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DORNBRACHT the SPIRITof WATER Nude Look<br />

DORNBRACHT the SPIRITof WATER Nude Look<br />

tones<br />

E-R-S Energetic Recovery System<br />

Mike Meiré<br />

Tenore analogo avrebbe anche una delle ultime ipotesi sul fatto che il pelo<br />

folto dell’uomo è degenerato in quella peluria sgradevole che abbiamo oggi.<br />

Essa afferma che noi uomini abbiamo iniziato a mostrare la cute molto prima<br />

di un milione di anni fa. Pulci, zecche e pidocchi avevano messo a dura prova<br />

la nostra specie, tanto che cominciò a togliersi la pelliccia in un certo senso<br />

per motivi igienici. Da allora in poi, come sostiene un team di scienziati britannici,<br />

mostrare la pelle nuda divenne chic e affascinante. Infatti la “scimmia<br />

nuda” veniva palesemente preferita nella scelta del partner, cosa che potrebbe<br />

averla aiutata nella sua marcia trionfale nel mondo.<br />

Da allora sono passate molte cose. Per proteggere le parti del corpo divenute<br />

ora sensibili al caldo e al freddo, gli indumenti sono stati studiati comprensivi<br />

di un sistema sofisticato di mode e mascherate che muta e si rinnova costantemente.<br />

I razzisti sfruttano le diversità palesi nel colore della pelle come<br />

strumento di discriminazione. Al tempo stesso la pelle nuda è diventata una<br />

sorta di supersegnale di attrattivà. Non importa se ragioniere o top model: chi<br />

aspira a un riconoscimento sociale necessita oltre che di un corpo slanciato e<br />

allenato anche di una pelle perfetta. A questo punto nasce sempre un’enorme<br />

contraddizione tra l’aspetto “naturale”, cui si aspira, e il manufatto ben proporzionato,<br />

in cui abbiamo trasformato il nostro corpo.<br />

In effetti era solo una questione di tempo per arrivare a potersi mostrare nudi<br />

sulla pubblica via con il proprio corpo lussuoso scolpito da se stessi. Ma<br />

adesso ci siamo. Chi non sa cosa deve indossare, esce nudo. Nude Look è lo<br />

slogan della moda per il 2010. La famosa richiesta di efficienza della struttura<br />

moderna, il “poco è troppo”, non era mai stata presa più sul serio di questo<br />

“stile di moda nudo”. Se in architettura gli edifici moderni vengono sfogliati<br />

fino allo scheletro, analogamente adesso accade anche nella moda e una cosa<br />

è certa: “Sotto i vestiti siamo tutti nudi”. Come leggere stoffe di chiffon in<br />

calde tonalità impalpabili che passano dal delicato rosé della Tea Rose inglese,<br />

alle nuance color champagne fino agli autentici “color carne”, velano e svelano<br />

il corpo e cangiano da capi di abbigliamento a “nudismo” vissuto apertamente.<br />

Il nuovo minimalismo si riempie di vita in particolare nello show<br />

business. La giovane star Scarlett Johansson accentua con il nude look le sue<br />

forme femminili e il suo lindo sex-appeal di candida innocente, proprio come<br />

Angelina Jolie, attrice non meno attraente, che al festival del cinema di Cannes<br />

si è presentata nei nuovi colori di moda. L’abito di Versace in rosa tenue,<br />

che ricordava il delicato rossore delle guance, avvolgeva il corpo della famosa<br />

bomba sexy e al tempo stesso uno spacco molto profondo metteva a nudo<br />

le gambe benfatte. Oltre a ciò, un rosso chiassoso accentuava il broncio e<br />

costituiva un voluto contrappunto per l’entrata in scena altrimenti abilmente<br />

incolore.<br />

Non stupisce che Jolie, notoriamente amante del nero, punti sulle nuove tonalità.<br />

Infatti proprio come il nero, il bianco o il grigio, queste nuance di beige<br />

impalpabile non sono colori nel vero senso del termine, almeno non lo sono,<br />

se indossati da un’americana di pelle chiara. Rappresentano piuttosto l’assenza<br />

di colore, perché abito e corpo si fondono tra loro dal punto di vista cromatico.<br />

Ne scaturisce un’abile alternanza di denudamento e velatura, corporeità<br />

e smaterializzazione del corpo. Un gioco che conosce benissimo l’attrice di<br />

mimo inglese, Tilda Swinton. L’artista, che si presenta spesso con un look<br />

androgino anche grazie al suo taglio di capelli maschile, mette in scena volutamente<br />

il disfacimento delle proprie forme in un drappeggio di stoffe fluenti<br />

color pelle. Si stilizza a icona della moda, parendo rappresentare al tempo<br />

stesso sia il corpo che l’abito. Con questa entrata in scena inusuale, la diva si<br />

presenta come la creatura artistica inavvicinabile – come la figura fiabesca<br />

leggendaria che conosciamo anche dai suoi film.<br />

Ma a dispetto di ogni minimalismo moderno, anche nella storia si possono<br />

trovare esempi di analoga audacia riferita alla moda. Innanzitutto i camicioni<br />

comparsi intorno al 1800, anch’essi definiti “moda del nudo”. Le donne alla<br />

moda all’epoca di Napoleone indossavano finissimi indumenti in cotone,<br />

drappeggiati sotto il seno, sopra a biancheria color pelle. A quei tempi la nudità<br />

simulata provocò naturalmente non solo stupore, ma anche sdegno e aperto<br />

rifiuto. Ma le osservazioni invidiose impressionarono poco le donne alla<br />

moda come la consorte di Napoleone, Joséphine, e la famosa dama di compagnia<br />

