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Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia

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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />

citta<strong>di</strong>no o citta<strong>di</strong>na sia eguale a tutti gli altri/altre, e che questa sia la base migliore per la<br />

<strong>di</strong>stribuzione del potere.<br />

Ma ci sono negli Stati Uniti teorie minoritarie, formulate soprattutto da teoriche femministe,<br />

che affermano che, per assicurare una vera e autentica giustizia, bisogna riequilibrare la società<br />

ed anche le istituzioni, in cui l'eguaglianza è solo assunta, ma non è reale. Allora bisognerebbe,<br />

almeno per un tempo limitato, cambiare le regole del gioco, mettendo in sonno un presupposto<br />

essenziale della regola <strong>di</strong> maggioranza, l'eguaglianza <strong>di</strong> tutti gli in<strong>di</strong>vidui, e dando per un certo<br />

periodo doppio voto alle donne e agli afroamericani. Si vede qui che una cosa è il sapere<br />

fondativo o manualistico, il quale ci <strong>di</strong>ce che la regola <strong>di</strong> maggioranza è sempre la regola dei<br />

processi elettorali delle assemblee democratiche; una cosa è fare un'indagine a livello più critico<br />

e <strong>di</strong>namico, in cui bisogna renderci conto che le cose non sono mai definitivamente formulate,<br />

almeno concettualmente, e che possono presentarsi mutamenti anche <strong>di</strong> quelle che<br />

consideravamo le più solide costanti (in re) e le più <strong>di</strong>ffuse convinzioni soggettive.<br />

Non è vero inoltre che in una democrazia ci debba essere un estendersi continuo ed<br />

illimitato della regola <strong>di</strong> maggioranza: questo io lo ritengo uno sciagurato abbaglio concettuale<br />

ed anche politico. Io ritengo che molte democrazie contemporanee, certamente quella italiana,<br />

si siano fatte molto danno estendendo la regola <strong>di</strong> maggioranza dalle assemblee propriamente<br />

politiche ad ambiti deliberativi <strong>di</strong> tipo esecutivo-gestionale, oppure legati a saperi specialistici,<br />

dove la regola <strong>di</strong> maggioranza non c'entra niente, e soprattutto non si deve nominare invano la<br />

democrazia, perché si tratta al più <strong>di</strong> collegialità. Ritengo che, una volta presa la decisione<br />

politica d'in<strong>di</strong>rizzo, la sua esecuzione (e soprattutto le sue conseguenze) debba essere sottoposta<br />

ai maggiori controlli democratici, ma debba avvenire non in base ai criteri della<br />

rappresentatività partitica degli esecutori, ma in base ai criteri dell'efficienza; per efficienza<br />

intendendosi che il pubblico dei citta<strong>di</strong>ni titolari <strong>di</strong> interessi legittimi abbia anzitutto <strong>di</strong>ritto<br />

all'esecuzione rapida, professionale e non inutilmente costosa <strong>di</strong> quanto è stato deliberato, si<br />

tratti <strong>di</strong> una nuova regola del processo penale o <strong>di</strong> una nuova legge sull'Università. Questa è la<br />

prima ragione per cui non è vero che la regola <strong>di</strong> maggioranza e la democrazia siano<br />

coestensive.<br />

La seconda ragione deriva da un cambiamento abbastanza recente del sistema politico e<br />

sociale, che più che escludere mette da parte, quasi rende superflua la regola <strong>di</strong> maggioranza.<br />

Cominciamo osservando che nella formazione delle deliberazioni con cui si allocano risorse<br />

esistono in realtà due procedure fondamentali: una è quella della legge, che configura tutti i<br />

rapporti politici come rapporti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto pubblico, in cui il legislatore e il suo prodotto, la legge,<br />

hanno una posizione super partes. La legge viene formata attraverso la regola <strong>di</strong> maggioranza,<br />

il che presuppone che vi sia chi in una deliberazione e nel suo effetto legislativo perde e chi<br />

guadagna: una minoranza che perde, una maggioranza che guadagna. Ma ovviamente alla legge<br />

tutti, maggioranza e minoranza, si piegano. L'obbligo politico viene qui gestito attraverso una<br />

procedura giuspubblicistica; essa è ricavata dal modello <strong>di</strong> tipo inglese, detto quin<strong>di</strong><br />

`westminsteriano', <strong>di</strong> democrazia, e rinvia più <strong>di</strong> ogni altro a due presupposti della democrazia<br />

liberale: i limiti del potere e l'effettivo alternarsi dei partiti al governo. In realtà sappiamo già da<br />

tempo che esiste una seconda procedura, teoricamente concorrenziale, ma in realtà<br />

concomitante con la prima, <strong>di</strong> tipo pattizio o contrattuale, in cui non c'è una lex super partes,<br />

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