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Un percorso montano forinese e le sue storie di vita

Diario della riscoperta di un sentiero di montagna e della vita che gli scorreva intorno

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Ehi!<br />

Voi tre!<br />

Si, <strong>di</strong>co a voi...<br />

lo sapete bene...<br />

1


<strong>Un</strong> <strong>percorso</strong> <strong>montano</strong><br />

<strong>forinese</strong><br />

e <strong>le</strong> <strong>sue</strong> <strong>storie</strong> <strong>di</strong> <strong>vita</strong><br />

Diario della riscoperta<br />

<strong>di</strong> un sentiero <strong>di</strong> montagna<br />

e della <strong>vita</strong> che gli scorreva intorno<br />

a cura <strong>di</strong> Paolo D’Amato (2007)<br />

3


PREFAZIONE<br />

Leggendo questa pubblicazione sono rimasto personalmente e particolarmente<br />

avvinto e mi son visto come d’incanto trasportato in uno<br />

spaccato <strong>di</strong> storia ricco <strong>di</strong> avvenimenti, <strong>di</strong> vecchi ricor<strong>di</strong> e <strong>di</strong> un periodo<br />

della mia <strong>vita</strong>, che ora con dovizia <strong>di</strong> particolari, con testimonianze<br />

fotografiche, con certosina ricerca <strong>di</strong> documenti, mappe ed<br />

altro, l’autore mi fa rivivere, rinverdendo memorie ed emozioni. Per<br />

quelli che non hanno conosciuto quel tempo, questo meritorio lavoro<br />

<strong>di</strong> Paolo D’Amato è una testimonianza che fa ripercorrere momenti<br />

del passato con i suoi contenuti semplici e comp<strong>le</strong>ssi, <strong>di</strong>fficili e<br />

determinati, che <strong>di</strong> sicuro potranno suscitare interessi atti a paragonare<br />

e raffrontare il passato col presente, e perchè no, a trovare trasmissione<br />

e recupero <strong>di</strong> valori <strong>di</strong> cui la Società <strong>di</strong> oggi ha ancora<br />

bisogno, quali: la saggezza del<strong>le</strong> famiglie conta<strong>di</strong>ne, la forza e la determinazione<br />

nell’affrontare <strong>le</strong> <strong>di</strong>fficoltà della <strong>vita</strong>, <strong>le</strong> abnegazioni e i<br />

sacrifici per la sopravvivenza, il rispetto del<strong>le</strong> rego<strong>le</strong> e dei valori morali,<br />

il senso civico e la solidarietà umana. Questo tuffo nel passato mi<br />

ha portato a ripercorrere l’itinerario <strong>di</strong> Biagio (ispiratore del lavoro),<br />

che a quanto si evince dalla sua descrizione e dal suo racconto, sarebbe<br />

un mio coetaneo. La scorciatoia della Laura da lui descritta, da me<br />

e da tanti altri <strong>di</strong> Forino veniva frequentemente percorsa ed era, quin<strong>di</strong>,<br />

molto praticata. Chi si doveva recare a Napoli, se non aveva la<br />

possibilità <strong>di</strong> farsi accompagnare dalla carrozza <strong>di</strong> Tanuccio ‘e pupaine,<br />

doveva portarsi a pie<strong>di</strong> alla stazione ferroviaria <strong>di</strong> Montoro-Forino<br />

per prendere il treno, che partiva al<strong>le</strong> cinque del mattino e che impiegava<br />

tre ore <strong>di</strong> viaggio per giungere a destinazione. La stessa cosa<br />

doveva farsi per il ritorno. Ancora, tanti forinesi, percorrendo a pie<strong>di</strong><br />

5


questa strada, si recavano al sabato al mercato <strong>di</strong> Sanseverino Rota.<br />

Diverse volte con la fisarmonica in spalla ho <strong>percorso</strong> insieme ad<br />

amici questa strada per portarci il martedì in Albis alla festa dell’Incoronata,<br />

proprio nel<strong>le</strong> vicinanze <strong>di</strong> Aterrana, il paese <strong>di</strong> Biagio, dove<br />

veniva fatta la bene<strong>di</strong>zione dei cavalli, muli ed asini. Dopo la messa si<br />

ballava, si cantava e si consumavano <strong>le</strong> colazioni al sacco nel<strong>le</strong> campagne<br />

a<strong>di</strong>acenti alla chiesa, unitamente ad altri gruppi provenienti dai<br />

paesi vicini, dall’agro nocerino e dal serinese. La scorciatoia veniva<br />

chiamata mulattiera e c’era una ragione precisa: oggi lo sviluppo dei<br />

mezzi <strong>di</strong> trasporto ha fatto ra<strong>di</strong>calmente mo<strong>di</strong>ficare tutto. Allora, come<br />

vien ben descritto dall’autore, si usavano principalmente i traìni che<br />

purtroppo, giunti ai pie<strong>di</strong> della Laura, trovavano <strong>di</strong>fficoltà per superare<br />

la lunga ed aspra salita, per cui nacque il mestiere del mulattiere,<br />

che con i suoi valanzini si faceva trovare all’inizio della salita, posto<br />

chiamato appuntatora. I valanzini erano i muli che attaccati al<strong>le</strong> stanghe<br />

dei traini, rendevano l’asperità della salita della Laura meno gravosa al<br />

cavallo fino alla sommità; dopo il mulo o i muli, a seconda dell’entità<br />

del carico, ritornavano <strong>di</strong> nuovo per la mulattiera all’appuntatora in<br />

attesa <strong>di</strong> nuovi servizi. Il trainiere continuava il viaggio e in genere<br />

sostava a Celzi in una del<strong>le</strong> due taverne, quella <strong>di</strong> Savino o <strong>di</strong> Panariello<br />

per continuare il viaggio il giorno dopo per i paesi dell’Alta Irpinia e<br />

fermarsi <strong>di</strong> nuovo al ritorno nel<strong>le</strong> suddette taverne con un carico<br />

<strong>di</strong>verso. Nel mese <strong>di</strong> settebre Panariello e Savino erano al massimo del<strong>le</strong><br />

loro attività. Avevano, come si suol <strong>di</strong>re, il pienone, a causa della<br />

Juta a Montevergine. Carrozze, birroccini, sciaraballi, traìni addobbati a<br />

modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ligenze si fermavano per far riposare i cavalli e i passeggeri,<br />

si rifocillavano gustando manicaretti particolari il cui antico sapore<br />

sarebbe opportuno recuperare e portare sul<strong>le</strong> nostre tavo<strong>le</strong>, invece <strong>di</strong><br />

6


itenerli volgari e superati. Recuperare almeno questo, visto che la<br />

furia del terremoto del 1980 danneggiò <strong>le</strong> due taverne che furono<br />

abbattute e non più ricostruite. A tal proposito sono solida<strong>le</strong> con<br />

l’autore nel <strong>di</strong>sapprovare la carente volontà, da parte <strong>di</strong> chi poteva e<br />

doveva, del recupero storico ambienta<strong>le</strong> e struttura<strong>le</strong> <strong>di</strong> tante realtà,<br />

che oggi potevano essere vanto e testimonianza della cultura e del<strong>le</strong><br />

opere appartenute al<strong>le</strong> passate comunità dei nostri avi.<br />

Speriamo che questo <strong>percorso</strong> rivisitato con tanta cura e so<strong>le</strong>rzia per<br />

noi da Paolo, possa far nascere negli amministratori l’idea <strong>di</strong> poter<br />

recuperare e salvare il salvabi<strong>le</strong>, in modo che il bagaglio del patrimonio<br />

storico, cultura<strong>le</strong>, ambienta<strong>le</strong>, paesaggistico, recuperato e aggiunto<br />

a quello esistente renderà possibi<strong>le</strong> la creazione <strong>di</strong> un itinerario turistico<br />

da sottoporre all’Ente del Turismo, dal qua<strong>le</strong> troverebbero e trarrebbero<br />

gran<strong>di</strong> benefici tutti i paesi interessati.<br />

Grazie Paolo per l’uti<strong>le</strong> lavoro che hai svolto, per la fascinosa panoramica<br />

dei luoghi descritti e per gli interessi che hai suscitato con la<br />

encomiabi<strong>le</strong> e riuscita ricerca del<strong>le</strong> ra<strong>di</strong>ci del passato del nostro territorio.<br />

Celzi <strong>di</strong> Forino, ottobre 2007<br />

Vincenzo Finelli<br />

7


INTRODUZIONE<br />

I monti che circondano Forino ci narrano <strong>di</strong> tante <strong>le</strong>ggende e <strong>di</strong> altrettante<br />

<strong>storie</strong>. Le <strong>le</strong>ggende necessitano <strong>di</strong> molta fantasia per crear<strong>le</strong><br />

e raccontar<strong>le</strong>, e in qualche caso celano, tra la loro poesia, alcune verità.<br />

Le <strong>storie</strong>, invece, ci vengono a raccontare <strong>le</strong> gesta degli uomini.<br />

Non necessariamente devono essere <strong>storie</strong> che narrano <strong>di</strong> eroi e <strong>di</strong><br />

sfide vinte o perse, possono essere anche <strong>storie</strong> semplici, <strong>di</strong> vite vissute<br />

in modo norma<strong>le</strong>. Storie <strong>le</strong>gate alla natura, alla terra. Storie, che<br />

<strong>le</strong>tte tra <strong>le</strong> righe, presentano contenuti pari al<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende. Quel<strong>le</strong> che<br />

an<strong>di</strong>amo a conoscere sono <strong>storie</strong> del passato, <strong>storie</strong> <strong>di</strong> lavoro e sofferenza,<br />

sono tante picco<strong>le</strong> <strong>storie</strong> che ruotano intorno ad un sentiero<br />

<strong>montano</strong>. Intorno ad esso si sono vissute <strong>storie</strong> semplici: quel<strong>le</strong> <strong>di</strong><br />

carrettieri, questuanti, viandanti, lavoratori <strong>di</strong> varia specie. E anche <strong>di</strong><br />

qualche malfattore, come <strong>di</strong>menticarsene. Ma perché narrare <strong>di</strong> queste<br />

<strong>storie</strong> nella storia? Per curiosità. La curiosità nata dalla narrazione<br />

del<strong>le</strong> suggestioni suggeritemi dal<strong>le</strong> poche cose raccontatemi da Biagio.<br />

<strong>Un</strong>a persona con una grande esperienza <strong>di</strong> <strong>vita</strong> che vive in Australia,<br />

e che ora, dopo una <strong>vita</strong> votata al lavoro, si sta godendo meritatamente<br />

la sua numerosa <strong>di</strong>scendenza. <strong>Un</strong> giorno <strong>di</strong> febbraio del 2004, tra i<br />

messaggi in arrivo sulla posta e<strong>le</strong>ttronica del sito internet che curo,<br />

http://www.salutidaforino.it/, trovai questa e-mail:<br />

“Saluti da Sidney, Australia.<br />

Ciao, ho visitato il vostro sito e vi <strong>di</strong>co grazie. Grazie perché a Forino c’è<br />

una parte della mia <strong>vita</strong> e voglio chiedervi un favore, se potete aiutarmi. Io<br />

feci il carbonaio con mio padre tra <strong>le</strong> vostre montagne subito dopo la guerra,<br />

negli anni ’40. Ora vi spiego: allora do<strong>di</strong>cenne venivo a pie<strong>di</strong> da Aterrana<br />

9


<strong>di</strong> Montoro Superiore. Da Preturo <strong>di</strong> Montoro Inferiore c’era una scorciatoia<br />

che mi portava allo scarico Parise. Di là per lo scarico Lanzetta,<br />

arrivavo prima alla piana del<strong>le</strong> nevaie e poi al bosco della piana <strong>di</strong> Forino.<br />

Là facevamo i carboni e andavo a prendere l’acqua alla fine della strada<br />

dove si va a Quin<strong>di</strong>ci. Se è possibi<strong>le</strong> vorrei avere una mappa <strong>di</strong> quella zona<br />

da Preturo <strong>di</strong> Montoro fino alla sorgente per spiegare ai miei figli quanto<br />

era dura la <strong>vita</strong> a quei tempi. Io sono in Australia da quarantacinque<br />

anni e vene sarei molto grato. Vi voglio raccontare un’altra cosa: una<br />

mattina, al<strong>le</strong> prime luci dell’alba, mentre dormivamo abbiamo sentito un<br />

gran rumore <strong>di</strong> passi. Ci siamo buttati fuori ma i carabinieri già erano<br />

Biagio e i suoi nipotini<br />

10


davanti al pagliaio. Erano della tenenza <strong>di</strong> Avellino, con altri poliziotti e<br />

anche l’esercito. Parlarono con mio padre <strong>di</strong>cendo che là c’erano tre ban<strong>di</strong>ti<br />

che cercavano. Il giorno prima io avevo accompagnato un uomo alla sorgente,<br />

forse era uno <strong>di</strong> quelli, ma per me era una bravissima persona. Grazie<br />

infinite. Ciao, Biagio Abignano”.<br />

Prontamente risposi, accontentando <strong>le</strong> <strong>sue</strong> richieste, a questa gentilissima<br />

persona. A mia volta gli chiesi <strong>di</strong> raccontarmi qualcosa riguardo<br />

al <strong>percorso</strong> quoti<strong>di</strong>ano che compiva, dove venivano preparate <strong>le</strong><br />

carbonaie, e se <strong>le</strong> neviere, in quei tempi, erano ancora utilizzate. La<br />

risposta fu pressoché imme<strong>di</strong>ata:<br />

“Ciao Paolo, e grazie <strong>di</strong> cuore. Mi hai commosso per tutte <strong>le</strong> foto che mi<br />

hai mandato e per la cartina che mi hai <strong>di</strong>segnato. I miei figli hanno potuto<br />

vedere i luoghi <strong>di</strong> quando ero carbonaio. A quanto posso ricordare, <strong>le</strong><br />

neviere erano ancora in uso. Le carbonaie, invece, venivano preparate suppergiù<br />

a qualche chilometro dalla strada Forino-Bracigliano, verso la sorgente.<br />

Perché <strong>le</strong> pertiche venivano trascinate vicino la carrozzabi<strong>le</strong> <strong>di</strong> Quin<strong>di</strong>ci<br />

e là venivano stroncate secondo il loro uso che era tronchetti per <strong>le</strong> toghe,<br />

pali per <strong>le</strong> viti, pericini per <strong>le</strong> sporte, spatrel<strong>le</strong> e lo scarto per i carboni.<br />

Ancora grazie, Biagio.”.<br />

Queste preziose informazioni sono state lo spunto per riscoprire un<br />

itinerario che, come si può intuire dal racconto <strong>di</strong> Biagio, in passato<br />

era largamente utilizzato. In un tempo in cui lo spostarsi da un luogo<br />

all’altro il più del<strong>le</strong> volte era reso <strong>di</strong>sagevo<strong>le</strong> dall’assenza <strong>di</strong> mezzi, a<br />

motore o a traino anima<strong>le</strong>. Di certo non ci si poteva permettere il<br />

lusso <strong>di</strong> perdere tempo nell’aggirare i monti per giungere alla propria<br />

11


meta. E da qui l’uso del<strong>le</strong> mulattiere, strade <strong>di</strong> montagna che si potevano<br />

percorrere generalmente a pie<strong>di</strong> o in groppa a qualche somaro, per<br />

poter abbreviare i tempi <strong>di</strong> percorrenza e trasportare con relativa fatica<br />

e maggiore velocità <strong>le</strong> merci o i prodotti della natura. Cercherò <strong>di</strong><br />

raccontarvi come questo <strong>percorso</strong> si presenta oggi, nel XXI secolo.<br />

Questo sarà possibi<strong>le</strong> tramite l’ausilio <strong>di</strong> un’ampia documentazione fotografica<br />

realizzata dal sottoscritto nel corso degli anni, e tramite alcuni<br />

documenti (ancora foto, ma anche mappe) d’epoca, in modo da ricostruire<br />

la storia del<strong>le</strong> cose semplici ma suggestive che vengono evocate<br />

dal percorrere questo itinerario <strong>di</strong>menticato dalla frenesia del progresso.<br />

Sono stati compilati, a modo <strong>di</strong> schede, dei profili dei lavori<br />

che si svolgevano lungo questo <strong>percorso</strong>. Sono stati riportati pensieri<br />

e note <strong>di</strong> alcuni va<strong>le</strong>nti stu<strong>di</strong>osi, per meglio comprendere alcuni aspetti<br />

che non sarebbe stato agevo<strong>le</strong> spiegare. E’ stato fatto un lavoro <strong>di</strong><br />

biblioteca e d’archivio, per poter essere maggiormente precisi nell’esporre<br />

i fatti. Tanto lavoro, è vero. Ma, essendo comunque frutto <strong>di</strong><br />

una passione e del tempo libero, un lavoro logorante <strong>di</strong> certo non è<br />

stato. Ripongo una speranza in questo lavoro, che contribuisca a far<br />

capire a tutti noi forinesi quali siano state <strong>le</strong> nostre origini, quanto<br />

abbiano annaspato nella loro <strong>vita</strong> i nostri avi, nella ricerca <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />

esistenzia<strong>le</strong> decorosa. Per<strong>di</strong>amo sempre <strong>di</strong> vista da dove veniamo,<br />

e non possiamo sapere con certezza dove siamo <strong>di</strong>retti. Si, il<br />

futuro è nostro, e dei nostri figli. Ma gli insegnamenti <strong>di</strong> <strong>vita</strong> del passato<br />

ci siano guida, e ci forniscano maggior saggezza e prudenza nel<br />

ponderare <strong>le</strong> nostre scelte che verranno.<br />

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CAPITOLO I<br />

L’inizio <strong>di</strong> un nuovo giorno...<br />

Quando il suono dell’Ave Maria, all’alba, annunciava l’inizio del mese<br />

Mariano, la primavera sbocciava nel suo sp<strong>le</strong>ndore. Era il periodo in<br />

cui la <strong>vita</strong> <strong>di</strong>ventava tutto un fervore <strong>di</strong> lavori nei campi e intorno al<strong>le</strong><br />

bestie. Il giorno iniziava. Iniziava in modo semplice, fresco, come la<br />

rugiada che il so<strong>le</strong>, non appena si affacciava sul crina<strong>le</strong> dei monti,<br />

iridava per qualche momento. Si usciva dal chiuso del<strong>le</strong> rustiche case,<br />

si sbucava dai vicoli, stretti e tortuosi. Di fronte si <strong>di</strong>panava il profilo,<br />

noto a memoria, dei monti, come un’incisione <strong>di</strong> mano sapiente sulla<br />

lastra luminosa del cielo. Al <strong>di</strong> sotto un velo grigio plumbeo andava<br />

via via stemperandosi <strong>di</strong> rosa prima <strong>di</strong> lasciare emergere il verde dei<br />

boschi e i dorsi dei colli che s’illuminavano, al bacio del so<strong>le</strong>. Ma per<br />

i montanari, nessun spettacolo dell’alba. Quando nel piano assistevano<br />

a questo magnifico risveglio, loro erano già partiti. Boscaioli,<br />

carbonai, vaticali, pastori. Loro, robusti <strong>di</strong> spal<strong>le</strong> e svelti <strong>di</strong> gambe,<br />

erano partiti da tempo, e il loro incontro con l’aurora avveniva tra<br />

boschi e rupi. L’ora della partenza <strong>di</strong>pendeva, naturalmente, dalla lunghezza<br />

del cammino o dal tempo impiegato nel percorrerlo. Al<strong>le</strong> tre<br />

o al<strong>le</strong> quattro <strong>di</strong> notte, o anche prima, quando più scura era la val<strong>le</strong> e<br />

il cielo gremito <strong>di</strong> stel<strong>le</strong>. Proprio la posizione <strong>di</strong> queste, in rapporto<br />

fra loro o con questa o quella cresta collinare, segnava ai viandanti<br />

notturni l’ora. E non a caso, lungo il tragitto, che il <strong>di</strong>scorso cadesse<br />

sul<strong>le</strong> stel<strong>le</strong>, e i giovani imparassero dagli anziani nozioni popolari <strong>di</strong><br />

astronomia. Era il tempo dei tagli e del<strong>le</strong> carbonaie. L’andare al carbone<br />

era un lavoro stagiona<strong>le</strong>, e vi prendevano parte uomini, donne e<br />

13


agazzi. Ognuno con un proprio compito specifico. Molti erano anche<br />

gli anziani, che camminavano sotto la pesante soma, non solo la<br />

notte, ma anche gran parte del giorno. Ognuno col suo sacco riempito<br />

in parte <strong>di</strong> fieno, che fungesse da cuscino sul<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> allo scopo<br />

che fosse più agevo<strong>le</strong> trasportare il carico. Carico che, in quanto a<br />

pesantezza, ciascuno lo aggiustava secondo la forza che aveva <strong>di</strong> portarlo.<br />

Ma a volte il carico veniva sottovalutato nella manovra <strong>di</strong> soppeso.<br />

E allora, quando l’ansante arrancare <strong>di</strong>veniva faticoso, nulla si<br />

poteva, se non continuare a portare questa imprevista croce. Dura<br />

<strong>vita</strong> quella del portatore a spalla, ma dura oltremodo perché fatta in<br />

gran parte <strong>di</strong> notte. E non sempre c’erano <strong>le</strong> stel<strong>le</strong> a guidarli, ma<br />

anche nembi <strong>di</strong> nebbia, che il vento gli spingeva contro a schiaffeggiarli.<br />

E se con il nembo veniva anche la pioggia, erano staffilate gelide<br />

sul corpo, l’acqua li inzuppava dalla testa ai pie<strong>di</strong>. Recavano, <strong>le</strong>gato<br />

in un fazzo<strong>le</strong>tto, un fagotto contenente la colazione: un tozzo <strong>di</strong><br />

pane, <strong>di</strong> companatico appena l’odore. <strong>Un</strong> po’ <strong>di</strong> sopressata, una striscia<br />

