulla<br />

società che troviamo nel paragrafo <strong>del</strong>la CA. Partendo da questo<br />

testo illustrativo, possiamo adesso considerare il rapporto tra<br />

questa risposta specifica e quella più diffusa nell’Insegnamento<br />

postconciliare.<br />

Analisi <strong>del</strong>la risposta alla questione sociale<br />

Il giudizio ambiguo sulle forme esistenti <strong>del</strong> capitalismo si<br />

basa naturalmente su tutta una serie di riflessioni teologiche,


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 209<br />

antropologiche, etiche, giuridiche e pragmatiche sparse nei<br />

documenti postconciliari. Vorrei proporre un’analisi dei motivi<br />

di questa risposta alla questione sociale alla luce <strong>del</strong>l’Insegnamento<br />

nel suo insieme. Partendo da considerazioni storico-pragmatiche,<br />

si possono individuare motivi più profondi di tipo teologico-antropoligico<br />

ed etico-giuridico. Nei tre tipi di ragionamento,<br />

ritengo che sia possibile capire perché la risposta alla<br />

questione sociale sia così ambigua.<br />

Considerazioni storico-pragmatiche<br />

Scrivendo nel periodo immediatamente successivo al crollo<br />

<strong>del</strong> sistema sovietico totalitario, si comprende la convinzione <strong>del</strong><br />

Papa che il socialismo reale, come risposta alla questione sociale,<br />

si sia dimostrato fallace e distruttivo. Non esita, infatti, <strong>nella</strong><br />

Centesimus annus ad insistere sull’aspetto pragmatico di questo<br />

giudizio: un motivo per rigettare il socialismo reale è che non<br />

funziona, che è inefficiente (CA, 24). <strong>La</strong> relativa efficienza <strong>del</strong><br />

sistema capitalistico sembra dipendere proprio da fattori come<br />

l’impresa, il mercato, la proprietà privata ecc. <strong>La</strong> riluttanza ad<br />

approvare il sistema capitalistico sulla base di queste considerazioni<br />

pragmatiche dipende, in ultima analisi, da considerazioni<br />

teologiche ed etiche che vedremo in seguito. Vale la pena ricordare,<br />

però, che esistono anche problemi pragmatici legati al<br />

sistema capitalistico. Sin dal <strong>Concilio</strong>, sia nei paesi <strong>del</strong> terzo<br />

mondo che nei paesi economicamente più sviluppati, si è duramente<br />

criticato il funzionamento <strong>del</strong> sistema capitalistico. Ne<br />

sono un esempio, il dibattito sul concetto di sviluppo, lo scandalo<br />

<strong>del</strong> debito estero dei paesi poveri, i gravi problemi ecologici<br />

e l’accesa discussione, ancora in corso, sulla globalizzazione 5 .<br />

Su questi temi le opinioni possono essere diverse ma il punto è<br />

che l’Insegnamento sociale postconciliare non può ignorare i<br />

grandi problemi pragmatici che accompagnano il capitalismo<br />

come forma di economia, a livello globale. Sono da tener presenti<br />

queste considerazioni per capire la risposta cauta e riser-<br />

5<br />

Cf. il recente numero (42\1) monografico di <strong>Studia</strong> <strong>Moralia</strong> (giugno<br />

2004) sul tema <strong>del</strong>la globalizzatione.


210 MARTIN MCKEEVER<br />

vata <strong>del</strong>l’Insegnamento verso il capitalismo come sistema, malgrado<br />

il fallimento <strong>del</strong> socialismo.<br />

Considerazioni teologico-antropologiche<br />

Una simile tensione si nota anche sotto l’aspetto teologicoantropologico.<br />

Giovanni Paolo <strong>II</strong> vuole rigettare il socialismo<br />

reale non solo perché inefficiente ma anche perché fondamentalmente<br />

errato a livello antropologico (CA, 13) Questo giudizio<br />

antropologico si basa su una visione <strong>del</strong>l’uomo come creato ad<br />

immagine di Dio, quindi dotato di una dignità inalienabile e di<br />

diritti fondamentali. Un sistema come il socialismo reale, che<br />

neghi questa visione <strong>del</strong>l’uomo e lo riduca ad un mero fattore<br />

economico, deve essere rifiutato dal punto di vista <strong>del</strong>l’antropologia<br />

cristiana. Su questo punto non c’è ambiguità alcuna.<br />

L’ambiguità inizia quando si applica la visione teologicaantropologica<br />

al sistema <strong>del</strong> capitalismo reale. Mutatis mutandis<br />

si possono usare gli stessi principi teologici ed antropologici per<br />

fondare una critica <strong>del</strong>la visione <strong>del</strong>l’uomo che sottostà al capitalismo<br />

reale. Un documento come Sollicitudo rei socialis (13,<br />

14) parla senza mezzi termini di questi aspetti inaccettabili <strong>del</strong>la<br />

cultura capitalistica in quanto questa forma di cultura rappresenta<br />

una variante di un’ideologia materialista incompatibile<br />

con un’antropologia cristiana. Solo una nuova cultura di solidarietà<br />

può far fronte ai massicci cambiamenti sociali in corso.<br />

Considerazioni etico-giuridiche<br />

Strettamente collegata all’impostazione teologico-antropologica<br />

<strong>del</strong>l’Insegnamento postconciliare è una visione etico-giuridica.<br />

Dal punto di vista <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale questo è forse l’aspetto<br />

più importante e più interessante. Anche qui emergono<br />

forti tensioni all’interno <strong>del</strong>la posizione <strong>del</strong> magistero. Da una<br />

parte, vengono riconosciuti ed apprezzati i benefici materiali e<br />

culturali che la cultura moderna, liberale, capitalista ha reso<br />

possibili (CA, 46). In modo particolare principi politico-giuridici<br />

come lo stato di diritto, la democrazia, i diritti civili ed umani<br />

sono riconosciuti come un autentico contributo agli Stati individuali<br />

ed all’emergente comunità globale. Il fatto che il mondo<br />

sia uscito dalla tragedia <strong>del</strong>le guerre mondiali è da attribuire a


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 211<br />

questa tradizione politica. D’altra parte, questa tradizione politica<br />

si definisce espressamente laica e spesso non condivide la<br />

visione etico-giuridica cristiana. <strong>La</strong> risposta valutativa al sistema<br />

liberale, moderno, capitalistico è per questo motivo di nuovo<br />

ambiguo. L’Insegnamento condivide e approva certi aspetti <strong>del</strong><br />

sistema, ma avverte la mancanza di un fondamento alla visione<br />

etico-giuridica che vada al di là <strong>del</strong> consenso sociale e riconosca<br />

l’autorità suprema <strong>del</strong>la legge naturale e divina (CA, 21).<br />

Unendo queste varie considerazioni pragmatiche, teologiche,<br />

antropologiche, giuridiche ed etiche, possiamo capire perché<br />

il sistema capitalistico non venga considerato la risposta<br />

giusta alla questione sociale, nonostante si sia dimostrato più<br />

efficace <strong>del</strong> sistema rivale.<br />

<strong>La</strong> sfida <strong>del</strong>le sfide: una rilettura continua ed aperta<br />

<strong>del</strong>la Gaudium et spes<br />

Essendo essenzialmente di natura pastorale, i documenti<br />

<strong>del</strong>l’Insegnamento postconciliare non sono privi di sfide particolareggiate.<br />

Non mi sembra esagerato affermare che in<br />

quest’Insegnamento ogni questione sociale specifica costituisca<br />

già in se stessa una sfida diversa, sia a livello d’impegno pratico<br />

sia a livello d’analisi e di comprensione. Non vorrei soffermarmi<br />

qui su sfide concrete riguardanti la povertà, la disoccupazione,<br />

il lavoro, il debito internazionale, lo stato sociale, la famiglia ecc.<br />

Nell’ottica particolare di questa presentazione ci interessa<br />

soprattutto la sfida che deriva dalla questione sociale come questione<br />

sulla giusta forma per la società. Vorrei suggerire, in conclusione,<br />

che l’articolazione magistrale di questa sfida, dalla<br />

quale sorgono tutte le sfide particolari nell’Insegnamento postconciliare,<br />

si trova già nel pensiero <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> 6 .<br />

Una sfida, ci dice il vocabolario, è una provocazione ad una<br />

prova… conosciamo gesti cavallereschi come quello di “gettare<br />

il guanto”. L’idea di una sfida implica allora uno sfidante ed uno<br />

6<br />

Per una ricca e estesa trattazione <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> vede il<br />

numero monographico di Asprenas (50, 2003).


