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Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia

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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />

che hanno portato all'unificazione europea sono spinte, per usare un linguaggio <strong>di</strong> politologia<br />

contemporanea, <strong>di</strong> carattere sistemico o funzionale, cioè <strong>di</strong> un sistema che funziona<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dalla volontà politica. Gli imperativi sistemici - si veda la Scuola <strong>di</strong><br />

Francoforte - vengono spesso accre<strong>di</strong>tati <strong>di</strong> tutti i mali possibili, ed il sovrastare delle spinte<br />

sistemiche in terreni che non possono essere assoggettati alla razionalizzazione <strong>di</strong> questo tipo è<br />

un serio e grave problema. Ma, pur tenendo presente questo problema centrale degli effetti<br />

degenerativi delle spinte sistemiche sul tessuto umano e culturale, dobbiamo anche non<br />

<strong>di</strong>menticarci che le spinte e gli imperativi sistemici possono avere una ricaduta fortemente<br />

positiva sul terreno che sistemico non è, cioè quello della politica, della società, della cultura e<br />

così via. Da questo punto <strong>di</strong> vista tali imperativi funzionali o sistemici, che nell'Unione si sono<br />

affermati, e a cui la cultura politica, filosofica, e storica ha dato una adeguata veste politica, dai<br />

trattati <strong>di</strong> Roma (1957) a quelli <strong>di</strong> Maastricht (1991), Amsterdam (1997) e Nizza (2000), hanno<br />

evitato che si potesse ripetere qualcosa <strong>di</strong> simile al 1914-18 o al 1939-45.<br />

Più fortunata <strong>di</strong> quella che si richiama al commercio appare la dottrina che ritiene essere la<br />

trasformazione democratica dei regimi interni degli Stati la base più sicura per garantirne un<br />

comportamento non bellicoso; non perché gli Stati democratici non facciano guerre, anzi ne<br />

hanno fatto <strong>di</strong> molto accanite contro Stati <strong>di</strong>ttatoriali, ma perché essi non usano farsi guerra fra<br />

<strong>di</strong> loro. Lo <strong>di</strong>mostra l’esperienza storica tanto quanto la <strong>di</strong>mostrazione teorica <strong>di</strong> questa tesi,<br />

che va sotto il nome <strong>di</strong> dottrina della “pace democratica”. La sua prima origine è nel progetto <strong>di</strong><br />

trattato Sulla pace perpetua scritto da Kant nel 1795, laddove Kant affida la pacificazione<br />

permanente dei conflitti interstatali alla trasformazione “repubblicana” dei regimi, al<br />

federalismo e all’affermarsi del <strong>di</strong>ritto cosmopolitico, riguardante il rapporto fra gli Stati e gli<br />

abitanti del globo.<br />

Per concludere sulla pace in epoca nucleare, si può pensare che essa non derivi né da una<br />

moralizzazione in senso kantiano della politica (che forse non arriverà mai, ma che, anche se<br />

arrivasse, potrebbe essere - s'è visto - troppo tar<strong>di</strong>) né dal prevalere <strong>di</strong> una superpotenza,<br />

vittoriosa nella guerra fredda e capace <strong>di</strong> fare da Terzo o da gendarme nucleare; non si sa se gli<br />

USA abbiano le forze per fare questo, o se ne abbiano la volontà, e soprattutto non si sa per<br />

quanto tempo le possano o la possano avere. E la pace nucleare o è perpetua o non è.<br />

Si può pensare invece che a fungere da Terzo sia il nocciolo medesimo dell'età nucleare e<br />

cioè il terrore come base dell'equilibrio. In verità noi stiamo assistendo dal 1945, dal punto <strong>di</strong><br />

vista nucleare, alla pace perpetua, che sarà un po' tetra, ma è stata pace. Non voglio <strong>di</strong>re che la<br />

deterrenza nucleare sia la garanzia della pace, perché anzi io la penso in maniera opposta, ma<br />

voglio <strong>di</strong>re che stiamo assistendo ad un primo periodo fattuale <strong>di</strong> pace perpetua. Naturalmente<br />

tutto questo può essere affermato solo se si <strong>di</strong>fferenzia fortemente fra guerra nucleare e guerra<br />

convenzionale, e quin<strong>di</strong> anche fra pace convenzionale e pace nucleare. La pace nucleare non ha<br />

impe<strong>di</strong>to che guerre sanguinose (Indocina, Afghanistan, Iran-Iraq o Prima guerra del Golfo)<br />

avvenissero durante la Guerra fredda, né tanto meno dopo il suo termine. Dal 1989 inoltre le<br />

guerre classiche, interstatali o civili, che pure non mancano (Etiopia-Eritrea, per non <strong>di</strong>rne che<br />

una) sembrano avere minore frequenza e importanza rispetto alle guerre <strong>di</strong> nuovo tipo, a sfondo<br />

etnico o religioso o <strong>di</strong> “scontro fra civiltà”, e spesso condotte da attori non-statali (Osama bin<br />

Laden contro gli USA) e con largo impiego <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> terroristici.<br />

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