<strong>di</strong> lardo, una patata scaldata, una bottiglietta <strong>di</strong> vino, innaffiato a<br />

<strong>di</strong>smisura con acqua fresca. Certe colazioni erano più buone e appetitose<br />

<strong>di</strong> quel<strong>le</strong> che faceva il padrone. E <strong>di</strong> certo non regnava l’avarizia,<br />

chi aveva <strong>di</strong> più e <strong>di</strong> meglio ne faceva parte con chi <strong>di</strong> più non<br />

poteva avere. La colazione veniva consumata strada facendo. Generalmente<br />

vicino a un ruscello o una fonte viva. Durante la sosta c’era<br />

sempre qualcuno che guidava la recita <strong>di</strong> una preghiera. No, non si<br />

sentivano nè poveri nè miserabili, ma ricchi <strong>di</strong> umanità gli uni verso<br />

gli altri. Nella sosta, che si prolungava assai perché il <strong>percorso</strong> più<br />

aspro era ormai passato, c’era chi ragguagliava sugli avvenimenti del<br />

paese, sul<strong>le</strong> vicende <strong>di</strong>vertenti o tristi. Che capere! I più informati<br />

alternavano all’umorismo frizzante e colorato, il tono <strong>di</strong>messo e do-<br />

14


<strong>le</strong>nte. L’ultima parte del cammino riprendeva e sembrava <strong>le</strong> forze si<br />

fossero moltiplicate, che gambe e animo avessero acquistato più <strong>le</strong>na,<br />

più forza, invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuirla, in vista, anche se alquanto lontana,<br />

della meta prefissata. Nel cielo sp<strong>le</strong>ndeva ora il so<strong>le</strong>, e nella val<strong>le</strong> si<br />

assisteva alla magia del giorno.<br />

Foschia mattutina sul piano <strong>di</strong> Forino<br />

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CAPITOLO II<br />

I segni del lavoro<br />

Le attività umane per la produzione <strong>di</strong> beni e servizi hanno caratterizzato<br />

in vario modo il paesaggio irpino. Fino al secolo scorso il loro<br />

impatto ambienta<strong>le</strong> è stato modesto sia per lo scarso utilizzo <strong>di</strong> materie<br />

prime, sia per <strong>le</strong> successive trasformazioni che avvenivano a forza<br />

<strong>di</strong> braccia e con forme <strong>di</strong> energia facilmente reperibili in natura, cioè<br />

il fuoco e l’acqua. La produzione <strong>di</strong> carbone, tipica dei paesi<br />

appenninici <strong>di</strong> montagna, comportava la combustione controllata <strong>di</strong><br />

pezzi <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna <strong>di</strong> castagno, quercia o faggio sistemati sotto cumuli <strong>di</strong><br />

terra opportunamente aerati, e chiamati, dal<strong>le</strong> nostre parti, catuozzi.<br />

Le tipiche fumate <strong>le</strong>gate a questa attività e al funzionamento del<strong>le</strong><br />

fornaci per la produzione <strong>di</strong> laterizi e della calce (<strong>le</strong> carcàre), spiccavano<br />

numerose, con i colori bruni che si <strong>di</strong>luivano man mano che salivano<br />

in alto, in un paesaggio ancora caratterizzato dai ver<strong>di</strong> cupi <strong>di</strong><br />

un’abbondante vegetazione. Carbonaie, fornaci e carcáre erano <strong>le</strong> attività<br />

<strong>le</strong>gate al fuoco. Altre, <strong>le</strong>gate all’acqua, riguardavano <strong>le</strong> ferriere,<br />

<strong>le</strong> gualchiere per l’industria della lana, <strong>le</strong> cartiere ed i mulini. Mentre<br />

<strong>le</strong> prime tre hanno caratterizzato con varia fortuna l’hinterland avellinesi,<br />

i mulini, <strong>le</strong>gati alla sfarinatura del grano, erano presenti su tutto il<br />

territorio provincia<strong>le</strong>. Sempre <strong>le</strong>gate all’acqua, <strong>le</strong> neviere consentivano<br />

la produzione e la conservazione del ghiaccio. Esse erano ubicate<br />

anche in paesi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a altitu<strong>di</strong>ne. Le neviere erano costruzioni in<br />

muratura, esposte ai fred<strong>di</strong> venti <strong>di</strong> ponente e <strong>di</strong> tramontana, con<br />

l’interno caratterizzato quasi sempre da un unico vano col<strong>le</strong>gato <strong>di</strong>rettamente<br />

ad una cisterna sottostante me<strong>di</strong>ante una botola, dalla qua<strong>le</strong><br />

17


era possibi<strong>le</strong> accedere al fondo con sca<strong>le</strong>. La profon<strong>di</strong>tà creava l’effetto<br />

cantina, con<strong>di</strong>zione ottima<strong>le</strong> per la conservazione del ghiaccio.<br />

Le abbondanti nevicate invernali ne consentivano il riempimento:<br />

strati <strong>di</strong> neve alternati con la paglia venivano accumulati, pigiati con i<br />

pie<strong>di</strong> per ridurre i volumi e trasformati in ghiaccio dal<strong>le</strong> gelate invernali.<br />

La paglia favoriva <strong>le</strong> stratificazioni nella massa ghiacciata rendendo<strong>le</strong><br />

facilmente frammentabili e asportabili. <strong>Un</strong>a moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

persone era impegnata nel<strong>le</strong> operazioni <strong>di</strong> approntamento della<br />

neviera; l’attività, però, dava i suoi frutti solo in estate. Il ghiaccio,<br />

staccato in grossi blocchi con cunei e martello e ridotto in forme più<br />

picco<strong>le</strong> con <strong>le</strong> seghe, veniva tirato su con funi e carrucola, pesato e<br />

venduto. Imballato nella paglia, avvolto nel<strong>le</strong> coperte e protetto da<br />

frasche frondose, viaggiava sui traìni, specialmente <strong>di</strong> notte, e raggiungeva<br />

località anche lontane. ‘E nevere del<strong>le</strong> nostre zone erano fondamentalmente<br />

<strong>di</strong> due tipi: quel<strong>le</strong> dei pianori carsici <strong>di</strong> altura erano<br />

profonde buche scavate nei teneri depositi piroclastici, quel<strong>le</strong> nei pressi<br />

dei centri abitati erano grosse torri addossate ai pen<strong>di</strong>i. Accanto a<br />

queste attività, <strong>le</strong>gate al fuoco e all’acqua, che per secoli hanno conferito<br />

al paesaggio irpino connotazioni del tutto naturali, oggi si assiste<br />

ad interventi sempre più ra<strong>di</strong>cali che incidono profondamente sul<br />

territorio, trasformando la morfologia dei luoghi. I ritmi della natura<br />

<strong>le</strong>nti ma saggi vengono sconvolti da innovazioni frenetiche e non<br />

sempre motivate che portano irrime<strong>di</strong>abilmente ad una<br />

“omogeneizzazione cultura<strong>le</strong>” del paesaggio, poco rispettosa della<br />

<strong>sue</strong> ricchezze storiche e naturalistiche.<br />

(adattamento da “Storia Illustrata <strong>di</strong> Avellino e dell’Irpinia”, Sellino E<strong>di</strong>tore)<br />

18


CAPITOLO III<br />

Aterrana <strong>di</strong> Montoro Superiore<br />

Iniziamo il nostro “viaggio” con Biagio, facendo riferimento alla prima<br />

notizia che egli ci ha fornito, quella del luogo dove viveva. E<br />

quin<strong>di</strong>, quanto mai opportuna, è stata una visita al borgo <strong>di</strong> Aterrana,<br />

frazione del comune <strong>di</strong> Montoro Superiore. E’ un borgo che evoca<br />

suggestioni pari a quel<strong>le</strong> che noi forinesi proviamo nel visitare <strong>le</strong> <strong>di</strong>rute<br />

pietre del borgo <strong>di</strong> Castello. Passeggiare tra <strong>le</strong> strette viuzze, incontrare<br />

portali in pietra e gli angoli suggestivi dei cortili, <strong>di</strong> una e<strong>le</strong>ganza<br />

che supera gli sfasci del tempo, comporta il dover subire la curiosità e<br />

l’orgoglio degli abitanti del luogo. A loro non importa “chi sei” o<br />

“cosa fai” con la macchinetta fotografica a tracolla, spinto a curiosare<br />

in ogni dove. A loro, fieri <strong>di</strong> vivere nel loro borgo, importa solamente<br />

che <strong>le</strong> fotografie vengano bene, che tu li segua in ogni angolo<br />

che ti segnalano, che accetti quello che ti vogliono offrire, e che ritorni<br />

quanto prima ad Aterrana. Pur abituato a girare con la fotocamera<br />

in molte località che risultano <strong>di</strong> fuori dei con<strong>sue</strong>ti circuiti turistici,<br />

devo <strong>di</strong>re che la genti<strong>le</strong>zza, la cortesia e l’affabilità degli Aterranesi<br />

risulta senza dubbio straor<strong>di</strong>naria. E quin<strong>di</strong>, doverosamente, il nostro<br />

cammino è iniziato con questa prima parentesi “lontana” da Forino,<br />

per far conoscenza del luogo da dove il piccolo Biagio partiva<br />

assieme a suo padre per raggiungere, poi, la loro lontana meta.<br />

19


20<br />

Aterrana <strong>di</strong> Montoro Superiore, un corti<strong>le</strong>


Aterrana, scrigno etnologico <strong>di</strong> Montoro<br />

(a cura dell’Associazione Cultura<strong>le</strong> San Felice <strong>di</strong> Montoro)<br />

Attaccato ai primi tornanti che conducono al Pizzo <strong>di</strong> San Miche<strong>le</strong><br />

sorge un paesino che il tempo ha risparmiato. Al termine <strong>di</strong> una salita<br />

che si inerpica nella chiesetta della Madonna del<strong>le</strong> Grazie si arriva ad<br />

Aterrana, una del<strong>le</strong> frazioni <strong>di</strong> Montoro Superiore, rimasta intatta<br />

anche dopo il terribi<strong>le</strong> terremoto del 1980. E’ situata nella ferti<strong>le</strong> vallata<br />

montorese al<strong>le</strong> pen<strong>di</strong>ci della catena Taurina, e rappresenta un<br />

felice connubio tra la storia, la cultura, <strong>le</strong> tra<strong>di</strong>zioni locali e l’amenità<br />

<strong>di</strong> un ricco paesaggio <strong>montano</strong>. Aterrana è un antico borgo che risa<strong>le</strong><br />

probabilmente all’epoca preromana, ma che ha sicuramente ottenuto<br />

il suo attua<strong>le</strong> assetto durante il me<strong>di</strong>oevo. Non vi è nulla <strong>di</strong><br />

monumenta<strong>le</strong> nel meraviglioso paese, nessun palazzo dal<strong>le</strong> straor<strong>di</strong>narie<br />

fattezze, nessuna gran<strong>di</strong>osità che cattura l’attenzione. Aterrana<br />

è particolare nei suoi angoli, nei suoi via<strong>le</strong>tti, nel<strong>le</strong> <strong>sue</strong> stra<strong>di</strong>ne. La<br />

sua è un’architettura semplice, quella antica dei conta<strong>di</strong>ni che l’hanno<br />

abitata. Piccoli anfratti, casette in pietra con scalini esterni, balconcini<br />

dallo sti<strong>le</strong> barocco, cortili con antichi pozzi, finestre squadrate da<br />

cornici <strong>di</strong> pietra, chiesette semplici caratterizzano uno scenario che<br />

sembra aver scavalcato i secoli e la modernità. <strong>Un</strong> paesino tanto caro<br />

ai suoi abitanti, patrimonio dell’intera Montoro, il passato che si incarna<br />

in tutti quei luoghi sfuggiti al<strong>le</strong> trasformazioni e alla crudeltà<br />

del progresso. Aterrana conserva la sua magia, quell’atmosfera <strong>di</strong> un<br />

posto incantato, dove la gente continua a vivere <strong>di</strong> semplicità e che,<br />

soprattutto negli ultimi anni, lotta per la propria terra, per riportarla<br />

al suo sp<strong>le</strong>ndore, per fermarla nel tempo e regalarla ai posteri così<br />

come è, unica.<br />

21


E camminando per <strong>le</strong> <strong>sue</strong> stra<strong>di</strong>ne si respira tutto l’amore che gli<br />

aterranesi hanno per la propria terra, si <strong>di</strong>venta partecipi della <strong>vita</strong><br />

al<strong>le</strong>gra <strong>di</strong> quella gente e del suo mondo, attiva, intelligente, fatta <strong>di</strong><br />

anziani e <strong>di</strong> giovani, <strong>di</strong> residenti e <strong>di</strong> emigranti lontani che perio<strong>di</strong>camente,<br />

ogni anno, ritornano nel paesino per nutrirsi <strong>di</strong> un’antica memoria.<br />

Tutta Montoro, e non solo, trattiene il fiato e resta a guardarla.<br />

Il passato torna a vivere in una frazione sospesa tra vecchio e nuovo.<br />

22


Aterrana <strong>di</strong> Montoro Superiore, un’antica bottega<br />

23


CAPITOLO IV<br />

La salita della Laura e l’a<strong>di</strong>acente mulattiera<br />

L’utilizzo del <strong>percorso</strong> della mulattiera della Laura ha origini incerte.<br />

Di certo c’è il fatto che, durante la guerra greco-gotica (535-555), <strong>le</strong><br />

truppe dell’esercito bizantino, comandate dal genera<strong>le</strong> Narsete, sostarono<br />

per più <strong>di</strong> un anno (553) nella piana tra il fiume Sarno e<br />

Montoro. Curiosità confermata dalla presenza, nel comune <strong>di</strong> Montoro<br />

Inferiore e più precisamente nella frazione <strong>di</strong> Piazza <strong>di</strong> Pandola, del<br />

toponimo Campo dei Greci. Sappiamo <strong>di</strong> come i bizantini introdussero<br />

il culto della figura <strong>di</strong> San Nicola <strong>di</strong> Myra tra <strong>le</strong> nostre genti, e<br />

che quin<strong>di</strong> erano abituali frequentatori del<strong>le</strong> nostre zone. Per giungere<br />

nella nostra val<strong>le</strong>, e soprattutto per poter controllare meglio il territorio<br />

dove erano <strong>di</strong> stanza, era necessario raggiungere quel col<strong>le</strong> che<br />

domina la val<strong>le</strong> dell’Irno e che controlla gli accessi ad essa, dal basso<br />

all’alto Sabato. E quel col<strong>le</strong> è quello che oggi noi conosciamo come<br />

Col<strong>le</strong> San Nicola. Divagando con l’immaginazione, ci pare <strong>di</strong> assistere<br />

al<strong>le</strong> cavalcate dei drappelli bizantini per <strong>le</strong> valli circostanti il loro<br />

accampamento. Erano sicuramente attirati da quel piccolo monte che<br />

dominava la val<strong>le</strong> <strong>di</strong> Montoro e che era un adatto punto <strong>di</strong> osservazione<br />

per scrutare l’orizzonte e il nemico lontano, che poteva coglierli<br />

<strong>di</strong> sorpresa al<strong>le</strong> spal<strong>le</strong>. Ed è quin<strong>di</strong> in questo periodo, come ci narra<br />

la tra<strong>di</strong>zione ora<strong>le</strong> ripresa dal primo estensore <strong>di</strong> una storia <strong>di</strong> Forino,<br />

il padre Antonio Girolamo Tornatore, che nei pressi del castello, posto<br />

sul col<strong>le</strong> a guar<strong>di</strong>a della val<strong>le</strong> dell’Irno, si iniziò a venerare il Santo,<br />

“… la cui rozza immagine, sospesa ad un albero, raccoglieva intorno a se i pochi<br />

abitanti...”. Ma come si spostava, la popolazione loca<strong>le</strong>, tra <strong>le</strong> terre <strong>di</strong><br />

25


26<br />

Fotografia satellitare della Laura


Strada dei Due Principati, la salita della Laura<br />

Montoro e Forino, in quei tempi? Visti i <strong>di</strong>slivelli presenti nella zona,<br />

è intuibi<strong>le</strong> che il <strong>percorso</strong> della mulattiera della Laura fosse quello<br />

preferito. Sia per giungere nella piana <strong>di</strong> Forino che per poi proseguire<br />

verso il col<strong>le</strong> <strong>di</strong> San Nicola, valutando anche i vari sentieri montani<br />

in loco, il passo della Laura era senza ombra <strong>di</strong> dubbio il <strong>percorso</strong> più<br />

agevo<strong>le</strong>. Vo<strong>le</strong>ndo andare ancora più in<strong>di</strong>etro nel tempo, questi luoghi<br />

furono interessati (I sec. a.C. e III sec. d.C.), anche dall’attraversamento<br />

del Fontis Augustei Aquaeductus, per cui in epoca romana, e in <strong>di</strong>stinti<br />

lassi <strong>di</strong> tempo, si rese necessario il passaggio <strong>di</strong> persone e<br />

merci tra la val<strong>le</strong> <strong>di</strong> Forino e la piana <strong>di</strong> Montoro. <strong>Un</strong> passaggio obbligato<br />

per i traffici commerciali, sostenuti dal<strong>le</strong> numerose tabernae romane<br />

costruite lungo <strong>di</strong> essa e dalla tassa strada<strong>le</strong> del rotarico posta a<br />

Rota là dove la via si immetteva nella Capua-Regium.<br />

27


Testimonianza ne potrebbe essere il dolium <strong>di</strong> epoca romana ritrovato<br />

nel 1999 nel centro <strong>di</strong> Forino. Nel periodo del<strong>le</strong> invasioni, quando<br />

Abellinum rasa al suolo finì <strong>di</strong> esistere, la pianura tra il Sarno e Sa<strong>le</strong>rno<br />

fu travagliata dalla <strong>di</strong>sastrosa guerra greco-gotica. Le villae in pianura<br />

furono abbandonate, costituendo, nella val<strong>le</strong> <strong>forinese</strong>, l’arroccamento<br />

del casa<strong>le</strong> Castello. Quando poi i Longobar<strong>di</strong> fondarono il ducato <strong>di</strong><br />

Benevento, i monti <strong>di</strong> Montoro-Forino, come altri del circondario,<br />

furono l’ultimo baluardo <strong>di</strong> questo territorio poiché la pianura non<br />

era ancora in loro mano. Si deve al duca <strong>di</strong> Benevento, Arechi I, il<br />

progetto <strong>di</strong> occupare Sa<strong>le</strong>rno, e per far ciò egli dovette rinforzare<br />

alcune postazioni <strong>di</strong>fensive <strong>di</strong> questo confine, che avrebbero protetto<br />

l’opera <strong>di</strong> conquista. In questo periodo, e <strong>le</strong>gato a questi eventi, si<br />

pone il rinforzo del castrum <strong>di</strong> Rota e la costruzione del<strong>le</strong> postazioni<br />

<strong>di</strong>fensive <strong>di</strong> Forino, Montoro e Serino. Il loro aspetto poteva non<br />

avere <strong>le</strong> forme definite <strong>di</strong> un vero castello, ma avevano l’importante<br />

compito <strong>di</strong> avere un ruolo <strong>di</strong> presi<strong>di</strong>o del passo <strong>di</strong> Forino a servizio<br />

del nuovo inse<strong>di</strong>amento longobardo <strong>di</strong> Avellino. Col risveglio del<strong>le</strong><br />

attività in pianura, Montoro e Forino <strong>di</strong>vennero punti <strong>di</strong> riferimento<br />

per la raccolta dei dazi del mercato e dei tributi, raccolta curata dallo<br />

sculdascio, e per la <strong>di</strong>fesa dei territori che, pur conservando l’impronta<br />

militare, subirono una ra<strong>di</strong>ca<strong>le</strong> trasformazione. E’ in questo contesto<br />

<strong>di</strong> precarietà ma anche <strong>di</strong> sviluppo, in cui si rafforza il rapporto <strong>di</strong><br />

Sa<strong>le</strong>rno con la pianura retrostante. Il sistema pievano continuò a svolgere<br />

l’importante funzione <strong>di</strong> organizzazione del territorio sostenuta<br />

dalla Chiesa; infatti <strong>le</strong> <strong>sue</strong> pievi <strong>di</strong>vennero se<strong>di</strong> curiali, dove cioè si<br />

risolvevano <strong>le</strong> controversie. Siamo ancora in un periodo in cui i<br />

Longobar<strong>di</strong> concepivano il nuc<strong>le</strong>o familiare come unità patrimonia<strong>le</strong>,<br />

per cui il possesso terriero procedeva <strong>di</strong> pari passo con l’occupazione<br />

28


del territorio. Questo processo avvenne senza contrasti perchè fu gradua<strong>le</strong><br />

e perché nel<strong>le</strong> aree <strong>di</strong>sabitate l’opera <strong>di</strong> limitazione dell’incolto<br />

appariva proficua per tutti. Di conseguenza, da una fase <strong>di</strong> non interferenza<br />

con <strong>le</strong> tra<strong>di</strong>zioni locali, si passò ad una fase <strong>di</strong> feconda apertura<br />

in cui <strong>le</strong> con<strong>sue</strong>tu<strong>di</strong>ni locali (usus loci), acquisite o tenute presenti,<br />

vennero a far parte <strong>di</strong> tutta quella serie <strong>di</strong> norme non scritte che favorirono<br />

una profonda amalgama cultura<strong>le</strong>, come è testimoniato, nel<br />

nostro territorio, dalla convivenza del culto micaelico <strong>le</strong>gato ai<br />

Longobar<strong>di</strong> con quello del Santo venerato dai Bizantini. Con Arechi<br />

II (758-787) si ebbe la grande fioritura <strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno col conseguente<br />

popolamento della pianura e l’intensificarsi dei traffici. Si generò così<br />

un forte scontro tra <strong>le</strong> due gran<strong>di</strong> città del Ducato beneventano che<br />

portò alla <strong>di</strong>visione del Ducato in due Principati, quello <strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno e<br />

quello <strong>di</strong> Benevento (849). Il confine passava sui monti <strong>di</strong> Forino-<br />