212 MARTIN MCKEEVER<br />

sfidato. Spero di non cadere troppo nell’istrionico suggerendo<br />

che <strong>nella</strong> promulgazione <strong>del</strong>la Gaudium et spes la Chiesa, tramite<br />

il <strong>Concilio</strong>, getti il guanto all’umanità intera e, in primo luogo,<br />

a se stessa come popolo pellegrino inserito <strong>nella</strong> storia di quest’umanità.<br />

In questo documento lapidare <strong>del</strong> <strong>Concilio</strong>, la Chiesa stessa<br />

è sfidante e sfidata. <strong>La</strong> sfida verso se stessa consiste nell’essere<br />

fe<strong>del</strong>e alla sua missione evangelizzatrice. Essere Chiesa vuol dire<br />

vivere nello Spirito come sacramento di salvezza per il mondo,<br />

consapevole che la risposta definitiva alla questione sociale,<br />

come ad ogni questione umana, può solo arrivare da Dio. Allo<br />

stesso tempo, però, la vocazione missionaria <strong>del</strong>la Chiesa, che è<br />

la sua ragione d’essere, non può vivere in isolamento dal mondo<br />

che sta cambiando ad un ritmo impressionante. <strong>La</strong> sfida consiste<br />

essenzialmente nell’impegno quotidiano di vivere come<br />

comunità credente in un contesto sociale e culturale che spesso<br />

non condivide questa fede. Questa sfida diviene particolarmente<br />

impegnativa alla luce dei processi di socializzazione tramite i<br />

quali il modo di rapportarsi tra le nazioni va trasformandosi.<br />

Parte integrante e costitutiva <strong>del</strong>la missione <strong>del</strong>la Chiesa è leggere<br />

questi segni dei tempi, tutt’altro che tranquillizzanti, alla<br />

luce <strong>del</strong>la rivelazione di Cristo (GS, 4) In modo particolare quando<br />

un sistema economico-politico-sociale, come quello dominante,<br />

conduce ad una perpetuazione e ad un’esacerbazione <strong>del</strong>l’ingiustizia<br />

nel mondo, compito <strong>del</strong>la Chiesa profetica rimane il<br />

confronto e la denuncia.<br />

<strong>La</strong> sfida che la Gaudium et spes offre a tutta l’umanità, cristiani<br />

inclusi, deriva dalla tensione tra la questione sociale e le<br />

risposte che abbiamo visto a livello teologico, etico, antropologico<br />

e giuridico. Per quanto sia ricca e valida la visione teologico-antropologica<br />

<strong>del</strong>la Chiesa, essa non costituisce un mo<strong>del</strong>lo<br />

concreto di sistema sociale. <strong>La</strong> Chiesa riconosce la necessaria<br />

mediazione istituzionale di strutture politiche e sociali sia a<br />

livello nazionale sia a livello internazionale. Il lavoro di costruzione<br />

e manutenzione di queste strutture spetta a tutti gli uomini<br />

insieme e quindi richiede una collaborazione tra credenti e<br />

non-credenti (GS, 43, 44). L’Insegnamento sociale può e deve<br />

offrire il suo giudizio etico sull’evoluzione dei sistemi sociali<br />

concreti, alla luce <strong>del</strong>la propria visione antropologica e teologica,<br />

ma non può assumersi la responsabilità che spetta alle strut-


QUALE QUESTIONE SOCIALE? 213<br />

ture sociali e politiche. <strong>La</strong> “sfida <strong>del</strong>le sfide”, nell’Insegnamento<br />

postconciliare, è trovare il modo adatto per contribuire al processo<br />

di costruzione sociale, guidati dalla propria visione teologica-antropologica<br />

(GS, 33).<br />

Tornando, in conclusione, al racconto con il quale abbiamo<br />

iniziato quest’indagine possiamo dire che i cristiani, di fronte<br />

alle sofferenze <strong>del</strong>l’umanità devono porsi una domanda simile a<br />

quella <strong>del</strong> frate itinerante e poi collaborare con gli altri <strong>nella</strong><br />

ricerca di risposte teoriche, pratiche ed empatiche. Solo in questo<br />

modo possiamo evitare che le parole eccelse con le quali inizia<br />

la Gaudium et spes divengano lettera morta: «Le gioie e le speranze,<br />

le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri<br />

soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,<br />

le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di<br />

genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».<br />

MARTIN MCKEEVER, C.SS.R.


215<br />

TAVOLA ROTONDA<br />

QUALE TEOLOGIA MORALE PER IL XXI SECOLO?<br />

Basilio Petrà<br />

<strong>La</strong> domanda può evidentemente avere molte risposte secondo<br />

i punti di vista che assume chi intende rispondere.<br />

Se il “quale” <strong>del</strong> titolo si riferisce agli ambiti “nuovi” di<br />

applicazione <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale allora la risposta può essere<br />

facile giacché si tratta di enumerare aree disciplinari nuove o<br />

con nuovi sviluppi e in pratica la stessa nomenclatura accademica<br />

con la sua evoluzione presente e futura può aiutare a risolvere<br />

il problema (si pensi a discipline nuove come la bioetica, la<br />

business ethics, l’etica <strong>del</strong>la comunicazione informatica ecc).<br />

Nel caso in cui “quale” si riferisse alla forma <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale, ovvero alla sua identità o al suo principio formale, mi<br />

pare che dopo il <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> essa abbia una forma decisamente<br />

teologica e cristocentrica. Il suo oggetto proprio non è<br />

tanto l’agire umano quanto l’agire <strong>del</strong> cristiano, ovvero l’esplicitazione<br />

<strong>del</strong>l’essere nuovo <strong>del</strong> cristiano, in quanto ri-creato in<br />

Cristo e ri-costituito <strong>nella</strong> sua verità. Come la tradizione orientale<br />

ha da secoli insegnato l’agire cristiano coincide formalmente<br />

con il vivere in Cristo; attraverso questo vivere di filius in Filio<br />

l’uomo –immagine di Dio in Cristo- si fa sempre più partecipe<br />

<strong>del</strong>la vita trinitaria in Cristo e <strong>nella</strong> Chiesa per la potenza <strong>del</strong>lo<br />

Spirito.<br />

Se poi “quale” si riferisce alla mediazione filosofico-antropologica<br />

che deve essere adottata o <strong>del</strong>la quale necessiterebbe la<br />

<strong>teologia</strong> morale nel secolo XXI per parlare ai fe<strong>del</strong>i e agli uomini<br />

<strong>del</strong> secolo, allora si potrebbe rispondere che dopo il <strong>Concilio</strong>,<br />

la linea prevalente – specie nel Magistero – sembra essere quella<br />

che vede la convergenza tra personalismo e ontologia derivata in<br />

vario modo da Tommaso. Certo non mancano, tra i teologi, tentativi<br />

diversi (filosofia trascendentale, fenomenologia, ermeneutica…),<br />

non ultimo quello di cercare di fare a meno di un linguaggio<br />

filosoficamente connotato per la convinzione che possa<br />

bastare a se stesso un linguaggio di tipo biblico, sapienziale o


216 TAVOLA ROTONDA<br />

spirituale. Quale di queste linee si svilupperà è difficile a dirsi<br />

perché non conosciamo ancora i filosofi <strong>del</strong> XXI secolo, cioè i<br />

pensatori che provocheranno linguisticamente la <strong>teologia</strong>; si<br />

può dire che forse saranno filosofi “planetari” e “globalizzati”<br />

ma, come è chiaro, ciò non aggiunge molto alla nostra conoscenza.<br />

E potrei continuare articolando ulteriormente il “quale”<br />

<strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale nel XXI secolo.<br />

