<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong> <strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione - si fa per <strong>di</strong>re - almeno il 51% <strong>di</strong> irrazionalismo e <strong>di</strong> simboli ed allegorie ad esso confacenti. È, per corollario, falso che identità e associazioni politiche non possano reggersi se non si alimentano <strong>di</strong> un qualche `mito d'origine'. Una cosa è il mito, che può essere o meno presente, un'altra la narrazione, che è invece impensabile <strong>di</strong> poter eliminare; lo si è già accennato sopra a riguardo dell'in<strong>di</strong>viduo, quando si è evidenziata la concreta <strong>di</strong>mensione autobiografica della sua identità, che a sua volta sta in un circuito <strong>di</strong> reciproca alimentazione con la <strong>di</strong>mensione storica della comunità cui si appartiene. Il mito politico contiene una più o meno consapevolmente deformata e polarizzata (in senso manicheo) versione dei fatti originari, effettivi o fittizi, <strong>di</strong> una nazione, Stato o movimento che sia - si tratti della Dolchstoßlegende (la pugnalata nella schiena che avrebbe condotto alla sconfitta del 1918) nella Germania weimariana o della `vittoria mutilata' nell'Italia fascista (miti reattivi, verrebbe <strong>di</strong> <strong>di</strong>re) o ancora dell'Ottobre rosso nell'autocelebrazione dell'URSS. Per narrazione fondativa invece intendo la memoria, pubblicamente esposta e <strong>di</strong>battuta, dei processi, delle lotte, dei valori e vincoli ivi maturati, e da cui è scaturita una comunità politica, ovvero una sua nuova fase. La <strong>di</strong>aspora e poi la Shoah sono in questo senso la narrazione fondativa <strong>di</strong> Israele, come lo sono antifascismo e Resistenza per la Repubblica italiana. Non vedo quale verità o utilità conoscitiva vi sia nel rifiutare questa <strong>di</strong>stinzione, mettendo queste narrazioni nell'unico minestrone dei `miti d'origine'. Si tratta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fferenza qualitativa: <strong>di</strong>verso è il loro rapporto con la realtà storica, e soprattutto è <strong>di</strong>verso il tipo d'in<strong>di</strong>viduo - per esempio il naziskin ed il citta<strong>di</strong>no che contribuisce non solo con il voto alla vita democratica - alla cui identità politica essi sono correlabili. Una narrazione fondativa - per quante deformazioni e strumentalizzazioni possa subire, magari sfiorando la mutazione in mito - è sempre criticabile e rive<strong>di</strong>bile tramite l'uso pubblico della ragione nel <strong>di</strong>battito politico o intellettuale; così è avvenuto anche con la Resistenza. I miti non sono invece sottoponibili ad alcun vaglio pubblico o critico: o li si beve come sono, o crolla la legittimità del corpo politico alla cui compatta ed esclusiva identità essi dovrebbero condurre. Queste poche note segnano alcuni confini, ma non possono sostituire un'approfon<strong>di</strong>ta trattazione dei nessi <strong>di</strong> identità, simbolo e mito, tre termini <strong>di</strong> grande rilievo filosofico prima ancora che politico. Vorrei solo, rifiutati i mitologismi, aggiungere che la restante letteratura poco ci aiuta. Da Harold Lasswell a Edelman, per nominare due testi-chiave 21 , prevale l'approccio che vede in qualsivoglia simbolismo politico un instrumentum regni o comunque una deviazione dalla politica realistica e razionale. Più recentemente, i lavori sulle symbolic policies (il far efficacemente politica tramite puri atti simbolici, anziché incidendo sui termini effettivi del problema) hanno arricchito l'aspetto analitico, ma non soppiantato quell'approccio. Ad esso, forse per miopia realista verso una teoria generale dell'agire, manca la comprensione della me<strong>di</strong>azione simbolica, e quin<strong>di</strong> fatta <strong>di</strong> narrazioni ed elementi alogici, propria <strong>di</strong> ogni politica; me<strong>di</strong>azione che va <strong>di</strong>fferenziata al suo interno meglio <strong>di</strong> quanto non si sia potuto far qui, ma che alla politica (certo non solo ad essa) è connaturata, lungi dall'essere un optional da impiegare, quando occorre, strumentalmente. La presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla presunta onnipresenza postmoderna del mito e dalla 21 H. Lasswell, World Politics and Personal Insecurity, New York 1935, e M. Edelman, The Symbolic Uses of Politics, Champaign 1976. 50
<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong> <strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione confusione fra esso ed il simbolo non può oscurare questo punto fondamentale. 51