Montoro, seguendo quin<strong>di</strong> la linea <strong>di</strong>fesa da quelli che abbiamo chiamato<br />

presi<strong>di</strong> e che ora prendono l’aspetto <strong>di</strong> veri castelli. Questo<br />

perché tra i due Principati si scatenò un forte contrasto, per cui fu<br />

necessario <strong>di</strong>fendere un territorio ricco <strong>di</strong> traffici e produzioni, esposto<br />

anche al pericolo saraceno proveniente dalla costa. Del castello<br />

<strong>di</strong> Forino invece si sa che fu assalito da truppe bizantine a pochi anni<br />

dalla presa <strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno. A ta<strong>le</strong> proposito è rimandata a questa epoca<br />

una del<strong>le</strong> prime <strong>le</strong>ggende circa i tanti miracoli che hanno salvato Forino,<br />

grazie all’intercessione del nostro Protettore San Nicola. Si narrava<br />

appunto che “…i Saraceni fecero molte stragi a Montoro e, mentre marciavano<br />

verso Forino, videro il suo castello e la montagna che lo circonda, piena <strong>di</strong><br />

soldati ed allora spaventati tornarono in<strong>di</strong>etro”. Dobbiamo precisare che all’epoca<br />

il col<strong>le</strong> <strong>di</strong> San Nicola non era come lo conosciamo noi, ovverosia<br />

alberato, ma brullo e spoglio, perchè punto privi<strong>le</strong>giato <strong>di</strong> osservazio-<br />

29


Sopra, la Chiesa <strong>di</strong> San Nicola vista da Celzi negli anni ‘40 del Novecento;<br />

sotto, panoramica della mulattiera<br />

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La mulattiera nei pressi <strong>di</strong> Montoro<br />

31


ne. Tornando alla storia del territorio, questo processo <strong>di</strong> frizione non<br />

fu indolore perché prima e dopo la <strong>di</strong>visione, la Longobar<strong>di</strong>a Minore fu<br />

<strong>di</strong>laniata da lotte intestine e <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e che spinsero agguerrite bande<br />

saracene a percorrere la pianura al<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> <strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno e <strong>le</strong> vie <strong>di</strong> comunicazione<br />

con Benevento. I contatti tra <strong>le</strong> due città ora avvenivano sulla<br />

grande via che, partendo dall’Avellino Longobarda attraverso il passo<br />

<strong>di</strong> Forino, raggiungeva la piana <strong>di</strong> Rota il cui potenziamento deve collocarsi<br />

durante il principato <strong>di</strong> Arechi II. Come si vede, Forino e<br />

Montoro sono sempre al centro <strong>di</strong> ogni avvenimento e <strong>di</strong>visione <strong>di</strong><br />

quegli anni. Quin<strong>di</strong>, intuire un col<strong>le</strong>gamento tra <strong>le</strong> due aree, e per<strong>di</strong>ppiù<br />

seguendo il <strong>percorso</strong> più agevo<strong>le</strong>, non sembra assolutamente un azzardo.<br />

La mulattiera fu utilizzata per moltissimo tempo, sino al XVIII se-<br />

Costruzione <strong>di</strong> campagna tra la Laura e la mulattiera<br />

32


colo come via <strong>di</strong> comunicazione principa<strong>le</strong>, in seguito come alternativa<br />

alla nascente nuova strada della Laura. Nell’ultimo dopoguerra essa<br />

veniva utilizzata anche per i traffici, poco <strong>le</strong>citi, <strong>le</strong>gati al fenomeno del<br />

contrabbando. Fenomeno che l’amministrazione comuna<strong>le</strong> <strong>forinese</strong> nel<br />

1944, sol<strong>le</strong>citata dal comando al<strong>le</strong>ato, cercò <strong>di</strong> contrastare. All’uopo<br />

fu costituita una squadra <strong>di</strong> repressione comandata da Gennaro Violante,<br />

dal suo vice Giovanni Di Napoli e composta da Ciro Peluso,<br />

Francesco D’Amato, Domenico Tufano e Luigi Della Cerra. Furono<br />

molti gli scontri tra contrabban<strong>di</strong>eri e forze <strong>di</strong> polizia, anche con colpi<br />

d’arma da fuoco sparati per <strong>le</strong> vie del paese. Biagio, con il suo racconto,<br />

ci da testimonianza del suo utilizzo nel secondo dopoguerra. Seguendo<br />

il <strong>percorso</strong> a pie<strong>di</strong>, ci si rende conto della sua brevità in relazione<br />

a quello della nuova Laura, che si allunga <strong>di</strong> molto per permettere<br />

pendenze più dolci. Attualmente vi sono due mo<strong>di</strong> per accedere alla<br />

mulattiera: uno da una strada del comune <strong>di</strong> Montoro, posta nella frazione<br />

<strong>di</strong> Preturo, in Via Val<strong>le</strong>. <strong>Un</strong>a toponomastica appropriata, in quanto<br />

la strada altro non è che il termine del vallone Cannavaro, <strong>di</strong> cui<br />

<strong>di</strong>remo in seguito. L’altro accesso invece è possibi<strong>le</strong> subito dopo la<br />

doppia curva all’inizio della salita della Laura, superato il viadotto del<br />

sottostante tratto ferroviario. Le foto a corredo <strong>di</strong> questo capitolo ci<br />

mostrano il <strong>percorso</strong> che fornisce sensazioni avventurose e fiabesche<br />

allo stesso tempo. L’immersione nella natura, <strong>di</strong> tanto in tanto interrotto<br />

dal rombo dei motori che percorrono la “nuova” Laura, ci proietta<br />

nell’immaginare lo spettacolo, sicuramente <strong>di</strong>fferente, che si<br />

presentava agli occhi dell’ingegnere Felice Abate, che percorse lo stesso<br />

sentiero nel XIX secolo alla ricerca del<strong>le</strong> tracce dell’antico acquedotto<br />

romano, e per <strong>le</strong>ggere del<strong>le</strong> <strong>sue</strong> personali impressioni vi riman<strong>di</strong>amo al<br />

paragrafo de<strong>di</strong>cato all’acquedotto. Si notano, tra la vegetazione, i mu-<br />

33


34<br />

Diverse viste della mulattiera


36<br />

La mulattiera


La “casa della cisterna”<br />

37


etti a secco che delimitavano il sentiero con l’a<strong>di</strong>acente fosso, il vallone<br />

Cannavaro, che giunge dal confine dei comuni <strong>di</strong> Bracigliano,<br />

Montoro e Forino. Notiamo anche <strong>le</strong> pietre poste in senso trasversa<strong>le</strong><br />

lungo la mulattiera, che formavano ampi scaloni, forse destinati ad agevolare<br />

la salita dei carri che dovevano affrontare l’erta verso la piana <strong>di</strong><br />

Forino. Qui ci torna in mente un’antica attività molto praticata dagli<br />

abitanti <strong>di</strong> Celzi. L’attività è quella del mulattiere. Spiegamoci meglio:<br />

dato il fatto che i carri che affrontavano la mulattiera erano carichi <strong>di</strong><br />

merce, solitamente c’era bisogno <strong>di</strong> un aiuto all’anima<strong>le</strong> che lo trainava.<br />

Per pochi spiccioli, il mulattiere, che si era portato all’inizio della<br />

salita sin dal mattino, <strong>le</strong>gava il suo mulo, chiamato valanzino, al carro<br />

che lo necessitava, aiutandolo ad affrontare la salita. Se i carrettieri era-<br />

La bocca della cisterna<br />

38


no <strong>di</strong>retti, come avveniva nella maggior parte dei casi, verso la piana <strong>di</strong><br />

Forino, solitamente si fermavano in una del<strong>le</strong> due storiche taverne <strong>di</strong><br />

Celzi, dove potevano trovare ristoro, anche per i loro animali. Dopo<br />

questa <strong>di</strong>vagazione opportuna, torniamo a seguire il <strong>percorso</strong> osservando<br />

il prospiciente precipizio, ripensando ancora all’ingegnere Abate<br />

e alla fortuna che ebbe nel notare <strong>le</strong> vestigia <strong>di</strong> un antico ponte-cana<strong>le</strong><br />

romano. Quasi alla sommità della salita, giungiamo nei pressi <strong>di</strong> una<br />

costruzione, oramai <strong>di</strong>ruta, che comunque serba una sorpresa; al suo<br />

fianco vi è una piccolissima costruzione che sembra una sorta <strong>di</strong><br />

chioschetto. L’affacciarsi all’imboccatura <strong>di</strong> ta<strong>le</strong> manufatto, ci mostra<br />

con grande sorpresa una cisterna. La domanda che ci poniamo, visti i<br />

luoghi percorsi, è imme<strong>di</strong>ata e natura<strong>le</strong>: potrebbe avere qualcosa a che<br />

L’interno della cisterna abbandonata<br />

39


fare con l’antico acquedotto? Mistero. Forse no, ma la voglia <strong>di</strong> “<strong>le</strong>ggenda”<br />

che ci assa<strong>le</strong> fa si che si speri il contrario; bisognerebbe indagare<br />

sull’origine <strong>di</strong> un condotto che vi sbuca dentro, per scoprire da dove<br />

arriva. Abbandonate queste nuove suggestioni, ci troviamo ad un bivio.<br />

Il “piccolo Biagio” ci ha narrato che lungo il suo cammino passava<br />

nei pressi dello scarico Parise, quin<strong>di</strong> nei pressi del castel<strong>le</strong>tto. Qui<br />

siamo <strong>di</strong> fronte a un trivio: proseguendo sempre dritti si giunge <strong>di</strong>rettamente<br />

nella piana <strong>di</strong> Forino. Girando a sinistra, come appena detto,<br />

verso il castel<strong>le</strong>tto. A destra la strada continua a salire con un tornantino:<br />

che in effetti, un tempo, era quello il <strong>percorso</strong> che conduceva al sentiero<br />

posteriore verso il Castello, ubicato sul Monte San Nicola? La <strong>di</strong>rezione<br />

e <strong>le</strong> misure altimetriche ci suggeriscono questa possibilità, ma<br />

non abbiamo alcun conforto <strong>di</strong> certezza, in quanto il <strong>percorso</strong> viene<br />

troncato <strong>di</strong> netto da quello della “nuova” Laura. Ma non è questo, per<br />

ora, lo scopo del nostro esplorare. Volgiamo, quin<strong>di</strong>, verso sinistra,<br />

attraversando i castagneti e noccio<strong>le</strong>ti a<strong>di</strong>acenti il vallone Cannavaro<br />

per giungere, alla fine, sulla strada Pianel<strong>le</strong>.<br />

Fontis Augustei Aquaeductus<br />

Forino, <strong>di</strong>versamente da tante altre località irpine, non ha testimonianze<br />

<strong>di</strong>rette che certifichino <strong>le</strong> <strong>sue</strong> origini. Spora<strong>di</strong>camente vi è qualche<br />

ritrovamento, ma niente che incoraggi una attenta ricerca<br />

archeologica. Quando poi qualcosa <strong>di</strong> interessante viene alla luce, ci<br />

pensa il “cemento” (ve<strong>di</strong> necropoli <strong>di</strong> Petruro, 1957) o la Soprintendenza<br />

(ve<strong>di</strong> anfora nel capoluogo comuna<strong>le</strong>, 1999), a stendere un<br />

velo <strong>di</strong> si<strong>le</strong>nzio su passato. E visto che <strong>le</strong> favo<strong>le</strong> non appartengono al<br />

40


nostro “repertorio”, parliamo dell’unica storia “tangibi<strong>le</strong>” che emerge<br />

dall’oblio dei secoli, e che riguarda i primi inse<strong>di</strong>amenti stabili nel<br />

nostro territorio. E’ risaputo dell’esistenza <strong>di</strong> una colonia romana nella<br />

vicina Abellinum (oggi Atripalda), la qua<strong>le</strong>, per congetture degli stu<strong>di</strong>osi<br />

(dapprima Scandone, poi anche il nostro Vespucci) doveva avere<br />

la sede <strong>di</strong> amministrazione della giustizia dove ora sorge la nostra<br />

frazione Petruro. Si conosce l’esistenza del nemus corilianum, un esteso<br />

bosco <strong>di</strong> alberi <strong>di</strong> nocciuo<strong>le</strong> che copriva una vasta area, compresa tra<br />

gli attuali abitati <strong>di</strong> Montemi<strong>le</strong>tto, Can<strong>di</strong>da e Forino. Ma il fatto che<br />

rende certo un inse<strong>di</strong>amento umano stabi<strong>le</strong> nella nostra zona è la<br />

costruzione del grande acquedotto Augusteo, il qua<strong>le</strong> forniva con <strong>le</strong><br />

acque del<strong>le</strong> sorgenti <strong>di</strong> Serino <strong>le</strong> principali città circostanti Napoli. La<br />

costruzione <strong>di</strong> questo acquedotto, dapprima attribuita erroneamente<br />

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per molti secoli, fino al 1938, all’imperatore Clau<strong>di</strong>o, è invece da attribuirsi<br />

all’imperatore Augusto, come si evince da una lapide ritrovata<br />

nei pressi del<strong>le</strong> sorgenti serinesi, risa<strong>le</strong>nte all’epoca del consistente restauro<br />

dell’acquedotto da parte dell’imperatore Costantino, tra il 323 e<br />

il 324 d.C.. Infatti, durante l’età augustea venne avviato un ampio programma<br />

<strong>di</strong> recupero dei vecchi acquedotti esistenti e la costruzione,<br />

nel<strong>le</strong> province italiane più importanti, <strong>di</strong> nuovi impianti. Oltretutto la<br />

Campania Felix, fiore all’occhiello dell’Impero, era bisognosa <strong>di</strong> acquedotti<br />

che rifornissero i gran<strong>di</strong> scali marittimi <strong>di</strong> Puteoli (commercia<strong>le</strong>)<br />

e Misenum (militare). Ed è quin<strong>di</strong> intuibi<strong>le</strong>, che nei primi anni dell’era<br />

posteriore alla nascita <strong>di</strong> Cristo, l’inizio dei lavori <strong>di</strong> realizzazione<br />

<strong>di</strong> questa grande opera coincise con lo stabilirsi nella nostra val<strong>le</strong> <strong>di</strong><br />

alcuni inse<strong>di</strong>amenti umani. Perché degli inse<strong>di</strong>amenti proprio nella zona<br />

<strong>di</strong> Forino? L’in<strong>di</strong>cazione l’abbiamo da un ingegnere del XIX secolo, il<br />

napo<strong>le</strong>tano Felice Abate. Questi de<strong>di</strong>cò grande parte della sua esistenza<br />

allo stu<strong>di</strong>o dell’acquedotto allora ancora conosciuto come Clau<strong>di</strong>o.<br />

In quei tempi la città <strong>di</strong> Napoli era molto bisognosa, come lo è tutt’ora,<br />

<strong>di</strong> acqua, e <strong>le</strong> sorgenti più ricche e più vicine ad essa sono, da<br />

sempre, quel<strong>le</strong> irpine. Si pensava, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> realizzare un nuovo grande<br />

acquedotto che approvvigionasse la capita<strong>le</strong> del Regno del<strong>le</strong> Due Sicilie.<br />

Felice Abate invece era dell’idea che sarebbe stato più faci<strong>le</strong> restaurare<br />

<strong>le</strong> antiche opere romane per ottenere il risultato ambito, e quin<strong>di</strong> tra il<br />

1840 ed il 1860 seguì e stu<strong>di</strong>ò l’intero <strong>percorso</strong> <strong>di</strong> questo acquedotto.<br />

Infatti il <strong>di</strong>segno qui mostrato è relativo ai rilievi compiuti tra il 1840 e<br />

il 1841, e sfociati nella pubblicazione dei suoi stu<strong>di</strong>, <strong>di</strong> cui copia è conservata<br />

presso la Biblioteca Comuna<strong>le</strong> <strong>di</strong> Avellino. Ecco qui un resoconto<br />

dei suoi stu<strong>di</strong> relativamente al territorio <strong>di</strong> Forino: “… a questo<br />

modo, <strong>di</strong>stendedosi oltre, traversa per brevi tratti due banchi <strong>di</strong> tufo vulcanico, e<br />

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perviene, dopo il corso <strong>di</strong> circa <strong>di</strong>eci miglia dalla sua origine alla val<strong>le</strong> Contrada, in<br />

tenimento <strong>di</strong> Forino. Di questo tratto dell’acquidotto non restano, come <strong>di</strong>ssi, che<br />

ruderi e malconci spezzoni. La sua luce, quasi da tutto per uniforme, è larga palmi<br />

3, alta palmi 7,50: la struttura n’è varia, secondo i materiali che offrono i luoghi<br />

per i quali esso percorre; ove <strong>di</strong> pietra calcare, ove <strong>di</strong> tufo vulcanico, alternato con<br />

de’ filari <strong>di</strong> mattoni: <strong>le</strong> <strong>sue</strong> sponde son vestite d’intonaco, ed il <strong>le</strong>tto n’è formato per<br />

un sal<strong>di</strong>ssimo battuto <strong>di</strong> tego<strong>le</strong> peste: in alcuni siti, ove abbonda l’argilla, il cielo <strong>di</strong><br />

esso è coverto, in vece <strong>di</strong> volta <strong>di</strong> fabbrica, da gran<strong>di</strong> lastre <strong>di</strong> questa terra, cotta,<br />

poste a cavalli… Fin qui l’acquidotto si è sviluppato a mezza costa, ed a fior <strong>di</strong><br />

terra, tra <strong>le</strong> montagne. Ora li si oppone <strong>di</strong> fronte il monte <strong>di</strong> Forino, quasi vo<strong>le</strong>sse<br />

arrestargli il passo; ma l’acquidotto il buca netto, per tre miglia <strong>di</strong> lunghezza, nel<br />

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sasso calcare, e così esce d’impaccio. Questo mirabilissimo traforo, la cui luce presenta<br />

<strong>le</strong> stesse <strong>di</strong>mensioni che i tratti in fabbrica, <strong>di</strong>rigesi da <strong>le</strong>vante a ponente per<br />

sotto il casa<strong>le</strong> Contrada (parte del Comune <strong>di</strong> Forino) ove nel sito cui oggi esiste una<br />

taverna, sulla consolare de Due Principati, avvi un profon<strong>di</strong>ssimo spiracolo, per<br />

entro il qua<strong>le</strong> non son molti anni che <strong>di</strong>scendevasi fino al fondo dell’acquidotto; ed<br />

altri simili, <strong>di</strong> enorme profon<strong>di</strong>tà, ve ne hanno in prosieguo. Il piano vertica<strong>le</strong> che<br />

passa per la sua <strong>di</strong>rettrice incontra, poco innanzi, la gola tra’ monti Faiesi, e Bufoni;<br />

e <strong>di</strong>poi la pianura <strong>di</strong> Forino, su la qua<strong>le</strong> il Comune rimane a destra con i suoi<br />

casali <strong>di</strong> Petruro, Pozzo, Celsi. Traversato questo piano, a non molta profon<strong>di</strong>tà, e<br />

l’altra gola che separa il monte della Laura da quello <strong>di</strong> Montuoro, sbuca fuori nel<br />

vallone che si denomina de’ pozzilli, <strong>di</strong> dove scende giù precipitosamente per <strong>le</strong> falde<br />

orienta<strong>le</strong> e settentriona<strong>le</strong> del secondo monte, nel mezzo <strong>di</strong> quel<strong>le</strong> traversando, quasi<br />

in piano, il vallone Cannavaro, che proviene da Bracigliano, e giunge al piano <strong>di</strong><br />

Montoro Inferiore, poco innanzi <strong>le</strong> rampe della Laura. Questo secondo tratto<br />

dell’acquidotto è mirabilissimo sorprendente e <strong>di</strong> un valore inestimabi<strong>le</strong>, non meno<br />

per l’arduo traforo del monte, e per la natura sal<strong>di</strong>ssima del sasso in cui lo è praticato,<br />

che per la enorme caduta <strong>di</strong> 6 o 700 palmi, come a colpo d’occhio la stimo...”.<br />

Altri sono i suoi scritti, succedutisi nel tempo, in quanto l’Abate fece<br />

del<strong>le</strong> <strong>sue</strong> convinzioni una tenace crociata. In altre pagine infatti descrive<br />

lo scavo della gal<strong>le</strong>ria, “… senza esempio per la immensa fatica per forarla,<br />

per i molti e profon<strong>di</strong> spiragli che lungo il corso v’hanno e ciò in tempo in cui la<br />

polvere tonante era ignota…”. Non meno interessanti <strong>le</strong> descrizioni dei<br />

spiracoli (sfiatatoi) che si presume appartengano all’acquedotto. L’unico<br />

<strong>di</strong> cui se ne aveva assoluta certezza era quello posto nella precedentemente<br />

accennata taverna nei pressi <strong>di</strong> Contrada (allora frazione <strong>di</strong><br />

Forino). Gli altri, si suppone siano <strong>le</strong> bocche poste ai pie<strong>di</strong> della montagna<br />

<strong>di</strong> Bufoni e il fosso del<strong>le</strong> Pescaie a Celzi. Inoltre, ci scriveva<br />

Vespucci, che il passaggio della gal<strong>le</strong>ria del l’acquedotto doveva essere<br />

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l’origine <strong>di</strong> vari sprofondamenti nella piana <strong>di</strong> Celzi, ma <strong>di</strong> quali <strong>di</strong><br />

questi egli parlasse non ci è dato <strong>di</strong> saperlo. Dovevano invece suscitare<br />

ilarità <strong>le</strong> paure dei conta<strong>di</strong>ni che “faticavano” nei pressi della Laura. Infatti,<br />

lasciando la descrizione sempre all’Abate, ”... l’altro spiraglio, come<br />

sembra, vedesi nella pen<strong>di</strong>ce opposta <strong>di</strong> quella gola <strong>di</strong> monti, a sinistra della strada<br />

dei Due Principati, in una selva <strong>di</strong> proprietà del Principe <strong>di</strong> Forino. E’ desso un<br />

pozzo profondo 14 metri, cavato nella roccia calcarea, il qua<strong>le</strong> bisognerebbe far<br />

