Furio Cerutti - Dipartimento di Filosofia
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<strong>Furio</strong> <strong>Cerutti</strong><br />
<strong>Filosofia</strong> politica. Un'introduzione<br />
I <strong>di</strong>ritti sociali invece, per non parlare <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> terza generazione (solidarietà, sviluppo)<br />
richiedono non l'astensione, ma l'intervento <strong>di</strong>retto e attivissimo dello Stato che deve darsi<br />
molto da fare per dare lavoro a tutti, per dare istruzione a tutti, per garantire a tutti pensioni <strong>di</strong><br />
invali<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong> vecchiaia. Una cosa è riconoscere il rilievo, l'importanza <strong>di</strong> queste pretese, per<br />
esempio delle riven<strong>di</strong>cazioni del lavoro e della pensione in quanto con<strong>di</strong>zioni per la piena<br />
fruizione dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà. Questo crea per lo Stato, e ancora prima per la società civile, un<br />
dovere, ma non perfetto e assoluto, a fare il possibile per dare a ciascuno lavoro, istruzione,<br />
pensione in maniera da permettergli <strong>di</strong> essere lui un citta<strong>di</strong>no optimo iure, e ai suoi figli <strong>di</strong><br />
godere pienamente delle possibilità <strong>di</strong> sviluppo. Questa è una cosa su cui più o meno siamo tutti<br />
d'accordo. Un'altra cosa è attribuire a quelle riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni, riconosciute<br />
importanti per la fruizione stessa dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà, il carattere <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti. Questa è un'altra<br />
cosa, perché, se si tratta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto, configura da parte dello Stato un dovere perfetto e<br />
assoluto quanto quello <strong>di</strong> non mandarmi la polizia alle tre <strong>di</strong> notte per arrestarmi senza un<br />
mandato <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>ce, <strong>di</strong> non aprire la mia corrispondenza, <strong>di</strong> non venire a bruciare le mie<br />
Chiese o Sinagoghe. Riconoscerli come <strong>di</strong>ritti significa obbligare lo Stato a garantire quelle<br />
prestazioni a tutti, perché altrimenti ciascun citta<strong>di</strong>no può andare <strong>di</strong> fronte ad una corte e<br />
reclamare con successo <strong>di</strong> avere comunque un lavoro, una pensione, un'istruzione per i suoi<br />
figli. Questo richiede che lo Stato si carichi, non come libera scelta <strong>di</strong>screzionale, ma come<br />
dovere politico-giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> compiti che prima <strong>di</strong> tutto lo espandono enormemente dal punto <strong>di</strong><br />
vista sia della sua amministrazione sia, soprattutto, della fiscalità: uno Stato che deve fare tutte<br />
queste cose <strong>di</strong>venta uno Stato fiscalmente esosissimo, che ha bisogno <strong>di</strong> una grande e costosa<br />
amministrazione finanziaria e pubblica. In Italia abbiamo l'esempio <strong>di</strong> una situazione<br />
particolarmente insod<strong>di</strong>sfacente nei confronti dei citta<strong>di</strong>ni, ma anche negli altri paesi le<br />
amministrazioni sono simili, seppur talora più efficienti. È possibile che lo Stato debba, per<br />
adempiere a questi compiti, portare delle limitazioni <strong>di</strong> tipo burocratico ai <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà, per<br />
esempio tutte le limitazioni che spogliano il citta<strong>di</strong>no della sua in<strong>di</strong>vidualità e lo rendono, per<br />
<strong>di</strong>rla in maniera grossolana ma efficace, un numero e niente più che un numero, come fruitore<br />
della macchina assistenziale dello Stato. L'altra cosa <strong>di</strong>stinta è che i compiti sociali <strong>di</strong> cui lo<br />
Stato si carica, contengono un notevole rischio <strong>di</strong> inefficienza nel senso tecnico, cioè <strong>di</strong> un<br />
rapporto mezzi/fini inadeguato; dati quei mezzi non si raggiungono i fini che con quei mezzi si<br />
dovrebbero poter raggiungere, oppure dati quei fini si sono scelti mezzi, per sottostima oppure<br />
qualitativamente, inadatti a raggiungere quei fini: questa è inefficienza, da <strong>di</strong>stinguere<br />
dall'inefficacia, che riguarda il raggiungimento o meno <strong>di</strong> un obiettivo in<strong>di</strong>pendentemente dai<br />
costi. Inefficienza vuol <strong>di</strong>re che può verificarsi che le risorse dei citta<strong>di</strong>ni, non solo quelle<br />
fiscali, ma certo queste prevalentemente, vengano per un verso sottoposte ad un'enorme<br />
pressione, per un altro vengano allocate autoritativamente, cioè da un'autorità centrale, nella<br />
fattispecie lo Stato, che certo ha il titolo per farlo, ma che non ha l'obbligo <strong>di</strong> sottoporsi ad un<br />
vaglio <strong>di</strong> efficienza; non v'è cioè un'istanza neutrale ed esperta che verifichi se le risorse usate<br />
per fini sociali siano state usate in maniera tale da sod<strong>di</strong>sfare almeno gli obiettivi minimi per i<br />
quali sono state estratte dai singoli citta<strong>di</strong>ni e gestite dallo Stato.<br />
Inoltre riconoscere le riven<strong>di</strong>cazioni sociali come <strong>di</strong>ritti può peggiorare la cosiddetta crisi<br />
fiscale dello Stato, cioè una situazione per cui, in<strong>di</strong>pendentemente dalla volontà, per sole<br />
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