Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia
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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />
<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />
all’uso in<strong>di</strong>scriminato ed appunto terrorizzante della violenza da parte degli apparati statali o <strong>di</strong><br />
partito (come nel caso delle SS naziste o delle Brigate nere della Repubblica sociale italiana,<br />
entrambe <strong>di</strong>pendenti dai partiti e non dallo Stato, a <strong>di</strong>fferenza del KGB, il Comitato per la<br />
sicurezza dello Stato sovietico, e delle sigle che lo precedettero) allo scopo <strong>di</strong> mantenere la<br />
popolazione intera, e non solo i <strong>di</strong>ssidenti od oppositori, in uno stato <strong>di</strong> permanente e<br />
paralizzante timore <strong>di</strong>nanzi ad uno Stato assoluto e tirannico, ovvero totalitario, come ormai da<br />
tempo si <strong>di</strong>ce. La <strong>di</strong>fferenza primaria fra Stato totalitario (un esempio presente: la Corea del<br />
nord e prima l’Iraq <strong>di</strong> Saddam Hussein) ed autoritario (la Libia <strong>di</strong> Gheddafi, il Portogallo<br />
salazarista fino al 1974, la Spagna <strong>di</strong> Franco fino al 1975) sta appunto nel controllo completo<br />
che il regime cerca d’esercitare non solo sulla politica, ma sulla società intera tramite gli<br />
apparati terroristici. Per sfiorare una querelle che ogni tanto risorge, il fascismo italiano voleva<br />
essere totalitario, ma fu (per fortuna) velleitario anche in questo, finendo per essere più<br />
autoritario che altro – anche perché non poté mai eliminare la presenza <strong>di</strong> forze ad esso estranee<br />
come la monarchia e la Chiesa cattolica.<br />
Esiterei invece ad usare il termine <strong>di</strong> terrorismo <strong>di</strong> Stato per il terrore usato come arma<br />
bellica fra gli Stati, si tratti dei massacri <strong>di</strong> civili da sempre usati per intimorire o dei<br />
bombardamenti a tappeto (con effetto “fire storm”) delle città tedesche e <strong>di</strong> Tokyo da parte<br />
degli Alleati o infine delle bombe atomiche esplose su Hiroshima e Nagasaki. Che in guerra si<br />
cerchi <strong>di</strong> indebolire il nemico anche deprimendone il morale fa parte della <strong>di</strong>namica della<br />
guerra. Lo stesso <strong>di</strong>casi per gli “effetti collaterali” sui civili <strong>di</strong> azioni miranti al suo nerbo<br />
militare ed economico, anche se questa formula <strong>di</strong>viene talora un passepartout per giustificare<br />
modalità d’offesa che potrebbero <strong>di</strong>scriminare fra combattenti e non-combattenti, ma in realtà<br />
non lo fanno. Che lo si faccia colpendo <strong>di</strong>rettamente ed in<strong>di</strong>scriminatamente i civili e con mezzi<br />
estremamente <strong>di</strong>struttivi costituisce una lesione delle leggi della “guerra giusta” (giustificata) ed<br />
in particolare della proporzionalità fra i mezzi ed i fini leciti dell’azione bellica, fra i quali<br />
ultimi non rientra quello <strong>di</strong> terrorizzare la popolazione. Ma eccedere in violenza quando già si è<br />
in guerra è cosa <strong>di</strong>versa dal rompere la pace civile ammazzando i presunti nemici e cercando <strong>di</strong><br />
scatenare una guerra intestina.<br />
2.Forme d’incidenza in<strong>di</strong>retta<br />
Qui metto al primo posto l’omessa o ritardata regolazione <strong>di</strong> aspetti della vita associata che<br />
contengono potenziali esiti letali: sicurezza nei processi lavorativi e nell’ambiente <strong>di</strong> lavoro,<br />
sanità pubblica, traffico. Dalla <strong>di</strong>minuzione degli esiti mortali che solitamente consegue da<br />
nuove e più adatte leggi, regolamenti e finanziamenti si può inferire che con ogni ritardo (per<br />
l’opposizione d’interessi particolaristici, o perché non si è aggiornata in tempo l’agenda<br />
legislativa) la politica ha lasciato accadere più morti che non fosse necessario in base alle<br />
conoscenze e agli strumenti esistenti. Se è sproporzionato e demagogico gridare in questi casi ai<br />
“politici assassini”, è pur vero che qui risiede un problema etico e politico <strong>di</strong> responsabilità<br />
della politica e dei politici solitamente eluso dai <strong>di</strong>battiti sia politici sia etici; anche qui, in una<br />
sede meno drammatica <strong>di</strong> quella delle “sfide globali”, la politica e l’etica contemporanee<br />
stentano ad adeguare la propria sensibilità ai problemi incessantemente creati ex novo dalla<br />
sviluppo tecnico ed economico.<br />
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