<strong>di</strong>sterrare interamente per conoscerne la natura e lo scopo. Così cesserebbero pure<br />

<strong>le</strong> ri<strong>di</strong>co<strong>le</strong> fo<strong>le</strong> che si narrano dai conta<strong>di</strong>ni del luogo su quella buca, che per essi è<br />

oggetto <strong>di</strong> terrore”. Da queste poche righe si intuisce la gran<strong>di</strong>osità dell’opera,<br />

ed il lungo tempo impiegato per realizzarla. Ed è quin<strong>di</strong> certo<br />

che tutti i funzionari e gli schiavi addetti alla realizzazione <strong>di</strong> essa<br />

abbiano dovuto <strong>di</strong>morare per alcuni anni nella nostra val<strong>le</strong>. Questo<br />

conferma una costante frequentazione umana del territorio con un<br />

suo conseguente inse<strong>di</strong>amento stabi<strong>le</strong>, e se poi questi inse<strong>di</strong>amenti<br />

siano stati nel piano o nella zona dove ora sorge l’abitato <strong>di</strong> Castello,<br />

questo è un altro rebus, anche se pare ovvia la seconda ipotesi se non<br />

altro per la posizione strategicamente “nascosta”. Auguriamoci che<br />

in un futuro non troppo lontano qualcuno confermi queste ipotesi, o<br />

magari <strong>le</strong> contesti e ci fornisca visioni e scenari <strong>di</strong>fferenti, ma sempre<br />

confortati da prove tangibili.<br />

45


CAPITOLO V<br />

Tra la strada Pianel<strong>le</strong> il Castel<strong>le</strong>tto Parise<br />

Il <strong>percorso</strong> che serve da anello <strong>di</strong> congiunzione tra la mulattiera della<br />

Laura e quella a<strong>di</strong>acente il vallone Cannavaro non è <strong>di</strong> faci<strong>le</strong> <strong>le</strong>ttura.<br />

Mo<strong>di</strong>ficato nel tempo dal<strong>le</strong> alluvioni e dall’opera dell’uomo, si può<br />

solo intuire seguendo il bordo del vallone appena citato. Comunque,<br />

per poter proseguire sull’antico <strong>percorso</strong> che ci condurrà verso piano<br />

Saldo, abbiamo due opportunità. <strong>Un</strong>a, <strong>di</strong>sagevo<strong>le</strong>, è quella <strong>di</strong> risalire<br />

il vallone Cannavaro. L’altra è quella <strong>di</strong> imboccare la strada omonima.<br />

Scegliere il <strong>percorso</strong> natura<strong>le</strong> ci impone, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> deviare verso il<br />

Castel<strong>le</strong>tto Parise, antica <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> caccia e <strong>di</strong> soggiorno per i lavori<br />

boschivi. L’imbocco del canalone, che segna il confine tra i comuni<br />

<strong>di</strong> Forino e <strong>di</strong> Montoro, è nascoto dai rovi. Perio<strong>di</strong>camente vengono<br />

tagliati per potervi accedere. Questo quando è necessario transitarvi<br />

per poter effettuare il taglio dei cedui, e quin<strong>di</strong> è un “evento” trovare<br />

il passaggio sgombro. Entrare in questa sorta <strong>di</strong> “budello” da una<br />

strana impressione, tant’è rigogliosa la natura. Natura che esplode tra<br />

felci e arbusti <strong>di</strong> vario genere, e che ci fornisce e<strong>le</strong>menti per capire<br />

come mai il Castel<strong>le</strong>tto ha avuto un progressivo interramento nel<br />

tempo. Questa profonda fen<strong>di</strong>tura raccoglie <strong>le</strong> acque piovane del monte<br />

Romola e del monte Salto, che sovrastano rispettivamente la piana<br />

<strong>di</strong> Forino e la val<strong>le</strong> dell’Irno. E’ faci<strong>le</strong> immaginare qua<strong>le</strong> quantità <strong>di</strong><br />

acque venga raccolta, data la vastità della zona, e quin<strong>di</strong> <strong>le</strong> colate <strong>di</strong><br />

fango che giungono nei pressi del castel<strong>le</strong>tto hanno fatto sì che esso<br />

ora risulti interrato <strong>di</strong> almeno quattro metri. Il canalone prosegue<br />

per un lungo tratto, <strong>di</strong> tanto in tanto interrotto da salti rocciosi che<br />

47


48<br />

Fotografia satellitare della zona del Castel<strong>le</strong>tto


La strada Pianel<strong>le</strong><br />

49


formano nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> piena, vere e proprie cascate. Alla sua origine<br />

si intersecherà con la strada soprastante, sicuramente più comoda e<br />

meno pericolosa da percorrere. Ed è quella che veniva seguita dai<br />

viandanti nel passato, e che ora percorreremo sino al Piano <strong>di</strong> Salto.<br />

La strada Pianel<strong>le</strong> nei pressi del Castel<strong>le</strong>tto<br />

Nel<strong>le</strong> pagine seguenti, il vallone Cannavaro<br />

50


Il castel<strong>le</strong>tto Parise<br />

Il termine “Gothic Revival” denomina quel movimento artistico che<br />

si sviluppò in tutta Europa verso la metà del <strong>di</strong>ciottesimo secolo, e<br />

che è sempre stato presente nella cultura della nostra società fino ad<br />

oggi. L’intento <strong>di</strong> questa tendenza era quello <strong>di</strong> richiamare alla memoria<br />

degli uomini l’epoca del gotico me<strong>di</strong>oeva<strong>le</strong>. Non si trattava<br />

semplicemente <strong>di</strong> una ricostruzione fede<strong>le</strong> dell’architettura <strong>di</strong> quel<br />

periodo, ma <strong>di</strong> una interpretazione ec<strong>le</strong>ttica concentrata soprattutto<br />

al concetto <strong>di</strong> ornamentazione degli e<strong>di</strong>fici per ricreare quell’atmosfera<br />

magica ed intrigante che è propria del mondo me<strong>di</strong>eva<strong>le</strong>. Forino<br />

si può definire sicuramente la “patria” del nuovo gotico in Irpinia,<br />

in quanto sono almeno tre <strong>le</strong> costruzioni che si riallacciano a questa<br />

53


54<br />

Sopra, il Castel<strong>le</strong>tto agli inizi del ’900; sotto intorno al 1970


tendenza stilistica: il Castel<strong>le</strong>tto dei Parise, la Chiesa dello Spirito Santo<br />

a Casa<strong>le</strong> Creta e il Palazzo Leoni, nel Casa<strong>le</strong> della Palazza. E’ uno dei<br />

luoghi meno conosciuti <strong>di</strong> Forino è senza dubbio il cosiddetto<br />

castel<strong>le</strong>tto dei Parise, ubicato nei pressi della frazione Celzi. In verità,<br />

il monumento ricade in una zona confinante con il comune <strong>di</strong><br />

Montoro Inferiore, e probabilmente appartiene quin<strong>di</strong> al territorio<br />

del comune della val<strong>le</strong> dell’Irno. C’è però l’assoluta certezza che i<br />

committenti del fabbricato e i proprietari del fondo, anche gli attuali,<br />

sono stati sempre forinesi. E’ raggiungibi<strong>le</strong> tramite una strada rura<strong>le</strong><br />

che si trova all’altezza <strong>di</strong> un deposito <strong>di</strong> materia<strong>le</strong> e<strong>di</strong><strong>le</strong>, precisamente<br />

nella zona interessata, qualche anno fa, dal passaggio del metanodotto.<br />

Il <strong>percorso</strong>, da seguire con prudenza visto lo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssesto della<br />

carrozzabi<strong>le</strong>, conduce in poco meno <strong>di</strong> cinque minuti <strong>di</strong> automobi<strong>le</strong><br />

in una vasta radura, dove il monumento faceva bella mostra <strong>di</strong> se.<br />

Infatti, come si può osservare dal<strong>le</strong> foto a corredo, ci viene mostrato<br />

il fabbricato quando ancora, ormai molti anni fa, non aveva subito <strong>le</strong><br />

solite ingiurie del tempo e degli uomini, in aggiunta all’incontrollato<br />

defluire del<strong>le</strong> acque piovane che lo hanno interrato sino alla sommità<br />

del porta<strong>le</strong> d’ingresso. Oltretutto la zona è <strong>di</strong>ventata la solita <strong>di</strong>scarica<br />

abusiva che si può incontrare in qualsiasi angolo nascosto del<strong>le</strong> montagne<br />

forinesi, e per questo dobbiamo ringraziare dapprima il nostro<br />

senso civico, che più passa il tempo e più <strong>di</strong>venta, al pari del<strong>le</strong> foto<br />

che mostriamo, un ricordo. In secondo luogo dobbiamo ringraziare<br />

chi, essendo demandato a questo compito, latita da ogni tipo <strong>di</strong> controllo.<br />

Il castello, che negli anni ’60 era già <strong>di</strong>sabitato da tempo, è<br />

servito nell’ultimo secolo sicuramente come deposito occasiona<strong>le</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>le</strong>gname. Sull’unica porta, <strong>di</strong> <strong>le</strong>gno era visibi<strong>le</strong> l’incisione <strong>di</strong> una data,<br />

1902, che potrebbe far supporre che intorno a quell’anno esso fosse<br />

55


abitato, anche se <strong>le</strong> foto non ci permettono <strong>di</strong> verificare l’atten<strong>di</strong>bilità<br />

della notizia. La data <strong>di</strong> costruzione del castel<strong>le</strong>tto, o perlomeno <strong>di</strong><br />

termine dei lavori, è il 1753, e questo si riscontrava nello stemma<br />

della famiglia Parise (tre corol<strong>le</strong> e una foglia in uno scudo sormontato<br />

da una corona) sulla chiave dell’arco <strong>di</strong> accesso. Stemma visibi<strong>le</strong> in<br />

loco almeno sino al 1983, per testimonianza visiva persona<strong>le</strong>, in quanto<br />

poi fu asportato, procurando danni anche all’arcata. La piccola conformazione<br />

del fabbricato ci <strong>di</strong>ce che esso doveva essere destinato<br />

all’uso per non più <strong>di</strong> cinque-sei persone, anche a vo<strong>le</strong>r considerare la<br />

non ampia cisterna reperita davanti alla cortina posteriore, ora interrata.<br />

Il piccolo castello, a pianta rettangolare, è <strong>di</strong>sposto sull’asse est-ovest<br />

ed ha quattro torri cilindriche angolari con interposte cortine murarie<br />

della stessa altezza, caratterizzate queste ultime alla sommità da<br />

merlature e da menso<strong>le</strong> sagomate continue. Le torri, che mostravano<br />

un breve basamento a scarpa, sono alte circa nove metri e si presentano<br />

coronate superiormente. La superficie esterna è aperta solo da<br />

fuciliere in corrispondenza del primo piano, mentre una cornice torica<br />

marcapiano si nota lungo <strong>le</strong> cortine perimetrali della fabbrica (misure<br />

massime m 11,50 x 9,20). Al centro della facciata principa<strong>le</strong>, esposta<br />

a nord, c’era il porta<strong>le</strong> ad arco bugnato a punta <strong>di</strong> <strong>di</strong>amante, al <strong>di</strong><br />

sopra del qua<strong>le</strong> si stendono tre grosse finestre orlate da arconi in<br />

blocchetti <strong>di</strong> tufo grigio. L’e<strong>di</strong>ficio internamente aveva un solo piano<br />

superiore con solai interme<strong>di</strong> e copertura a quattro pioventi. A ta<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>ganza, i committenti e i costruttori furono consapevoli <strong>di</strong> dover<br />

fornire almeno una parvenza <strong>di</strong> funzione <strong>di</strong>fensiva, e nel loro intento<br />

<strong>di</strong> salvare <strong>le</strong> apparenze, realizzarono <strong>le</strong> già citate fuciliere. Tuttavia, la<br />

relativa consistenza del<strong>le</strong> mura e il poco spazio interno al<strong>le</strong> torri, fecero<br />

sì che <strong>le</strong> fuciliere avessero poca profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> campo. In questo<br />

58


modo si obbligavano gli eventuali “asse<strong>di</strong>ati” al solo fuoco lungo e<br />

non angolare; come se fosse stato possibi<strong>le</strong> tenere a bada i ban<strong>di</strong>ti<br />

tagliateste del Settecento meri<strong>di</strong>ona<strong>le</strong> solo con frecce e pietre e non<br />

con piombo <strong>di</strong>rompente. Quin<strong>di</strong>, più che esempio <strong>di</strong> abitazione fortificata,<br />

ta<strong>le</strong> forma castellana era <strong>di</strong>venuta motivo <strong>di</strong> esercitazione<br />

stilistica, ad una moda architettonica del tempo, <strong>di</strong> concetto “gotico”.<br />

Attualmente il sito è in comp<strong>le</strong>to stato <strong>di</strong> abbandono. Nell’estate<br />

del 2005 risulta essere crollata parte della facciata dell’antico fabbricato.<br />

Ulteriore testimonianza <strong>di</strong> quanto sia posto in secondo piano,<br />

dai nostri contemporanei, il patrimonio storico <strong>di</strong> cui siamo in possesso.<br />

Pare proprio sia giunto il momento <strong>di</strong> rassegnarsi a non vedere<br />

mai più recuperato questo pezzo <strong>di</strong> storia <strong>forinese</strong>.<br />

Nel<strong>le</strong> pagine precedenti e nella successiva,<br />

vari particolari del Castel<strong>le</strong>tto ripresi tra il 2005 e il 2007<br />

59


La strada Cannavaro<br />

CAPITOLO VI<br />

Il perché questa strada venga così chiamata sinceramente lo si ignora.<br />

Di certo, come si <strong>le</strong>gge anche in scritti risa<strong>le</strong>nti al XIX secolo (ve<strong>di</strong> il<br />

paragrafo che descrive il <strong>percorso</strong> dell’acquedotto romano), il suo<br />

nome si perde nel tempo. Questa strada è a ridosso del monte Romola,<br />

e serviva, oltre che a raggiungere il piano <strong>di</strong> Salto, accorciando la<br />

<strong>di</strong>stanza dalla val<strong>le</strong> dell’Irno, ad accedere ai vari castagneti <strong>di</strong> proprietà<br />

privata posti al<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> del monte, rispetto alla nostra vista dalla<br />

val<strong>le</strong>. Il monte Romola, in entrambi i versanti, ricade nel comune <strong>di</strong><br />

Forino. Per essere precisi ricade interamente nel comune <strong>di</strong> Forino<br />

finché non si incontra il termine del vallone Cannavaro; questi segna<br />

il confine, come precedentemente detto, tra Forino e Montoro. A<br />

partire da questo punto, una generosa porzione del monte Romola<br />

ricade nel territorio del comune <strong>di</strong> Bracigliano, e quin<strong>di</strong> anche la strada,<br />

che prende il nome <strong>di</strong> via del<strong>le</strong> Neviere. I proprietari erano comunque<br />

preva<strong>le</strong>ntemente citta<strong>di</strong>ni forinesi, come si evince da una<br />

mappa della zona realizzata dall’ing. Girolamo Iacuzio, importante<br />

personaggio <strong>forinese</strong> vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e<br />

“padre” dell’aspetto attua<strong>le</strong> <strong>di</strong> Forino. Si accede alla strada seguendo<br />

un <strong>percorso</strong> in alcuni tratti pavimentato da pietre, <strong>le</strong> quali essendo<br />

molto <strong>le</strong>vigate e posizionate in modo regolare come fondo della carreggiata,<br />

ci suggeriscono come questo doveva essere il natura<strong>le</strong> proseguimento<br />

della appena abbandonata mulattiera della Laura. Il <strong>percorso</strong><br />

inizialmente è costeggiato, a entrambi i lati, da boschi <strong>di</strong> castagno,<br />

sia da taglio che da frutto. Proseguendo incontriamo sulla sini-<br />

61


62<br />

In queste pagine e nel<strong>le</strong> successive, la Strada Cannavaro


Qui sotto, cartina ottocentesca della zona<br />

63


Fotografia satellitare del vallone Cannavaro<br />

65


stra il vallone Cannavaro, che “sinistro” e profondo costeggia la strada.<br />

Non possiamo <strong>di</strong>re, però <strong>di</strong> trovarci tra una natura incontaminata,<br />

purtroppo. Evidenti sono alcuni cumuli <strong>di</strong> rifiuti che ci portano a<br />

considerare quanto può essere meschino e i<strong>di</strong>ota l’animo <strong>di</strong> determinate<br />

persone. Ma come? Seguire un <strong>percorso</strong> <strong>montano</strong> piuttosto <strong>di</strong>sagevo<strong>le</strong><br />

e pericoloso per abbandonare vetro, frigoriferi e quant’altro?<br />

Qualsiasi altra considerazione è inuti<strong>le</strong>, così come cercare <strong>di</strong> giustificare<br />

gli atti <strong>di</strong> questa gente. La strada, inerpicandosi ulteriormente<br />

sul costone <strong>di</strong> Romola, ad un certo punto è stretta da un lato dal<br />

vallone, che “fedelmente” continua a seguirla, e dall’altro da una<br />

massicciata rocciosa che inquietante incede sul<strong>le</strong> nostre teste. Grosse<br />

lucerto<strong>le</strong> campestri e, <strong>di</strong> tanto in tanto, grosse biscie si gettano veloce-<br />

In questa pagina e nella precedente, la casa del guar<strong>di</strong>ano della famiglia Iacuzio<br />

67


mente tra gli arbusti, <strong>di</strong>sturbate dal rumore dei passi e dal rotolare<br />

degli pneumatici della bici sul brecciolino. Si, perché per poter seguire<br />

l’intero <strong>percorso</strong> è necessario procedere a pie<strong>di</strong> o in bicic<strong>le</strong>tta. Sarebbe<br />

percorribi<strong>le</strong> anche in auto, preferibilmente con un fuoristrada, ma<br />

<strong>di</strong> tanto in tanto profon<strong>di</strong> solchi scavati dal<strong>le</strong> piogge suggeriscono prudenza<br />

anche ai piloti più spericolati. E questi solchi, in un tratto nel<br />

territorio <strong>di</strong> Bracigliano, risultano essere insuperabili. Nei suddetti tratti<br />

anche arrivandoci in bicic<strong>le</strong>tta è consigliabi<strong>le</strong> poi scendere e proseguire<br />

a pie<strong>di</strong>. E proseguendo, la pace e la tranquillità regnano sovrani. Si<br />

giunge così nei pressi <strong>di</strong> un fabbricato, che in un tempo oramai lontano<br />

era d’ospizio per una famiglia che sorvegliava <strong>le</strong> proprietà degli Iacuzio.<br />

<strong>Un</strong>a casa dotata dei comfort minimi necessari, bisogna <strong>di</strong>re! All’interno<br />

si scorge un camino. Nel lato posteriore una profonda cisterna e<br />

finanche una piccola neviera. Dai racconti <strong>di</strong> un nipote del guar<strong>di</strong>ano si<br />

può dedurre che il relativo isolamento o<strong>di</strong>erno dell’area non trovava<br />

lo stesso riscontro in passato. La strada era alquanto trafficata, e oltre i<br />

lavoratori <strong>di</strong> varia specie che la percorrevano, era preferita anche dai<br />

tanti malfattori che si davano facilmente alla macchia tra <strong>le</strong> montagne.<br />

Durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>a<strong>le</strong>, inoltre, era percorsa anche dai<br />

militari tedeschi e canadesi, che, in momenti <strong>di</strong>versi e seguendo <strong>le</strong> loro<br />

alterne fortune, in tal modo potevano muoversi ben mimetizzati e non<br />

farsi scorgere dagli aerei che avevano un campo d’atterraggio a<br />

Camposummo. Qui termina anche il vallone Cannavaro, e ci ritroviamo<br />

quin<strong>di</strong> a ridosso, oramai, del comune <strong>di</strong> Bracigliano, in provincia<br />

<strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno. Tra un po’ la strada Cannavaro verrà chiamata via del<strong>le</strong><br />

Neviere, e dopo un tratto <strong>di</strong> strada <strong>di</strong> nuovo tra boschi su entrambi i<br />

lati, giungeremo sul Piano <strong>di</strong> Salto.<br />

68


Due particolari del fabbricato dei guar<strong>di</strong>ani della famiglia Iacuzio<br />

69


70<br />

La Strada Cannavaro nel Comune <strong>di</strong> Bracigliano


Monte Romola<br />

(a cura <strong>di</strong> Lucio D’Amore)<br />

L’oronimo Romola, è la migliore testimonianza della romanità <strong>di</strong> Forino,<br />

peraltro già insita nel suo stesso nome, che deriva dal latino Forum.<br />

La presenza romana a Forino risa<strong>le</strong> all’espansione <strong>di</strong> Roma in<br />

Campania, verso la metà del IV secolo a.C., con l’inizio del<strong>le</strong> guerre<br />

sannitiche, il cui esito portò alla gradua<strong>le</strong> occupazione <strong>di</strong> tutta la regione,<br />

sia costiera sia interna, e alla creazione <strong>di</strong> numerose colonie.<br />

Le popolazioni campane accolsero il nuovo or<strong>di</strong>ne creato da Roma e<br />

avutane la citta<strong>di</strong>nanza subirono un profondo processo <strong>di</strong><br />

romanizzazione, che portò in breve alla comp<strong>le</strong>ta assimilazione e alla<br />

Il monte Romola visto dal monte Esca; al<strong>le</strong> spal<strong>le</strong>, il monte Salto<br />