Tuttavia, se permettete, vorrei modificare un po’ la domanda<br />

per poter affontare quella che a parer mio costituisce la vera<br />

questione in ambito morale per la Chiesa <strong>del</strong> XXI secolo. <strong>La</strong> formulerei<br />

così: cosa può fare la <strong>teologia</strong> morale nel secolo XXI per<br />

superare lo iato che il secolo XX ci lascia in eredità tra norme<br />

cattoliche di comportamento e ethos dei fe<strong>del</strong>i, morale cattolica<br />

e sensibilità etica dei fe<strong>del</strong>i? Parlando di ethos mi riferisco qui<br />

proprio alla sensibilità etica dei nostri fe<strong>del</strong>i, indico cioè quel<br />

tipo di comportamento che è sentito come moralmente corretto<br />

o irreprensibile anche quando non sia osservato. Inoltre, per<br />

fe<strong>del</strong>i intendo coloro che vogliono restare <strong>nella</strong> chiesa e si considerano<br />

credenti.<br />

Tale iato è intimamente collegato alla crisi che la morale cattolica<br />

ha visto crescere e infine esplodere nel secolo scorso 1 .<br />

Infatti, la morale cattolica è entrata in crisi non tanto a livello<br />

formale e di principi generali quanto a livello normativo e non<br />

riguardo a tutte le norme ma solo riguardo a quelle che hanno<br />

perso forza ed evidenza per la ragione dei fe<strong>del</strong>i.<br />

Sottolineo: solo per certe norme, non per altre.<br />

<strong>La</strong> crisi – tanto per fare un esempio – non si è avuta a livello<br />

di etica sociale (una controprova: quanti teologi moralisti<br />

dopo il concilio sono stati richiamati per questioni di etica sociale,<br />

economica o politica? prescindo qui dal problema <strong>del</strong> marxismo<br />

e <strong>del</strong>la rivoluzione, che ha consistenti e più ampie dimensioni<br />

ideologiche) ma a livello di alcune norme concernenti la<br />

vita sessuale e familiare, e in parte la vita fisica. Dico in parte<br />

1<br />

<strong>La</strong> dimostrazione storica di questa affermazione cerco di fornirla nel<br />

mio saggio: Teologia morale in G.Canobbio-Piero Coda (edd.), <strong>La</strong> Teologia <strong>del</strong><br />

XX secolo. Un bilancio. 3. Prospettive pratiche, Città Nuova, Roma 2003, 97-<br />

193.


TAVOLA ROTONDA 217<br />

giacché tra norme sessuali/familiari e norme protettive <strong>del</strong>la vita<br />

vi è questa differenza: i fe<strong>del</strong>i possono abortire ma non mettono<br />

ordinariamente in discussione la giustezza generale <strong>del</strong>la norma<br />

al punto che si può dire che vi è su ciò una fondamentale base<br />

di evidenza che non può essere annullata facilmente; questi stessi<br />

fe<strong>del</strong>i usano la contraccezione o usano magari i metodi naturali<br />

con mentalità contraccettiva e non capiscono perché fanno<br />

male, specie se hanno già figli. Molte norme tradizionali sessuali/familiari<br />

ormai non sono più chiare né dotate di sufficiente<br />

evidenza per i nostri fe<strong>del</strong>i (aggiungerei per gli stessi preti e per<br />

qualche vescovo); quelle sulla vita mantengono maggiore evidenza,<br />

offrono perciò maggiore resistenza.<br />

Dall’Humanae vitae in poi lo iato è andato crescendo prevalentemente,<br />

come si sa, proprio nell’ambito normativo sessuale/familiare.<br />

Ci sono comportamenti sessuali e familiari che oggi<br />

appaiono non solo possibili ma talvolta addirittura doverosi ai<br />

nostri fe<strong>del</strong>i e che sono direttamente contrari a norme ribadite<br />

in modo autorevole dal magistero.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale nel tentativo di varcare questo iato si è<br />

divisa. <strong>La</strong> divisione si è bene espressa poi intorno alla Veritatis<br />

splendor. Da una parte la <strong>teologia</strong> che mettendo insieme elementi<br />

biblico-teo-cristologici, personalistici e di provenienza<br />

tomista ha ribadito le norme magisteriali, accusando la coscienza<br />

autonoma di aver piegato alla libertà l’ordine morale oggettivo;<br />

dall’altra, la <strong>teologia</strong> che vede la vita morale <strong>del</strong>la persona in<br />

termini interpersonali, storico-dinamici e cognitivo-ermeneutici<br />

e che ha affrontato le reazioni magisteriali tentando nuove vie.<br />

Naturalmente non mancano rappresentanti di vie di mezzo, più<br />

o meno felici.<br />

L’effetto di questa divisione è interessante. Si è diffusa una<br />

sorta di timidezza dinanzi a certe norme e alla loro fondazione.<br />

Tanto i teologi <strong>del</strong>l’una parte quanto quelli <strong>del</strong>l’altra, e aggiungerei<br />

quelli che stanno in mezzo, specie in Italia ma non solo,<br />

evitano di coinvolgersi troppo in discorsi normativi controversi.<br />

I primi si limitano, quando necessario, a ripetere o ad applicare<br />

con maggiore o minore abilità queste norme; gli altri o si pronunciano<br />

privatamente/in ambiente sicuro oppure preferiscono<br />

non pronunciarsi direttamente sulle norme.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale così – per alcune ed importanti aree – ha<br />

oggi molte difficoltà nell’assolvere alla sua funzione di elabora-


218 TAVOLA ROTONDA<br />

re criticamente le norme di comportamento per il cristiano fondandone<br />

insieme il carattere umano (razionale) e la coerenza<br />

con la rivelazione.<br />

Mentre così si indebolisce in alcuni ambiti la concreta capacità<br />

normativa, cresce invece la coltivazione degli orizzonti valoriali<br />

e virtuosi, fioriscono le sottolineature onto-teo-cristologiche<br />

e teologali <strong>del</strong>l’agire morale, le riflessioni sulle dimensioni<br />

spirituali e sacramentali <strong>del</strong>la vita morale.<br />

In tal modo si assiste a una strana situazione riguardo alle<br />

norme alle quali qui mi riferisco: da una parte, l’ufficialità magisteriale<br />

variamente ripetuta e difesa; dall’altra, i magisteri paralleli<br />

più o meno clandestini di vari teologi; tra l’una e l’altra una<br />

pastorale che si barcamena tra le due sponde facendosi forte –<br />

più o meno correttamente – degli spazi offerti dal foro interno.<br />

E intanto cresce lo iato tra quello che la gente vive e l’ufficialità<br />

<strong>del</strong>la morale cattolica.<br />

Come dunque superare questa distanza, come riconciliare<br />

l’ethos dei fe<strong>del</strong>i e il magistero? E più precisamente, può la <strong>teologia</strong><br />

morale di questo secolo XXI fare qualcosa per sanare questo<br />

iato?<br />

Per rispondere a questa domanda mi sembra necessario fare<br />

un piccolo percorso, chiedendoci prima perché finora la <strong>teologia</strong><br />

morale non c’è riuscita.<br />

<strong>La</strong> mia risposta può essere semplice e forse troppo diretta,<br />

ma lo esige il caratter di questa comunicazione. Ebbene, la <strong>teologia</strong><br />

morale cattolica non c’è riuscita perché alcune norme non<br />

sono difendibili se non andando decisamente contro la sensibilità<br />

etica divenuta (culturalmente) ordinaria anche per la nostra<br />

gente in cose nelle quali essa ritiene di poter dire la sua opinione.<br />

Accusare la cultura dicendola non cristiana, relativistica o<br />

dominata dal desiderio e i fe<strong>del</strong>i dicendoli succubi di una tale<br />

cultura è solo apparentemente una risposta.<br />

Innanzitutto perché la nostra gente non manca di percezione<br />

<strong>del</strong>l’intrinsecamente illecito; per esempio se dico che la truffa<br />

