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Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia

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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />

alla coppia in<strong>di</strong>viduo/società).<br />

L’in<strong>di</strong>viduo moderno è in prima istanza colui che è dotato <strong>di</strong> una duplice forma <strong>di</strong><br />

libertà: la libertà “da” (norme, valori, co<strong>di</strong>ci precostituiti e tessuti comunitari), e la libertà<br />

“<strong>di</strong>” (<strong>di</strong> decidere, scegliere, programmare la propria vita).<br />

La libertà è dunque il <strong>di</strong>ritto naturale per eccellenza, ma non è il solo. Attraverso la<br />

metafora dello “stato <strong>di</strong> natura” il pensiero moderno, contrattualistico e liberale, costruisce<br />

l’immagine <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo dotato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti naturali fondamentali (libertà, vita, uguaglianza,<br />

proprietà) che <strong>di</strong>ventano imprescin<strong>di</strong>bili per la costruzione dell’or<strong>di</strong>ne sociale e politico. Il<br />

riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti è il primo presupposto che, tra il XVII e XVIII secolo, accomuna<br />

autori come Hobbes e Locke, Rousseau e Kant.<br />

Il secondo presupposto riguarda la legittimità del perseguimento degli interessi:<br />

l’in<strong>di</strong>viduo moderno viene qui a coincidere con la figura dell’homo oeconomicus, utilitarista e<br />

calcolatore, razionalmente capace <strong>di</strong> realizzare la sod<strong>di</strong>sfazione dei propri interessi.<br />

L’attenzione prevalente a questi due attributi (<strong>di</strong>ritti e interessi) da parte della tra<strong>di</strong>zione<br />

liberale, ha finito per co<strong>di</strong>ficare l’immagine <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo autonomo, razionale e<br />

previdente; un in<strong>di</strong>viduo dotato <strong>di</strong> quella “razionalità rispetto allo scopo” (Zweckrationalität),<br />

per <strong>di</strong>rla con Max Weber, che lo rende strumentalmente capace <strong>di</strong> aderire ad un contratto<br />

sociale e <strong>di</strong> costruire le istituzioni necessarie (lo Stato) a garantire la salvaguar<strong>di</strong>a dei propri<br />

<strong>di</strong>ritti e a permettere la sod<strong>di</strong>sfazione dei propri interessi.<br />

Questa immagine, riassumibile appunto nel modello dell’homo oeconomicus, ha finito<br />

per oscurare quella che vorrei definire la costitutiva e originaria ambivalenza dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

moderno: per il quale la conquista della libertà è anche, come ci <strong>di</strong>ce Hans Blumenberg 68 ,<br />

“per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne”, scoperta del proprio sra<strong>di</strong>camento, smarrimento delle proprie certezze <strong>di</strong><br />

fronte al crollo <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne cosmico che lo pone <strong>di</strong> fronte all’onere delle proprie scelte.<br />

Fin dalle origini della modernità insomma, l’in<strong>di</strong>viduo si presenta sovrano a carente ad<br />

un tempo, autoaffermativo e debole, progettuale e bisognoso.<br />

La “per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne” va intesa in senso duplice: l’in<strong>di</strong>viduo è esposto non solo<br />

all’ignoto del mondo, data la possibilità, come <strong>di</strong>ce ancora Blumenberg, <strong>di</strong> spingersi “al <strong>di</strong> là<br />

delle colonne d’Erole”, ma anche al caos delle proprie passioni.<br />

Questa ambivalenza era già stata tematizzata da Montaigne nella seconda metà del XVI<br />

secolo 69 : il “Moi” descritto negli Essais appare orgoglioso, autoaffermativo, libero <strong>di</strong> agire e<br />

<strong>di</strong> pensare in piena autonomia, ma allo stesso tempo posto “fuori asse”, <strong>di</strong>sorientato,<br />

sra<strong>di</strong>cato, carente, in preda al <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne provocato dalle proprie passioni.<br />

In virtù <strong>di</strong> quello stesso processo che gli conferisce la propria ine<strong>di</strong>ta libertà, <strong>di</strong>gnità,<br />

sovranità, l’in<strong>di</strong>viduo scopre il proprio vuoto, la propria vulnerabilità e mancanza. E<br />

soprattutto egli scopre la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> controllare e gestire le proprie passioni, che, a partire<br />

dalla modernità <strong>di</strong>ventano legittime (si veda lo stesso trattato <strong>di</strong> Descartes sulle Passions de<br />

l’ame 70 ), ma portatrici <strong>di</strong> pericoli sia per la costruzione dell’identità in<strong>di</strong>viduale sia per la<br />

68<br />

Hans Blumenberg (filosofo tedesco, 1920-1996), Die Legitimität der Neuzeit, Suhrkamp, Frankfurt<br />

am Main 1966; trad.it. La legittimità dell’età moderna, Marietti, Genova 1992.<br />

69<br />

Michel de Montaigne, Essais, 1588; trad.it. Saggi, Adelphi, Milano 1992.<br />

70<br />

René Descartes, Passions de l’ame (1649); trad.it. Le passioni dell’anima, in Id., Opere filosofiche,<br />

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