71


formazione <strong>di</strong> una cultura comune. Quando, in occasione della seconda<br />

guerra punica (III secolo a.C.) e della guerra socia<strong>le</strong> (I secolo<br />

a.C.), alcune colonie insorsero contro Roma, Forino - che allora doveva<br />

essere un piccolo villaggio rura<strong>le</strong> - restò fede<strong>le</strong> all’al<strong>le</strong>anza con<br />

i Romani. Nella ripartizione augustea dell’Italia (anno 7 a.C.), il territorio<br />

<strong>di</strong> Forino – che faceva parte dell’ager romanus publicus – venne<br />

incluso nella Regio I Latium et Campania, delimitata a nord dall’Aniene<br />

e dal Tevere, a sud dalla foce del Se<strong>le</strong> e ad est dalla catena degli Appennini.<br />

Il termine Romola ha già nella sua stessa ra<strong>di</strong>ce il nome ‘Roma’,<br />

con l’aggiunta del suffisso <strong>di</strong>minutivo -olus, -a, che sembra essere<br />

stato quasi attribuito con affetto e riconoscenza, in segno dell’antica<br />

fedeltà a Roma <strong>di</strong> tutto un territorio e del<strong>le</strong> <strong>sue</strong> genti. Il toponimo<br />

Sub Romola – <strong>le</strong>tteralmente ‘Sotto Romola’ - appare già nella Tabula<br />

Peutingeriana, una mappa del mondo antico conservata nel Museo<br />

Naziona<strong>le</strong> <strong>di</strong> Vienna. Si tratta <strong>di</strong> un rotolo <strong>di</strong> pergamena – lungo m.<br />

6,82 e alto cm. 34 – <strong>di</strong>pinto verso il 1200, ma che si rifà ad un origina<strong>le</strong><br />

del II-III secolo, che rappresenta in 12 segmenti il mondo abitato,<br />

dalla Spagna all’In<strong>di</strong>a, con un forte stiramento in senso longitu<strong>di</strong>na<strong>le</strong>.<br />

Le città importanti e i centri <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza, in<strong>di</strong>cati da <strong>di</strong>dascalie,<br />

sono <strong>di</strong>versamente simbo<strong>le</strong>ggiati: con torri, mura, case o piccoli e<strong>di</strong>fici.<br />

Gli altri e<strong>le</strong>menti del paesaggio, come monti, fiumi, laghi sono<br />

tracciati in modo convenziona<strong>le</strong> e non sempre rispettano la loro rea<strong>le</strong><br />

posizione: infatti, anche Sub Romola appare <strong>le</strong>ggermente più in alto,<br />

tra Aquilonia ed Eclano.<br />

72


Piano Salto e <strong>le</strong> neviere<br />

CAPITOLO VII<br />

Questo breve tratto nel comune <strong>di</strong> Bracigliano ci introduce sul piano<br />

<strong>di</strong> Salto. Questa località prende il nome dall’attigua montagna, che<br />

domina la val<strong>le</strong> dell’Irno e la conca <strong>di</strong> Bracigliano. Antico feudo dei<br />

signori <strong>di</strong> Bracigliano la piana era destinata, in passato, al pascolo <strong>di</strong><br />

armenti e greggi. Aprendo una parentesi, una <strong>storie</strong>lla d’altri tempi ci<br />

narra che gli al<strong>le</strong>vamenti <strong>di</strong> tori dei mandriani forinesi, braciglianesi e<br />

quin<strong>di</strong>cesi erano posti, invece, a Camposummo, e visto l’isolamento<br />

della zona, ci pare che fosse stata una scelta appropriata! Il piano ricade,<br />

per la maggior parte della sua estensione, nel comune <strong>di</strong> Bracigliano.<br />

Nella parte sa<strong>le</strong>rnitana del piano vi sono molte costruzioni, anche abitate.<br />

Ampiamente destinata alla coltivazione agricola, sono numerose<br />

<strong>le</strong> piante <strong>di</strong> ciliegio messe a <strong>di</strong>mora. La minima parte <strong>di</strong> piano che ricade<br />

sotto il comune <strong>di</strong> Forino è quella che va poi a formare il Poggio<br />

Tirone, una sella collinare che unisce il piano dove terminano il monte<br />

Salto e il Monte Romola con il monte Piana, altra estesa montagna<br />

<strong>forinese</strong>. La caratteristica della parte <strong>forinese</strong> è l’ampia forestazione.<br />

<strong>Un</strong>a fascia <strong>di</strong> circa 15.000 metri quadri <strong>di</strong> conifere <strong>di</strong>vide il piano coltivato<br />

dal bosco ceduo. Questa pineta nacque nella metà degli anni ’50<br />

del Novecento, quando gli amministratori forinesi, per far fronte a un<br />

cancro della corteccia del castagno che colpì quella zona, or<strong>di</strong>narono<br />

la messa a <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> abeti e pini. <strong>Un</strong>a pineta che se fosse solo abbandonata<br />

a se stessa non sarebbe un ma<strong>le</strong>; invasa dall’immon<strong>di</strong>zia e da<br />

“inse<strong>di</strong>amenti stabili” <strong>di</strong> pastori che vi stazionano con il proprio gregge,<br />

ne rendono la frequentazione rischiosa non solo sotto l’aspetto igie-<br />

73


74<br />

Fotografia satellitare del Piano <strong>di</strong> Salto


Il Piano <strong>di</strong> Salto e il monte Romola; evidente la pineta<br />

nico-sanitario per i parassiti che gli ovini lasciano nella zona, ma anche<br />

pericolosa per la presenza <strong>di</strong> cani da guar<strong>di</strong>a che vi scorazzano incusto<strong>di</strong>ti.<br />

E in quella pineta è conservato un tesoro; un tesoro <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni<br />

e usanze che oramai sembrano <strong>di</strong>menticate. Dagli storici braciglianesi<br />

il piano viene ricordato soprattutto per un’attività che veniva svolta<br />

dalla popolazione loca<strong>le</strong>, cioè quella dei nevieri. Stranamente, però, <strong>le</strong><br />

uniche neviere conservate sul piano insistono nell’area demania<strong>le</strong> del<br />

comune <strong>di</strong> Forino. E oltretutto si tratta <strong>di</strong> costruzioni imponenti, che<br />

coprono un’ampia area della pineta. <strong>Un</strong> tesoro non compreso sia dai<br />

forinesi che dal<strong>le</strong> amministrazioni che si sono succedute nel tempo. Per<br />

esse sono stati comp<strong>le</strong>tamente assenti interventi <strong>di</strong> tutela e manutenzione,<br />

ed è un vero peccato constatare l’abbandono <strong>di</strong> un’area che,<br />

75


76<br />

Costruzioni lungo la via del<strong>le</strong> Neviere, comune <strong>di</strong> Bracigliano


considerata l’esigua presenza nel territorio campano <strong>di</strong> questi manufatti,<br />

sarebbe da salvaguardare ad ogni costo. Quando nel secondo dopoguerra<br />

il piccolo Biagio passava per la zona, <strong>le</strong> neviere erano ancora<br />

utilizzate. Probabilmente quando transitava nella zona albeggiava. E<br />

più <strong>di</strong> tanto non poteva rimanere ad osservare, a meno che non fosse<br />

stata prevista proprio da quel<strong>le</strong> parti una breve sosta.<br />

Le neviere <strong>di</strong> Forino<br />

77


Le neviere <strong>di</strong> Piano Salto<br />

Da sempre l’uomo ha avuto l’esigenza <strong>di</strong> trovare refrigerio, specie<br />

durante la stagione estiva, attraverso l’assunzione <strong>di</strong> cibi e bevande<br />

fredde. Oggi la tecnologia consente la produzione del ghiaccio artificia<strong>le</strong><br />

in ogni casa, con frigoriferi e congelatori, ma non sempre è stato<br />

così. In passato l’uomo, per poter godere del privi<strong>le</strong>gio <strong>di</strong> avere bevande<br />

e cibi fred<strong>di</strong> durante i mesi torri<strong>di</strong>, si ingegnò utilizzando ciò<br />

che la natura gli metteva a <strong>di</strong>sposizione: la neve. Questo prodotto,<br />

formato da microscopici cristalli <strong>di</strong> varie forme più o meno regolari,<br />

<strong>di</strong> acqua soli<strong>di</strong>ficata, spesso uniti in falde o fiocchi, si forma quando<br />

la temperatura dell’aria è inferiore a 0° C. Essa, in passato, era merce<br />

preziosa ed un’abbondante nevicata era considerata una bene<strong>di</strong>zione.<br />

Con ogni mezzo l’uomo cercò <strong>di</strong> utilizzare questo prezioso genere<br />

anche quando madre natura non lo forniva, ossia durante la stagione<br />

estiva. Nei paesi a clima temperato, l’utilizzo della neve era con<strong>sue</strong>tu<strong>di</strong>ne<br />

sia per l’uso alimentare sia per quello me<strong>di</strong>co: serviva per<br />

preparare sorbetti e bevande, per conservare i cibi, come riserva <strong>di</strong><br />

acqua potabi<strong>le</strong> per i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> siccità, ma era usata anche per curare<br />

febbri, ascessi e contusioni. La neve veniva raccolta in luoghi esposti<br />

a nord, freschi ed umi<strong>di</strong>, quali sotterranei, grotte, scantinati e fosse<br />

oppure in costruzioni apposite, chiamate neviere. Esse assunsero forme<br />

e tipologie <strong>di</strong>verse in funzione della zona geografica in cui si trovavano<br />

ed a seconda del<strong>le</strong> necessità locali. In talune zone<br />

dell’Appennino, <strong>le</strong> neviere erano del<strong>le</strong> semplici buche nel terreno,<br />

pressoché circolari, con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 5-10 m. e profonde altrettanto,<br />

con pareti <strong>di</strong> rivestimento in pietra in cui veniva conservato il ghiaccio.<br />

In altre zone, specie nell’arco alpino ma anche in molte zone<br />

78


appenniniche, erano del<strong>le</strong> vere e proprie costruzioni in muratura, con<br />

il tetto a due e a quattro falde, senza finestre e con la sola porta <strong>di</strong><br />

accesso. Quando la profon<strong>di</strong>tà della neviera lo consentiva, si formavano<br />

più strati <strong>di</strong> neve intervallati da strati <strong>di</strong> frasche e foglie secche,<br />

che avevano funzione isolante. Questo sistema consentiva <strong>di</strong> mantenere<br />

freddo lo strato più profondo, anche quando si estraeva la neve<br />

dagli strati più superficiali. Per il trasporto della neve nei luoghi <strong>di</strong><br />

utilizzo erano adottati vari sistemi: talvolta sul dorso <strong>di</strong> muli, altre<br />

volte, quando <strong>le</strong> vie lo consentivano, in carretti o slitte. Anche a Forino<br />

esistevano <strong>le</strong> neviere. Alcune erano ubicate nel<strong>le</strong> campagne: erano<br />

generalmente appoggiate, con la parte posteriore, a una costa del terreno<br />

ed erano costruite con del<strong>le</strong> pietre; altre erano invece in alcune<br />

cantine dei palazzi forinesi più importanti, ed erano scavate a pozzo.<br />

79


Ma quel<strong>le</strong> più importanti e maestose sono quel<strong>le</strong> poste nella zona <strong>di</strong><br />

Piano Salto, quella che ora è la pineta a confine con il comune <strong>di</strong><br />

Bracigliano, ma che sino agli anni ’50 del secolo scorso era semplicemente<br />

la continuazione del piano che ancora è visibi<strong>le</strong> dalla parte del<br />

comune limitrofo. Nonostante <strong>le</strong> neviere si trovassero nel territorio<br />

comuna<strong>le</strong> <strong>forinese</strong>, la gestione <strong>di</strong> esse è sempre stata prerogativa dei<br />

commercianti braciglianesi. Le gran<strong>di</strong> neviere forinesi erano, molto<br />

probabilmente, <strong>di</strong> proprietà dei Principi Caracciolo (il terreno dove<br />

sono posizionate era compreso nei loro beni), i quali <strong>le</strong> concedevano<br />

in affitto ai nostri vicini, forse perché più in contatto con i riven<strong>di</strong>tori<br />

della zona del sa<strong>le</strong>rnitano. Tra e curiosità della ricerca emerge che<br />

ancora oggi nella città <strong>di</strong> Sa<strong>le</strong>rno esiste il “Vicolo della Neve”, dove i<br />

commercianti braciglianesi, intorno al 1860, avevano un deposito <strong>di</strong><br />

blocchi <strong>di</strong> ghiaccio, da <strong>di</strong>stribuire in città. Ad Avellino, invece, ve ne è<br />

rimasta solo la memoria, ma approfon<strong>di</strong>remo in seguito. <strong>Un</strong>’altra curiosità<br />

che ci aiuta a comprendere <strong>di</strong> chi fosse la proprietà del<strong>le</strong> neviere<br />

è data dalla presenza, nella cappella privata dei Caracciolo, nel palazzo<br />

omonimo, <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto de<strong>di</strong>cato alla Madonna della Neve, protettrice<br />

<strong>di</strong> questo prodotto. Le neviere <strong>di</strong> Piano Salto avevano l’ingresso<br />

rivolto verso Nord, per ridurre l’irraggiamento solare <strong>di</strong>retto<br />

verso l’interno. Anche la porta d’ingresso era schermata da una fitta<br />

copertura <strong>di</strong> frasche. Esse avevano, inoltre, una o due aperture laterali<br />

murate o chiuse con porte <strong>di</strong> <strong>le</strong>gno che servivano per pre<strong>le</strong>vare il<br />

ghiaccio mentre la neve veniva infilata dalla bocca posta alla sommità<br />

della volta. Sul fondo, all’interno, si deponevano del<strong>le</strong> fascine il cui<br />

scopo era quello <strong>di</strong> e<strong>vita</strong>re che <strong>le</strong> neve venisse a contatto con il suolo<br />

e potesse sciogliersi o inquinarsi. La neve raccolta veniva immessa<br />

nella neviera dall’apertura sulla volta mentre <strong>le</strong> porte laterali restava-<br />

80


no chiuse sino al prelievo del ghiaccio. Le fascine isolavano la neve<br />

dal fondo sul qua<strong>le</strong>, con semplici artifici idrici, si cercava <strong>di</strong> far fuoriuscire<br />

l’acqua che <strong>le</strong>ntamente ivi si accumulava. La neve veniva compressa<br />

affinché la neviera potesse contenerne gran<strong>di</strong> quantità. Il commercio<br />

del prodotto era destinato soprattutto all’esportazione, verso<br />

Sa<strong>le</strong>rno e zone limitrofe. Per meglio regolamentare i traffici commerciali<br />

della neve furono varate del<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi apposite che regolavano, attraverso<br />

una serie <strong>di</strong> norme e con<strong>sue</strong>tu<strong>di</strong>ni, la fornitura e la ven<strong>di</strong>ta<br />

del prodotto. Fu quin<strong>di</strong> istituita la gabella della neve: un unico<br />

appaltatore aveva l’esclusiva della ven<strong>di</strong>ta della neve, egli però era<br />

obbligato a fornirla al<strong>le</strong> città a prescindere dal<strong>le</strong> con<strong>di</strong>zioni climatiche.<br />

Il prodotto, consolidato in ghiaccio, era tagliato in blocchi e trasportato<br />

dagli appaltatori verso i comuni acquirenti per essere desti-<br />

81


nato alla ven<strong>di</strong>ta al minuto. La neve venduta era <strong>di</strong> due tipi: quella<br />

bianca, per uso alimentare e me<strong>di</strong>co, e quella grezza o nera destinata<br />

ad altri usi. Il prezzo variava a seconda della provenienza, e solitamente<br />

il prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta era comprensivo della gabella che<br />

l’appaltatore doveva versare al proprietario. In tempi <strong>di</strong> povertà <strong>di</strong>ffusa,<br />

anche l’attività intorno al<strong>le</strong> neviere era molto intensa. Durante<br />

l’inverno, uomini e donne, si portavano sul Piano Salto, dove i gestori<br />

del<strong>le</strong> neviere erano soliti assumere una squadra formata da <strong>di</strong>eci o<br />

quin<strong>di</strong>ci operai che, muniti <strong>di</strong> pa<strong>le</strong>, dopo aver eliminato lo strato superficia<strong>le</strong><br />

<strong>di</strong> neve, la caricavano sui traìni e la trasportavano nei depositi<br />

per la conservazione. La neviera, era stata pulita in precedenza e,<br />

sul fondo, era stato depositato uno strato <strong>di</strong> paglia. Al suo interno<br />

operavano gli insaccaneve che calzavano sopra <strong>le</strong> scarpe e pantaloni<br />

dei sacchi <strong>di</strong> canapa <strong>le</strong>gati all’altezza del<strong>le</strong> cosce per e<strong>vita</strong>re <strong>di</strong> sporcare<br />

il prodotto durante il lavoro. Questi erano muniti <strong>di</strong> appositi attrezzi<br />

<strong>di</strong> <strong>le</strong>gno detti paravisi aventi una forma rettangolare, con uno<br />

spessore <strong>di</strong> circa 40 cm., una larghezza <strong>di</strong> 30 cm. ed una lunghezza <strong>di</strong><br />

50 cm., molto pesanti con un manico alto circa un metro infisso al<br />

centro, cominciavano a comprimere la neve depositata; dopo il primo<br />

strato alto circa 40 o 50 cm., nella parte latera<strong>le</strong> del<strong>le</strong> pareti veniva<br />

deposta la paglia per isolare il prodotto dalla terra. Dopo aver messo<br />

<strong>di</strong> lato la paglia per gli altri strati successivi si riempiva la neviera fino<br />

al raggiungimento del bordo superiore. Qui l’ultimo strato <strong>di</strong> paglia<br />

era più abbondante. Infine, si ponevano molti sacchi <strong>di</strong> canapa, uno<br />

strato <strong>di</strong> terra, del<strong>le</strong> tavo<strong>le</strong> pesanti che premevano sulla neve sottostante<br />

coperte da ampi teloni si sovrapponevano <strong>le</strong> ramaglie <strong>di</strong> ginestre che<br />

fungevano da camera d’aria: il tutto era ricoperto da altre tavo<strong>le</strong>. Per<br />

e<strong>vita</strong>re lo scioglimento del prodotto durante il trasporto si era soliti<br />

82


deporre la neve in sacchi <strong>di</strong> canapa contenenti paglia pulita, si caricavano<br />

sugli asini o sui carretti e si procedeva alla consegna per la ven<strong>di</strong>ta<br />

al minuto. Il compito del<strong>le</strong> donne, solitamente, era invece quello<br />

<strong>di</strong> raccogliere fascine <strong>di</strong> ginestre, da utilizzare, come precedentemente<br />

detto, come pavimentazione del<strong>le</strong> neviere. Prima dell’arrivo della<br />

primavera, dal<strong>le</strong> zone <strong>di</strong> raccolta, la neve veniva trasportata con i traini<br />

nei depositi <strong>di</strong> destinazione. Le neviere furono attive, a pieno regime,<br />

sino intorno al 1920, quando furono avviati, nel<strong>le</strong> nostre zone, i<br />

primi impianti per la produzione industria<strong>le</strong> del ghiaccio. Poi il loro<br />

utilizzo andò scemando, tant’è che dall’inizio degli anni ’50 del secolo<br />

scorso non furono più utilizzate. Oramai, in alcune case, era arrivata<br />

l’era del frigorifero. Si conclude così un lungo periodo <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni e<br />

folclore, che lascia spazio solo ai ricor<strong>di</strong>.<br />

‘O vico da neve <strong>di</strong> Avellino<br />

(a cura <strong>di</strong> Pasqua<strong>le</strong> Matarazzo)<br />

Quando piazza Amendola (ex piazza Centra<strong>le</strong>) pullulava <strong>di</strong> <strong>vita</strong> grazie<br />

al cinema Umberto, anche via Nappi rappresentava un luogo <strong>di</strong><br />

passeggio e <strong>di</strong> aggregazione. Prima <strong>di</strong> giungere a piazza Amendola,<br />

sul lato destro <strong>di</strong> via Nappi, scendendo da piazza Libertà, alcuni vicoli<br />

immettevano su piazza del Popolo. <strong>Un</strong>o <strong>di</strong> questi, il più conosciuto,<br />

era “’O Vico ‘a neve”. Ho potuto constatare che quelli della<br />

mia generazione non conoscono la storia <strong>di</strong> questo vicolo e il nome<br />

caratteristico che lo identifica. Molti infatti, asseriscono si chiami così<br />

a causa della copiosa neve che negli anni ricopriva Avellino e quin<strong>di</strong><br />

si era deciso <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care un vicolo all’evento. I racconti dei nonni<br />

83


servono a qualcosa, e io ho conservato nella memoria quelli <strong>di</strong> mio<br />

nonno, che rappresentano uno scrigno <strong>di</strong> tesori e allo stesso tempo<br />

un attaccamento al<strong>le</strong> ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un luogo pieno <strong>di</strong> <strong>storie</strong> e sentimenti,<br />

che se non fossero trasmessi rischierebbero <strong>di</strong> perdersi e con essi<br />

l’identità <strong>di</strong> un luogo. Il vicolo era detto della neve perché si tramandava,<br />

nella zona, la presenza <strong>di</strong> una nevera, dove era ammassata la<br />

neve. Vista la natura del luogo, il vicolo più fresco <strong>di</strong> Avellino, dove<br />

non entrava mai un raggio <strong>di</strong> so<strong>le</strong>, la neve si trasformava in ghiaccio<br />

con opportuni accorgimenti. Coperta <strong>di</strong> foglie e sacchi, si poteva conservarla,<br />

senza sciogliersi, per lunghi perio<strong>di</strong>. Le nevere sorgevano<br />

numerose nei paesi limitrofi e in epoche in cui non esistevano frigoriferi,<br />

rappresentavano l’ unica possibilità <strong>di</strong> ottenere, nei perio<strong>di</strong> cal<strong>di</strong>,<br />

bevande o cibi fred<strong>di</strong> o <strong>di</strong> poter refrigerare e quin<strong>di</strong> conservare<br />

più a lungo cibi deperibili. I caffè <strong>di</strong> piazza Libertà preparavano sorbetti<br />

e granite meravigliosi (Caffè Roma, Centra<strong>le</strong>, Margherita) grazie<br />

alla fornitura costante <strong>di</strong> ghiaccio che veniva consegnato con carretti<br />

trainati da cavalli. <strong>Un</strong>o dei trasportatori <strong>di</strong> ghiaccio più conosciuti ad<br />