Juliette Recamier. Anche con temperature fredde indossavano abiti ariosi,<br />

solitamente realizzati in mussola o batista di cotone finissima, e talvolta,<br />

oltre a semplici raffreddori, si buscavano anche pericolose polmoniti, malattie<br />

che presto vennero identificate con l’eloquente definizione di “malattia della<br />

mussolina”. Né la malattia, né gli scandali distolsero le donne, per lo più<br />

molto giovani, dalla nuova moda. Evidentemente per loro era molto importante<br />

questa forma moderna di liberazione.<br />

È naturale che il sociologo americano Richard Sennett, divenuto famoso per<br />

le sue asserzioni pessimistiche sulla modernità, veda ciò in modo critico. Nella<br />

sua teoria sulla tirannia dell’intimità arriva a concepire che prima del 1750<br />

il pubblico assomigliasse a un palcoscenico, su cui ognuno era disposto a<br />

mascherarsi conformemente al proprio stato e al proprio rango. Secondo Richard<br />

Sennett, le persone di quel tempo interpretavano personaggi, quali signori<br />

e servitori, ed erano sempre consapevoli di questa messa in scena. Ma<br />

poi il gioco è diventato serietà. I segni decorativi e le mascherate sono diventati<br />

uniformi e quindi fruibili senza limiti. Oggi tutti sfruttano questa riserva<br />

di segni per la messa in scena personalizzata che è stata studiata e interpretata<br />

diligentemente dal proprio ambiente. Ogni tatuaggio e ogni accessorio ha<br />

un valore non solo come segno, ma come espressione “verace” del singolo<br />

individuo. “Quanto più le rappresentazioni del corpo sono uniformi, tanto più<br />

sono prese sul serio dall’uomo come indicazione della personalità”, sostiene<br />

Sennett.<br />

Quanto sul serio, lo sa in particolare l’artista di performance Vanessa Beecroft,<br />

nata in Italia. Partendo dai propri disturbi alimentari, dedica le sue performance<br />

alle immagini correnti del corpo. Le sue messe in scena con donne<br />

completamente nude ricordano solo al primo sguardo lo shooting mode o le<br />

presentazioni in passerella. Con i suoi quadri viventi di donne nude, vestite<br />

solo di collant trasparenti o di stivali alti, tematizza invece l’autodistruzione,<br />

l’erotismo, la follia della moda e il desiderio sconfinato di avere conferme e<br />

di stupire. “Sculture minimaliste” è la definizione con cui descrive i suoi allestimenti,<br />

nei quali si denudano non solo le interpreti, ma anche gli spettatori.<br />

Non perché devono spogliarsi, ma perché diventano sempre parte del pezzo<br />

rappresentato e devono sentirsi inevitabilmente voyeur.<br />

E questo è il dilemma rispetto alla nudità in pubblico. Nonostante le si osservi<br />

in modo interessato in segreto, ci si sente però estremamente a disagio in<br />

presenza di tutte quelle persone nude. Visto però che anche il Nude Look rimarrà<br />

solo una moda passeggera, non lasciamoci rovinare il divertimento.<br />

Infatti è solo un’interpretazione del racconto “I vestiti nuovi dell’imperatore”.<br />

E una cosa la sapeva già Immanuel Kant: “Comunque è sempre meglio essere<br />

un buffone alla moda che un buffone fuori moda.”<br />

Algunas cosas no se pueden explicar bien cuando ya han pasado. Sobre<br />

todo cuando se trata de la vieja pregunta de por qué el ser humano dejó de<br />

tener la piel cubierta de pelo. Con el eslogan irónico “Prefiero estar desnuda<br />

que usar pieles”, hace un par de años la organización protectora de<br />

animales Peta hizo una campaña publicitaria contra el uso de prendas de<br />

vestir de piel, con ayuda de modelos desnudas.<br />

Algo similar sucede con una de las hipótesis más recientes para explicar<br />

el hecho de que el magnífico pelaje del ser humano haya degenerado en<br />

la vellosidad desagradable con la que nos tenemos que ver hoy en día.<br />

Según esta teoría, hace mucho más de un millón de años que las personas<br />

empezamos a mostrar la piel. Las pulgas, las garrapatas y los piojos acosaban<br />

a nuestra especie hasta tal punto que, en cierto sentido por razones<br />

higiénicas, el ser humano se quitó el pelaje. Desde entonces, según un<br />

equipo de científicos británicos, se consideró elegante y atractivo mostrar<br />

la piel desnuda. Porque el “mono desnudo” era preferido claramente a la<br />

hora de buscar pareja, lo que le podría haber ayudado a imponerse en el<br />

mundo.<br />

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