è immorale, tutti sono d’accordo, anche i truffatori. In alcune<br />

cose ammette anche che qualcosa sia prima facie intrinsecamente<br />

illecito, anche se non sempre vede l’illiceità in singoli casi<br />

come ad esempio <strong>nella</strong> bugia. In altri ambiti invece non vede la<br />

radice stessa di un’illiceità: “non vede”, ciò significa che non<br />

coglie né l’evidenza né la forza degli argomenti proposti dal


TAVOLA ROTONDA 219<br />

magistero e dai teologi che lo difendono. Anzi “vedono” la forza<br />

di altri argomenti. L’esempio <strong>del</strong>la contraccezione è solo il<br />

primo che potrebbe esser fatto.<br />

Inoltre, va detto che, come mostrano le vicende <strong>del</strong>la preparazione<br />

<strong>del</strong>l’HV, alcune norme non appaiono difendibili anche a<br />

persone esperte e competenti – perché non corrispondono più<br />

alle nuove consapevolezze antropologiche –. Ai membri <strong>del</strong>la<br />

Commissione pontificia sulla regolazione <strong>del</strong>la natalità era chiaro<br />

che <strong>nella</strong> storia <strong>del</strong> magistero certe norme non erano nate per<br />

una sorta di partenogenesi dalla verità ma per la mediazione di<br />

visioni <strong>del</strong>la sessualità (<strong>del</strong> rapporto sessuale) fondate su una<br />

antropologia pre-scientifica e su un’esegesi inadeguata, e per la<br />

mediazione di un’etica pre-personalista e che non potevano essere<br />

più sostenute.<br />

A partire dall’HV il magistero ha chiesto alla <strong>teologia</strong> morale<br />

una difesa d’ufficio di certe norme, mettendola in profondo disagio.<br />

Lo sforzo fatto per sostenere la dottrina <strong>del</strong>l’HV da parte di<br />

molti teologi moralisti è stato grande e benemerito, ma bisogna<br />

dire che il carattere intrinsecamente illecito di ogni e qualsiasi tentativo<br />

di evitare attivamente il concepimento anche per giusti motivi<br />

– cioè per motivi non esplicitamente immorali- non è riuscito a<br />

diventare evidenza per le coscienze per quanto ben intenzionate.<br />

Non si può dimenticare per altro che <strong>nella</strong> logica di Paolo VI<br />

il motivo che conduce alla riaffermazione <strong>del</strong>la norma è che il<br />

magistero non può aver sbagliato 2 . Proprio questo è il vero problema:<br />

la <strong>teologia</strong> morale non potrà fare molto per superare lo<br />

iato tra norme e ethos dei fe<strong>del</strong>i se non potrà ripensare anche<br />

alcune determinate norme alla luce <strong>del</strong>le nuove consapevolezze<br />

antropologiche, come in passato ha ripensato le norme sull’usura<br />

o sulla schiavitù.<br />

Non so quello che voi pensiate ma personalmente sono stato<br />

sorpreso dal fatto che la VS (79-81) per rivendicare l’esistenza<br />

<strong>del</strong>l’intrinsecamente illecito, cioè l’esistenza di atti intrinsecamente<br />

non ordinabili al bene (o ai beni <strong>del</strong>l’uomo) richiama testi<br />

(GS 27) nei quali vengono enumerate cose che per secoli sono<br />

state non solo tollerate ma ritenute conformi all’ordine divino.<br />

2<br />

Un principio assai caro a Paolo VI: cfr. il mio Preti sposati per volontà<br />

di Dio? Saggio su una Chiesa a due polmoni, EDB, Bologna 2004, 64-65.


220 TAVOLA ROTONDA<br />

Così facendo, consapevolmente o meno, da una parte VS afferma<br />

sì l’esistenza di atti simili ma dall’altra implicitamente riconosce<br />

che anche il magistero ha avuto storicamente problemi<br />

cognitivi nel cercare di stabilirli.<br />

<strong>La</strong> <strong>teologia</strong> morale deve in altre parole recuperare la propria<br />

capacità di pensare e di ri-pensare anche le norme <strong>nella</strong> duplice<br />

e simultanea fe<strong>del</strong>tà alla crescente consapevolezza sull’uomo e<br />

alla verità sempre meglio conosciuta <strong>del</strong>la rivelazione stessa. Ciò<br />

esige da parte dei teologi morali l’osservanza <strong>del</strong>la regola base <strong>del</strong><br />

pensare teologico, cioè pensare vivendo la Chiesa e <strong>nella</strong> Chiesa;<br />

esige anche qualcosa però, ex parte (romani) magisterii, un qualcosa<br />

che indicherei così, senza aggiungere commenti: attitudine<br />

umile, sobria, disposta all’autocritica, non onnipresente ovvero<br />

capace di valorizzare il principio di sussidiarietà nei confronti di<br />

istituzioni ecclesiali di ricerca e insegnamento morale (si ricordi<br />

il magistero <strong>del</strong>le facoltà di <strong>teologia</strong> in passato).<br />

Il superamento di questo iato non è cosa da poco, come si<br />

può capire. Va tuttavia realizzato per il bene <strong>del</strong>la Chiesa e <strong>del</strong>la<br />

salvezza <strong>del</strong>l’uomo, giacché rimanendo rischia di portare allo<br />

svuotamento proprio di quel che il magistero vuole difendere, la<br />

sua autorità e credibilità; e quando il magistero perde di autorità<br />

è difficile che la perda solo nell’ambito morale.<br />

Brian Johnstone<br />

Nella <strong>teologia</strong> morale dei secoli precedenti c’era il problema<br />

<strong>del</strong>la separazione tra soggetto e oggetto. D’un lato troviamo una<br />

<strong>teologia</strong> morale che colloca la morale in determinati oggetti considerati<br />

come <strong>del</strong>le entità che precedono la coscienza <strong>del</strong> soggetto.<br />

Dall’altro vediamo una <strong>teologia</strong> morale che, pur non escludendo<br />

l’oggettivo, conferisce una certa priorità pratica alla<br />

coscienza <strong>del</strong> soggetto.<br />

Questa divisione è perdurata <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> morale cattolica<br />

fino al <strong>Concilio</strong> <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong>. Ne troviamo le prove nei documenti<br />

<strong>del</strong> <strong>Concilio</strong> e nei testi successivi, specialmente nel Catechismo<br />

<strong>del</strong>la Chiesa Cattolica. Prendiamo il testo <strong>del</strong>la Gaudium et Spes,<br />

che al n. 16, sulla dignità <strong>del</strong>la coscienza, dice: “Nell’intimo <strong>del</strong>la<br />

coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla


TAVOLA ROTONDA 221<br />

quale invece deve obbedire”.<br />

Il concetto prescelto è “la legge”. Pertanto, assistiamo ad<br />

una continuità con quel tipo di <strong>teologia</strong> morale che rende fondamentale<br />

il diritto oggettivo. Tuttavia, ci viene detto che la<br />

legge si scopre nell’intimo <strong>del</strong> soggetto morale; non si tratta dunque<br />

di un oggetto separato ed esterno. Poi, però, vediamo come<br />

non è il soggetto a creare o dare questa legge. E ancora, il legame<br />

viene preservato dal diritto morale oggettivo. “Questa voce,<br />

che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male,<br />

al momento opportuno risuona nell’intimità <strong>del</strong> cuore: fa questo,<br />

evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da<br />

Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa <strong>del</strong>l’uomo, e<br />

secondo questa egli sarà giudicato.” Il testo continua lungo la<br />

stessa linea di argomentazione.<br />

Traspare l’elemento soggettivo (nell’intimità <strong>del</strong> cuore). Il<br />

linguaggio <strong>del</strong>la legge viene sostituito con il linguaggio più personale<br />