Avellino era Mariniello, personaggio caratteristico per il suo modo<br />

particolare <strong>di</strong> vestire, pantaloni alla zuava e camicia a quadri, anche<br />

d’inverno. Ricordo ancora, negli anni ‘70, la sua presenza imponente<br />

in piazza Libertà. Gli mancava sicuramente il suo carretto cancellato<br />

dal progresso che, in una scatola <strong>di</strong> latta, aveva rinchiuso tutta una<br />

poesia e un modo <strong>di</strong> vivere. Oggi il vicolo non esiste più, la ricostruzione<br />

del dopo terremoto ha visto la nascita <strong>di</strong> un palazzo con porticato<br />

soprae<strong>le</strong>vato che si raggiunge attraverso del<strong>le</strong> sca<strong>le</strong>, sulla sommità<br />

del<strong>le</strong> quali, ad ogni ingresso dei palazzi, è stato conservato fortunatamente<br />

il toponimo del luogo, come si <strong>le</strong>gge da una iscrizione<br />

su mattonella attaccata al muro. Sarebbe più giusto all’ingresso del<br />

84


vicolo, in via Nappi, apporre una targa in modo che tutti la possano<br />

vedere. La memoria è salva e con essa questa piccola storia <strong>di</strong> un<br />

mondo e <strong>di</strong> un luogo dove un tempo venivano a contatto la civiltà<br />

conta<strong>di</strong>na e il tessuto commercia<strong>le</strong>. Insieme formavano quella società<br />

civi<strong>le</strong> in cui erano forti i valori identitari e solidali che oggi, purtroppo,<br />

venendo a mancare i luoghi <strong>di</strong> aggregazione, si stanno man<br />

mano perdendo. Insieme alla memoria che, con <strong>di</strong>fficoltà, cerchiamo<br />

<strong>di</strong> recuperare, perché troppo protesi a guardare avanti, <strong>di</strong>menticandoci<br />

che lo stu<strong>di</strong>o e la conoscenza del passato serve a vivere il presente<br />

ed a migliorare il futuro.<br />

Poggio Tirone<br />

(a cura <strong>di</strong> Lucio D’Amore)<br />

Il termine Tirone deriva dal latino tiro -onis, che era il nome che si dava<br />

alla recluta nell’esercito romano, cioè prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un vero e<br />

proprio soldato, un mi<strong>le</strong>s. La con<strong>di</strong>zione della recluta era detta tirocinium,<br />

da cui il vocabolo italiano ‘tirocinio’. Evidentemente, per <strong>le</strong> considerazioni<br />

fatte in precedenza, il territorio dell’altopiano <strong>di</strong> Poggio Tirone<br />

e probabilmente anche l’attiguo Bosco Piana (m.980) erano stati<br />

prescelti quali campi <strong>di</strong> addestramento per i soldati <strong>di</strong> Roma. L’obbligo<br />

del servizio militare nell’esercito romano iniziava a 17 anni: i giovani<br />

erano soggetti ad un addestramento continuo, quando non erano<br />

impegnati <strong>di</strong>rettamente nei combattimenti. Mentre i veteranes - i<br />

soldati più esperti che avevano già partecipato ad azioni belliche -<br />

dovevano esercitarsi almeno una volta al giorno, i tirones erano obbligati<br />

a due esercitazioni quoti<strong>di</strong>ane, la mattina e il pomeriggio. Vegezio<br />

85


86<br />

Fotografia satellitare del monte Piana


(IV-V secolo), l’autore dell’Epitoma rei militaris, fornisce una descrizione<br />

dettagliata del<strong>le</strong> esercitazioni dei soldati romani. Esse consistevano<br />

nel maneggiare con destrezza <strong>le</strong> armi, manovrare <strong>le</strong> macchine<br />

da guerra, fare movimenti tattici, resistere a sforzi e fatiche, allo scopo<br />

<strong>di</strong> temprare il corpo e lo spirito. Tra gli esercizi dei tirones figuravano<br />

<strong>le</strong> marce, <strong>le</strong> corse, il salto, il nuoto, l’esercitarsi con spada e scudo,<br />

il colpire <strong>di</strong> punta e non <strong>di</strong> taglio, il maneggiare <strong>le</strong> armi, lanciare aste<br />

e giavellotti, tirare d’arco, usare la fionda, scagliare pal<strong>le</strong> <strong>di</strong> piombo,<br />

montare a cavallo, portare pesi, fortificare l’accampamento e formare<br />

la linea <strong>di</strong> battaglia.<br />

I tirones erano se<strong>le</strong>zionati in base al paese d’origine, all’età , alla statura,<br />

all’aspetto, alla loro occupazione, nonché al loro status <strong>di</strong> abitanti<br />

nel<strong>le</strong> città o nei borghi rurali. In età imperia<strong>le</strong> si usava anche impri-<br />

Il Poggio Tirone<br />

87


mere al giovane abi<strong>le</strong> alla milizia une specie <strong>di</strong> marchio sul braccio o<br />

sulla mano (stigmata, puncta signorum), forse il nome dell’Imperatore o<br />

della Legione <strong>di</strong> appartenenza.<br />

La Caserma della Brigata Foresta<strong>le</strong><br />

88


CAPITOLO VIII<br />

Verso il Vallone Pietrarara,<br />

attraversando il Monte Piana<br />

Proseguiamo, e incontriamo la strada provincia<strong>le</strong> che conduce a<br />

Bracigliano, che taglia in due la pineta. <strong>Un</strong>a vecchia guida del Touring<br />

Club d’Italia, relativa al 1903, ci in<strong>di</strong>ca la presenza, nei paraggi, <strong>di</strong> una<br />

serie <strong>di</strong> pozzi d’acqua buona e osteria <strong>di</strong> poca importanza. Insistevano sicuramente<br />

nella parte braciglianese del piano, in quanto non ci risulta<br />

niente relativamente a Forino. Sul ciglio della strada notiamo comunque<br />

un’altro fabbricato in evidente stato <strong>di</strong> abbandono, e <strong>di</strong> cui ben<br />

conosciamo notizie in proposito. <strong>Un</strong> fabbricato auspicato e voluto a<br />

tutti i costi dai forinesi del XIX-XX secolo, la Caserma Tirone, che fu<br />

sede della Brigata Foresta<strong>le</strong> comuna<strong>le</strong>. Venne deliberata la sua costruzione<br />

nel 1889, ma solo negli anni ’10 del Novecento vennero<br />

avviati i lavori per la sua realizzazione. Notizie in proposito ne troviamo<br />

<strong>le</strong>ggendo la relazione del commissario straor<strong>di</strong>nario del Comune<br />

<strong>di</strong> Forino, Cavaliere Aurelio Morelli, datata 8 novembre 1920. Appren<strong>di</strong>amo<br />

che i lavori <strong>di</strong> comp<strong>le</strong>tamento della casa <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a dei<br />

boschi a Piano Salto furono aggiu<strong>di</strong>cati in appalto sin dal 1916, al sig.<br />

Antonio Esposito. Evidentemente era stato prevista la realizzazione<br />

dei soli vani terranei, poichè la soprae<strong>le</strong>vazione del fabbricato fu imposta<br />

dal Regio Ufficio Foresta<strong>le</strong>. Nel raccontare questi fatti, i cronisti<br />

dell’epoca, così come il Vespucci, furono tratti in inganno nell’in<strong>di</strong>care<br />

come data <strong>di</strong> comp<strong>le</strong>tamento il 1915, forse perché appunto<br />

non era ancora intervenuto l’Ufficio Foresta<strong>le</strong>. Ancora, esiste una<br />

delibera per il saldo del<strong>le</strong> competenze all’ing. Iacuzio, per i lavori <strong>di</strong><br />

89


progettazione <strong>di</strong> detta casa, datata 27 <strong>di</strong>cembre 1917, quin<strong>di</strong> posteriore<br />

all’appalto. I lavori non vennero neppure iniziati, in quanto l’Esposito<br />

venne richiamato al<strong>le</strong> armi per la I Guerra Mon<strong>di</strong>a<strong>le</strong>. Nonostante i lavori<br />

avessero il carattere dell’urgenza, poiché senza il secondo piano il<br />

fabbricato rimaneva praticamente inutilizzabi<strong>le</strong>, soltanto nel 1920 il<br />

vincitore dell’appalto potè onorare gli impegni presi. L’assegnazione<br />

dei lavori fu riba<strong>di</strong>ta dal<strong>le</strong> deliberazioni del 21 maggio e del 2 agosto<br />

1920, i lavori furono eseguiti e consegnati entro la fine del 1921. Questa<br />

è la semplice storia <strong>di</strong> uno dei tanti luoghi della memoria <strong>forinese</strong><br />

abbandonato a se stesso. Recentemente sono stati asportati,<br />

fraudo<strong>le</strong>ntemente, i suoi modesti portali in pietra, e questo sta acce<strong>le</strong>rando<br />

il suo deca<strong>di</strong>mento struttura<strong>le</strong>. La presenza <strong>di</strong> questo fabbricato<br />

La Caserma senza i portali, asportati<br />

90


ci induce rif<strong>le</strong>ssioni sul grado <strong>di</strong> progresso, derivante da un certo benessere<br />

economico, che raggiunse Forino negli anni precedenti alla prima<br />

Grande Guerra. L’estesa area demania<strong>le</strong> boschiva, e <strong>le</strong> relative entrate<br />

per lo sfruttamento del<strong>le</strong> stesse, permettevano ai nostri amministratori<br />

<strong>di</strong> essere all’avanguar<strong>di</strong>a nei servizi verso il citta<strong>di</strong>no. Forino<br />

era uno dei pochi paesi irpini che si poteva permettere il lusso <strong>di</strong> avere<br />

un ospeda<strong>le</strong> (ubicato nel Palazzo Rossi) e un assistenza me<strong>di</strong>ca comuna<strong>le</strong><br />

affidata a due me<strong>di</strong>ci e due <strong>le</strong>vatrici. L’istruzione era curata, e<br />

finanche si procedette alla costruzione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici scolastici appositi (oltre<br />

il palazzo <strong>di</strong> Via Marconi, anche il cronologicamente precedente<br />

Municipio nacque come sede scolastica). Anche la cura del paesaggio<br />

urbano era <strong>di</strong> primaria importanza: in quest’epoca avvenne il<br />

risanamento <strong>di</strong> molte aree centrali del paese e del<strong>le</strong> strade che circondavano<br />

il centro abitato. Ad<strong>di</strong>rittura venne fondata una banca, per venire<br />

incontro al<strong>le</strong> necessità degli artigiani e degli agricoltori. E’ triste<br />

notare come oggi il nostro paese sia in uno stato <strong>di</strong> abbandono, sia<br />

nel<strong>le</strong> <strong>sue</strong> periferie che nel centro. Accompagnati da questi pensieri ci<br />

inoltriamo nel sentiero che ci condurrà verso il monte Piana, e quin<strong>di</strong><br />

verso la nostra meta. Da questo punto, ad opera della comunità montana<br />

serinese-solofrana, sono stati posti dei cartelli che ci segnalano <strong>le</strong><br />

<strong>di</strong>stanze che ci separano dal raggiungimento del<strong>le</strong> sorgenti del<strong>le</strong> Grotte,<br />

circa due km. Più che un sentiero, ora è una comoda carrozzabi<strong>le</strong> che,<br />

seppure sterrata, è percorribi<strong>le</strong> interamente in automobi<strong>le</strong>. Non con<br />

una limousine, ovviamente! Il tracciato o<strong>di</strong>erno probabilmente deriva<br />

dai lavori approvati nel 1902 ed eseguiti sotto la <strong>di</strong>rezione dell’ing.<br />

Iacuzio. Venne consolidata la massicciata e vennero realizzati piccoli<br />

ponticelli per il deflusso del<strong>le</strong> acque piovane. La strada segue la<br />

sottostante interprovincia<strong>le</strong> Forino-Bracigliano, deviando però il suo<br />

91


In questa pagina e nella precedente, l’area pic-nic<br />

93


96<br />

Nel<strong>le</strong> pagine precedenti e sopra, vari particolari del <strong>percorso</strong>;<br />

sotto, il vallone Pietrarara


<strong>percorso</strong> verso il Vallo <strong>di</strong> Lauro. Il primo riferimento che incontriamo<br />

sul nostro cammino è l’area picnic attrezzata dal comune <strong>di</strong> Forino.<br />

Area sistemata per interessamento dell’allora assessore Carmine Bove<br />

tra il 1996 e il 1997, e che da allora è abbandonata a se stessa e ai gitanti<br />

non tanto coscienziosi che spesso la inondano <strong>di</strong> rifiuti. Ma qua<strong>le</strong>’è lo<br />

scopo <strong>di</strong> questo nostro racconto, denunciare l’abbandono <strong>di</strong> molte zone<br />

boschive del nostro comune, o seguire questo <strong>percorso</strong> naturalistico<br />

che ci appare <strong>di</strong> tanto in tanto sfregiato? Si, è bene segnalare, ma non<br />

dobbiamo perdere <strong>di</strong> vista il nostro obiettivo. E quin<strong>di</strong> è bene continuiamo<br />

per la nostra strada, ora. E proce<strong>di</strong>amo tra i boschi cedui, che<br />

ora si infittiscono, ora si <strong>di</strong>radano, complici anche i tagli programmati<br />

del<strong>le</strong> aree demaniali boschive. In questi luoghi, nel<strong>le</strong> stagioni in cui è il<br />

tempo, sono molto attivi sia i cercatori <strong>di</strong> funghi che i cacciatori. Specialmente<br />

quest’ultimi, che organizzati in squadre danno la caccia ai<br />

sempre più rari cinghiali. Giungiamo quin<strong>di</strong> a ridosso <strong>di</strong> un massiccio<br />

costone roccioso, la cui caratteristica è, per la maggior parte dell’anno,<br />

quella <strong>di</strong> trasudare acqua. Siamo giunti nei pressi del vallone <strong>di</strong><br />

Pietrarara; qui, nei mesi invernali, scorre un fiumicello che forma una<br />

cascata, incanalato com’è in un orrido roccioso che, un tempo, doveva<br />

tagliare in due la strada. Notizia che ci riporta al già citato documento<br />

del Cav. Morelli e che ci informa che, con delibera 2 ottobre 1920,<br />

venne approvata la realizzazione dell’allaccio della via del bosco Piana<br />

con l’area Cerrocaputo. Questo prevedeva anche la realizzazione del<strong>le</strong><br />

cunette necessarie allo scorrimento del<strong>le</strong> acque. Venne anche deliberata<br />

la costruzione <strong>di</strong> una vasca <strong>di</strong> raccolta del<strong>le</strong> acque che scendevano<br />

da questo vallone, la qua<strong>le</strong> sarebbe stata uti<strong>le</strong> anche per permettere il<br />

funzionamento del<strong>le</strong> seghe ad acqua <strong>di</strong> proprietà dei vincitori d’asta<br />

dei tagli. Ed eccola, spuntare dai rovi, una semplice vasca in pietra<br />

97


98<br />

Sopra, la vasca; sotto, il panorama <strong>di</strong> Forino


viva, proprio sotto l’orrido roccioso. Da questo punto si gode <strong>di</strong> un<br />

panorama della val<strong>le</strong> <strong>forinese</strong> che, in special modo nei perio<strong>di</strong> primaverili,<br />

risulta essere <strong>di</strong> una bel<strong>le</strong>zza unica. Purtroppo, recentemente,<br />

proprio in questo punto, si è consumato un triste fatto <strong>di</strong> cronaca<br />

nera che ci suggerisce una certa inquietu<strong>di</strong>ne. <strong>Un</strong> cartello della comunità<br />

montana ci in<strong>di</strong>ca che la nostra meta è a circa 500 metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza.<br />

Riposo dei boscaioli, 1996<br />

99


100<br />

Il vallone Pietrarara


Il lavoro del boscaiolo<br />

L’economia <strong>forinese</strong> si è retta principalmente, per secoli, sullo sfruttamento<br />

del castagno, sia esso da frutto che da taglio. Il latifon<strong>di</strong>smo,<br />

tuttora presente nel nostro paese sotto nuove forme, faceva sì che la<br />

quasi totalità del<strong>le</strong> piantagioni da frutto fosse in mano a pochi notabili,<br />

mentre tutta l’altra parte <strong>di</strong> popolazione che si de<strong>di</strong>cava a questa<br />

attività, in qualità <strong>di</strong> fittavoli e mezzadri, doveva semplicemente prestare<br />

la manodopera. Anche l’istituzione municipa<strong>le</strong> faceva <strong>le</strong>va sul<br />

demanio pubblico per tenere in or<strong>di</strong>ne i propri conti. Si <strong>le</strong>gge dalla<br />

più volte citata relazione del Cav. Aurelio Morelli (1920) che <strong>le</strong> casse<br />

comunali forinesi godevano <strong>di</strong> una certa flori<strong>di</strong>tà in quanto veniva<br />

sapientemente sfruttato il patrimonio boschivo in suo possesso. Diciamo<br />

che l’essere tanto <strong>le</strong>gati, a filo doppio, a questo tipo <strong>di</strong> economia,<br />

ha fatto sì che Forino perdesse il treno dello sviluppo industria<strong>le</strong>,<br />

non sapendo comunque i nostri amministratori cogliere i tempi<br />

giusti affinché l’industria boschiva assumesse un <strong>di</strong>verso collocamento,<br />

e non rimanendo <strong>le</strong>gata all’artigianalità. I monti Piana, Romola, Esca<br />

e Boschitello erano per la maggior parte <strong>di</strong> proprietà comuna<strong>le</strong>, che<br />

ne regolamentava tramite appalto lo sfruttamento. Gli appaltatori,<br />

quin<strong>di</strong>, si servivano <strong>di</strong> manovalanza specializzata per poter procedere<br />

allo sfruttamento del<strong>le</strong> risorse acquistate. E i boscaioli erano il<br />

mezzo per raggiungere i propri scopi impren<strong>di</strong>toriali. Il castagno ceduo<br />

era ed è oggetto <strong>di</strong> taglio in epoche ben precise: a 7 anni, il tronco<br />

della pianta, che veniva definito giovane, veniva usato in agricoltura,<br />

a 12 anni il <strong>le</strong>gno ricavato era <strong>di</strong> una qualità specifica per la fabbricazione<br />

del<strong>le</strong> botti, e a 24 anni il <strong>le</strong>gno era maturo per essere usato<br />

come trave <strong>di</strong> sostegno dei suppigni (solai) e per la realizzazione <strong>di</strong><br />

101


mobili. Era permesso, ai ceti meno abbienti, <strong>di</strong> potersi recare nei boschi<br />

ad effettuare la <strong>di</strong>sbrucatura, ovverosia la pulizia del sottobosco<br />

da tutto quello che era materia<strong>le</strong> <strong>di</strong> risulta della lavorazione: i rami per<br />

farne fascine (sarcinel<strong>le</strong>), la cui raccolta e successiva ven<strong>di</strong>ta risolveva<br />

per molti il prob<strong>le</strong>ma della mancanza <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to. I vastasi, operai<br />

boschivi, provvedevano alla potatura con l’accetta (bastone con il<br />

manico lungo) o con il cettullo (con il manico corto). L’operaio doveva<br />

inoltre avere una certa abilità nell’arrampicarsi sugli alberi e nel<br />

tagliare quin<strong>di</strong> i rami. La <strong>le</strong>gna da ardere veniva venduta secondo<br />

l’unità <strong>di</strong> misura loca<strong>le</strong>, a canna. La giornata del boscaiolo incominciava<br />

all’alba quando partiva da casa per recarsi sul posto <strong>di</strong> lavoro, generalmente<br />

a pie<strong>di</strong>, percorrendo un tragitto che poteva richiedere anche<br />

qualche ora <strong>di</strong> cammino. Il lavoro iniziava <strong>di</strong> buon ora; data la<br />

natura scoscesa <strong>di</strong> molte zone boschive forinesi, i boscaioli erano<br />

coa<strong>di</strong>uvati nel<strong>le</strong> operazioni <strong>di</strong> spostamento dei tronchi abbattuti da<br />

robusti cavalli da tiro. Data la vastità dei boschi, il loro non faci<strong>le</strong><br />

raggiungimento, il fatto che comunque gli attrezzi da taglio non potevano<br />

essere portati avanti e in<strong>di</strong>etro e, ultimo ma non ultimo, che<br />

era necessario sorvegliare il prodotto del duro lavoro, anche se non<br />

era facilmente trasportabi<strong>le</strong>, si poteva anche correre il rischio <strong>di</strong> dover<br />

passare la notte sotto <strong>le</strong> stel<strong>le</strong>. Perciò venivano approntati dei<br />

pagliari per potersi riparare la notte e in caso <strong>di</strong> pioggia battente. Gli<br />

alberi si abbattevano sia con l’accetta che con lo stroncone (sega lunga<br />

un metro e trenta e, persino, un metro e cinquanta). Per ogni sega<br />

lavoravano due operai. Per alberi <strong>di</strong> venti, trenta, quaranta centimetri<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro si adoperava la scure, ma, quando il tronco era grande, la<br />

cosa si complicava perché l’accetta si adoperava soltanto per incidere<br />

da una sola parte l’albero al fine <strong>di</strong> indebolirlo, mentre la sega entrava<br />

