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Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia

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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />

tomistica,dell'Occidente questo fine è stato a lungo visto nel `bene comune', attingibile dai<br />

singoli solo in quanto parti della comunità e definito in base ad una qualche gerarchia fra Dio,<br />

uomini e mondo. Caduta l'unità che l'ancoramento teologico dava al pensiero me<strong>di</strong>oevale, e<br />

caduti i poteri universali <strong>di</strong> riferimento, l'Impero ed il Papato, la prima modernità fece<br />

esperienza sia del competere pluralistico <strong>di</strong> svariate concezioni del fine della politica ed in<br />

genere dell'umanità, sia dei troppo alti costi (guerre <strong>di</strong> religione) da pagare tutti, vinti e<br />

vincitori, quando come scopo della politica si vogliano perseguire per intero e senza rinuncia<br />

alcuna i propri fini sostantivi. Nel contempo, sul piano epistemologico, gli approcci rivolti a<br />

comprendere il mondo e le sue parti in ragione dei meccanismi che li governano o delle<br />

funzioni cui assolvono prendevano il sopravvento sugli approcci tesi ad in<strong>di</strong>viduare i loro fini.<br />

Da queste esperienze politiche ed intellettuali nasceva così l'abbandono del finalismo<br />

sostantivo, sostituito dall'idea che l'associazione politica non possa ritenersi or<strong>di</strong>nata che a fini<br />

minimi ad essa intrinseci, e non provenienti da concezioni metafisiche, teologiche o morali, se<br />

non in quanto possa rappresentare il minimo comun denominatore <strong>di</strong> tali concezioni. Ma<br />

nasceva e si sviluppava soprattutto l'idea che una definizione <strong>di</strong> `politica' non possa farsi che in<br />

base ai mezzi o le modalità o procedure che ne sono tipiche in ogni circostanza, anziché in base<br />

ad uno o l'altro dei <strong>di</strong>sparati fini che le sono stati o potranno esserle attribuiti 11 .<br />

Politica può dunque dapprima definirsi come quell'attività che regola la lotta (o il<br />

conflitto; questo concetto-chiave verrà pienamente definito alla fine del capitolo 11) per la<br />

re<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> risorse scarse e <strong>di</strong>segualmente <strong>di</strong>stribuite tramite i rapporti <strong>di</strong> potere; potere<br />

che a sua volta - in quanto potere specificamente politico - è definito dall'essere in ultima<br />

istanza garantito dal possesso esclusivo (monopolistico) della forza o violenza organizzata.<br />

Questa definizione richiede una serie <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>menti e commenti. Anzitutto, essa lega<br />

la politica alla più complessiva attività sociale degli uomini e delle donne, mirando insieme a<br />

determinarne una peculiarità (cosicché politico e sociale non possono considerarsi equivalenti).<br />

Si basa poi su due con<strong>di</strong>zioni in<strong>di</strong>pendenti: la scarsità delle risorse contese (che non vanno<br />

intese solo come risorse materiali, ma pure sociali o relazionali, per es. il prestigio) e la loro<br />

<strong>di</strong>stribuzione ineguale. Se le risorse fossero illimitate, o se, pur scarse, fossero <strong>di</strong>stribuite<br />

egualitariamente, non vi sarebbe politica (infatti le utopie sociali dell'Ottocento che mirano ad<br />

uno <strong>di</strong> questi due obiettivi prevedono l'eliminazione della politica). La definizione riconosce<br />

poi non già, come pure alcuni fanno, l'identità <strong>di</strong> politica e guerra, bensì che non la convivenza<br />

comunitaria, bensì la lotta (termine preferito in filosofia politica) ovvero il conflitto (termine<br />

più sociologico, cfr. cap. 30) sono elementi essenziali della politica - s'intende come problemi<br />

da affrontare e regolare, non come suoi dati immutabili o `eterne verità'. La politica è<br />

imparentata con la guerra anche nel senso più preciso che del potere politico fa parte l'uso<br />

11<br />

Sia chiaro, per inciso, che la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> antico e moderno, o moderno e premoderno va presa cum<br />

grano salis: la modernità non è qualcosa <strong>di</strong> monocolore e tanto meno <strong>di</strong> monolitico, anche se talora può<br />

essersi illusa <strong>di</strong> esserlo. Le posizioni premoderne si ritrovano al suo interno, e non possono essere<br />

ridotte a mera residualità o epigonalità, anche se qualche volta <strong>di</strong> questo pur si tratta. Il ripresentarsi<br />

aggiornato ed agguerrito del `bene comune', del finalismo, della `comunità organica' e d'altro articola<br />

spesso un conflitto interno alla modernità, in<strong>di</strong>ca una sua aporia o un <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o con suoi risultati non<br />

attesi e non intesi.<br />

17

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