<strong>del</strong>la “voce” e <strong>del</strong> “cuore”. <strong>La</strong> parola scelta per collegare<br />

l’elemento soggettivo con l’elemento oggettivo è “dignità”. Il soggetto<br />

è chiamato ad obbedire alla legge, ma questa obbedienza è<br />

l’espressione <strong>del</strong>la dignità personale <strong>del</strong> soggetto. Certo, rimane<br />

la questione di spiegare cosa si intenda con la parola “dignità”.<br />

Il testo continua: “<strong>La</strong> coscienza è il nucleo più segreto e il<br />

sacrario <strong>del</strong>l’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona<br />

nell’intimità.”(Di nuovo viene indicato l’intimo elemento soggettivo).<br />

“Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile<br />

quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e <strong>del</strong><br />

prossimo. Nella fe<strong>del</strong>tà alla coscienza i cristiani si uniscono agli<br />

altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità<br />

numerosi problemi morali, che sorgono tanto <strong>nella</strong> vita privata<br />

quanto in quella sociale”. (Qui si tratta <strong>del</strong>la verità oggettiva e<br />

<strong>del</strong>la dimensione sociale <strong>del</strong>la coscienza).<br />

È nel trattare l’argomento <strong>del</strong>la coscienza erronea che possiamo<br />

notare una notevole sfumatura. Il testo conciliare dice:<br />

“Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per<br />

ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua<br />

dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare<br />

la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in<br />

seguito all’abitudine <strong>del</strong> peccato”.


222 TAVOLA ROTONDA<br />

Si ammette il fatto che a volte la coscienza può sbagliare.<br />

Tuttavia, quando si tratta di ignoranza invincibile la coscienza<br />

non perde la sua dignità. Il testo sta chiaramente dando una<br />

certa priorità alla coscienza <strong>del</strong> soggetto. Anche la dignità viene<br />

collegata allo stato di coscienza <strong>del</strong> soggetto anziché alla conformità<br />

di questa alla legge oggettiva esterna.<br />

Nei testi corrispondenti <strong>del</strong> Catechismo <strong>del</strong>la Chiesa cattolica,<br />

al n. 1776 si nota un certo ritocco significativo dei testi conciliari<br />

con l’aggiunta di alcuni testi complementari. Per esempio,<br />

la frase “Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea<br />

per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la<br />

sua dignità” è stata omessa. Nel testo leggiamo invece: “<strong>La</strong><br />

dignità <strong>del</strong>la persona umana implica e esige la rettitudine <strong>del</strong>la<br />

coscienza morale”. (No. 1780). Qui la “dignità” consiste nel<br />

conformarsi <strong>del</strong>la coscienza alla legge oggettivamente morale.<br />

Viene dunque data precedenza all’elemento oggettivo sull’elemento<br />

soggettivo che nel testo conciliare godeva invece di una<br />

certa priorità.<br />

Non voglio dire che uno dei testi sia corretto mentre l’altro<br />

non lo è. Cito questi testi semplicemente per dimostrare che il<br />

problema <strong>del</strong>la relazione fra soggetto e oggetto e, più particolarmente,<br />

fra le dimensioni soggettive ed oggettive <strong>del</strong>la coscienza,<br />

persiste ancora.<br />

Identiche tensioni vanno notate in relazione ad altre tematiche.<br />

Per esempio, la nozione <strong>del</strong>l’“opzione fondamentale” appartiene<br />

chiaramente alla sotto-tradizione orientata al soggetto.<br />

Una critica a questa teoria viene da coloro che desiderano sostenere<br />

l’ordine morale oggettivo o la legge, concepita come previa<br />

ad ogni opzione da parte <strong>del</strong> soggetto. Il concetto <strong>del</strong>la “coscienza<br />

creativa” appartiene alla linea orientata-al-soggetto <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong><br />

morale; l’opposizione ad essa viene, ancora una volta, dai<br />

sostenitori <strong>del</strong>l’ordine morale oggettivo. E qui calzerebbero vari<br />

altri esempi <strong>del</strong>la linea orientata al soggetto: “autonomia,”<br />

“metodo trascendentale,” “attitudini.”<br />

D’altra parte, la linea orientata al oggetto, parla <strong>del</strong> oggetto<br />

concepito come un’ entità che esistesse separata e prima <strong>del</strong> soggetto,<br />

con la propria moralità che si impone sul soggetto: le<br />

parole sono “la legge,” “l’obbligo,” “l’ordine morale”.<br />

Se vogliamo poter suggerire una <strong>teologia</strong> morale per il ven-


TAVOLA ROTONDA 223<br />

tunesimo secolo, uno fra i problemi da risolvere è il seguente:<br />

come fare per superare la separazione fra soggetto ed oggetto e<br />

sviluppare così una teoria morale coerente quale base per la<br />

nostra <strong>teologia</strong> morale? Suggerisco che un modo per farlo sarebbe<br />

quello di prendere per fondamentale il concetto <strong>del</strong> dono. È<br />

nel dare e ricevere i doni che il soggetto e l’oggetto diventano<br />

inseparabilmente correlati.<br />

Questa nozione <strong>del</strong> dono occupa un posto significativo nei<br />

documenti <strong>del</strong> Papa Giovanni Paolo <strong>II</strong> che trattano <strong>del</strong>le questioni<br />

morali, e soprattutto in quelli che trattano <strong>del</strong>la bioetica 3 .<br />

<strong>La</strong> mia proposta per una <strong>teologia</strong> morale per il ventunesimo<br />

secolo si basa su questa nozione di “dono”. Ma prendiamo in<br />

considerazione altri possibili candidati per la posizione di<br />

“nozione fondamentale <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong> morale”: in primo luogo<br />

consideriamo la “persona”, ed in seguito i tre attributi che sono<br />

necessari alla persona: la dignità, la libertà e la responsabilità.<br />

In questo mio breve commento, non essendo possibile fornire<br />

un’analisi estesa dovrò limitarmi ad alcune brevi osservazioni.<br />

Nessuno metterà in dubbio che la nozione di “persona” sia<br />

fondamentale. Ma, qual è il contenuto di questo concetto? È<br />

questo il punto. Cosa significa “essere una persona?”. Così<br />

anche, chiunque scrive sulla <strong>teologia</strong> morale e sull’etica, soprattutto<br />

in merito alle grossolane violazioni <strong>del</strong>la dignità <strong>del</strong>la persona<br />

che avvengono <strong>nella</strong> nostra epoca, insisterà sul fatto che la<br />

dignità, e più specificatamente la dignità personale, è fondamentale.<br />

Ma, di nuovo, il problema sta nel determinare quale sia<br />

il contenuto <strong>del</strong>la parola “dignità”. Implica “degno di rispetto”,<br />

ma cosa è insito nel rispetto? Fondamentalmente, è un richiamo<br />

al rispetto per la libertà altrui. Così, ancora una volta, dobbiamo<br />

3<br />

Evanglium Vitae, n. 19. “Sì, ogni uomo è ‘guardiano di suo fratello’,<br />

perché Dio affida l’uomo all’uomo. Ed è anche in vista di tale affidamento<br />

che Dio dona a ogni uomo la libertà, che possiede un’essenziale dimensione<br />

relazionale. Essa è grande dono <strong>del</strong> Creatore, posta com’è al servizio <strong>del</strong>la<br />

persona e <strong>del</strong>la sua realizzazione mediante il dono di sé e l’accoglienza <strong>del</strong>l’altro;<br />

quando invece viene assolutizzata in chiave individualistica, la libertà<br />

è svuotata <strong>del</strong> suo contenuto originario ed è contraddetta <strong>nella</strong> sua stessa<br />

vocazione e dignità”.