102


in azione dalla parte opposta. I due operai si sedevano per terra, oppure<br />

in ginocchio, e via: avanti e in<strong>di</strong>etro fin oltre la metà del tronco.<br />

A questo punto prendevano un pezzo <strong>di</strong> <strong>le</strong>gno, lo sfaccettavano da<br />

una parte e dall’altra fino ad appuntirlo e, picchiandoci sopra, cercavano<br />

<strong>di</strong> conficcarlo<br />

nella<br />

fessura, dove<br />

era passata la<br />

sega, allo scopo<br />

<strong>di</strong> allargarla.<br />

Poi riprendevano<br />

a segare.<br />

Quando<br />

l’albero cominciava<br />

a<br />

scricchiolare,<br />

si picchiava<br />

sulla zeppa e<br />

l’albero cominciava<br />

ad<br />

ondeggiare:<br />

bastava uno<br />

spintone dei<br />

due operai e,<br />

F. Hod<strong>le</strong>r, Il Taglia<strong>le</strong>gna, 1910<br />

con un frastuono<br />

assordante, veniva giù. Con il cettullo o con seghe più picco<strong>le</strong>,<br />

poi, venivano tagliati i rami, tutta la <strong>le</strong>gna era ridotta a pezzi <strong>di</strong> un<br />

metro circa e accatastata.<br />

103


104<br />

Fotografia satellitare dal vallone Pietrarara al<strong>le</strong> Grotte


CAPITOLO IX<br />

Il Vallone Bella Ficucella e <strong>le</strong> Grotte<br />

Attraversiamo, ora, l’area denominata Cerrocaputo. Il si<strong>le</strong>nzio dei<br />

boschi e l’aria fresca, ci inducono a rif<strong>le</strong>ttere su quanto fossero state<br />

notevoli per il Comune <strong>di</strong> Forino, in passato, <strong>le</strong> ren<strong>di</strong>te patrimoniali<br />

derivanti dal prodotto annua<strong>le</strong> dei tagli a maturazione e <strong>di</strong> quelli a<br />

<strong>di</strong>rado (sfollo) dei boschi demaniali. Si era attenti che il lavoro venisse<br />

eseguito, dai vincitori d’asta, a regola d’arte. Spesso poi si concedevano<br />

i lavori <strong>di</strong> brucatura e pulizia del<strong>le</strong> parti <strong>di</strong> coltura silvana, dove<br />

il sottobosco era più fitto, agli assuntori della fornace comuna<strong>le</strong> per<br />

la calce, sita a Val<strong>le</strong> Ficucella, dove potevano consumare con profitto<br />

<strong>le</strong> fascine <strong>di</strong> risulta. Già, il Vallone <strong>di</strong> Bella Ficucella. I ricor<strong>di</strong> giovanili<br />

ci riportano alla memoria: “…la prorompente <strong>vita</strong>lità <strong>di</strong> una natura ancora<br />

incontaminata, sgargiante <strong>di</strong> colori accesi e <strong>di</strong> odori <strong>di</strong> selvatico. Era piacevo<strong>le</strong>,<br />

allora, fermarsi lì a bere l’acqua <strong>di</strong>rettamente dalla fontanella e a sciacquare <strong>le</strong><br />

more raccolte lungo la strada che conduce a Bracigliano. L’or<strong>di</strong>ne e la pulizia<br />

regnavano sovrani. A fianco della sorgente, sotto il ponte, scorreva un rivolo<br />

d’acqua apparentemente purissima. Il canalone era tenuto bene, nessuna sterpaglia<br />

ne sbarrava il corso. E da qui i ricor<strong>di</strong> corrono in un salto ai primi anni ’80,<br />

quando oramai gran<strong>di</strong>celli, a frotte inforcavamo la bicic<strong>le</strong>tta e gareggiavamo a chi<br />

per primo arrivava alla fonte. In questi tempi la zona era già stata abbandonata<br />

al suo destino, l’or<strong>di</strong>ne e la pulizia erano solo un ricordo, comparivano qua e là i<br />

primi segni del<strong>le</strong> <strong>di</strong>scariche abusive. Ma chi ci faceva caso allora, a quin<strong>di</strong>ci anni!<br />

Spinti comunque dallo spirito d’avventura che è proprio dei ragazzi, ci addentravamo,<br />

superato il canalone, dentro il boschetto. Subito ci trovavamo a seguire un<br />

sentiero, e dopo poche decine <strong>di</strong> metri giungevamo nei pressi della piccola cava e<br />

105


della fornace che sino a qualche decennio prima era utilizzata per la cottura della<br />

calce. Qualcuno <strong>di</strong> noi sosteneva che si era oramai molto vicini al<strong>le</strong> mitiche “grotte”,<br />

ma nessuno in verità ebbe il coraggio <strong>di</strong> proseguire. Quella fessura stretta tra<br />

due montagne, dove il so<strong>le</strong> che ci aveva accompagnato fino a quel momento rifiutava<br />

<strong>di</strong> seguirci, con il ciesco do cuorv’ che minaccioso ci osservava lì dall’alto, quasi<br />

fosse un gigante pronto a prenderci a sassate per aver <strong>di</strong>sturbato la sua quiete con<br />

i nostri schiamazzi… Ci convincevamo che non era il caso <strong>di</strong> proseguire. Poco<br />

importava! Era già un’avventura essere giunti fin lì! Ma che fifa… Soltanto<br />

sulla via del ritorno, l’occhio malandrino cadeva sul fianco della montagna, dove<br />

qualche sacchetto d’immon<strong>di</strong>zia che era rotolato dalla <strong>di</strong>scarica soprastante ed era<br />

<strong>di</strong>ventato un e<strong>le</strong>mento del paesaggio. Ripensandoci… che triste presagio! Tornammo<br />

ancora da quel<strong>le</strong> parti, per un po’ <strong>di</strong> tempo, presi nel<strong>le</strong> “esplorazioni” e<br />

affascinati dal<strong>le</strong> “scoperte”. Poi ognuno intraprese la propria strada nella <strong>vita</strong>, e<br />

tutto questo che fu infanzia e ado<strong>le</strong>scenza cadde nel fati<strong>di</strong>co e ben conosciuto oblio<br />

del tempo...” (tratto da Forino News – febbraio 2005)<br />

Già detto, non andrò oltre i ricor<strong>di</strong>. Ma a volte sono necessari. E la<br />

strada continua, su un <strong>percorso</strong> che è <strong>di</strong>fferente da quello che avrà<br />

seguito il piccolo Biagio. Già, perché se si vuo<strong>le</strong> giungere al<strong>le</strong> grotte<br />

con una certa como<strong>di</strong>tà bisogna seguire la strada aperta nel 1994 da<br />

una <strong>di</strong>tta che si aggiu<strong>di</strong>cò l’asta per il taglio del bosco in quell’epoca.<br />

La strada vecchia si perde nel nulla del bosco, o non si è avuta la<br />

costanza <strong>di</strong> seguirla comunque, nonostante gli sbarramenti naturali?<br />

Il prob<strong>le</strong>ma <strong>di</strong> fondo è che quando si racconta del proprio peregrinare<br />

nei boschi, c’è sempre qualcuno che ti in<strong>vita</strong> alla prudenza, e quando<br />

ci pensi, la prudenza ti tarpa <strong>le</strong> ali… Comunque la strada prosegue<br />

a ridosso del già citato vallone <strong>di</strong> Bella Ficucella, per giungere, dopo<br />

un centinaio <strong>di</strong> metri, al<strong>le</strong> Grotte. <strong>Un</strong> luogo dal fascino particolare,<br />

talvolta inquietante. Sembra che il bosco incomba sopra <strong>di</strong> te e che da<br />

106


Sopra, il ciesco d’o cuorvo; sotto, <strong>le</strong> Grotte<br />

107


un momento all’altro inizi a scivolare giù. Dopo il terremoto del 1980<br />

sono state murate, ma mi hanno raccontato <strong>di</strong> quando <strong>le</strong> Grotte erano<br />

aperte. Che per entrarvi bisognava abbassarsi quasi fino a strisciare,<br />

e che una volta entrati il buio era meno pauroso del fragore<br />

dell’acqua che vi scorreva. Ora, da qualche apertura, il buio si può<br />

solo intuire. Ma <strong>di</strong> certo intimorisce il fragore dell’acqua che si sente<br />

scorrere nel<strong>le</strong> profon<strong>di</strong>tà del sottosuolo. Fenomeno u<strong>di</strong>bi<strong>le</strong> soprattutto<br />

nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> massima portata, tra <strong>di</strong>cembre e marzo. E tante sono<br />

<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende che si raccontano su questo posto. Dalla “Storia <strong>di</strong> Forino”,<br />

<strong>di</strong> Padre Girolamo Tornatore, riportiamo questo passo: “… del<br />

fosso del<strong>le</strong> Pescare vi è chi stima che il condotto sotterraneo non sia che un emissario<br />

del lago sprofondato, tanto più che non è il solo, ma ve n’è un altro chiamato Acque<br />

del<strong>le</strong> Grotte, con una corrente sotterranea che alimenta il fiume che passa per Sarno.<br />

Intorno a questa seconda bocca d’ acqua si racconta una <strong>storie</strong>lla e cioè che un ta<strong>le</strong><br />

<strong>di</strong> Sarno, trovandosi in quei paraggi qua<strong>le</strong> guar<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> maiali, introduceva in<br />

questa bocca del<strong>le</strong> Grotte qualche maia<strong>le</strong>, che sua moglie a Sarno ripescava nel<br />

fiume. Vo<strong>le</strong>mmo vedere da vicino e più volte questa località, anche in compagnia <strong>di</strong><br />

persona tecnica e quantunque vi siano, nella località chiamata Grotte, tutti i segni,<br />

come ci insegna l’idrografia, <strong>di</strong> sorgenti sotterranee, pure non vi riscontrammo il<br />

<strong>le</strong>tto del fiume. Qualcuno ci potrà obiettare che l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo<br />

Cristo ne poté deviare il corso; e va bene, ma allora i maiali della <strong>storie</strong>lla andavano<br />

a Sarno ai tempi beati <strong>di</strong> Adamo ed Eva ! ...”. Quiete accompagnata a<br />

senso <strong>di</strong> instabilità, questo evoca il rimanere in si<strong>le</strong>nzio per qualche<br />

minuto in questo luogo. L’acqua, d’inverno, fuoriesce dal<strong>le</strong> grotte formando<br />

un al<strong>le</strong>gro ruscel<strong>le</strong>tto, che si <strong>di</strong>rige verso il Vallone dei Palombi,<br />

per perdersi in qualche altra cavità nascosta tra rovi e sterpi. E’<br />

faci<strong>le</strong>, in questo si<strong>le</strong>nzio, soprassaltare per l’uccello <strong>di</strong> turno che, improvvisamente,<br />

prende il volo dagli alberi, alzando alto nel cielo il suo<br />

108


Sopra, <strong>le</strong> Grotte; sotto, l’acqua che ne fuoriesce nel mese <strong>di</strong> gennaio<br />

109


gorgheggio. Viene natura<strong>le</strong> immaginare il piccolo Biagio solo in questo<br />

posto, forse intimorito, quando veniva a prendere l’acqua per suo<br />

padre e per gli altri craunari. <strong>Un</strong> ragazzino solo e impaurito in questo<br />

posto solitario. <strong>Un</strong> ragazzino, certo, ma già con tanta esperienza <strong>di</strong><br />

<strong>vita</strong>.<br />

La carchera, ovvero la fornace per la calce<br />

La carchera è un forno per la produzione <strong>di</strong> calce costruito <strong>di</strong> solito<br />

nei boschi o nei loro pressi. A Forino se ne contavano <strong>di</strong>verse, quasi<br />

tutte <strong>di</strong> proprietà comuna<strong>le</strong>, il<br />

qua<strong>le</strong> provvedeva all’affitto secondo<br />

i mo<strong>di</strong> con<strong>sue</strong>ti. Quella rimasta<br />

maggiormente nella memoria<br />

dei più anziani è quella posta all’imbocco<br />

del vallone <strong>di</strong> Bella<br />

Ficucella, la dove noi contemporanei<br />

abbiamo pensato bene <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>are<br />

un sito <strong>di</strong> stoccaggio provvisorio<br />

dei rifiuti. Il proce<strong>di</strong>mento<br />

consiste nella calcificazione del<br />

calcare grossolano, detto pietra da<br />

calce, me<strong>di</strong>ante riscaldamento a<br />

800 – 900 gra<strong>di</strong>. In tal modo il<br />

calcare si trasforma in calce viva.<br />

110<br />

Strumenti utilizzati<br />

per la cottura della calce<br />

Si presenta in grossi pezzi bianchi<br />

che, una volta bagnati, si


igonfiano con forte sviluppo <strong>di</strong> calore, generando una sostanza bianca<br />

e untuosa che mescolata alla sabbia costituiva la malta dei muratori.<br />

La calce sospesa in acqua veniva inoltre usata come <strong>di</strong>sinfettante, per<br />

imbiancare i muri e per calcinare gli alberi come protezione contro i<br />

parassiti. La sede del forno era riutilizzata perio<strong>di</strong>camente in occasione<br />

del taglio del bosco, così da sfruttare la <strong>le</strong>gna ricavata nel<strong>le</strong> vicinanze<br />

per cuocere la pietra. Per ottenere la calce occorreva costruire<br />

la carchera. <strong>Un</strong>a quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> operai si mettevano a lavorare, i più a<br />

scavare un fosso profondo tre metri per cinque <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, altri raccoglievano<br />

la pietra ed altri ancora la frasca e la <strong>le</strong>gna. In quel fosso si<br />

lavorava per vestire <strong>le</strong> pareti con la pietra, come un muro a secco,<br />

sino al livello del suolo. Da qui si continuava ad allineare pietre sempre<br />

più grosse e generalmente lunghe per far sì che avessero più presa,<br />

anche perché il muro circolare, raggiunta l’altezza <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong><br />

metri, tendeva a restringersi fino alla chiusura comp<strong>le</strong>ta. Al centro,<br />

nell’ultimo spazio che rimaneva, andava incuneata una grossa pietra a<br />

forma conica. All’interno, la parte più alta, da centro a centro, misurava<br />

circa sei metri. Il costruttore, nell’allineare <strong>le</strong> pietre, doveva avere<br />

l’accortezza <strong>di</strong> non lasciare troppi spazi. Dove <strong>le</strong> pietre non combaciavano,<br />

doveva procedere con del pietrisco per fare in modo che<br />

non ci fossero vie <strong>di</strong> fuga per il calore. All’esterno della parte superiore<br />

i vuoti venivano chiusi con la pozzolana per e<strong>vita</strong>re ogni possibi<strong>le</strong><br />

entrata e uscita d’aria. “’O calore addà murì arint’”, <strong>di</strong>cevano i vecchi.<br />

Nella parte esposta a mezzogiorno, veniva lasciata ‘a vocc’<br />

(un’apertura) che serviva per far passare la <strong>le</strong>gna. Sopra quella porticina,<br />

davanti alla qua<strong>le</strong> dovevano sostare in continuazione degli uomini a<br />

turni <strong>di</strong> sei ore l’uno, si costruiva la loggia, specie <strong>di</strong> pensilina fatta <strong>di</strong><br />

frasche, paglia e altro allo scopo <strong>di</strong> riparare i fuochisti dagli e<strong>le</strong>menti<br />

111


della natura. Intorno alla costruzione<br />

veniva eretto un<br />

muro a secco, a protezione<br />

della stessa. Era la parte <strong>di</strong><br />

muro che non doveva necessariamente<br />

cuocere, ma solo<br />

proteggere tutto il comp<strong>le</strong>sso,<br />

dalla base alla cima. L’accensione<br />

del fuoco nella carchera<br />

competeva all’affittuario (a<br />

Forino generalmente, <strong>le</strong><br />

Fornace in sezione<br />

carchere erano <strong>di</strong> proprietà comuna<strong>le</strong>),<br />

il qua<strong>le</strong> svolgeva la funzione come un rito. Dall’accensione<br />

in poi il fuoco doveva <strong>di</strong>vampare continuamente per almeno otto<br />

giorni e comunque sino a che non si sentiva <strong>di</strong>stintamente l’odore<br />

caratteristico della pietra cotta. Non solo, ma quando la pietra era<br />

arrivata alla cottura giusta, l’interno della fornace prendeva il colore<br />

verdastro e tutti i buchi tra una pietra e l’altra del muro, a causa della<br />

fusione della pietra, si chiudevano e tutta intera <strong>di</strong>ventava una parete<br />

circolare compatta. Anche da lontano, i lavoratori addetti alla fornace<br />

sentivano l’odore della calce. Questo era il momento <strong>di</strong> smettere <strong>di</strong><br />

alimentare il fuoco e aspettare per ventiquattro-trentasei ore prima <strong>di</strong><br />

iniziare a liberare la carchera della massa <strong>di</strong> pietrame che l’avvolgeva.<br />

Bisognava poi seguire attentamente l’evoluzione della fase <strong>di</strong> raffreddamento.<br />

Quando la fornace veniva scaricata, il lavoro <strong>di</strong>ventava delicato<br />

e pericoloso. Occorreva esperienza, capacità, soprattutto prudenza,<br />

per la semplice ragione che si iniziava dalla sommità. Va<strong>le</strong> a<br />

<strong>di</strong>re che il lavoro aveva inizio a ritroso, da dove si era terminata la<br />

112


costruzione. Bisognava stare attenti a non cadere <strong>di</strong> sotto precipitando<br />

dove ancora ardeva il fuoco, tanto è vero che finita la raccolta<br />

della pietra cotta, sul<strong>le</strong> rimanenti ceneri si spargeva dell’acqua per<br />

spegnere la brace che ancora covava sotto e, alla fine, si recuperavano<br />

anche <strong>di</strong>versi sacchi <strong>di</strong> carbone. Ogni carchera fruttava generalmente<br />

quattrocento quintali <strong>di</strong> calce.<br />

La carchera <strong>di</strong> Bella Ficucella, coperta dall’immon<strong>di</strong>zia<br />

113


114<br />

<strong>Un</strong> craunaro <strong>forinese</strong> e il suo catuozzo, inizi novecento


Dura la <strong>vita</strong> del craunaro...<br />

E’ un mestiere antico, quello del carbonaio, alternativo a quello del<br />

conta<strong>di</strong>no. Molto praticato tra la metà del Settecento e dell’Ottocento,<br />

questo mestiere ha trovato la <strong>sue</strong> estinzione solo nei primi anni<br />

del Novecento. La produzione artigiana<strong>le</strong> del carbone, come l’artigianato<br />

del metallo, dovrebbe risalire già all’epoca preistorica; è accertata<br />

la sua esistenza dal profilo archeologico in relazione alla lavorazione<br />

del ferro. Dal momento che il carbone fossi<strong>le</strong> era raro, fin dal<br />

me<strong>di</strong>oevo il carbone <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna era impiegato, grazie al suo alto potere<br />

calorifico, nel<strong>le</strong> professioni artigiane (specialmente da fabbri, spadai,<br />

orafi, e, bisogna ricordare, che Forino fu rinomata, nel XVI secolo,<br />

per la produzione <strong>di</strong> quadrel<strong>le</strong>, ovvero <strong>le</strong> punte metalliche del<strong>le</strong> frecce),<br />

nel<strong>le</strong> miniere nella produzione<strong>di</strong> vetro. Oltretutto il carbone macinato<br />

serviva per smerigliare e <strong>le</strong>vigare ma anche come componente<br />

della polvere da sparo, e la sua cenere era largamente utilizzata per il<br />

lavaggio della biancheria. Le carbonaie, o come sono meglio conosciute<br />

da noi, i catuozzi, erano un antico metodo <strong>di</strong> trasformazione<br />

del <strong>le</strong>gname in carbone. Venivano costruite nei boschi in spiazzi piani,<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong><br />

circa 9-10 metri, vicini<br />

al luogo del taglio.<br />

Nella parte centra<strong>le</strong><br />

dello spiazzo si<br />

conficcavano verticalmente<br />

quattro<br />

pali <strong>di</strong>stanziati tra<br />

loro come se fosse-<br />

115


o posti agli spigoli <strong>di</strong> un quadrato. Questa struttura avrebbe costituito<br />

il camino centra<strong>le</strong> della carbonaia. All’interno della struttura centra<strong>le</strong><br />

venivano <strong>di</strong>sposti tronchi <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna corti, della misura <strong>di</strong> circa un metro,<br />

<strong>di</strong>sposti orizzontalmente a due a due ed incrociati tra loro. Attorno<br />

alla parte centra<strong>le</strong> venivano accatastati i tronchi <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna piu’ gran<strong>di</strong>.<br />