224 TAVOLA ROTONDA<br />

porci la domanda: libertà per che cosa? Perfino la nozione di<br />

responsabilità diventa insufficiente, poiché di per sé non risponde<br />

alla domanda: responsabilità di che cosa? Certo, potremo<br />

dire: responsabilità <strong>del</strong>l’“altro”. E questo ci lascerà ancora alle<br />

prese con la domanda: quale forma occorre dare a questa<br />

responsabilità?<br />

<strong>La</strong> nozione “dono” invece, ha molto di più da offrire per<br />

quanto concerne il contenuto. <strong>La</strong> nostra stessa esistenza, il<br />

nostro essere, è di per sé un dono <strong>del</strong> Dio creatore. L’essere creato<br />

si contrappone al semplice non-esistere: nessun principio<br />

potrebbe essere più fondamentale. Ma il dono implica chiaramente<br />

un rapporto, un rapporto fra il ricevere ed il successivo<br />

rendere grazie. Il dono originale è <strong>del</strong> tutto gratuito, <strong>del</strong> tutto<br />

immeritato, pertanto il donare gratuitamente il dono diventa la<br />

forma ideale di qualsiasi relazione. Avendo ricevuto da Dio il<br />

dono fondamentale <strong>del</strong>l’essere, riceviamo un dono sovrabbondante<br />

che noi chiamiamo grazia, e che significa “capacità di<br />

entrare nelle relazioni donatrici di Dio. Avendo noi ricevuto,<br />

<strong>nella</strong> creazione e <strong>nella</strong> grazia, siamo altresì capaci di dare agli<br />

altri. Ogni negazione fondamentale <strong>del</strong> dono è un attacco all’essere<br />

(alla vita) altrui, è un’aggressione all’altrui vita spirituale<br />

donata attraverso il tentativo di pervertire la coscienza.<br />

Pertanto potremmo interpretare “la persona” come colui che<br />

è capace di dare e di ricevere doni, gratuitamente, con la libertà.<br />

<strong>La</strong> “dignità” indica questa realtà unica per ogni persona, di aver<br />

ricevuto un essere <strong>del</strong> tutto personale ed insostituibile nel<br />

mondo. Questa persona è capace di ricevere in modo unico, ma<br />

anche di dare in modo unico. Libertà di, significa la libertà positiva<br />

di dare doni all’altro. Libertà da, significa rimuovere ciò che<br />

può impedire questo donare, sia nell’intimo <strong>del</strong> soggetto che<br />

nelle strutture sociali. <strong>La</strong> responsabilità di, significa, a sua volta,<br />

capacità di rispondere ai doni iniziali di Dio nel partecipare al<br />

donare divino e pertanto nel dare agli altri per promuovere l’altrui<br />

capacità di diventare a sua volta un migliore ricevitore o<br />

donatore di doni. “Virtù” si riferisce a quella data capacità (teologica)<br />

di dare dei doni genuini, con l’aggiunta capacità acquisita<br />

<strong>del</strong> saper discernere ciò che non è un dono genuino, e <strong>del</strong><br />

sapere come dare quel dono. “Coscienza” significa la capacità di<br />

discernere quali doni dare e come darli. Il diritto naturale è eret-


TAVOLA ROTONDA 225<br />

to dalla ragione pratica che cerca di scoprire quali siano i veri<br />

doni per l’altro, riflettendo sulle altrui inclinazioni umane fondamentali.<br />

Vi sono alcune cose oggettive che non possono mai diventare<br />

dei doni, e esistono dei modi di agire che non diventano mai<br />

una donazione. (Dare un tozzo di pane ad un bambino affamato<br />

può essere un dono, dargli una pietra non lo sarà mai).<br />

L’atto etico ideale, come disse il filosofo Derrida, è donare<br />

gratuitamente la vita per l’altro. Ovviamente, è ciò che di meglio<br />

in assoluto ha detto e fatto Gesù stesso quando gratuitamente ha<br />

dato la sua vita per gli altri.<br />

Qualche anno fa ho scritto un articolo sull’etica <strong>del</strong>la risurrezione.<br />

Un biblista ha criticato quest’articolo dicendo che ciò<br />

che ho scritto era di prendere i testi biblici che riguarda la risurrezione<br />

è di usare questi testi per giustificare argomenti etici che<br />

avevo già accettato per altri ragioni. Credo che lui aveva ragione.<br />

Nondimeno, esiste un rapporta fra le resurrezione, e, infatti<br />

tutta la cristologia, e la <strong>teologia</strong> morale.<br />

Vorrei suggerirvi una soluzione. <strong>La</strong> resurrezione non è un<br />

atto etico, nel senso umano <strong>del</strong>la parola. Il dono di se stesso di<br />

Gesù nel giardino di Gethsemani e sulla croce, è, invece, l’atto<br />

etico umano ideale. Tutte le qualità <strong>del</strong>l’ atto etico si trovano in<br />

quest’atto di donare: la libertà piena, la gratuità, anche l’autonomia,<br />

non assoluta, ma sempre in rapporto con la volontà <strong>del</strong><br />

padre. L’atto di Gesù non è un esempio di una categoria generale<br />

“dono,” è l’atto originario. Con questo atto etico ideale, si può<br />

iniziare le riflessione <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale.<br />

Sembra che questo dono di se stesso di Gesù fosse fallito. Gli<br />

uomini non l’hanno accettato; in fatti l’hanno ucciso. Ma la forza<br />

<strong>del</strong> donare divino non era fallito; ha risuscitato Gesù dei morte,<br />

da dono definitivo divino.


226 TAVOLA ROTONDA<br />

Dennis J. Billy<br />

Ritengo che la lettera apostolica di Giovanni Paolo <strong>II</strong> sulla<br />

Chiesa all’alba <strong>del</strong> nuovo millennio, Novo millennio ineunte, sia<br />

un punto di partenza adeguato per una discussione sulla <strong>teologia</strong><br />

morale cattolica nel ventunesimo secolo. Pubblicata in occasione<br />

<strong>del</strong>la chiusura ufficiale <strong>del</strong>l’anno giubilare <strong>del</strong> 2000, questa<br />

lettera offre una visione complessiva <strong>del</strong>le sfide che la Chiesa<br />

deve affrontare in questo periodo critico <strong>del</strong>la sua esistenza.<br />

Perno di questa lettera è una sfida che il Papa sottolinea in modo<br />

particolare: “Fare <strong>del</strong>la Chiesa la casa e la scuola <strong>del</strong>la comunione:<br />

ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che<br />

inizia, se vogliamo essere fe<strong>del</strong>i al disegno di Dio e rispondere<br />

anche alle attese profonde <strong>del</strong> mondo” (n. 43). Radicata nel termine<br />

conciliare communio, un concetto teologico ricco di molte<br />

sfumature e radicato esso stesso <strong>nella</strong> nozione neotestamentaria<br />

<strong>del</strong>la koinonia, negli ultimi anni questa frase è emersa come<br />

paradigma <strong>del</strong> modo in cui la Chiesa comprende se stessa. Nella<br />

mia presentazione desidero approfondire il senso che queste<br />

parole <strong>del</strong> Papa hanno per i teologi morali cattolici. Quale rilevanza<br />

ha per loro la “spiritualità di comunione”? Cosa possono<br />

fare perché la Chiesa di domani diventi “la casa e la scuola <strong>del</strong>la<br />

comunione”?<br />

Nella sua lettera apostolica, Giovanni Paolo <strong>II</strong> insiste non<br />

soltanto sull’importanza <strong>del</strong> concetto di una “spiritualità di<br />

comunione”, ma anche sul suo significato pratico (n. 43). Mette<br />

in guardia contro un’azione prematura e poco ponderata che<br />

non sia in grado di promuovere valori cristiani autentici. <strong>La</strong><br />

“spiritualità di comunione” deve diventare il principio guida a<br />

tutti i livelli <strong>del</strong>la formazione cattolica, a casa, <strong>nella</strong> scuola, in<br />

parrocchia, nel noviziato, nel seminario, all’università. Ovunque<br />

avvenga una formazione dei cristiani, questa deve avere per<br />

principio sottostante una “spiritualità di comunione” capace di<br />

plasmare la visione <strong>del</strong> mondo e di incitare all’azione (n. 43).<br />

Un’azione che non derivi da questo spirito sottostante, da questa<br />

modalità di vita – anche se intrapresa a nome <strong>del</strong>la Chiesa e per<br />

il suo bene – non potrà essere considerata autenticamente “cattolica”.<br />

Ciò che queste considerazioni implicano per la <strong>teologia</strong><br />

morale cattolica non va sottovalutato. I teologi morali debbono


TAVOLA ROTONDA 227<br />

accertare che stiano svolgendo il loro servizio alla Chiesa in<br />

un’atmosfera che promuova i principi fondamentali <strong>del</strong>la “spiritualità<br />

di comunione”. Per riuscirci è molto importante che<br />

vedano la loro vocazione di teologi morali prima di tutto come<br />

inserita nel contesto <strong>del</strong>la comunità ecclesiale cattolica.<br />

Tuttavia, questa preoccupazione di primaria importanza non<br />

dovrà urtare contro la loro posizione di studiosi in seno alla<br />

comunità accademica, tanto meno dovrà coesistere con essa<br />

senza però approvarla. Al contrario, soltanto se ottempereranno<br />

alla loro responsabilità primaria al livello locale ed universale<br />

<strong>del</strong>la comunità di fede riusciranno ad affermare la loro identità<br />

di teologi cattolici distinguendosi così da altri studiosi <strong>del</strong>la<br />

materia. Ma cosa comporta questa responsabilità primaria?<br />

Mantenere una posizione “priva di presupposti” nei confronti<br />

<strong>del</strong>lo studio di una qualsiasi struttura di fede religiosa è<br />

cosa impossibile; la <strong>teologia</strong> cattolica non fa eccezione. I teologi<br />

morali cattolici partono dai principi dottrinali e morali <strong>del</strong>la<br />

fede cattolica posti dall’insegnamento <strong>del</strong> magistero, facendone<br />

il loro punto di partenza. Fin dall’inizio <strong>del</strong> loro impegno teologico<br />

dichiarano questi presupposti per poi affrontare problematiche<br />

e concetti che vi si riferiscono direttamente. Così facendo,<br />

di solito ne condividono molte argomentazioni circa la natura<br />

<strong>del</strong>la rivelazione, il ruolo <strong>del</strong>la ricerca teologica ed i vari livelli<br />

<strong>del</strong>l’insegnamento cattolico ufficiale. Ciò non significa che sposeranno<br />

questi insegnamenti con atteggiamento acritico o che<br />

eviteranno di sottoporli ad un rigoroso vaglio storico ed analitico.<br />

Un tale comportamento sarebbe una remissione professionale,<br />

anzi, sarebbe rendere un disservizio al magistero, ai fe<strong>del</strong>i<br />

cattolici, e a chiunque fosse interessato ad un’equilibrata valutazione<br />

accademica <strong>del</strong> pensiero morale cattolico.<br />

Nel praticare una “spiritualità di comunione”, i teologi<br />

morali cattolici debbono affermare quanto sono importanti i<br />

vari livelli <strong>del</strong>l’insegnamento magisteriale per il bene <strong>del</strong> corpo<br />

di Cristo, la Chiesa. Pertanto debbono fare <strong>del</strong> loro meglio per<br />

sondare quell’insegnamento ed esaminarlo partendo da vari<br />

punti di vista, teologici e scientifici. Per farlo bene debbono<br />

vedere non soltanto i punti di forza impliciti nell’argomentazione<br />

seguita, ma anche i possibili punti deboli. Secondo me i teologi<br />

morali cattolici debbono avvicinarsi all’insegnamento <strong>del</strong><br />

magistero con un desiderio interpretativo che, ad intervalli


228 TAVOLA ROTONDA<br />

appropriati e rilevanti, alterni conflittualmente il proprio atteggiamento<br />

fra la fiducia implicita ed il sospetto di un dubbio, esitante<br />

ma qualificante. Il primo atteggiamento permetterà loro di<br />

prestare orecchio alla verità che troveranno espressa in una<br />

determinata posizione magisteriale. Senza questa fondamentale<br />

apertura all’insegnamento <strong>del</strong>la Chiesa non sarebbero in grado<br />

di ascoltare e di capire la verità che si cela in una determinata<br />

posizione teologica. Non sarebbero neppure capaci di accogliere<br />

questa verità con l’umiltà attiva richiesta dal discepolo di<br />

Cristo. Il secondo atteggiamento, per contrasto, li aiuterà a riconoscere<br />

i vari modi in cui le posizioni magisteriali possono<br />

dimostrarsi carenti o bisognosi di miglioramenti, costringendoli<br />

ad essere estremamente onesti con se stessi e con l’insegnamento<br />

magisteriale che hanno ricevuto l’incarico, e perfino il<br />

mandato, di studiare.<br />

I migliori teologi morali cattolici saranno capaci di mantenere<br />

un totale equilibrio, una vera “via media” di fronte a quel<br />

coincidere di vedute contrapposte. Guardando all’insegnamento<br />

magisteriale con questi “occhi interpretativi” variabili, raggiungeranno<br />

un’apprezzabile profondità di prospettiva e saranno in<br />

grado di fornire alcune utili sfumature teologiche, permettendo<br />

così all’insegnamento magisteriale di maturare i propri intenti e<br />

possibilmente anche di svilupparli. A questo processo gioverebbe<br />

immensamente un’atmosfera di collaborazione pratica fra<br />

vescovi e teologi morali alimentata da una “spiritualità di comunione”.<br />

Fare <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale in uno “spirito di comunione”<br />

genuino richiede la <strong>del</strong>icata fusione fra una visione contemplativa<br />

ed una visione pratica. Il fatto che si concentrino sugli<br />

aspetti pratici <strong>del</strong>l’azione umana nel mondo non esime i teologi<br />

morali dal dover promuovere questo importante atteggiamento<br />

contemplativo <strong>nella</strong> loro vita. Ogni formula dottrinale possiede<br />

una dimensione morale, e viceversa. Allo stesso modo, l’azione<br />

stessa <strong>del</strong>la contemplazione incide sul modo in cui il teologo<br />

morale esercita la funzione <strong>del</strong>la ragione pratica, e viceversa.<br />

Visto in quest’ottica, contemplare la presenza <strong>del</strong>la Trinità nel<br />

proprio cuore non è qualcosa di sussidiario nel discorso morale<br />

cattolico, bensì è parte integrale di una continua dialettica fra<br />

queste due importanti dimensioni <strong>del</strong>l’esperienza umana. Le<br />

cosiddette guerre metodologiche che si sono avute <strong>nella</strong> <strong>teologia</strong>


TAVOLA ROTONDA 229<br />

morale cattolica durante il periodo post <strong>Vaticano</strong> <strong>II</strong> sono state<br />

causate, almeno in parte, dall’aver trascurato questa importante<br />

dialettica fra il contemplativo ed il pratico.<br />

Un’altra implicazione <strong>del</strong>le parole di Papa Giovanni Paolo <strong>II</strong><br />

per i teologi morali riguarda il rispetto che questi debbono avere<br />

per chi dissente dalle loro posizioni. Vivere una genuina “spiritualità<br />

di comunione” significa lottare per l’unità <strong>nella</strong> diversità.<br />

Nel passato la <strong>teologia</strong> morale cattolica ha tratto molti benefici<br />

dalle varie scuole di disciplina morale fiorite nel rispetto <strong>del</strong>l’ortodossia.<br />