L’accumulo dei tronchi veniva poi ricoperto da una miscela <strong>di</strong> foglie e<br />

terra, fino a formare un cono. La terra era umida perche’ non filtrasse<br />

116


attraverso <strong>le</strong> fen<strong>di</strong>ture tra i tronchi. Alcuni carbonai, alla base del cono,<br />

lasciavano un’apertura per permettere la circolazione dell’aria. A questo<br />

punto si da’ fuoco a dei rami secchi posti sulla sommita’ della<br />

carbonaia, in corrispondenza del camino centra<strong>le</strong>. Il fuoco in questo<br />

modo scende dall’alto verso il basso molto <strong>le</strong>ntamente, questo grazie<br />

alla copertura <strong>di</strong> terra esterna che <strong>di</strong>minuisce l’apporto <strong>di</strong> ossigeno<br />

necessasario alla combustione. <strong>Un</strong>a volta accesa, la carbonaia aveva<br />

bisogno <strong>di</strong> continue cure: occorreva<br />

continuare ad alimentare il fuoco e<br />

controllare che la combustione non<br />

avvenisse troppo velocemente (nel<br />

qual caso la <strong>le</strong>gna si sarebbe comp<strong>le</strong>tamente<br />

trasformata in cenere) e neppure<br />

troppo <strong>le</strong>ntamente (si sarebbe<br />

corso il rischio che si spegnesse). Normalmente<br />

la sua alimentazione avveniva<br />

quattro volte al giorno: mattina,<br />

pomeriggio sera e <strong>di</strong> notte. Man<br />

mano che il fuoco scendeva verso il<br />

basso con dei tronchi appuntiti si praticavano<br />

dei fori sul<strong>le</strong> pareti della<br />

carbonaia per regolare il flusso <strong>di</strong> ossigeno<br />

che alimentava la combustione.<br />

A seconda della colorazione del<br />

fumo che usciva dal camino i carbonai<br />

sapevano riconoscere quando la combustione<br />

si approssimava alla fine.<br />

Giunti a questo punto veniva lasciata<br />

117


spegnere. <strong>Un</strong>a volta<br />

spenta veniva<br />

aperto un varco su<br />

un lato della<br />

carbonaia ed il<br />

carbone cosi’ ottenuto<br />

steso al suolo<br />

in attesa che si<br />

raffreddasse<br />

definitivamente.<br />

Anche questa fase<br />

necessitava <strong>di</strong> controllo in quanto si stava attenti che il carbone non<br />

ricominciasse ad ardere. Il carbone così ottenuto era pari al 20-25%<br />

circa del peso inizia<strong>le</strong> della <strong>le</strong>gna. Ma quanto durava questo proce<strong>di</strong>mento?<br />

La durata era variabi<strong>le</strong> dagli 8 ai 20 giorni, a seconda del<br />

quantitativo <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna impiegato (dai 50 ai 100 quintali <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna). <strong>Un</strong><br />

lavoro duro<br />

che richiedeva<br />

la continua<br />

presenza degli<br />

uomini<br />

per tutta la<br />

durata <strong>di</strong> questo<br />

processo,<br />

giorno e notte.<br />

I craunari<br />

vivevano per<br />

lunghi perio-<br />

118


<strong>di</strong> nei boschi: per il taglio della <strong>le</strong>gna, la costruzione del catuozzo e<br />

per controllarne giorno e notte il decorso: se il mantello si fosse rotto,<br />

l’aria, rinvigorendo la combustione, avrebbe ridotto tutto in cenere. Il<br />

fatto che la cottura doveva essere sorvegliata senza interruzioni, faceva<br />

sì che i carbonai dovessero rimanere per qualche tempo lontani da<br />

casa. Ed ecco quin<strong>di</strong> che ricevevano spesso la visita del<strong>le</strong> mogli o dei<br />

figli, i quali recavano ai carbonai <strong>le</strong> vettovaglie necessarie. Per proteggere<br />

i boschi, <strong>le</strong> autorità cercarono <strong>di</strong> regolamentare severamente il<br />

lavoro nel<strong>le</strong> carbonaie. Dapprima venne vietata l’esportazione del carbone,<br />

poi commercianti e proprietari privati dei boschi poterono al<strong>le</strong>stire<br />

carbonaie solo dopo averne ottenuto l’autorizzazione. Il numero<br />

dei carbonai professionisti venne limitato e l’attività sottoposta a concessione.<br />

Nel XIX secolo i boschi destinati alla crescita vennero sempre<br />

più sottratti<br />

alla produzione<br />

<strong>di</strong><br />

carbone; per<br />

quest’ultima<br />

fu necessario<br />

sfruttare più<br />

spesso <strong>le</strong>gname<br />

<strong>di</strong> scarto.<br />

Le carbonaie<br />

vennero trasferite<br />

in boschi<br />

impervi,<br />

da cui il carbone <strong>di</strong> <strong>le</strong>gna, molto più <strong>le</strong>ggero, si poteva trasportare<br />

facilmente.<br />

119


I carrettieri<br />

Il lavoro del vatica<strong>le</strong> (carrettiere) era molto faticoso e impegnava tutti.<br />

Sul carretto tirato dai cavalli si caricava <strong>di</strong> tutto: fieno, <strong>le</strong>gna, frutta,<br />

verdura, mobili, vino, uva, e chi più ne ha più ne metta. Il viaggio<br />

poteva durare anche più <strong>di</strong> un giorno, lungo strade sterrate, fangose,<br />

con il fondo in pietra. Si viaggiava più <strong>di</strong> giorno che <strong>di</strong> notte, e per<br />

segnalare la propria presenza si usavano del<strong>le</strong> lanterne attaccate appese<br />

al carro. Esistevano, lungo la strada, molte taverne, nel<strong>le</strong> quali ci<br />

Carrettiere in Piazza Tigli<br />

120


si poteva fermare per mangiare, riposare e alimentare i cavalli, ai quali<br />

si metteva al collo un sacco <strong>di</strong> biada. Al ritorno a casa, come al mattino,<br />

il lavoro più pesante era quello <strong>di</strong> pulire e badare al cavallo:<br />

bisognava strigliarlo con una spazzola, asciugarlo e controllare che<br />

gli zoccoli fossero aposto altrimenti bisognava ferrarlo, e a questo<br />

provvedevano i maniscalchi. Molto tempo si de<strong>di</strong>cava alla cura del<br />

cavallo perché era l’anima<strong>le</strong> che permetteva <strong>di</strong> svolgere il lavoro. Cavallo<br />

e carretto servivano anche per i funerali. In ta<strong>le</strong> occasione il<br />

cavallo era coperto con un manto nero e anche una specie <strong>di</strong> cuffia<br />

che copriva la testa e la orecchie. Se il cavallo si azzoppava era quasi<br />

una trage<strong>di</strong>a perché bisognava ucciderlo e veniva venduto ai macelli<br />

per farne carne e bisognava comprarne un altro. Erano molti e <strong>di</strong>versi<br />

i tipi <strong>di</strong> carro utilizzati: dal<strong>le</strong> nostre parti erano generalmente<br />

carrettoni con due ruote molto gran<strong>di</strong>. Quando il viaggio era particolarmente<br />

lungo si viaggiava in coppia, in modo che mentre uno riposava<br />

l’altro proseguiva per il tragitto. Non era un mestiere esente da<br />

pericoli. A Forino, negli anni Venti del Novecento, furono assassina-<br />

Carri in via Roma<br />

121


ti, a scopo <strong>di</strong> rapina, due carrettieri, nei pressi della croce <strong>di</strong> San Marco,<br />

a Celzi. Altre volte capitava che qualche carro finisse giù per un<br />

burrone, altre volte il cavallo o il mulo al traino uccidevano o storpiavano<br />

con un calcio il malcapitato che gli capitava a tiro. Ma era un<br />

lavoro, e per un pezzo <strong>di</strong> pane c’era chi rischiava anche <strong>di</strong> più.<br />

<strong>Un</strong> carro con somaro in Piazza Tigli<br />

122


Capita <strong>di</strong> incontrare...<br />

CAPITOLO X<br />

Io vivo da sempre qui. Il mio mondo sono questi monti. Svolazzo,<br />

picchio, plano, sfrutto <strong>le</strong> correnti, osservo. Il mio punto d’osservazione<br />

preferito è quest’albero, su questo poggio. E da qui che parto<br />

per procurarmi la pappa... un topo, una biscia, un riccio... lo prendo<br />

tra i miei artigli e me lo porto qui sopra, per sbocconcellarmelo con<br />

tutta calma. Non è che ci goda ad ammazzare gli altri, però devo<br />

sopravvivere in qualche modo. Morte tua, <strong>vita</strong> mia, si <strong>di</strong>ce. Poi, un<br />

giorno, mentre imprudentemente me ne stavo su <strong>di</strong> un ramo vicino<br />

al ciglio della strada, ecco che arriva lui. Non immaginate quante risate<br />

mi sono fatto quando lo visto gettarsi pressocchè al volo da quello<br />

scassone con la fotocamera in mano. <strong>Un</strong> saltello, due colpetti d’ala...<br />

e via lontano dalla sua curiosità e dal suo obiettivo. L’ho visto altre<br />

volte, in seguito, aggirarsi nel mio territorio. Sempre con quella scato<strong>le</strong>tta<br />

a tracolla appresso, ma intento in altre attività... tra quei ruderi che gli<br />

umani <strong>di</strong> una volta chiamavano nevere... nei pressi del<strong>le</strong> grotte, tanto<br />

profonde da far rombare fragorosamente<br />

l’acqua che vi scorre all’interno. E ancora<br />

una volta a raccogliere pungitopo,<br />

un’altra volta a prendere vischio, altre volte<br />

ramingo a osservare l’orizzonte... ma<br />

mai avrei immaginato che un giorno sarebbe<br />

riuscito a fregarmi... beh, da lontano...<br />

ma da quanto tempo era nascosto<br />

sotto quel faggio??!!<br />

123


124<br />

Sopra, una poiana appollaiata su un albero e, sotto, poco dopo in volo


IL CAMMINO È TERMINATO<br />

Siamo giunti alla meta, seguendo un <strong>percorso</strong> inusua<strong>le</strong>, <strong>di</strong>menticato,<br />

sconosciuto ai più che abitano la nostra val<strong>le</strong>. Siamo passati attraverso<br />

quattro comuni, Montoro Superiore, Montoro Inferiore, Forino,<br />

Bracigliano e ancora Forino, giungendo a ridosso <strong>di</strong> un quinto, Quin<strong>di</strong>ci,<br />

il cui territorio inizia a poche decine <strong>di</strong> metri dal<strong>le</strong> Grotte. Abbiamo<br />

visitato i fabbricati sparsi lungo il <strong>percorso</strong>, ognuno con una propria<br />

caratteristica, una curiosità, una storia. Abbiamo fatto la conoscenza<br />

con dei lavori duri e <strong>di</strong>menticati, lavori che ti rimandano in<strong>di</strong>etro nel<br />

tempo, o che il tempo ha provveduto a facilitare <strong>le</strong>vando loro un po’<br />

<strong>di</strong> fascino. Con una semplice passeggiata siamo riusciti ad accomunare<br />

storia, tra<strong>di</strong>zione, ecologia. <strong>Un</strong> <strong>percorso</strong> da ripetere dal vivo, da soli o<br />

in compagnia, meglio se in compagnia! <strong>Un</strong> <strong>percorso</strong> che non dobbiamo<br />

<strong>di</strong>menticare, anzi, da riscoprire e far scoprire a chi il nostro paese<br />

lo giu<strong>di</strong>ca in modo superficia<strong>le</strong>. Preso dall’enfasi del racconto, forse<br />

non ho fatto emergere <strong>le</strong> bel<strong>le</strong>zze naturalistiche che è faci<strong>le</strong> incontrare;<br />

spero <strong>di</strong> aver riempito questa lacuna con il racconto della poiana. Se<br />

sieti giunti a <strong>le</strong>ggere sin qui, ho la speranza <strong>di</strong> credere che questo <strong>di</strong>ario<br />

vi sia piaciuto, e vi ringrazio per l’attenzione. Comunque, altri dovuti<br />

ringraziamenti sono per il professor Enzo Finelli per la pazienza nel<br />

<strong>le</strong>ggersi in anteprima questo <strong>di</strong>ario e per <strong>le</strong> bel<strong>le</strong> paro<strong>le</strong> della prefazione;<br />

al signor Cesare Fiorentino, che dalla sua posizione privi<strong>le</strong>giata <strong>di</strong><br />

proprietario <strong>di</strong> una del<strong>le</strong> taverne <strong>di</strong> Celzi è depositario <strong>di</strong> tante <strong>storie</strong> e<br />

notizie; al dott. Lucio D’Amore, che qualche anno fa ha scritto per il<br />

mio il sito internet <strong>le</strong> schede relative ai monti <strong>di</strong> Forino, e che due <strong>di</strong><br />

esse ho pensato bene <strong>di</strong> proporvi in queste pagine; al sig. Carmine<br />

Alato che mi ha riferito dei racconti dei suoi avoli; all’amico Pasqua<strong>le</strong><br />

125


Matarazzo, amante come me del<strong>le</strong> tra<strong>di</strong>zioni e del passato, un riferimento<br />

nella realtà avellinese; all’ingegnere Francesco Trapasso, uno dei<br />

soci fondatori dell’Associazione Cultura<strong>le</strong> Forino News che, grazie alla<br />

<strong>sue</strong> ottime capacità, ha fatto in modo che questi appunti assumessero<br />

una veste grafica adeguata.<br />

E grazie anche ai tanti che hanno in qualche modo contribuito a questo<br />

<strong>di</strong>ario, con <strong>le</strong> loro notizie e i loro suggerimenti. <strong>Un</strong> grazie anche a tutti<br />

coloro che hanno lavorato tra i nostri monti in ogni epoca, e che sono<br />

i protagonisti <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>ario.<br />

In ultimo, ma solo per concedergli maggior attenzione, un grazie gran<strong>di</strong>ssimo<br />

a Biagio Abignano. La sua storia è stato uno spunto determinante<br />

per farci riscoprire altre <strong>storie</strong> e altra <strong>vita</strong> <strong>di</strong> marca “<strong>forinese</strong>”.<br />

126


PARENTESI SUL PARCO PIZZO D’ALVANO<br />

In questi giorni, per decisione del Consiglio Comuna<strong>le</strong>, è stata comp<strong>le</strong>tata<br />

la perimetrazione del<strong>le</strong> aree comunali ricadenti nel costituendo<br />

Parco del Pizzo d’Alvano. Territorialmente Forino ha <strong>le</strong> caratteristiche<br />

per ricadere in ta<strong>le</strong> ambito, così come <strong>le</strong> aveva a suo tempo per entrare<br />

in quello del Partenio, dal qua<strong>le</strong> venne inopinatamente esclusa. Caratteristiche<br />

evidenziate dal fatto che il territorio comuna<strong>le</strong> <strong>di</strong> Forino è geograficamente<br />

la porta natura<strong>le</strong> d’accesso al Parco. La realizzazione <strong>di</strong><br />

questo progetto prevede l’avvio <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> sviluppo economico<br />

alternativo, basato sui valori del turismo e della cultura. <strong>Un</strong> progetto,<br />

quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> valorizzazione del territorio e <strong>di</strong> rilancio dell’intera zona.<br />

Ta<strong>le</strong> area è inoltre ricca <strong>di</strong> beni storici, artistici e naturali. Tra gli obiettivi<br />

che riguardano in modo più specifico la <strong>vita</strong> del Parco, vi è anche il<br />

desiderio del recupero degli itinerari tra<strong>di</strong>zionali. Date tali premesse,<br />

ritengo opportuno evidenziare questa possibilità futura per Forino,<br />

auspicando che tante premesse e promesse abbiano come risultato l’effettiva<br />

entrata del nostro paese in una organizzazione che permetta una<br />

sua crescita, cultura<strong>le</strong> ed economica.<br />

Dato l’interesse mostrato dal nostro Sindaco, l’avv. Pasqua<strong>le</strong> Nunziata,<br />

circa la realizzazione <strong>di</strong> questo libro, mi è parso opportuno evidenziare,<br />

in questo lavoro che vi è stato proposto alla <strong>le</strong>ttura, questa possibilità<br />

<strong>di</strong> sviluppo che Forino dovrà cogliere.<br />

127


Bibliografia essenzia<strong>le</strong><br />

- AA.VV., “Corriere dell’Irpinia”, Avellino, 1923/1930;<br />

- AA.VV., “Forino News”, Forino 1999/2007;<br />

- AA.VV., “Storia illustrata <strong>di</strong> Avellino e dell’Irpinia”;<br />

- Abate F., “Intorno all’acquidotto Clau<strong>di</strong>o”, Napoli, 1842;<br />

- D’Amato P., “Scenario <strong>forinese</strong>”, Forino, 1994;<br />

- D’Amato P., “ancora... Saluti da Forino”, Solofra, 2004;<br />

- De Maio M, “Al<strong>le</strong> ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Solofra”, Avellino, 1997;<br />

- Giordano T.M., “Storia <strong>di</strong> Bracigliano”, 1980;<br />

- Istituto Comprensivo Forino, “Il castagno a Forino”, 2005;<br />

- Lancillotti P., “Camminar sotto <strong>le</strong> stel<strong>le</strong>”, 1971;<br />

- Morelli A., “Relazione del Commissario Straor<strong>di</strong>nario al rie<strong>le</strong>tto Consiglio<br />

Comuna<strong>le</strong>”, Avellino, 1923;<br />

- Natella G., “Il Castel<strong>le</strong>tto dei Parise a Celzi <strong>di</strong> Forino”, rivista Castellum,<br />

1968;<br />

- Scandone F., “Documenti per la storia dei comuni dell’Irpinia”, Avellino<br />

1956;<br />

- T.C.I., “Guida Campania 1903”, 1903;<br />

- Tornatore A.G., “La Campana <strong>di</strong> Forino”, perio<strong>di</strong>co 1935/1956;<br />

- Tornatore A.G., “Storia <strong>di</strong> Forino”, 1935/1956;<br />

- Vespucci G., “Forino attraverso i secoli” vol. 1-2, Avellino 1981-82;<br />

128


Dello stesso autore<br />

- “Scenario Forinese”, Avellino 1994;<br />

- “Il Santuario <strong>di</strong> San Nicola da Bari e il Borgo Castello nella Terra <strong>di</strong><br />

Forino”, Forino 1995;<br />

- “Il Presepe Vivente <strong>di</strong> Forino”, Forino 1996;<br />

- “Le E<strong>di</strong>co<strong>le</strong> Votive <strong>di</strong> Forino”, Forino 1998;<br />

- “Saluti da Forino”, Avellino 1999;<br />

- “Vecchie foto e cartoline”, Forino 2001;<br />

- “Le E<strong>di</strong>co<strong>le</strong> Votive <strong>di</strong> Forino”, (II e<strong>di</strong>zione), Solofra 2002;<br />

- “Ancora... Saluti da Forino”, Solofra 2004.<br />

- “Gli Orsini, Signori <strong>di</strong> Forino”, Forino 2006<br />

- “Palazzo Caracciolo e il suo parco”, Forino 2007<br />

nel web, http://www.salutidaforino.it/<br />

129


In<strong>di</strong>ce fotografico<br />

pag. 10 - Biagio Abignano;<br />

pag. 26, 48, 65, 74, 86, 104 , Goog<strong>le</strong>;<br />

pag. 43 - Abate Felice, “Intorno all’acquidotto Clau<strong>di</strong>o”;<br />

pag. 54, fotografia in basso, rivista “Castellum”;<br />

pag. 115, 118, 119, reperite nella rete internet;<br />

tutte <strong>le</strong> altre immagini appartengono all’autore.<br />

130


In<strong>di</strong>ce<br />

Prefazione (Vincenzo Finelli) pag. 5<br />

Introduzione pag. 9<br />

Capitolo I<br />

L’inizio <strong>di</strong> un nuovo giorno pag. 13<br />

Capitolo II<br />

I segni del lavoro pag. 17<br />

Capitolo III<br />

Aterrana <strong>di</strong> Montoro Superiore pag. 19<br />

Aterrana, scrigno etnologico <strong>di</strong> Montoro<br />

(Associazione San Felice) pag. 21<br />

Capitolo IV<br />

La salita della Laura e l’a<strong>di</strong>acente mulattiera pag. 25<br />

Fontis Augustei Aquaeductus pag. 40<br />

Capitolo V<br />

Tra la strada Pianel<strong>le</strong> e il Castel<strong>le</strong>tto Parise pag. 47<br />

Il Castel<strong>le</strong>tto Parise pag. 53<br />

Capitolo VI<br />

La strada Cannavaro pag. 61<br />

Monte Romola (Lucio D’Amore) pag. 71<br />

131


Capitolo VII<br />

Piano Salto e <strong>le</strong> neviere pag. 73<br />

Le neviere <strong>di</strong> Piano Salto pag. 78<br />

‘O vico d’a neve <strong>di</strong> Avellino (Pasqua<strong>le</strong> Matarazzo) pag. 83<br />

Poggio Tirone (Lucio D’Amore) pag. 85<br />

Capitolo VIII<br />

Verso il vallone Pietrarara, attraversando il Monte Piana<br />

pag. 89<br />

Il lavoro del boscaiolo pag. 101<br />

Capitolo IX<br />

Il vallone Bella Ficucella e <strong>le</strong> Grotte pag. 105<br />

La carchera, ovvero la fornace per la calce pag. 110<br />

Dura la <strong>vita</strong> del craunaro... pag. 115<br />

I carrettieri pag. 120<br />

Capitolo X<br />

Capita <strong>di</strong> incontrare... pag. 123<br />

Il cammino è terminato pag. 125<br />

Parentesi sul Parco Pizzo d’Alvano pag. 127<br />

Bibliografia essenzia<strong>le</strong> pag. 128<br />

Dello stesso autore pag. 129<br />

In<strong>di</strong>ce fotografico pag. 130<br />

132


133


Collana “I quaderni del Forino News”<br />

già pubblicati:<br />

“Vecchie foto e cartoline”, Forino 2001<br />

“Gli Orsini, Signori <strong>di</strong> Forino”, Forino 2006<br />

“Palazzo Caracciolo e il suo parco”, Forino 2007<br />

“Premio Castello 2007: testi e vincitori”, Forino 2008<br />

E<strong>di</strong>tore Associazione Cultura<strong>le</strong> Forino News<br />

Piazza Tigli, 6<br />

83020 - Forino (AV)<br />

C.F. 92062740649<br />

P.Iva 02474790645<br />

iscrizione n. 446 del 3/8/2006<br />

Registro del<strong>le</strong> pubblicazioni quoti<strong>di</strong>ane<br />

e perio<strong>di</strong>che del Tribuna<strong>le</strong> <strong>di</strong> Avellino<br />

iscrizione n.21/2006<br />

Registro E<strong>di</strong>tori e Stampatori della Prefettura <strong>di</strong> Avellino<br />

Progetto grafico <strong>di</strong> Francesco Trapasso<br />

stampa Basi<strong>le</strong> Arti Grafiche - Forino (AV)<br />

134

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