Il magistero deve senz’altro esercitare la sua funzione<br />

di controllo dottrinale e morale, ma non vi è alcuna ragione per<br />

cui non dovrebbe esistere un sano grado di diversità per chi ha<br />

la vocazione di sviluppare una comprensione critica <strong>del</strong>l’insegnamento<br />

morale cattolico. Posti i limiti globali <strong>del</strong>l’ortodossia,<br />

ai teologi morali deve essere concesso un certo margine nel<br />

modo di assimilare, analizzare e perfino presentare le dichiarazioni<br />

ufficiali <strong>del</strong> magistero. Un tale sano scambio di opinioni<br />

può giovare molto all’andamento <strong>del</strong>la chiesa in tanti ambiti <strong>del</strong><br />

discorso morale cattolico. D’ogni modo, una genuina “spiritualità<br />

di comunione” non lascia alcuno spazio agli aspri antagonismi<br />

personali che ogni tanto si sono avuti fra i teologi morali a<br />

causa di determinate diversità di metodologia che li hanno portati<br />

ad assumere posizioni divergenti su argomenti morali concreti<br />

nell’applicazione di sani principi cattolici. <strong>La</strong> stessa cosa<br />

può dirsi sull’argomento, per quanto concerne il rapporto fra<br />

teologi e vescovi. In un ambiente spirituale e teologico governato<br />

da un’autentica “spiritualità di comunione” non rimane spazio<br />

per profondi antagonismi personali o istituzionali.<br />

Un’altra implicazione che le parole <strong>del</strong> Papa hanno per i teologi<br />

morali è l’accento posto sul carattere relazionale <strong>del</strong>l’esistenza<br />

cristiana. Ogni dimensione <strong>del</strong>la “spiritualità di comunione”<br />

che il Papa sviluppa sottolinea la necessità che sia basata<br />

su relazioni autentiche basate sull’amore. Queste relazioni<br />

hanno le loro radici nel mistero <strong>del</strong>la Trinità stessa, una realtà<br />

che i mezzi umani non riescono a misurare. I teologi morali cattolici<br />

debbono avere a cuore questa qualità relazionale <strong>del</strong>l’esistenza<br />

umana durante le loro ricerche, e questo non soltanto<br />

quando trattasi <strong>del</strong> discorso morale cattolico all’interno <strong>del</strong>la<br />

Chiesa, ma anche <strong>nella</strong> loro partecipazione ecumenica e nelle<br />

discussioni interreligiose. Tuttavia dovranno sempre tenere a


230 TAVOLA ROTONDA<br />

mente che il linguaggio teologico presenta <strong>del</strong>le limitazioni<br />

intrinseche e che qualsiasi tipo di analisi scientifica critica <strong>del</strong><br />

mistero <strong>del</strong>l’amore umano implica comunque un certo rischio.<br />

Per studiare questo fenomeno potranno attingere alla scienza<br />

<strong>del</strong>la psicologia e alle scienze sociali, ma stando attenti a non<br />

permettere che queste discipline privino il loro discorso di altre<br />

valide fonti <strong>del</strong>l’intelletto umano. Anche le conoscenze ottenute<br />

attraverso le scienze classiche e le belle arti possono essere di<br />

valido aiuto <strong>nella</strong> loro ricerca per una comprensione globale e<br />

vitale <strong>del</strong> mistero <strong>del</strong>l’amore umano. Tuttavia, anche con queste<br />

fonti permangono i limiti di quanto l’immaginazione umana è in<br />

grado di rivelare. Perciò, i teologi morali dovranno tenere presente<br />

che la <strong>teologia</strong> apofatica (o “negativa”) può utilmente complementare<br />

le percezioni ottenute dall’approccio catafatico (o<br />

“positivo”) al sapere teologico. Anche se questi due modi di fare<br />

<strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> vengono normalmente riservati a sondare i misteri<br />

<strong>del</strong>la Divinità, possono (e debbono) essere adattati in modo<br />

appropriato per intendere i misteri <strong>del</strong>la creazione voluta da<br />

Dio. Poiché gli esseri umani sono creati ad immagine e somiglianza<br />

di Dio, ne consegue che si potrà attingere ad un’uso analogo<br />

di questi approcci per sondare alcuni aspetti <strong>del</strong> mistero<br />

<strong>del</strong>le relazioni autentiche nell’amore.<br />

L’ accento energico che Giovanni Paolo <strong>II</strong> pone sulla “spiritualità<br />

di comunione” è un altro modo per parlare <strong>del</strong>lo stretto<br />

rapporto fra la spiritualità cristiana e la morale. I teologi morali<br />

hanno appena incominciato a riscoprire la connessione intrinseca<br />

fra bontà e santità <strong>nella</strong> tradizione cristiana. È il Papa stesso<br />

a riconoscere che i fe<strong>del</strong>i non debbono “…accontentarsi di<br />

una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e<br />

di una religiosità superficiale” (n. 31). Al contrario, debbono<br />

essere introdotti ai modi per vivere la loro relazione vitale con<br />

Cristo, resa possibile dal loro battesimo e sostenuta dai sacramenti<br />

e da una vita di preghiera. Nei tempi passati, a volte i teologi<br />

morali hanno fatto l’errore di pensare che la morale fosse<br />

qualcosa che poteva essere imposta dall’alto senza rivolgersi ai<br />

profondi aneliti spirituali <strong>del</strong> cuore umano. Se invece sottolineeranno<br />

l’importanza <strong>del</strong>l’integrazione di queste dimensioni<br />

spirituali e morali <strong>nella</strong> vita <strong>del</strong> cristiano, i teologi morali avranno<br />

aiutato i fe<strong>del</strong>i ad approfondire la propria relazione con<br />

Cristo e a giungere così ad una migliore valutazione <strong>del</strong>le loro


TAVOLA ROTONDA 231<br />

responsabilità inerenti al fatto che sono discepoli di Cristo. In<br />

altre parole, bontà e santità vanno insieme. <strong>La</strong> vita morale dei<br />

fe<strong>del</strong>i cristiani deriva dal loro rapporto con Cristo e, in ultima<br />

istanza, a questo rapporto fa ritorno.<br />

Qual è il futuro <strong>del</strong>la <strong>teologia</strong> morale cattolica? Uno dei<br />

“segni dei tempi” nel mondo contemporaneo è che “si registri<br />

oggi, nel mondo, nonostante gli ampi processi di secolarizzazione,<br />

una diffusa esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime<br />

proprio in un rinnovato bisogno di preghiera” (n. 33). Per<br />

Giovanni Paolo <strong>II</strong>, insegnare “l’arte <strong>del</strong>la preghiera” significa<br />

aiutare gli altri a vedere che tutti siamo chiamati a promuovere<br />

un atteggiamento contemplativo rivolto alla vita che un giorno<br />

sfocerà in un incontro a faccia a faccia con il divino, al quale i<br />

teologi sono soliti riferirsi come alla “visione beata”. Se a quest’esigenza<br />

non verrà prestata un’attenzione adeguata, i fe<strong>del</strong>i la<br />

cercheranno altrove e potrebbero tramutarsi in “cristiani a<br />

rischio” (n. 34). Oggi più che mai la comunità cristiana deve<br />

essere presentata come il luogo in cui “…l’incontro con Cristo<br />

non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in<br />

rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto,<br />

ardore di affetti, fino ad un vero ‘invaghimento’ <strong>del</strong> cuore” (n.<br />

33). Perché questo accada, per qualsiasi discorso teologico cattolico,<br />

soprattutto laddove assume aspetti che si concentrano<br />

più specificatamente sulla natura e lo scopo <strong>del</strong>l’autentico agire<br />

umano, è sommamente importante, in via <strong>del</strong> tutto prioritaria,<br />

stabilire una genuina “spiritualità di comunione” con tutti i suoi<br />

annessi e connessi.

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